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lunedì, luglio 14, 2014

Libero Tancredi L'anarchismo critico da L'anarchismo contro l'anarchia



Librero Tancredi L’anarchismo contro l’anarchia

L’anarchismo critico




CAPITOLO V

L’ Anarchismo critico.
Nell’ esame sintetico dell’ idealismo anarchico, il let­tore ha trovato qua e là, a guisa di conclusione e di confronto, parecchie frasi di Bakunin. Ma è tempo ormai -di confessare che se gli anarchici si fossero tenuti a stu­diare accuratamente il loro primo maestro, essi vi avreb­bero certo trovato un antidoto a molte ubbie. Invece, anche fra i militanti, Bakunin fu considerato quasi sem­pre come « un grande agitatore » e nulla più. L’ opera sua intellettuale e lo stesso suo valore intellettuale rima­sero ignorati dai molti, sia per l’influenza esercitata più (In vicino da altri uomini ancora viventi, sia perché le suo opere complete non avevano ancor trovato un editore.
Pure, sarebbe bastata una lettura comprensiva d’un suo libriccino edito da qualche vent’anni e più, per con­vincersi che Bakunin, se non aveva la cultura di Kropotkin, gli era però superiore in senso realistico ed in genialità d’intuizione. Ma a loro volta, anarchici ed antianarchici, si trovavano in una situazione di spirito che li rendeva indisposti a comprenderlo. Perché Bakunin era un dialettico: era uno dei prodotti più genuini, come Stirner, della sinistra hegeliana; ed aveva vivissimo il sentimento dei contrasti, della varietà, della continuità negli avvenimenti storici. Uno studio accurato sul pensiero bakuniniano potrà dimostrare, un giorno o l’altro, quanto profonda e poco



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utopistica fosse la sua intuizione storica. Però, seguaci ed avversari non erano alla sua altezza. Così Zoccoli, difen­sore idealistico del sistema borghese, lo condannava senza nemmeno cercare di capirlo ; gli anarchici, difensori altret­tanto idealisti d’un sistema proprio, lo rimpicciolirono, prendendogli solo quel poco che poteva loro convenire.
Per la tesi da svolgere in questo capitolo, e per dimo­strare la sua radice profondamente anarchica, non vi ò bisogno di scomodare — per ora — la collezione delle opere di Bakunin. Basta limitarsi all’edizione Nerbini (1903) di quel Dio e Stato che così vanamente è passato per le mani di quasi tutti i sovversivi. In esso vi è la base fon­damentale di quella rivolta del reale contro l’ideale, del- l’individuo contro il pensiero astratto, che è l’essenza medesima dell’ anarchismo. Bakunin, infatti, critica Dio : ma sarebbe un grossolano errore il credere ch’egli demo­lisse il fantasma religioso coi sistemi di Feuerbach e di Buehner, sostituendo cioè all’ idealismo religioso un idea­lismo umano o scientificista. Per Bakunin, come per Stirner, il teismo in generale e il cristianesimo in ispecie, non sono già dei sistemi da combattere pel loro contenuto in­trinseco, ma il tipo più perfetto d’idealismo, da condan­nare come tale, anziché, come vorrebbero i social-anar­chici, sostituirlo con un altro migliore. Si cercherebbe invano in quei due autori un germe di nostalgia cristiana, così comune fra i sovversivi odierni, che inneggiano a Cristo e accusano i preti di tradirlo, o venerano quale anarchico Tolstoi, perché ha posato a rammollito filosofico, dopo aver dimenticato la letteratura. Del resto le filippiche rivolte da Bakunin a Dio non perderebbero nulla del loro senso e del loro valore, se a Dio si sostituisse Rousseau,
o   la Scienza, o lo Stato, o magari l’Anarchia: la dege­nerazione idealistica del pensiero anarchico, si misura ap­punto dalla possibilità di opporre ad essa la critica bakuniana.
A pagina 37, infatti, in un periodo di mirabile luci­dità, vi è esposta non solo la critica negativa della divi­nità ; ma la spiegazione realistica del sorgere di essa, mediante 1’ opposizione d’ un ideale ottimistico ad un pes­simismo presente, come abbiamo visto per tutti i sistemi



