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mercoledì, gennaio 27, 2010

Brunello Mantelli* Il lavoro forzato nel sistema concentrazionario nazionalsocialista

Brunello Mantelli*
Il lavoro forzato nel sistema concentrazionario nazionalsocialista
Secondo quanto dichiarò Oswald Pohl1, capo dell’Ufficio Centrale per l’Economia e
l’Amministrazione della SS (Wirtschafts- und Verwaltungshauptamt – WVHA2), nel corso
del processo celebrato a carico dei dirigenti dell’istituzione nazionalsocialista di fronte al
Tribunale militare americano di Norimberga3, alla fine del 1944 il numero complessivo dei
deportati che si trovavano nella rete concentrazionaria dipendente dalla SS era di circa
600.000; tra loro ben 480.000 risultavano adatti ad impieghi produttivi (arbeitseinsatzfähig).
In base alle valutazioni dell’ ex generale SS, 400.000 erano stati effettivamente assorbiti,
all’epoca, dall’apparato produttivo del Terzo Reich. 130.000 li utilizzava l’Organizzazione
Todt (OT)4, in lavori di fortificazione e cantieri edili di vario genere; altri 140.000
lavoravano nell’ambito della cosiddetta Commissione speciale Kammler (Kammler
Sonderstab)5; ed infine 230.000 erano impiegati dall’industria privata (quasi totalmente nei
settori della produzione di armamenti – Rüstungsindustrie – e della chimica). 400.000
lavoratori schiavi (nella quasi totalità non tedeschi) estratti dai Konzentrationslager erano
* Dottore di ricerca in Storia contemporanea, è professore associato presso la Facoltà di Lettere
e Filosofia dell’Università di Torino. Si occupa in particolare di storia dei fascismi e storia della Germania.
Questo testo è stato pubblicato in Hans Mommsen et alii, Lager, Totalitarismo, modernità, Milano, Bruno
Mondadori, 2002.
1 Deposizione del 25 agosto 1947, in Trials of War Criminals, volume 5, Washington, U.S.
Governement Printing Office, 1950, p. 445. Si veda inoltre Albert Speer, Lo Stato schiavo. La presa di potere delle
SS, Milano, Mondadori 1985, p. 334 dell’edizione tedesca, Der Sklavenstaat. Meine Auseinandersetzung mit der
SS, Stuttgart, DVA, 1981. Entrambi i riferimenti sono citati in Ulrich Herbert, Arbeit und Vernichtung, in Idem
(a cura di), Europa und der “Reichseinsatz”. Ausländische Zivilarbeiter, Kriegsgefangene und KZ-Häftlinge in
Deutschland 1938-1945, Essen, Klartext, 1991, pp. 413 e 426.
2 Sul WVHA e l’impiego produttivo dei deportati come manodopera schiava cfr. Hermann
Kaienburg, KZ-Haft und Wirtschaftsinteresse. Das Wirtschaftsverwaltungshauptamt der SS als Leitungszentrale der
Konzentrationslager und der SS-Wirtschaft, in Idem (a cura di), Konzentrationslager und deutsche Wirtschaft 19391945,
Opladen, Leske+Budrich, 1996, pp. 29-60.
3 Si svolse dal 13 gennaio al 3 novembre 1947, quarto della serie dei procedimenti penali
successivi a quello, ben più noto, contro i “principali responsabili dei crimini di guerra”, in cui la corte ebbe
una composizione internazionale.
4 Alla fine del 1938 a Fritz Todt, già ispettore generale alla viabilità (Generalinspektor für das
Straßenwesen) ed incaricato di sovrintendere alla costruzione di una rete autostradale sul territorio tedesco,
fu affidata la realizzazione della linea fortificata “Sigfrido”, lungo il confine francotedesco, da portare a
termine in tempi strettissimi. A tale scopo, egli diede vita ad una vera e propria armata del lavoro, che prese
il suo nome. L’assunzione, nel marzo 1940, del neocostituito ministero delle Armi e Munizioni gli diede
modo di estendere ulteriormente il raggio d’azione dell’OT, che operava ormai in territorio sia
metropolitano, sia occupato, assumendo su di sé tutte le attività edilizie di interesse militare. La morte di
Todt, all’inizio di febbraio 1942, non impedì all’OT di continuare ad espandersi. Su Todt e l’organizzazione
da lui fondata vedi i lavori di Franz W Siedler, Fritz Todt, Baumeister des Dritten Reiches, Berlin, Ullstein 1988;
e Die Organisation Todt, Koblenz, Bernard & Graefe, 1987.
5 Il 22 agosto 1943 fu costituita, nell’ambito del WVHA, una Commissione speciale con
l’incarico di garantire la continuità della produzione di armamenti del Terzo Reich, che i duri
bombardamenti alleati stavano mettendo seriamente a rischio. A capo della nuova istanza venne posto il
generale delle Waffen SS Hans Kammler, responsabile del settore “costruzioni” nell’ambito dell’apparato
economico SS. Sarebbe stato il Sonderstab Kammler a gestire la costruzione delle officine sotterranee in cui
fu decentrata, nei mesi successivi, una parte significativa dell’industria militare tedesca.
sicuramente una quantità in sé cospicua, ma rappresentavano appena il 5% dei circa
8.000.000 di stranieri che nello stesso periodo lavoravano in Germania6.
Come la storiografia ha ampiamente dimostrato7, lo sforzo bellico tedesco è stato reso
possibile soltanto dall’impiego progressivamente sempre più massiccio di braccia
straniere: nell’autunno 1944 esse costituivano circa il 33% della manodopera al lavoro, con
punte del 46% nell’agricoltura e del 36% nel settore minerario8. Le cifre ci mostrano perciò
un quadro complesso: sicuramente i KL assunsero ad un certo punto la funzione di riserva
di manodopera, in un contesto che vedeva l’economia di guerra tedesca soffrire di una
fortissima carenza strutturale di forza lavoro, in particolare qualificata:
già nel settembre 1941 l’ufficio tedesco che gestiva il collocamento della manodopera (deutsche
Arbeitsverwaltung) comunicò che oltre 2,6 milioni di posti di lavoro erano scoperti; solo
nell’agricoltura ce n’era mezzo milione, oltre 300.000 nel settore metalmeccanico, 140.000
nell’edilizia, 50.000 nell’industria mineraria9;
ma il loro peso fu relativamente marginale, almeno se considerato globalmente. Diverso
può essere il discorso se si prendono in considerazione alcune specifiche attività
industriali, tra cui principalmente la produzione delle Vergeltungswaffen (armi
vendicatrici: la bomba volante senza pilota V1 ed il missile V210), e la ridislocazione degli
impianti a cui si dedicava il Sonderstab Kammler.
Per poter procedere oltre occorre però, a questo punto, mettere a fuoco alcune questioni a
mio parere cruciali:
1) quando i Lager divennero riserve di manodopera? Una funzione del genere fu loro
attribuita fin dal loro sorgere nel 1933, oppure la assunsero in seguito? Ed in questo
secondo caso, in quale momento? Nel 1937-38, allorché iniziò la deportazione dei
cosiddetti “asociali”? Nel 1939, con l’aggressione alla Polonia, Nel 1941, con l’attacco
all’Unione Sovietica? Od ancora dopo?
2) quanto era alta la produttività dei lavoratori schiavi prelevati dai KL? Se la
confrontiamo con quella degli operai tedeschi, degli stranieri reclutati negli Stati alleati
e nei territori occupati dalla Wehrmacht, dei prigionieri di guerra che cosa se ne può
ricavare?
