La sinistra che abbiamo conosciuto nel dopoguerra (1945-89) non esiste più. Dal Sessantotto d’altronde essa solo sopravviveva, spesso in forme reazionarie, talora rabbiosamente repressive, sempre illusorie. Ora, con il 1989, anche la mistificazione è finita e lo zombie si dissolve nel calore dell’alba. In questi anni la trasformazione del paesaggio e della struttura sociale, sul ritmo delle lotte che la sinistra nemmeno sospettava, è impetuosamente proceduta, fino ad imporre una radicale discontinuità della lotta di classe.
RIFF- RAFF nasce dentro questa discontinuità e dunque oltre la resistenza all’imbecillità, alla corruzione e al tradimento della sinistra, oltre la sacrosanta resistenza del movimento autonomo negli anni Ottanta.
Le persone che si sono associate per produrre RIFF-EIAFF vogliono recuperare quella capacità di anticipazione, nell’analisi e nella pratica, che sola può dare al movimento di classe antagonista la qualifica di rivoluzionario. RIFF-RAFF è un luogo aperto: al suo interno la rivista chiama posizioni diverse, nella comunità del progetto, a confrontarsi, a dibattere, a presentare esperienze ed utopie.
RIFF-RAFF è un polo in rete: cioè un punto (fra i molti altri, e debbono essere sempre di più…) da cui promana progetto, un punto che vuole confrontarsi con altri punti progettuali un segmento di cooperazione sociale che vuole farsi “impresa” politica, e tutto questo entro le nuove condizioni che lo sconvolgimento dei rapporti politici mondiali e la radicale trasformazione della composizione di classe hanno determinato.
Tre temi si presentano oggi in prima linea nella discussione di programma dell’autonomia comunista:
A. Una scelta radicale a favore dell’Europa, della sua unità, per il federalismo, per l’autonomia e l’indipendenza dei lavoratori europei contro il “nuovo ordine mondiale” – la lotta dunque sul terreno europeo, per l’unità di azione, per la libera circolazione e il meticciaggio dei lavoratori del braccio e della mente, contro il nazionalismo, contro il razzismo, contro il localismo egoista dei bottegai, contro tutte le rinnovate barbarie del capitale, contro le nuove canagliate dei suoi sergenti e contro le nuovissime infamie che stanno uscendo di sotto la coperta dello statalismo.
B. Un progetto di lotta per il reddito uguale a tutti i lavoratori, occupati e non occupati, uomini e donne, giovani e vecchi, malati e sani – un reddito adeguato al fatto di essere cittadini eguali. Una lotta, quindi, per il massimo di libertà di organizzazione nella vita, nel lavoro, nell’unità di lavoro e vita, per il diritto al sapere e alla formazione continua, – contro le gerarchie, le esclusioni, il comando autoritario. Un uso offensivo della mobilità e della flessibilità contro il dominio capitalistico, soprattutto quand’esso sia disciplinato alla maniera “socialista” welfarista, nazional-populista.
C. L’esercizio dell’autonomia sociale …….… per la riappropriazione degli spazi pubblici……. Una lotta che ponga le basi di una vera imprenditorialità sociale, auto valorizzazione verso il comunismo, governo dal basso dei lavoratori.
La prima è che la situazione nella quale viviamo impone il rilancio della progettazione comunista come risposta alla riapertura della possibilità rivoluzionaria. Ieri, prefigurare il futuro era demenziale o mistificatorio: ogni progetto proposto alla lotta di massa per la radicale trasformazione dell’esistente si sarebbe infranta fra Scilla e Cariddi, fra Washington e Mosca, parimenti predisposte alla repressione di ogni esperienza di rottura. Costretto in questo blocco il movimento rivoluzionario poteva solo destabilizzare e destrutturare il nemico. Con realismo lo ha fatto. Nei quasi quarant’anni che ci dividono dal 1956 ungherese e dal XX Congresso del PCUS, nell’Europa Orientale, come in quella Occidentale, la classe operaia e il movimento rivoluzionario hanno di volta in volta scelto il rifiuto o l’insurrezione, il sabotaggio o l’esodo. E in Italia? Genova e Reggio Emilia nel 1960, Piazza Statuto nel 1962, il 67-69 nelle fabbriche e nelle Università di tutt’Italia, e poi l’immensa quantità di scontro politico e di rifiuto del comando negli anni Settanta: in questi anni solo l’insurrezione ha fatto politica e mantenuto la libertà. Di fronte a noi, insediati su un trono inattaccabile, difeso dal “vecchio ordine mondiale”, gli stragisti, i ladri, i corruttori, gli utili idioti, gli ideologi “forti’ o “deboli”, i magistrati e i poliziotti, i giornalisti e i servi della Prima Repubblica fondata sul (lo sfruttamento del) lavoro – quell’infame repubblica che ora, indecorosa, finalmente si estingue. Tutto ciò è finito. Le condizioni storiche che erano un limite, si presentano oggi come possibilità: il desiderio può, per qualche tempo finche nuovi baluardi non siano ricostruiti, presentarsi sulla scena per dirsi nella sua libertà. Finalmente oggi, un cammino costruttivo, un progetto positivo, un’azione affermativa sono possibili, anche se difficili. I temi del programma dell’autonomia comunista debbono tramutarsi subito in azioni affermative.