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idealistici. « La ragione pratica principale della potenza esercitata dalle credenze religiose sulle masse... è la pro­testa istintiva e passionata dell’ essere umano contro le angustie, le bestialità, i dolori, le vergogne d’ una esi­stenza miserabile ». Dunque l’ideale è il prodotto, sia pure a rovescio, dei fatti. Ma forse che l’ideale può rea­gire sulla realtà nella speranza di piegarla a se stesso? No, dice Bakunin, non si tratta di realizzare l’ideale: si tratta di rimuovere le condizioni di fatto che lo gene­rano. « Contro questa malattia non c’ è che un solo rime­dio : la Rivoluzione sociale ». L’efficacia completa del rimedio può essere discutibile : ma rimane lo spirito gene­ratore del concetto.
I   seguaci degl’ idealismi positivisti che positivizzano il cristianesimo, eternandone il contenuto filosofico dopo aver­
lo   sbarazzato dell’ inopportuna divinità, crederanno forse di respirare sotto pretesto che Bakunin condanna l’idea­lismo religioso. Si disilludano : 1’ agitatore russo va più in là : egli mette in un cestino unico tutti gl’ idealismi. « Gl’idealisti credono che per godere d’una più larga autorità fra gli uomini, le idee debbano andare vestite d’ una sanzione divina. Non per un miracolo, ma per la grandezza o santità stessa delle idee e delle cose : è divino ciò che è grande, bello, nobile, giusto » (pag. 50). Giova ricordare che questa critica è diretta a Mazzini, pel quale Dio si riduceva quasi ad una parola: ma è ovvio, ch’essa si rivolge pure a coloro che, invece di chiamar divina la propria idea, la chiamano sublime, la scrivono coll’ ini­ziale maiuscola, e si estasiano a pensarvi come dinanzi ad una madonna (*). Essi cercheranno forse una scusa
(') Sopra un giornaletto di Pisa, nei mesi d’ agosto e set­tembre, vi fu qualcuno che paragonò ]’ idea anarchica alla madonna di Dante, citando anche qualche terzina della Di­vina Commedia,i un altro la chiamò « la fiammeggiante idea », ecc. Esempi simili si trovano in quasi tutti i giornali ed opuscoli libertari di oggi. Quanto a Mazzini, si noti ancora che Bakunin non discute affatto la sua teoria economica, in Dio e Stato, ma solo il modo idealistico di pensa'e. Orbene, astraendo dai mezzi economici per realizzare 1’ utopia, lo spi­rito mazziniano di vago simbolismo è più che mai vivo fra



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nel sentimento, ma Bakunin 6 inesorabile. Dopo aver chiamato tutto ciò « filosofìa di sentimento, non di pen­siero reale : una specie di pietismo metafisico » (pag. 51), egli prosegue : « Ciò parrebbe innocente, ma non lo è affatto : e la dottrina piatta, stretta, arida, che si nasconde sotto il vago e l’indeterminato di queste forme poetiche, conduce agli stessi risultati disastrosi a cui conducono tutte le religioni positive, e cioè alla negazione più com­pleta della libertà e della dignità umana ». Nè vi è modo di equivocare : a pag. 57, esaltando la vita, dice che dessa « sarà mille volte più potente di tutte le vostre autorità divine, teologiche, metafisiche, politiche e giuridiche ». Più in là, a pag. 63, si afferma come evidente « che l’idealismo teorico o divino ha per condizione essenziale il sacrificio della logica e della ragione umana, la rinuncia alla scienza ». Infine, a pag. 69, si dichiara tondo e netto « che di tutti i dispotismi, quello dei dottrinari o degli ispirati religiosi, è il peggiore ». Insomma, Bakunin, com­battendo l’idealismo come metodo, fa un fascio di tutti i sistemi idealistici. Peccato che il sistema anarchico non fosse nato ancora : sarebbe andato a finire coi precedenti.
Non si sarebbero salvati nemmeno Jean Grave e Luigi Fabbri ; T uno colla sua specie di Contratto sociale ad uso degli anarchici intitolato: La Société au lendemnin de la Bévolution; l’altro colla sua teoria della derivazione filosofica dell’ anarchismo dall’ enciclopedia francese. Que­sta non fece altro che proclamare il dominio della Ragione contro Dio, perché la Ragione — cioè la scienza — era monopolio della classe borghese ; mentre 1’ anarchismo di Bakunin proclama la rivolta della vita contro Dio e la Ragione astratta, tanto più che l’uno vai l’altra. Lo vedremo fra poco. Ricordiamo ora che i due pensatori tipici del razionalismo enciclopedistico furono Voltaire e Rousseau — e che il loro esecutore materiale fu Robes-
gli anarchici d’Italia. Se i socialisti passati al campo liber­tario vi portarono le tendenze parlamentari dell’organizzazione federalista, gli ex-repubblicani vi introdussero tutta la coreo­grafia massonica antidiluviana, vuotandola però di ogni signi­ficato storico che in passato poteva serbare.