6 Quasi due milioni erano prigionieri di guerra, il resto “lavoratori civili” (Fremdarbeiter),
dizione che va intesa nella stragrande maggioranza dei casi come sinonimo di “lavoratori coatti”. Cfr. Ulrich
Herbert, Fremdarbeiter. Politik und Praxis des “Ausländer-Einsatzes” in der Kriegswirtschaft des Dritten Reiches,
Berlin-Bonn, Dietz, 1985, p. 271.
7 Cfr., per un quadro sintetico della questione (e dei limiti della soluzione nazista al problema
della mancanza di manodopera), Werner Bühren, Wirtschaft, in Wolfgang Benz, Hermann Graml, Hermann
Weiß (a cura di), Enzyklopädie des Nationalsozialismus, München, DTV, 1998, pp. 108-122 (in particolare alla p.
120).
8 Cfr. Herbert (a cura di), Europa, cit., p. 7 (introduzione del curatore).
9 Ivi, Idem, Arbeit, cit., p. 397.
10 La V1 era sostanzialmente un aereo senza pilota carico di esplosivo; mosso da un
pulsoreattore, richiedeva di essere scagliato in aria da una catapulta; assai più avanzata invece la tecnologia
della V2, vero e proprio missile balistico destinato ad essere il capostipite degli assai più perfezionati ordigni
che statunitensi e sovietici (seguiti a ruota da molti altri Stati) avrebbero sviluppato nel secondo dopoguerra,
servendosi senza risparmio dei tecnici nazisti su cui erano riusciti a mettere le mani. Il più noto di loro è
Werner von Braun. Ovviamente von Braun e consimili figuri non furono mai messi sotto accusa per essersi a
suo tempo serviti di lavoratori schiavi prelevati dai KL.
3
3) per quanto riguarda le condizioni materiali di vita dei deportati in KL, l’impiego come
manodopera coatta corrispose ad un peggioramento od a un miglioramento
(ovviamente relativo!) delle loro condizioni di vita? Come variò il tasso di mortalità su
base annua (unico parametro tragicamente preciso delle variazioni in merito)?
4) in qual misura e come influì sulla decisione di impiegare i deportati in KL l’andamento
della guerra, ed in particolare lo svilupparsi delle operazioni sul fronte orientale?
Inoltre, occorre tenere presente che non si deve mai cercare una razionalità astrattamente
coerente nel procedere di un regime come quello nazista (ma anche, in senso più generale,
in tutti i sistemi complessi11); in altre parole, possono tranquillamente coesistere nello
stesso arco temporale processi di radicalizzazione nelle pratiche sterminatorie attuate in
questo o quel territorio occupato e misure tese a funzionalizzare al soddisfacimento della
richiesta di manodopera strutture concentrazionarie pensate per tutt’altri scopi12. Nel caso
specifico del sistema dei KL costruito dalla SS13, punta di diamante per altro di un
universo concentrazionario nazionalsocialista assai più esteso ed articolato14, ci si deve
inoltre attendere, per le mille sfaccettature che la rete dei Lager mostra, un panorama
fortemente disomogeneo ed assai diversificato al proprio interno. Ogni campo di
concentramento richiederebbe, di conseguenza, un’analisi diacronica a sé stante; si
possono ovviamente cogliere tendenze generali ovunque riscontrabili, ma solo a patto di
essere consapevoli che ogni sintesi non rappresenta altro che una media con forti connotati
di astrazione.
E’ altresì necessario tenere ben distinta la posizione degli ebrei: dal tardo autunno 1941,
infatti, venne avviata – attraverso la costruzione e la messa in opera di 5 speciali
installazioni di morte (Vernichtungslager – VL: Auschwitz-Birkenau, Belzec, Chelmno,
Sobibor, Treblinka) – la loro eliminazione in massa, continuata senza soste fino alla tarda
estate 1943, quando anch’essi furono presi in considerazione dalle autorità
nazionalsocialiste come possibile riserva per far fronte alla disperata fame di braccia del
11 Un interessante tentativo di rilettura della storia del Terzo Reich servendosi delle teorie
matematiche della complessità e del caos è quello di Roger Beaumont, The Nazi’s March to Chaos. The Hitler
Era Trough the Lens of Chaos-Complexity Theory, Wesport-London, Praeger, 2000.
12 Si veda, per un’analisi delle politiche per molti versi contraddittorie seguite dalle autorità
nazionalsocialiste nei confronti dei prigionieri di guerra sovietici, degli ebrei residenti nei territori occupati
dell’URSS, e dei civili sovietici arruolati a forza come lavoratori coatti Christian Gerlach, Krieg, Ernährung ,
Völkermord. Forschungen zur deutschen Vernichtungspolitik im Zweiten Weltkrieg, Hamburg, Hamburger Edition,
1998; in particolare il primo capitolo, Die Ausweitung der deutschen Massenmorde in den besetzten sowjetischen
Gebieten im Herbst 1941. Überlegungen zur Vernichtungspolitik gegen Juden und sowjetischen Kriegsgefangene,
pp. 10-84. Al centro dell’indagine l’autore colloca il triangolo costituito dalle aspettative di vittoria rapida del
gruppo dirigente tedesco, dalla scelta strategica di riservare la parte preponderante delle derrate alimentari
reperibili in territorio occupato al sostentamento delle unità della Wehrmacht nonché della popolazione
civile tedesca, dalla necessità via via più impellente - quanto più l’esercito sovietico dava prova di essere
sulla via di superare la crisi militare delle prime settimane di guerra - di recuperare a qualunque costo
manodopera da utilizzare nell’economia di guerra della Germania.
13 Sul tema cfr. la recente messa a punto collettiva di Ulrich Herbert, Karin Orth, Christoph Dieckmann
(a cura di), Die nationalsozialistische Konzentrationslager. Entwicklung und Struktur, Göttingen, Wallstein, 1998,
tomo I e II. Sul rapporto tra KL ed economia di guerra del Terzo Reich cfr. Kaienburg (a cura di),
Konzentrationslager, cit.
14 Sulla terza articolazione del sistema punitivo nazionalsocialista, il sistema dei “campi di
rieducazione al lavoro” (Arbeitserziehungslager – AEL), che – gestito dalla Gestapo allo scopo di reprimere
qualsiasi manifestazione di dissenso nei luoghi deputati alla produzione – si affiancava alle strutture
ordinarie della giustizia penale ed alla rete dei KL ha recentemente richiamato l’attenzione l’approfondito
studio di Gabriele Lofti, KZ der Gestapo. Arbeitserziehungslager im Dritten Reich, Stuttgart-München, DVA,
2000.
4
Terzo Reich e di conseguenza sottoposti alla selezione che separava coloro che apparivano
ancora utilizzabili come lavoratori schiavi da quanti (troppo giovani, o troppo vecchi, o
donne incinte, od infanti) venivano destinati all’immediata gasazione15.