La seconda ragione per la quale riteniamo fondamentale riaprire la discussione sul programma risiede nel fatto che un nuovo soggetto si presenta tendenzialmente come centro della composizione sociale e politica del proletariato. Marx l’aveva individuato con scientifica lungimiranza: è l’intellettualità-massa. Che il valore della produzione si formi sul limite sul quale l’immaterialità del lavoro vivo diviene cooperazione sociale, comunicazione, linguaggio, non è ormai più che una banalità. Che nelle fabbriche il ruolo dell’operaio ristrutturato in quanto gestore degli automatismi complessi, sia centrale, e che la sua attività sia creativa, che la sua anima sia messa al lavoro, -anche questo lo sappiamo bene. Che infine il taylorismo (come organizzazione del lavoro), il fordismo (come gestione del salario) ed il keynesismo (come forma adeguata dell’organizzazione capitalistica della regolazione macroeconomica), siano definitivamente superati, anche questo è sotto gli occhi di tutti. In questo scombussolamento, le teorie dell’innovazione capitalistica evitano tuttavia di ricordare un paio di cose. La prima è che questo superamento è stato perseguito, voluto, strappata, dalla lotta contro il lavoro dell’operaio massa. In secondo luogo, che il soggetto operaio, l’attore sociale, l’intellettuale-massa che questo processo determina, sono soggettività potenti. Sia produttivamente che politicamente. E l’una cosa è dentro l’altra. Non si produce che con l’anima. Non si fa politica che attraverso il lavoro. Una volta il capitale arrivava prima, precostituiva le condizioni della produzione, si esponeva, rischiava, razionalizzava. Oggi di tutto questo l’operaio intellettuale e cooperativo del post-fordismo non ha più bisogno. La capacità imprenditoriale precede la funzione capitalista. Il capitalista è un parassita, é un rentier: guadagna senza lavorare, guadagna sfruttando quello che già esiste e che non ha più bisogno di padrone, né di mediatore, né di razionalizzatore dell’attività collettiva.
La nuova soggettività è l’altissima produttività di questa cooperazione autonoma e indipendente, direttamente impiantata nella struttura antropologica del nuovo proletariato.
Anche in questa prospettiva di lungo periodo, quello della seconda rivoluzione industriale, quello caratterizzato dalla categoria marxiana della “grande industria” e dalla sua evoluzione, è terminato. Dunque, il Sessantotto non porta solo una nuova organizzazione del lavoro e una nuova conseguente organizzazione della società e dello Stato: esso porta anche una nuova soggettività -una nuova soggettività che nei vent’anni fra il 68 e l’89 ha fatto le sue prove e oggi si propone come centro di una riarticolazione politica completa della lotta sul potere e sulla distribuzione della ricchezza sociale.
La terza ragione per la quale oggi ci sembra possibile presentare una piattaforma di discussione aperta e costruttiva è del tutto politica: consiste cioè nell’ipotesi che dal convergere della riapertura della possibilità di trasformazione e dell’emergenza del nuovo soggetto proletario siano costruite condizioni per una nuova progettualità. Oggi, nel movimento reale, in Italia come in tutt’Europa, noi tuttavia ci troviamo davanti a situazioni ricche di un’altissima complessità e di una grande frammentazione. Entro queste difficoltà noi non crediamo che l’organizzazione possa nascere, come Minerva dalla testa di Giove, – bell’e fatta! Se essa potrà prodursi, nascerà da un processo, largo e continuo, che giochi su tutte le possibilità di azione affermativa che l’attuale situazione permette e che si arricchisca di tutti i punti della cooperazione militante sul terreno sociale.
Il primo, fondamentale passaggio consiste dunque nell’attivare una rete costitutiva di nuova soggettività politica.
RIFF-RAFF produce soggettività, proposte e ipotesi, militanza e utopie, alla stessa stregua di tutti, all’interno della rete. Sarà possibile costruire un polo interattivo? Sarà possibile far coincidere un nuovo reticolo di relazioni politiche e comunicative con l’urgenza dell’occasione trasformativa, con l’emergenza del nuovo soggetto produttivo, con la cooperazione attiva di tutti i gruppi cooperanti in rete? Non lo sappiamo, ma è certo che la scommessa è alta. Perché, come sempre, a noi non interessano esperienze artigianali o piccole sperimentazioni: sono le leggi della produzione, della ripartizione della ricchezza, della regolazione sociale che ci proponiamo di ricostruire fuori dallo sfruttamento. O, meglio, sono nuovi linguaggi e nuove passioni etiche che vogliamo costruire ex novo, oggi, -macchine cognitive e gioia di vivere- imprese che solo della masse liberate possono permettersi di immaginare e di condurre.
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