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piorre. Bakuuin 11011 risparmia al primo i sarcasmi ; quanto agli altri due li serve a dovere. Li chiama entrambi « uomini fatali »: Rousseau è « lo spìrito più falso »,e Robespierre « la volontà più dottrinariamente dispotica dell’ ultimo secolo » (pag. 94). « Il primo 6 il vero tipo dell’ angustia e della meschinità ombrosa, dell’entusiasmo a freddo e dell’ ipocrisia ad un tempo sentimentale e impla­cabile, della menzogna dell’idealismo moderno. Si può considerarlo come il vero creatore della reazione. Mentre in apparenza ù lo scrittore più democratico del xvm se­colo, in realtà cova dentro di lui il despotismo implacàbile dell’ uomo di Stato. Egli fu il profeta dello Stato dottri­nario, come Robespierre, suo degno e fedele discepolo, ne fu il grande sacerdote ». Per ben comprendere che Bakuuin combatte qui, non un determinato sistema di. idealismo, ma tutti gl* idealismi, bisogna ricordare che Robespierre fu più mite nell’ imposizione del suo « essere supremo », che in tutte le altre questioni. La politica religiosa fu per lui la meno cruenta: tant’è vero eh’egli medesimo presentò alla Convenzione il progetto per la libertà dei culti (2).
La prova decisiva dell’anti-idealismo di Bakunin è poi fornita da una critica originalissima (almeno dati i tempi e la sua discepolanza ad Augusto Comte) (s) contro la

(*) Solo verso la fine della dittatura giacobina egli fece giustiziare qualcuno — come Cliaumette — per irreligione, Ma sembra si trattasse, più che altro, d’un pretesto per sbarazzarsi d’avversari importuni e pericolosi per lui.
(s) Io non perdonerò mai a Ettore Zoccoli, che pure ba verso gli anarchici 1’ indiscutibile benemerenza di èssersene occupato seriamente, pel modo col quale ba trattato Baku­nin. Non ch’io sia fanatico per 1’ uomo : ma non si combatte un pensiero, ricordando i debiti del pensatore. Rimarrà eter­namente meraviglioso il fatto che Bakuuin, pur non dotato di grande cultura, abbia trovato nella sua intuizione geniale il mezzo di usare dell’hegelismo con ben maggior sicurezza che Proudhon, senza cadere in equivoci grotteschi, quale lo