La questione dell’utilizzo come manodopera forzata dei deportati in KL porta altresì alla
luce conflitti e contraddizioni specifiche della struttura di potere nazionalsocialista; prima
di tutto in quanto caso particolare del più generale problema dell’impiego di braccia
straniere che aveva visto contrapporsi, fin dalla seconda metà degli anni Trenta, istanze
che si ergevano a custodi e vestali della purezza ideologica e della Weltanschauung
nazionalpopulista e razzista, e strutture più propense a dar credito alla razionalità
strumentale. Le prime, identificabili con i vertici dell’apparato SS (in particolare l’Ufficio
centrale per la sicurezza del Reich – Reichssicherheitshauptamt RSHA) e del ministero
dell’Agricoltura (guidato da Walther Darré, capofila del ruralismo völkisch), temevano
infatti l’indebolimento della stirpe qualora attività fisiche tradizionalmente sinonimo di
forza e robustezza (il lavoro dei campi e delle miniere, per esempio) fossero state affidate a
stranieri; le seconde, rappresentate dagli uffici civili e militari che si trovavano a gestire
materialmente il collocamento della manodopera (e perciò a fare i conti con il problema
della scarsità e con le conseguenti pressioni degli imprenditori) mettevano in campo
esigenze di natura eminentemente pratica, legate alla necessità di non far calare i volumi
produttivi.
Tipicamente, le soluzioni di volta in volta trovate tesero da un lato a ribadire l’unanime
ossequio alla dottrina razzista del regime, dall’altro ad accontentare le esigenze immediate
dell’economia presentando l’utilizzo di stranieri come soluzione di breve periodo, presa al
solo fine di superare strozzature contingenti ma di cui si sarebbe con certezza fatto a meno
dopo l’immancabile vittoria finale16. Un secondo terreno di scontro, che vide alcuni degli
attori poc’anzi presi in esame schierarsi, questa volta, a ranghi rovesciati, si aprì nel corso
del 1942, a causa del tentativo da parte della SS di dar vita ad un proprio apparato
economico e produttivo, che poteva ovviamente giovarsi della disponibilità di
manodopera coatta e praticamente gratuita quale quella disponibile nei KL (a metà di
quell’anno circa 95.00017); alle manovre dell’Ordine Nero guidato da Heinrich Himmler si
oppose, con successo, un’alleanza tra industria privata e burocrazia delle istanze
economiche dello Stato, che trovò il proprio mentore in Albert Speer, il potente ministro
delle Armi e Munizioni. Alla SS non restò al momento altra possibilità se non quella di
appaltare alle imprese braccia che fossero loro necessarie, come si sarebbe ampiamente
verificato nell’ultimo biennio del conflitto, anche se non rinunciò mai del tutto alle
speranze di poter giocare un ruolo chiave nella produzione di armamenti. La questione fu
discussa in un incontro, svoltosi il 15 settembre 1942, tra Speer e Pohl, a cui presero parte
anche alcuni tra i loro principali collaboratori. Nel riferirne ad Himmler, il capo del
WVHA affermò che le uniche resistenze all’assunzione da parte della SS di compiti di
rilevante profilo nell’ambito della produzione di armamenti erano venute da Karl Otto
Saur, personaggio tuttavia chiave: proveniente dall’industria privata, Saur era il vice di
15 A quel punto, solo Auschwitz-Birkenau era rimasto attivo; nel grande campo slesiano,
infatti, si assommavano – caso unico - le funzioni di KL ordinario (Auschwitz I), campo di sterminio
immediato (Auschwitz II, Birkenau), campo di lavoro forzato (Auschwitz III, Monowitz). Gli altri 4 VL erano
stati chiusi. Cfr. Adalbert Rückerl (a cura di), NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Starfprozesse: Belzec,
Sobibór, Treblinka, Chelmno, München, DTV, 1977.
16 Sulla questione cfr. Herbert, Fremdarbeiter, cit., passim.
17 Martin Broszat, Nationalsozialistische Konzentrationslager 1933-1945, in Idem et alii, Anatomie
des SS-Staates, München, DTV, 1984, volume II, p. 124.
5
Speer al ministero e ne guidava l’ufficio tecnico. In fin dei conti, sarebbe stato lui ad avere
partita vinta18.
E’ opportuno, a questo punto, fare un passo indietro, e ripercorrere la storia dei KL dalla
loro prima apparizione sul suolo tedesco, esaminandone vicende, sviluppi, dimensioni, e
soffermandosi in particolare sul ruolo che il lavoro coatto ebbe nella varie fasi della loro
esistenza. La base giuridica per la costruzione dei KL fu l’ordinanza per la “protezione del
popolo e dello Stato” emanata il 15 febbraio 1933 dal Presidente della Repubblica Paul von
Hindenburg; il pretesto fu l’incendio del Reichstag. La disposizione introduceva l’istituto
della Schutzhaft, detenzione per motivi di sicurezza (dello Stato), dava cioè facoltà alla
polizia di arrestare e trattenere in apposite installazioni – al di fuori di qualsiasi controllo
della magistratura – chiunque fosse giudicato pericoloso19. In tal modo il diritto alla libertà
personale garantito dalla costituzione della Repubblica di Weimar risultò vanificato.
La storia dei KL può essere divisa in tre fasi: nella prima, che va dal 1933 al 1936, furono
imprigionati soprattutto i militanti delle organizzazioni del movimento operaio, che erano
state poste fuori legge. Arrestati da unità delle SA, della SS o da reparti della polizia
ufficiale, alla fine di luglio 1933 si trovavano in Schutzhaft circa 33.000 quadri del Partito
comunista, di quello socialdemocratico e dei sindacati. Essi vennero concentrati in prigioni
provvisorie e in campi allestiti in gran fretta (cosiddetti wilde KL, campi di concentramento
selvaggi) per iniziativa sia delle polizie e delle amministrazioni dei diversi Länder, sia dei
comandi di reparti SA o SS.
Nella primavera del 1934 questa prima rete concentrazionaria, nata essenzialmente da
spinte locali, passò sotto la giurisdizione di Heinrich Himmler, già capo supremo della SS
e nel frattempo diventato comandante della polizia di alcuni Länder. Il controllo sui Lager
divenne perciò esclusiva competenza dell’apparato SS. Il 4 luglio 1934 Himmler nominò
Theodor Eicke, comandante del KL di Dachau presso Monaco di Baviera, ispettore
generale dei KL20 e comandante dei reparti SS che vi prestavano servizio di guardia (SS-
Wachverbände, dal 1936 denominate SS-Totenkopfverbände – unità “teschio” della SS – per
via delle mostrine che portavano sull’uniforme). Eicke stabilì le norme organizzative
fondamentali a cui ogni KL si doveva attenere, fissò regole disciplinari e punizioni, e
piazzò parecchi suoi sottoposti di Dachau alla guida di analoghe installazioni. Numerosi
wilde KL sorti nel 1933 furono chiusi e si diede vita ad una struttura centralizzata basata su
sei grandi campi (oltre a Dachau, Lichtenburg, Sachsenburg, Esterwegen, Oranienburg, e
la Columbia-Haus, a Berlino).
Nel settembre 1935 i KL, così ristrutturati, ospitavano in tutto 6.000 prigionieri; il 75% di
essi era costituito da militanti politici (buona parte degli oppositori arrestati nelle grandi
retate del 1933 era stata nel frattempo scarcerata), gli altri erano criminali comuni, persone
18 Rainer Fröbe, KZ-Häftlinge als Reserve qualifizierter Arbeitskraft. Eine späte Entdeckung der
deutschen Industrie und ihre Folgen, in Herbert et alii, Die nationalsozialistischen Konzentrationslager, cit., p. 640.
19 Sulla Schutzhaft cfr. Klaus Drobisch, Günther Wieland, System der NS-Konzentrationslager
1933-1939, Berlin, Akademie, 1993. Sulla logica che ne guidò l’utilizzo vedi Ulrich Herbert, Von der
Gegnerbekämpfung zur “rassischen Generalprävention”. “Schutzhaft” und Konzentrationslager in der Konzeption del
Gestapo-Führung 1933-1939, in Herbert, Orth, Dieckmann (a cura di), Die nationalsozialistischen
Konzentrationslager, cit., pp. 60-86.
20 Sulle funzioni e l’evoluzione della struttura diretta da Eicke, cfr. Johannes Tuchel,
Konzentrationslager. Organisationsgeschichte und Funktion der “Inspektion der Konzentrationslager” 1934 – 1938,
Boppard am Rhein, Boldt, 1991; Jörg Balcke, Verantwortungsentlastung durch Organisation. Die “Inspektion der
Konzentrationslager” und der KZ-Terror, Tübingen, diskord, 2001.
6
senza fissa dimora e mendicanti. Queste due ultime categorie erano entrate nel mirino
della repressione nazista dall’autunno 1933. Il lavoro forzato imposto ai deportati era una
costante dei KL, ma all’inizio e per un periodo relativamente lungo ebbe essenzialmente
un carattere punitivo.
La seconda fase, apertasi nel 1936 e conclusasi nel 1942, fu caratterizzata dall’estendersi
della rete concentrazionaria, in stretta connessione prima con la preparazione della guerra
e poi con la sua conduzione. Nello stesso tempo il concetto di “prevenzione politica”, a cui
si era ispirata la deportazione in KL nella prima fase, prese a caricarsi sempre più di
connotazioni razzistico-sociali: nemico del Volk (il popolo-stirpe caro ai nazionalsocialisti)
non è più soltanto colui che operava politicamente contro il regime hitleriano, ma tutti
coloro che si ponevano al di fuori dei valori della Volksgemeinschaft (la comunità di stirpe
ad un tempo oggetto sovraindividuale esistente ed obiettivo finale della prassi nazista). La
politicità, in altri termini, non risiedeva in ciò che si faceva, ma in ciò che si era. A
eccezione di Dachau, i campi strutturati del 1935 vennero sciolti o ridenominati e poi
sostituiti da installazioni di dimensioni maggiori: nel 1936 Sachsenhausen, nel 1937
Buchenwald, nel 1938 Mauthausen (nell’Austria appena annessa) e Flossenburg, nel 1939
Ravensbrück (KL destinato alle donne), nel 1940 Auschwitz (nell’Alta Slesia ex polacca),
nel 1941 Natzweiler-Strutthof (nell’Alsazia ex francese), nel 1942 Stutthof (nei pressi di
Danzica). Nel frattempo, Neuengamme e Groß-Rosen, già sottocampi di Sachsenhausen,
erano stati dichiarati autonomi (rispettivamente nel 1940 e nel 1941). Dopo che, nel giugno
1936, Himmler ebbe preso possesso della carica di capo della polizia tedesca, creata
appositamente per lui, egli dispose che venissero deportati nei KL i responsabili di
numerosi reati comuni, persone senza fissa dimora e prive di lavoro stabile, omosessuali e
prostitute, categorie tutte accomunate sotto la definizione di “asociali”; questa nuova
ondata di deportazioni ebbe un incremento negli anni 1937 e 1938, allorché il sistema
concentrazionario cominciò ad avere anche una funzione economica.
L’attuazione del secondo piano quadriennale (Vierjahresplan), infatti, il cui fine era quello
di preparare il paese alla guerra, ebbe come conseguenza la scarsità di manodopera, in
particolare nel settore edile21. L’apparato SS pensò allora di servirsi dei deportati come
lavoratori coatti, per motivi economici ma anche per rafforzare la propria posizione di
potere all’interno del Terzo Reich; pertanto, vennero fondate aziende che facevano capo
direttamente alla milizia nera, e dal 1937 si cercò di fare in modo che nelle vicinanze dei
KL aperti di volta in volta ci fossero cave di pietra o fornaci in cui impiegare i detenuti.
Obiettivo era la produzione di mattoni, lastre di granito, materiali da costruzione in vista
dei colossali lavori di ristrutturazione, espansione, monumentalizzazione delle città
tedesche che il gruppo dirigente del regime aveva in animo di avviare. La produttività dei
deportati utilizzati come schiavi era estremamente bassa, data la concomitanza di
durissime condizioni di vita e di lavoro ed il carattere assai primitivo delle tecniche
utilizzate, ma ciò non costituiva certo un problema dato il costo minimo della manodopera
e la sua rapida sostituibilità.
All’inizio della guerra, i deportati erano circa 25.000, ma tale cifra era destinata ad
aumentare rapidamente in seguito ai rastrellamenti e alle repressioni nei territori occupati,
tanto che dalla tarda estate del 1940 i deportati tedeschi divennero minoranza. Tutto ciò
21 Sulle politiche economiche attuate dal gruppo dirigente del Terzo Reich nei sei anni che
precedettero l’aggressione alla Polonia rinvio alla lucida ed esaustiva ricostruzione di Hans-Erich Volkmann,
Die NS-Wirtschaft in Vorbereitung des Krieges, in Wilhelm Deist et alii, Ursachen und Voraussetzungen des
Zweiten Weltkrieges, Frankfurt am Main, Fischer, 1989, pp. 211-435
7
determinò un catastrofico sovraffollamento delle strutture concentrazionarie con un
conseguente aumento della mortalità; a Dachau il tasso annuo passò dal 4%del 1938 al
36% del 1942; a Buchenwald dal 10%del 1941 al 19% del 1941; a Sachsenhausen dal 3% del
1938 al 16% del 1941; a Mauthausen, dal 1938 al 1942, addirittura dal 24 al 76%!22
Nell’inverno 1941/1942, l’insieme dei KL ospitava circa 60.000 persone: ai deportati di
nazionalità tedesca si erano ormai aggiunti cittadini dell’Austria e dei Sudeti annessi al
Reich, del cosiddetto Protettorato di Boemia e Moravia, nonché dei paesi europei via via
occupati dalla Wehrmacht. Dopo l’aggressione all’URSS, furono deportati nei KL anche
numerosi prigionieri di guerra sovietici, la maggior parte dei quali fu uccisa in base al
Kommissarbefehl (ordine riguardante i commissari politici) emanato il 6 giugno 1941, due
settimane prima dell’attacco, dal comando supremo della Wehrmacht23. Il significato
economico del lavoro forzato dei deportati in questi mesi crebbe ulteriormente, ma essi
continuarono a venire impiegati con assoluta prevalenza nelle officine, nelle fornaci e nelle
cave messe in piedi dalla SS; il manufatto di maggior rilevanza prodotto in tal modo
furono mattoni, nulla che avesse direttamente attinenza con l’industria di guerra. La
produttività rimase, come in precedenza, assai scarsa. Nonostante ciò, fu proprio allora
che ebbero inizio gli sforzi del gruppo dirigente SS per giocare un ruolo in settori
produttivi chiave per l’economia di guerra.
Nel terzo periodo, che va dal 1942 alla fine della guerra, il sistema concentrazionario
venne totalmente asservito all’economia di guerra del Terzo Reich. Le altissime perdite
subite dalla Wehrmacht sul fronte orientale costrinsero i dirigenti nazionalsocialisti a
sottrarre sempre più manodopera alle attività produttive, in quanto le operazioni militari
richiedevano un maggior numero progressivamente crescente di soldati. Si cercò di far
fronte al problema prelevando quote via via maggiori di lavoratori (uomini e donne) dai
territori occupati, e attingendo alla riserva costituita dai deportati, il cui numero totale
crebbe a ritmi esponenziali (nel gennaio 1945, secondo l’ispettorato dei KL i prigionieri in
forza erano 714.21124).