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scienza, .malgrado- egli se ne servisse in certi punti contro Dio, « L’ immenso vantaggio della scienza positiva sulla teologia...; consiste, in questo : che al posto delle astra­zioni menzognere e funeste, essa pone delle astrazioni vere ». Frase un po’ambigua, ma che si spiega pensando allo sforzo enorme che doveva compiere una mente per liberarsi dalle strettoie del positivismo mentr’ esso godeva d’un, credito universale. Però il realismo bakuniniauo prende subito il sopravvento : « C’è un lato che la fa ras­somigliare a tutte le dottrine anteriori : non avendo e non potendo avere per oggetto che delle astrazioni, (la scienza) è forzata dalla sua stessa natura ad ignorare gli uomini reali e viventi, fuori dei quali le astrazioni più vere non hanno ragione di essere » (pag. 76). Inutile dire che Bakunin, forte di questo concetto, respinge qualsiasi idea di uu governo composto di scienziati. Ma il più impor­tante è che la sua demolizione si estende pure all’ idea generale della scienza, o meglio, alla pretesa che la scienza possa comprendere la vita individuale e collettiva, o che questa debba seguire la prima.
E la demolizione è disordinatamente geniale e spie­tata, come tutte le demolizioni bakuniniane. A pag. 43 egli proclama l’obbedienza inevitabile dell’ uomo alle leggi naturali, ma le riduce subito a quelle cose che si impa­rano per esperienza diretta, e perciò meno scientifiche nel senso astratto delia parola : che il fuoco produce le scottature, che due e due fanno quattro, ecc. E lo con­ferma poi, a pag. 44 : « La libertà dell’ uomo consiste unicamente in questo : eh’ egli obbedisca alle leggi natu-

seambio dell’ antidoto per F antitesi, come dice Marx nella Mìsere de la Philosophie. Ed è notevole che 1’ agitatore russo, mentre aveva nell’ hegelismo un freno contro le esagerazioni positivistiche che allora trionfavano, si sia armato abbastanza di positivismo per sfuggire ai tranelli dell’hegelismo, ili cui rimaneva lo stesso Marx. Bakunin accettava dell’ uno e del- 1’ altro solo la parte critica : quella che rimane ancora. Forse, Ettore Zoccoli era troppo professore d’università per po­terlo capire.



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rali, perché le ha riconosciute egli stesso». Il che signi­fica obbedirle nella misura che si conoscono : è già un bel grado di relatività. Certo, sarebbe meglio conoscerle tutte, ma « sintanto che le masse non siano arrivate a questo grado d’istruzione... varrebbe meglio per esse fare a meno di scienza, piuttosto che lasciarsi governare dagli scienziati » (pag. 79). Bakunin riafferma così il pensiero già espresso a pàg. 48: « Riconosciamo l’autorità asso­luta della scienza, ma respingiamo l’infallibilità e 1’ uni­versalità del sapiente ».
Quest’ ultima frase è un po’ oscura, poiché la scienza è 1’ opera degli scienziati, e se questi — e se nemmeno Kropotkin — possono essere infallibili e universali, ne deriva che la loro opera è una cosa relativa. Ma la verità è che Bakunin non crede neppure all’assoluto della scienza. Questo metodo di opporre un’ affermazione per demolirne un’ altra, e poi rimpicciolire anche la prima a furia di negazioni relativistiche, ò continuo in Bakunin, tratti egli, come in questo caso, di scienza e di cristianesimo, o di re­pubblica, o di socialismo. Combattendo un assoluto, ha sempre paura di favorirne, magari involontariamente, l’op­posto. Egli incomincia a           dire che « la scienza non
può cogliere nei         fatti reali  che   il loro senso            generale,
i loro rapporti, le loro leggi... ma non già il loro lato individuale e per                            così dire    palpitante di realtà e       di vita »
(pag. 70). « La             scienza è   così poco atta ad               afferrare
l’individualità di un uomo come quella d’un coniglio. Non già eh’ essa ignori il principio d’individualità : lo comprende come principio, non come fatto ». « Essa si occupa degli individui in generale, ma non di Pietro o di Giacomo, non del tale o                                     tal              altro che non                    esistono
per essa. I suoi individui sono ancora delle astrazioni » (pag. 73-74). « Ella sa... che il vero scopo della storia è la libertà reale, la prosperità di ciascun individuo vivente nella Società ». Ma questo ciascun individuo deve sapersi creare e valutare da sè la libertà e la prosperità sua : non può attenderla dall’ applicazione d’una idea generale
    fosse bene il socialismo anarchico. E dall’ individuo che si parte per giungere alla società, non dal sistema prestabilito per giungere all’ individuo, « perché, a meno