Le decisioni fondamentali caddero tutte nel primo semestre del 1942, dopo l’arresto del
fronte davanti a Mosca e la prospettiva sempre più incombente del passaggio del conflitto
da guerra-lampo a guerra d’usura; il 10 gennaio 1942 Hitler emanò l’ordinanza Rüstung 42
(Armamento 1942), che segnò il passaggio ad una vera e propria pianificazione nella
produzione bellica; il 1° febbraio Himmler ordinò la costituzione del WVHA come
struttura autonoma, in cui vennero fuse le sezioni “Bilancio e costruzioni” e
“Amministrazione ed economia” prima facenti capo al comando SS; il 3 marzo egli
dispose che l’Ispettorato dei KL fosse incorporato nella neocostituita centrale economica
ed amministrativa SS; diciotto giorni dopo, il 21 marzo, venne creato l’ufficio del
Plenipotenziario generale per l’impiego della manodopera (Generalbevollmächtiger für
den Arbeitseinsatz – la carica fu attribuita al Gauleiter di Turingia Fritz Sauckel); data
dallo stesso periodo lo sviluppo del ministero delle Armi e Munizioni, diretto dopo la
22 Ulrich Herbert, Karin Orth, Christoph Dieckmann, Die nationalsozialistischen
Konzentrationslager. Geschichte, Erinnerung, Forschung, in Herbert, Orth, Dieckmann (a cura di), Die
nationalsozialistischen Konzentrationslager, cit., pp. 29-30.
23 Sul Kommissarbefehl cfr. Hans-Adolf Jacobsen, Kommissarbefehl und Massenexekutionen
sowjetischer Kriegsgefangener, in Broszat et alii, Anatomie, cit., pp. 135-232.
24 Broszat, Nationalsozialistische, cit., p. 132. Secondo l’autore, che si rifà al documento NO-5689
della serie presentata al processo di Norimberga contro i grandi criminali di guerra, 511.537 erano maschi,
202.674 donne.
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morte di Fritz Todt l’8 febbraio 1942 da Albert Speer, come centro della produzione di
guerra tedesca.
Con la costituzione del WVHA il Reichsführer SS intendeva da un lato approfittare della
situazione di carenza di manodopera per rafforzare il ruolo dell’apparato ai suoi ordini,
dall’altro impedire che anche l’utilizzo dei deportati in KL passasse sotto il controllo del
GBA, di cui si sapeva imminente la costituzione. Lo sforzo di Himmler fu coronato da
successo: Sauckel rinunciò ad occuparsi della riserva di braccia costituita dai deportati, ed
Hitler approvò il progetto del comando SS di costruire impianti produttivi di interesse
militare nei Lager, servendosi come manodopera dei deportati. Nonostante ciò, se si
esclude il settore delle costruzioni edili (passato dalla fine di agosto 1943 sotto il controllo
del già ricordato Kammler Sonderstab), lo sviluppo delle imprese direttamente dipendenti
dalla SS non conobbe nei mesi successivi alcun rilevante passo in avanti: nel settembre
1943 appena il 15% di tutti i deportati (34.000, cioè) lavorava in aziende che facevano capo
al WVHA, e la cifra non sarebbe mutata gran che in seguito, mentre la percentuale di
coloro che erano utilizzati in installazioni produttive esterne, dipendenti da società private
o da altri settori della pubblica amministrazione (come la Wehrmacht) aumentò
vertiginosamente.
Preso atto della resistenza dell’industria privata a cedere terreno di fronte alla SS,
Himmler accettò, nel settembre successivo, la proposta di Speer di costruire campi
dipendenti dai KL centrali (Außenlager) là dove si trovassero fabbriche adibite alla
produzione di armamenti25. Di conseguenza, l’apparato SS stipulò veri e propri contratti
con il ministero delle Armi e Munizioni, e con imprese pubbliche e private per l’affitto di
manodopera coatta. Inoltre, il WVHA ordinò la costruzione di numerosi sottocampi nei
pressi dei distretti industriali interessati. Una volta definite con precisione le reciproche
sfere di potere e competenza, com’è noto l’industria privata non perse tempo a servirsi
della nuova opportunità di disporre di manodopera. Ma non erano mancate iniziative in
proposito anche in precedenza; tra i primi ad operare in tal senso fu il colosso chimico IG
Farben.
Assicuratasi negli anni Trenta il monopolio della produzione delle gomma sintetica
(Buna), l’IG Farben decise di procedere, nella seconda metà del 1940, alla costruzione di
due nuovi stabilimenti, uno dei quali da piazzare in Slesia. Dopo una serie di sopraluoghi,
Otto Ambros, alto dirigente del Konzern, indicò nel gennaio 1941 come località più adatta
una piana situata circa cinque chilometri ad oriente del villaggio di Auschwitz. Concepita
come un impianto chimico polivalente di colossali dimensioni, in grado cioè di abbattere
in notevole misura i costi di produzioni, la nuova fabbrica aveva urgente bisogno di
manodopera per essere costruita; fu così che Karl Krauch, anch’egli come Ambros tra i
manager di punta dell’IG Farben ed inoltre responsabile della produzione chimica
nell’ambito dell’autorità del piano quadriennale26, si rivolse nel febbraio ad Hermann
Göring27 perché intervenisse in tal senso su Heinrich Himmler28. Dalle settimane
successive prese perciò corpo l’ipotesi di servirsi come manodopera dei deportati del KL
25 Cfr. Kaienburg, KZ-Haft, cit., p. 50 e ss.
26 Dal 22 agosto 1938 era Generalbevollmächtiger für Sonderfragen der chemischen Erzeugung
im Vierjahresplan.
27 A cui faceva capo il Piano quadriennale stesso.
28 Cfr. la lettera in proposito di Göring ad Himmler, del 18 febbraio 1941; il documento fa parte
delle serie utilizzate a Norimberga, NI-1240. E’ richiamato in Peter Hayes, Die IG Farben und die Zwangsarbeit
von KZ-Häftlingen im Werk Auschwitz, in Kaienburg (a cura di), Konzentrationslager, cit., p. 135. Lo studio di
Hayes (pp. 129-148) appare come il più completo sul tema.
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di Auschwitz. Ciò ebbe conseguenze di gran peso, sia a breve, sia a medio termine,
sull’evoluzione del Lager; non soltanto, infatti, Himmler rispose positivamente alla
richiesta di Göring, ma si recò personalmente ad Auschwitz, dove ordinò al
Lagerkommandant Rudolf Höß di portare il numero dei deportati ad almeno 30.000,
10.000 dei quali da mettere in seguito a disposizione dell’IG Farben. Contestualmente il
Reichsfüher SS dispose lo sdoppiamento del Lager attraverso l’apertura di un secondo
campo in località Birkenau, destinato in origine ad accogliere prigionieri di guerra sovietici
di cui si prevedeva un consistente afflusso in seguito al prossimo avvio dell’ “Operazione
Barbarossa”, ed incaricò il suo braccio destro, il generale della SS Karl Wolff29, di prendere
contatto con la direzione dell’IG Farben. Il 7 aprile 1941 si svolse un incontro al vertice tra
SS e Konzern che definì le modalità della cooperazione. Non ci interessa, in questa sede,
ricostruirne il percorso, che si snodò non senza conflitti anche gravi; è importante
precisare tuttavia da un lato che la decisione del Konzern di installarsi ad Auschwitz fu
presa indipendentemente dalla presenza nelle vicinanze di un KL, dall’altro però che, una
volta avvenuta la scelta, la contigua localizzazione fisica di entrambe le installazioni ne
avrebbe reciprocamente condizionato lo sviluppo.