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di ricadere nelle finzioni liberticide del bene pubblico... è pur forza riconoscere che la libertà e la prosperità col­lettiva non esistono che a condizione di rappresentare la somma delle libertà e delle prosperità individuali » (pag. 73).
L’ autorità assoluta della scienza comincia dunque a rimpicciolirsi, e si confina nelle astrazioni. Pure, essa non ha il diritto di crearne a suo capriccio, « perché la scienza non ha altro oggetto che la riproduzione mentale, riflessa e più possibilmente sistematica delle leggi naturali inerenti alla vita » (pag. 48), il che vuol dire che quando dette leggi non funzionano, è perché non esistono, e la teoria non può fabbricarle, nemmeno sotto il nome di « solidarietà ». Ma essa non è nemmeno capace di scoprire quelle esi­stenti, perché « la scienza umana è sempre necessaria­mente imperfetta, e confrontando ciò che ha scoperto con quanto le rimane da scoprire, si può dire che è sempre alla sua culla » (pag. 45). La scienza assoluta sarebbe « la scienza veramente universale che riproducesse ideal­mente, in tutta la sua estensione e tutti i suoi dettagli infiniti, 1’ Universo »: ma Bakunin si affretta subito a dirci « che questa scienza... non si realizzerà mai » (pag. 49). Ed il perché ce lo dice egli stesso, a pag. 71 : « La scienza è immutabile, impersonale, generale, astratta, insen­sibile...; la vita è tutta fuggitiva e passeggera... E essa sola (la vita) che crea spontaneamente le cose e gli esseri reali. La scienza non crea nulla, constata e riconosce sola­mente le creazioni della vita ». Qui Bakunin anticipa su Bergson : poiché se la vita crea da se stessa il suo svi­luppo, e se la scienza constata soltanto le creazioni pas­sate, è evidente che la seconda può illuminare il presente, ma non può prevedere 1’ avvenire e le future creazioni spontanee della prima. La pretesa di prestabilire, più o meno anarchicamente, il fine più o meno lontano del- 1’ evoluzione, riceve un colpo mortale. Ma ne segue pure che la scienza non manca di essere conservatrice •— sia contro il passato che non vuol riconoscere la realtà pre­sente —: sia contro 1’ avvenire della vita che si matura al di fuori della scienza. Dunque, una contraddizione, un conflitto deve necessariamente esistere fra esse.



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Bakunin lo riafferma, poiché la sua critica alla scienza, come a Dio, ò sempre la critica all’ Idea. Egli combatte l' l’uno e 1’altra come degli esempi d’idealismo. Ma non manca di trarne degli esempi particolari, come » pag. 25, ove, seguendo il teorema dialettico che « ogni sviluppo implica necessariamente una negazione del punto ili partenza », dice che l’umanità, pur essendone il pro­dotto, « ò nello stesso tempo la negazione riflessa e pro­gressiva dell’animalità negli uomini ». Frase un po’ vaga conio molte altre, ma che basta per negare la tesi kropot- kiniana secondo cui le medesime leggi si applicherebbero ai fiori, agl’ insetti ed alle società umane. E Bakunin non manca neppure di generalizzare il suo pensiero, uscire dal campo ristretto del deismo o dello scientificismo per attaccare l’idealismo in blocco. A pagina 24 espone il cardine della critica realistica, affermando che « i fatti superano le idee ; l’ideale come disse Proudhon, non è che un fiore, di cui le condizioni della esistenza materiale costituiscono la radice ». Nega peraltro che il fiore sia
lo   specchio fedele della realtà, o che possa tradursi in realtà a sua volta : e lo nega a pag. 70, a proposito della scienza — che pure sarebbe l’idealismo più positivo di tutti — scrivendo che « l’idea generale è sempre un’astra­zione, e per ciò stesso, una negazione della vita reale ». Quindi, fino ad un certo punto, « rivolta della vita contro la scienza, o piuttosto il governo della scienza ».
Meglio, il governo dell’ idea. Dissipiamo, prima di lasciare Bakunin, ogni dubbio sul contegno che egli terrebbe rispetto agli umanitari pseudo-anarchici d’ oggi giorno. Il filosofo russo comprende bene che fra scienza e idea non esiste un abisso, poiché nessuna scienza è mai completamente oggettiva, e nessuna idea, per quanto meta­fìsica, ò mai completamente soggettiva. Anche le utopie nascono dalla negazione della realtà: dunque ne proven­gono esse pure. Bakunin cita in proposito (pag. 76-77) la scienza della storia che ò pur sempre poco « speri­mentale » e dichiara che quand’ anche tale scienza fosse compiuta, non potrà mai occuparsi «dei miliardi d’indi­vidui » periti « per il bene dell’ umanità astratta » così cara agli ideologhi d’ oggigiorno. Dunque vuol dire che,



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pur nelle scienze specificamente umane, l’individualità vivente è introvabile, è irrealizzabile ; vuol dire che, quando Kropothin e gli anarchici vogliono scendere dalla generalità per giungere ai singoli, tanto più se queste generalità riflettono non già delle esperienze dedotte dal passato, ma dei progetti attuabili nel futuro, essi debbono considerare come individualità vivente, quell’ astrazione individuale, quell’ individuo-tipo che si inquadra nella loro generalità.
Non basta. Bakunin, ho già osservato, allorché parla di governo delle idee generali, non intende solo il governo materiale esercitato da qualcuno in nome di esse ; ma pure il governo psicologico attuato mediante la sugge­stione degli spiriti sotto una medesima formula. Agli uomini reali, egli nega la possibilità di avere tutti una medesima idea, perché « l’intelligenza è sempre attaccata a un corpo animale qualunque » ; quindi non è indipendente in senso assoluto. Di più, « noi lo constatiamo egual­mente negli uomini, la cui potenza intellettuale e morale dipende in modo evidente dalla più o meno grande per­fezione del loro organismo come razza, come nazione, come classe, come individuo ». Dunque, le speranze della propaganda sono ben poche. Dunque, 1111’ idea generale per tutti gli uomini, destinata a tutti gli uomini nella sua predicazione o nella sua attuazione, presuppone sem­pre una coazione 0 materiale a base di violenza, 0 psicolo­gica a base di fanatismo e d’incretinimento. Altrove, Baku­nin mette i due metodi sul medesimo piano: «L’unità... diventa fatale, distruttiva dell’ intelligenza, della dignità, della prosperità degl’ individui e dei popoli, tutte le volto eh’ essa si forma fuori della libertà, sia mediante la vio­lenza, sia sotto 1’ autorità d’ un’ idea teologica, metafisica, politica, od anche economica qualunque » (4). Il che signi fica che le idee generali sono sempre « fuori della libertà ». Non per nulla a pagg. 26, 60, 62 e 68 di Dio e lo Stato, constatando come l’idealismo teorico vada sempre a finirò nel più basso materialismo 0 nella tirannia, pone li«

(4) Oeuvres, I1. V. Stock, Parigi. Volume primo, /•’.
ralisme, pag. 20.


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gli idealisti i despoti più tremendi che la storia debba annoverare (5).
L’ anarchismo bakuniniano è dunque sommamente cri­tico e realistico. Ciò apparirà meglio ancora quando, sulla scorta delle opere complete pubblicate in questi tempi, ne esamineremo, in altri capitoli, la parte economica e storica. Ma non bisogna credere che l’anarchismo critico si trovi soltanto nell’agitatore russo. Si potrebbe portare l’esempio dello Stirner, e farne ampia mèsse di dimostra­zione, se chi scrive non volesse meditamente tacere di tale autore (6). Pure, tutti i teorici più grandi dell’anarchia ne
(5) Se Armando Borghi avesse compreso tutto questo, si sarebbe risparmiato certe amenità in quell’opuscolo II nostro e l’altrui individualismo di santa e moralistica memoria. Il hello è che tutto questo, oscuramente lo ha compreso anche lui : poiché ad un certo punto, dopo aver paragonato gli individualisti (che si trovano di fronte ai societaristi come Bakunin di fronte a Mazzini) a Calinola, Thiers, ecc. ecc.
ed avendo compreso che questi bei tipi di governanti erano 1’ esponente d’ una società o d’ un partito più che di ne stessi — cita l’esempio dei briganti come Tiburzi, Muso- lino, quali individui completamente « antisociali ». Ora, se Armando Borghi, anarchico, avesse letto ciò che scrissero in proposito molti conservatori, saprebbe che il brigantaggio ebbe origini sociali : che significò la rivolta individuale nel- I' impossibilità di quella collettiva contro i governi dissan- j guatori: che tale rivolta collettiva fu sociale a sua volta, porcili! i briganti erano protetti, sia direttamente, sia indi-  rettamente, col rifiuto di svelarli, dai contadini. - Bisogna                                    dire che Borghi si è dato da qualche anno all’ organiz­za/ione pratica, per la quale credo abbia una certa compe- lenza, ed  ha tralasciato di occuparsi di sì difficili cose... (1913).
(6) I molti valentuomini che ingombrano d’ intellettualità ti buon mercato le file libertarie, hanno già decretato da tempo che Stirner non è anarchico, ma borghese. E siccome il giu­diziio, sanzionato dalle masse, è tanto più infallibile quanto maggiore è l’ignoranza e l’incomprensione di Stirner, non