Analoga la vicenda della Steyr-Daimler-Puch (SDPAG), impresa metalmeccanica austriaca
di rilevante interesse militare entrata a far parte, con l’Anschluß (1938) del Konzern
“Hermann-Göring-Werke” (HGW), controllato dal maresciallo del Reich. Avendo
necessità di manodopera metameccanica per le proprie officine ed edile per i cantieri dove
erano in costruzione nuovi impianti il direttore generale, l’austriaco Georg Meindl, riuscì
fin dalla primavera del 1941, attraverso contatti con i Gauleiter dell’Alto Danubio e della
Stiria, nonché con il Comandante superiore della SS e della Polizia per l’Ostmark, Ernst
Kaltenbrunner30, a farsi mettere a disposizione dal comandante del KL di Mauthausen
circa 300 deportati per le fabbriche di Steyr, distanti circa 30 chilometri dal Lager31.
All’inizio del 1942 Meindl chiese nuovamente l’aiuto di Kaltenbrunner, proponendogli
addirittura di dislocare a Steyr nei pressi delle officine un distaccamento di Mauthausen.
Fu accontentato: nel marzo successivo fu costruito nei pressi del nuovo stabilimento di
munizioni della SDPAG nel sobborgo di Münichholz un campo di baracche destinato ad
ospitare circa 2.000 lavoratori schiavi provenienti da Mauthausen. Si trattò del primo
Lager dislocato appositamente nei pressi di un’industria di interesse militare.
Analogamente, anche nel caso della fabbrica di automobili Volkswagen, in costruzione dal
1938 a Fallersleben, in Bassa Sassonia, per iniziativa della potente Corporazione dei
lavoratori industriali (Deutsche Arbeitsfront -DAF) guidata da Robert Ley, si cominciò
all’inizio del 1941 a parlare della possibilità di utilizzare deportati come manodopera.
L’iniziativa in questo caso fu però di Heinrich Himmler, che nel marzo propose alla
direzione del cantiere di insediare un KL sul luogo dei lavori. L’offerta fu accettata poiché
veniva incontro alla stringente necessità di disporre di manodopera non tanto per la
produzione nelle officine, quanto per il completamento della nuova città destinata ad
accogliere gli operai della Volkswagen. Venuta meno la speranza di poter ottenere
29 Come è noto, dopo la crisi dell’8 settembre 1943 Wolff fu inviato in Italia come
rappresentante personale di Himmler, con il titolo di Höherer (in seguito Höchster) SS-und Polizeiführer.
30 In seguito successore di Reinhard Heydrich a capo dell’Ufficio centrale per la sicurezza del
Reich (Reichssicherheitshauptamt – RSHA).
31 Cfr. Bertrand Perz, Politisches Management im Wirtschaftskonzern. Georg Meindl und die Rolledes Staatskonzerns Steyr-Daimler-Puch bei der Verwiklung des NS-Wirtschaftsziele in Österreich, in Kaienburg (a
cura di), Konzentrationslager, cit., pp. 95-112.
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lavoratori civili italiani, come negli anni precedenti32, si presero in considerazione ebrei
polacchi, deportati dal Generagouvernement33 o dal Warthegau34, e prigionieri dei KL.
Data la particolare natura della Volkswagen, direttamente dipendente da una importante
istituzione dello Stato nazista come la DAF, una stretta collaborazione con la SS appariva
meno problematica; nonostante ciò si sarebbe giunti all’effettivo impiego di deportati solo
parecchi mesi più tardi, nel dicembre 194135.
Dopo il riassetto della primavera 1942, la rete concentrazionaria non cessò di svilupparsi,
inglobando Lager preesistenti che tuttavia fino ad allora dipendevano da altre
amministrazioni (come l’ex campo di detenzione della polizia di Vught-Herzogenbusch,
nei Paesi Bassi, il campo di lavoro per ebrei di Cracovia-Plaszów, il campo di sosta per
detenuti ebrei di Bergen-Belsen, i campi di lavoro per ebrei situati in Estonia). In questo
contesto un ulteriore momento di svolta sopravvenne nell’estate 1943; da un lato
cominciarono a ridursi, ad Oriente, le possibilità di arruolamento coatto di manodopera (i
cosiddetti Ostarbeiter36), a causa del progressivo ritrarsi del fronte dopo la battaglia di
Stalingrado, e il GBA non riuscì più a fornire all’economia di guerra tedesca le quote di
lavoratori stranieri previste, dall’altro i bombardamenti alleati sulla Germania iniziarono a
farsi incessanti, infliggendo alla sua produzione bellica ferite profonde. Con l’avvio dei
giganteschi programmi di trasferimento sotterraneo di intere produzioni industriali i KL
divennero assai importanti come fonte di manodopera da impiegare senza risparmio nei
cantieri; ciò rappresentò da un lato un cruciale cambiamento nelle modalità di impiego nel
lavoro dei deportati (contribuendo a ridurne drasticamente le speranze di sopravvivenza),
dall’altro un potente incentivo per l’apparato SS ad aumentare ad ogni costo ed in
qualunque maniera il numero dei deportati37. Non casualmente in quest’ultima fase la
percentuale di stranieri detenuti in KL superò il 90% del totale. La dislocazione
dell’industria rappresentò inoltre per la SS una fortunata opportunità per riconquistare
almeno in parte quello spazio e quel ruolo cruciali nell’economia di guerra tedesca a cui
l’Ordine Nero da tempo mirava, e per superare la secca battuta d’arresto con cui aveva
dovuto fare i conti nei primi mesi del 1942.
Ulteriori prospettive nella stessa direzione vennero aperte dalla creazione, tra la fine di
febbraio e l’inizio di marzo del 1944, della Commissione centrale per i caccia (Jägerstab).
Composto da alti funzionari dei ministeri dell’Aviazione e delle Armi e Munizioni, da
esponenti dell’industria aeronautica, lo Jägerstab – di cui fu chiamato a far parte, il 4
marzo, anche Hans Kammler in rappresentanza del WVHA – aveva come compito
prioritario di potenziare al massimo la produzione di caccia, individuata come strategica
per la continuazione delle ostilità da parte della Germania; a tale scopo occorreva
ricostruire in gran fretta le officine distrutte o danneggiate dai bombardamenti alleati,
32 Cfr. Brunello Mantelli, “Camerati del lavoro”. I lavoratori italiani emigrati nel Terzo Reich nel
periodo dell’Asse 1938-1943, Firenze, La Nuova Italia, 1992, p. 231 e ss.
33 Con il termine di Generalgouvernement venne definita la porzione di territorio polacco
occupato retta come una colonia interna.
34 Parte del territorio polacco annesso al Reich.
35 Cfr. Manfred Grieger, Unternehmen und KZ-Arbeit. Das Beispiel der Volkswagenwerk GmbH, in
Kaienburg (a cura di), Konzentrationslager, cit., pp. 77-93.
36 Letteralmente: Lavoratori dell’Est, nome attribuito alle centinaia di migliaia di civili (in parte
preponderante donne e ragazze) arruolati a forza nei territori sovietici occupati.
37 Rainer Fröbe, Der Arbeitseinsatz von KZ-Häftlingen und die Perspektive der Industrie, in Herbert
(a cura di), Europa, cit., p. 356.