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sono impregnati, e costituisce almeno un lato del loro pen­siero. Avviene così di trovare una contraddizione intima nelle loro dottrine, fra la parte critica e la parte ricostrut­tiva, tanto che la prima servirebbe a demolire la seconda,, dopo aver negato la società presente. Ma, spiriti abbastanza elevati per non mutare l’idealismo in settarismo — o non assillati dalle necessità della lotta che li obbligasse a de­cidersi, poterono conservare inalterato 1’ oscuro contrasto del loro pensiero. Questo serba in tal modo una parte ca­duca, descritta nei passati capitoli, ed una parte immor­tale che lo riattacca a Bakunin ed a Marx. Per i nostri scopi basta ora sviluppare quest’ultima, per dimostrare, sia che il nostro liberismo rivoluzionario si riporta alle più pure tradizione dell’ anarchismo, sia 1’ esistenza in que­st’ ultimo di una corrente che può resistere alla critica ed all’ evoluzione.
Proudhon è un esempio di pensatore idealistico e rea­listico nel medesimo tempo: da questo angolo visuale egli ha una spiccata analogia con Marx che pure gli fu nemico mortale. 11 metodo dell’ utopista domina quasi tutta la sua parte economica, specie quella distinzione fra proprietà e possesso, che noi non rigettiamo in principio, ma che diventa insostenibile quando giunge all’assoluto della op­posizione fra possesso individuale e proprietà sociale. Il fantasma della Società risorge, come ente proprietario di tutto il capitale sociale, e diventa tanto più necessario in un autore che nega sia le formazioni politiche presenti, sia i nuovi organismi sindacali che il proletariato comin­cia a foggiare, salvo sostituirli con problematiche istitu­zioni di filantropismo bancario. Proudhon, quando derideva la possibilità di architettare la società futura, non faceva dunque che lasciare deliberatamente incompiuto il proprio sistema. Lo spirito realistico vinceva sulle sue utopie eco­nomiche.
Appunto perché egli era capace d’arrestarsi a tempo sulla china pericolosa dell’ idealismo, il suo pensiero potò

restava che rassegnarsi a non parlarne in un libro che, quando fu scritto, aveva anche lo scopo d’influire sugli anarchici italiani. (1913).