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decentrare quelle più esposte, ed accelerare ulteriormente lo spostamento delle produzioni
chiave in installazioni sotterranee o comunque sicure38. Ciò comportava, ovviamente, un
impiego sempre più grande di deportati. Nel giugno del 1944 le industrie chiesero infatti
di poter disporre dell’enorme cifra di 250.000 deportati solo per i cantieri dove si
costruivano officine protette39. Per far fronte ad una domanda di simili proporzioni lo
Jägerstab aveva pensato di far ricorso ad almeno 100.000 ebrei ungheresi, una quota dei
quali fu effettivamente trasferita nel Reich, in contrasto con la decisione di due anni prima
tesa a rendere la Germania judenrein (purificata dalla presenza ebraica), 50.000 italiani, ed
altri gruppi minori40.
Accanto e parallelamente allo Jägerstab, in quegli stessi mesi si servirono massicciamente
di manodopera schiava estratta dai KL le strutture (in parte dipendenti dall’esercito, in
parte facenti capo al ministero delle Armi e Munizioni, in parte legate direttamente
all’industria privata) a cui era stata delegata la produzione missilistica41. All’inizio di
aprile 1943 l’ufficio responsabile dell’approvvigionamento di manodopera nell’ambito
della Commissione speciale per la costruzione del razzo A4 (Sonderausschuß A442), che si
serviva degli impianti di Peenemünde, propose di utilizzare deportati nell’officina che si
occupava della produzione di prototipi. La proposta ebbe successo, tanto che pochi giorni
dopo una delegazione ad alto livello del Sonderauschuß si recò per un sopraluogo presso
le officine della Heinkel ad Oranienburg, dove dall’agosto 1942 venivano impiegati nel
lavoro deportati43; al momento della visita ce n’erano 4.000. La delegazione diede un
giudizio positivo, tanto che all’inizio di giugno partirono le prime richieste indirizzate al
WVHA44; inizialmente si volevano 1.400 lavoratori schiavi, in prospettiva la cifra avrebbe
dovuto salire a 2.500. I primi 200 sarebbero effettivamente giunti alla metà del mese. Di lì a
poco si decise di estenderne l’impiego anche negli stabilimenti localizzati a Wiener
Neustadt e Friedrichshafen, dove la produzione era già stata avviata. Alla fine di giugno i
primi 500 deportati trasferiti dal KL di Mauthausen fecero il loro ingresso nelle officine di
Wiener Neustadt; un mese dopo sarebbero già diventati 1.200. Il 22 di giugno anche a
Friedrichshafen venne aperto un sottocampo, dove alloggiare i deportati da utilizzare
presso la fabbrica Zeppelin, dove era avviata la costruzione di A4.
Nel mese di agosto, in seguito alla decisione presa da Hitler l’8 luglio di dare la massima
priorità al programma missilistico45, l’impiego di deportati subì un’accelerazione e venne
esteso anche alla quarta installazione produttiva, nel sobborgo berlinese di Falkensee.
L’ondata di bombardamenti alleati che colpì nella decade centrale di agosto 1943 sia
Wiener Neustadt, sia Friedrichshafen, sia infine Peenemünde, persuase il gruppo dirigente
38 Ivi,p. 357.
39 Bundesarchiv/Militärarchiv, Freiburg im Breisgau, fondo RL3, fascicolo 1, Jägerstab-
Kurzbericht del 12 giugno 1944.
40 Ivi, fascicolo 7, Jägerstab-Besprechung del 26 maggio 1944.
41 Florian Freund, Die Entscheidung zum Einsatz von KZ-Häftlingen in den Raketenrüstung, in
Kaienburg (a cura di), Konzentrationslager, cit., pp. 61-74.
42 A4 era il nome con cui era ufficialmente indicata l’arma più nota come V2.
43 L’industria aeronautica era stata tra le più sollecite ad approfittare dell’offerta di
manodopera schiava dai KL; accanto alla Heinkel vanno citate anche la Junkers e la Messerschmitt; alla fine
del 1943 queste ultime impiegavano ciascuna circa 10.000 deportati. Nel 1944 circa il 35% della manodopera
al lavoro nelle officine della Messerschmitt era composta da deportati, in gran parte provenienti dai KL di
Flossenburg e di Mauthausen-Gusen.
44 Freund, Die Entscheidung, cit., p. 67.
45 Willi A. Boelcke (a cura di), Deutschlands Rüstung im Zweiten Weltkrieg. Hitlers Konferenzen mit
Albert Speer 1942-1945, Frankfurt am Main, Athenäion, 1969, p. 280.
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nazista da un lato che i nemici fossero a conoscenza dei propri piani missilistici (cosa per
altro vera solo in parte), dall’altro della necessità di dislocare in installazioni sotterranee
gli impianti, per sottrarli a prevedibili attacchi futuri. Ciò offrì alla SS la concreta
possibilità di inserirsi nel programma missilistico, da cui fino ad allora era stata esclusa,
ottenendo – questa volta – anche il consenso di Speer46.
Non senza contrasti e conflitti di potere, che sfociarono in una sorta di divisione del lavoro
tra ministero delle Armi e Munizioni, industria privata ed SS, si decise alla fine di agosto
di localizzare il nuovo centro di produzione missilistica nello Harz, a Nordhausen, dove
già esistevano officine sotterranee, bisognose solo di ulteriori ampliamenti. Denominato
Mittelbau e noto in seguito come Dora, l’insediamento fu immediatamente popolato con
deportati provenienti dal vicino KL di Buchenwald; responsabile dei lavori di
ristrutturazione fu nominato Hans Kammler, fino ad allora capo del settore costruzioni
all’interno del WVHA e da questo momento designato commissario straordinario
all’edilizia per la costruzione di missili A447. In quest’ultima funzione egli dipendeva dal
ministero di Speer e non dalla gerarchia SS, venendo in tal modo a rappresentare una sorta
di anello di congiunzione tra le due istituzioni. E’ significativo ricordare la disposizione
che Kammler diede ai suoi sottoposti impegnati nei lavori sotterranei a Dora: “Non
preoccupatevi delle vittime umane; i lavori devono procedere senza sosta, e nel tempo più
breve possibile”48. Il modello di Dora venne esteso di lì a poco ad altri impianti deputati
alla produzione missilistica: i sottocampi, dipendenti da Mauthausen, di Schlier Redl-Zipf
(Alta Austria) e di Ebensee, dove fu decentrata la produzione di Wiener Neustadt.
Nell’ottobre 1944, infine, proprio Dora-Mittelbau, fino ad allora sottocampo di
Buchenwald, fu trasformato in KL autonomo.
Senza assolutamente trascurare ogni possibilità di recuperare manodopera qualificata tra i
deportati, attività in cui profusero notevoli sforzi imprese come la BMW, la Daimler-Benz,
la Osram, l’IG Farben, la Volkswagen49, e mille altre ancora, va messo in rilievo come si
trovassero nella posizione migliore per utilizzare deportati come manodopera schiava
quei settori produttivi in cui la razionalizzazione aveva fatto maggiori progressi, e perciò
si caratterizzavano per una minore necessità di lavoro qualificato, una più alta
meccanizzazione, l’introduzione ovunque possibile di tecniche di montaggio seriale, una
maggior presenza di personale addetto alla sorveglianza. Quanto meno nel contesto
specifico che si è cercato di analizzare, l’introduzione dell’organizzazione scientifica del
lavoro aumentò la compatibilità tra produzione ad alta tecnologica ed utilizzo di
lavoratori schiavi50.
Una questione cruciale, nel dibattito storiografico, è rappresentata dalla questione della
produttività; più volte è stato sottolineato l’interesse economico dell’apparato produttivo
del Terzo Reich ad utilizzare manodopera straniera in condizioni più o meno forti di
costrizione51, eppure l’analisi empirica ci mostra come né i lavoratori civili reclutati nei
paesi alleati od occupati, né i prigionieri di guerra, né tanto meno i deportati in KL
46 Ivi, p. 291.
47 Come sappiamo, negli stessi giorni Kammler assunse anche la guida del Sonderstab che
avrebbe portato il suo nome (cfr. nota 5).
48 Dal verbale del processo celebrato nel 1947 davanti al Tribunale militare americano, cit. in
Freund, Die Entscheidung, cit., p. 72.
49 Fröbe, KZ-Häftlinge, cit., pp. 637-681.
50 Idem, Der Arbeitseinsatz, cit., pp. 361-365.
51 Era uno dei Leitmotive della storiografia della DDR.
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abbiano mai raggiunto la produttività degli operai tedeschi, rimanendone sempre al di
sotto di quote significative. Quanto più la condizione della manodopera impiegata si
scostava – in peggio – dalla condizione del lavoratore tedesco, tanto più la sua produttività
era bassa. Quella dei deportati era perciò, complessivamente parlando, al livello minimo
della scala, oscillando dal 5 al 50% rispetto a quella dei lavoratori tedeschi52. La decisione
di farvi ricorso, ed in modo sempre più esteso man mano che passavano i mesi, va perciò
analizzata nel contesto specifico, come unica via per reggere la continuazione dello sforzo
produttivo in condizioni sempre più critiche, ed in presenza di una scarsità strutturale di
braccia. In questo senso – e solo in questo senso! – essa appare conseguenza
dell’applicazione di una razionalità utilitaristica e strumentale che assunse però come
vincoli indiscussi (ed indiscutibili) la continuazione della guerra, la logica di stratificazione
razziale tipica della Weltanschauug nazionalsocialista, la spinta all’autoconservazione
delle strutture burocratiche portanti del regime (SS, Wehrmacht, ministeri, autorità create
ad hoc come il GBA, ecc.).
Altrettanta discussione ha suscitato il complesso rapporto tra Weltanschauung razzista
tipica del nazionalsocialismo ed espressa al massimo grado dall’apparato SS, e razionalità
orientata al profitto attribuita al sistema delle imprese coinvolte nell’economia di guerra
del Terzo Reich; come abbiamo visto, conflitti tra i due ambiti non mancarono ed ebbero
esiti alterni, mai però essi presero le mosse da questioni di principio circa l’utilizzabilità o
meno di deportati nelle officine. Semmai ebbero come oggetto spazi di azione e di gestione
del potere. Ovviamente la logica della SS era di natura sterministica; suo obiettivo restava
l’annientamento dei Gemeinschaftsfremden, dei nemici della Volksgemeinschaft cioè.
Nell’immediato ciò non mancò di suscitare contrasti con le imprese, interessate alla
produttività e perciò coscienti della necessità di mantenere i deportati almeno un filo al di
sopra dell’inedia, ma sul medio periodo anch’esse si dimostrarono tutt’altro che aliene dal
considerare la manodopera schiava un mero fattore di produzione ad alto logoramento,
facilmente sostituibile e perciò oggettivamente sacrificabile. Non tanto, si badi bene, in
nome dell’ideologia razziale (che pure non pochi dirigenti condividevano), quanto in
nome di “razionali” esigenze produttive53. Esse trovarono un’ulteriore espressione negli
ultimi mesi del conflitto: di fronte all’imminente crollo dei fronti, le imprese si servirono in
gran numero di deportati per trasferire impianti e macchinari in vista della futura ripresa
postbellica. Accanto alle ben più note “marce della morte”, il salvataggio e lo spostamento
delle macchine fu anch’esso causa di sofferenze e morti innumerevoli,54, non tematizzate
peraltro, se non marginalmente, nei procedimenti giudiziari simbolicamente indicati con
la definizione di “processi di Norimberga”. Ma ciò avrebbe voluto dire porre sotto accusa
non questo o quell’imprenditore particolarmente compromesso col regime, ma tutto
quanto il sistema delle imprese ed il suo ceto dirigente...
Complessivamente, dal 1933 al 1945 furono deportati nel complesso sistema
concentrazionario nazionalsocialista tra 2.500.000 e 3.500.000 di esseri umani55; circa due
52 Herbert, Arbeit, cit., p. 411; l’A. si rifà a dati di Enno Georg, Die wirtschaftlichen
Unternehmungen der SS, Stuttgart, DVA,1963, p. 117.
53 Cfr. l’esaustiva analisi di Michael Zimmermann, Arbeit in den Konzentrationslagern.
Kommentierende Bemerungen, in Herbert, Orth, Dieckmann (a cura di), Die nationalsozialistischen, cit., pp. 730
751.
54 Fröbe, Der Arbeitseinsatz, cit., pp. 372-373.
55 Dati in Herbert, Orth, Dieckmann, Die nationalsozialistischen, cit., p. 31. Le cifre tengono conto
solo in parte di coloro che furono internati e poi uccisi nei campi di annientamento immediato (VL), dove
milioni vi persero la vita; come già si è accennato, a seconda dei campi e dei periodi vi
furono significative differenze nelle condizioni di vita, e di conseguenza nei tassi di
mortalità: nella prima fase la detenzione era relativamente breve (in media meno di un
anno), e le condizioni di vita molto dure ma relativamente sopportabili; i decessi erano
dovuti essenzialmente ai maltrattamenti ed alle fucilazioni arbitrarie da parte del
personale di guardia. Il tasso di mortalità si alzò bruscamente nel secondo periodo, in
particolare a guerra iniziata, a causa del sovraffollamento, della riduzione delle razioni
alimentari, dell’impiego dei deportati in lavori manuali pesantissimi. Se a Dachau od a
Sachsenhausen, almeno fino all’inizio della guerra, le possibilità di sopravvivere erano
relativamente alte, a Mauthausen esse furono da subito assai limitate.
Nel corso del 1943, vi fu la tendenza a un generale livellamento dei vari KL; l’impiego
massiccio di deportati nell’industria di guerra nei mesi successivi portò tuttavia ad una
nuova differenziazione. Se per coloro che erano adibiti a mansioni relativamente
complesse nelle officine vi furono dei miglioramenti, dovuti non di rado a razioni
supplementari di cibo fornite dalle aziende – che altrimenti non avrebbero potuto contare
su un livello di produttività accettabile – lo stesso non si può dire dei deportati utilizzati
nell’edilizia o nel lavoro di sterro. Il precipitare della crisi del Terzo Reich nelle ultime
settimane di guerra fece nuovamente alzare, a livelli mai visti prima, il tasso di mortalità.
E’ appena il caso di ricordare che, delle diverse fasi di sviluppo del sistema
concentrazionario nazista, solo l’ultima, la più caotica e complessa, caratterizzata dalla
pratica del lavoro schiavo e – nei fatti – dell’annientamento mediante il lavoro, fu
conosciuta dai deportati italiani, piombati nell’inferno del Lager solo dopo l’8 settembre
1943. Anche questo aspetto va considerato tra le cause dell’altissimo tasso di perdite che la
deportazione italiana ebbe a patire: non più del 10% infatti sopravvisse al Lager.
perirono quasi tre milioni di persone. La sovrapposizione è dovuta al fatto che, come già ricordato, i grandi
Lager di Auschwitz e Majdanek svolsero la doppia funzione di KL e VL.

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