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Elaborare qualche cosa di solido e di duraturo. La critica che ha demolito l’economia marxista, ha pure demolito quella proudhoniana ; ma la teoria della differenzazione morale di classe rimane incrollabile nell’opera del pensa­rne francese. Ed è anch’essa una negazione dell’idealismo. Nel Si/stè.nie de contradictions économiques vi è già la crisi anticipata al comunismo e persino alla giustizia astratta. Ma nell’ Idée générale de la Rérolution mi xix siècle, si esprime chiaramente che la rivoluzione si matura nella classe operaia e dev’essere fatta da quest’ ultima a van­taggio ili se stessa anzitutto. L’ideale umanitario della ri­voluzione per tutti è sostituito dalla concezione del valore morale di una classe che ha il diritto di rivoltarsi e di imporsi alle altre perché vale più delle altre. La classe operaia deve dunque diffidare non solo dei politicanti sta­tali e riformisti, ma pure di « una rivoluzione provocata dagli avvocati, messa in iscena dagli artisti, diretta dai romantici e dai poeti » (7). Dedicato agli scrittori di lettere alle monache ed agli pseudo-intellettuali dell’anarchismo. In ogni caso, non si chiede a questi di scomparire, ma almeno di non atteggiarsi ad apostoli e condottieri delle masse, che debbono imparare a condursi da loro. Quindi, per Proudhon, la classe lavoratrice deve differenziarsi per esistere, per distinguersi, per spezzare quel blocco vago ed indecifrabile che i democratici chiamano « popolo ». L’individuazione della classe prende il posto, in Proudhon, della « redenzione dell’ umanità ». La rivoluzione diventa in tal modo, non un semplice mezzo per raggiungere uno scopo generale, ma un’ affermazione gagliarda, aristocratica ed imperiosa — bella, civile, feconda di per sè stessa — di nuove energie morali e produttive. (8).
Anche il Tscherkesoff ed il Reclus, sebbene utopisti in moltissimi punti, hanno la loro tendenza rivoluzionaria palpitante di realtà e di critica viva. Il primo, nelle Pa­gine di storia socialista, fu 1’ unico fra gli anarchici che

(’) Représentant du Peuple, 29 Aprile 1848.
(8) Vedi, per un’ acuta e sintetica analisi di Proudhon, il capitolo su « Il Socialismo francese durante il secondo Impero » ne La Comune di Labriola.



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abbia tentato demolire seriamente la previsione della con­centrazione dei capitali : per altro gli anarchici, nella gran maggioranza, non se ne sono nemmeno accorti. Reclus, da sua parte, ha contribuito a sfatare il bisticcio dell’evo­luzione e della rivoluzione colla pretesa opposizione della prima alla seconda. Egli spera magari che la « pros­sima rivoluzione » sarà più cosciente ed avverrà a van­taggio di tutti, ma frattanto trova che il fenomeno rivolu­zionario esiste in tutto l’universo — per cui bisogna ammettere che sia il prodotto di fatti e non di idee, altri­menti sarebbe incomprensibile la sua esistenza fuori delle società umane. Constata come 1’ evoluzione non sia sempre progressiva, e quindi, intesa come « fatale », si riduca ad una parola ; come le stesse rivoluzioni contengano sempre diverse tendenze, talora opposte, di disfacimento e di l'innovamento, che rendono quindi difficilissima la previsione dei risultati del conflitto fra esse (9). Nega ad
(9) Evoluzione e Rivoluzione, Milano, Libreria Editrice Sociale, pag. 10 e seg. A pag. 6 di questo opuscolo, vi è un brano che sembra scritto apposta per certi anarchici di oggi. Eccolo : « Vi sono dei timorati che credono onestamente al- 1’ evoluzione delle, idee e che nonostante, per sentimento istin­tivo di paura, vogliono evitare la rivoluzione. Essi 1’evocano e la condannano nel medesimo tempo : criticano la società pre­sente e sognano la società futura con la vaga speranza che questa apparirà repentinamente, come un miracolo, senza che lo scricchiol o della rottura si produca tra il mondo passato e il mondo futuro. Esseri incompiuti, essi hanno il desiderio, senza avere il pensiero ; sanno immaginare, ma non sanno volere. Appartenenti a due mondi nello stesso tempo, sono fatalmente condannati a tradire l’uno e l’altro: nella società dei conservatori, essi sono un elemento di dissoluzione colle . loro idee e la loro parola ; in quella dei rivoluzionari, essi divengono reazionari ad oltranza, abiurando i loro istinti di giovinezza e, come il cane di cui parla 1’ Evangelo, « riman­giando quello che avevano vomitato ». E’ cosi che durante la Rivoluzione i più ardenti difensori dell’antico regime furono quelli che lo avevano dapprima perseguitato e deriso. S’ac­corsero troppo tardi, come gl’ inabili stregoni della leggenda, di avere una forza troppo formidabile per la loro debole vo­lontà, per le loro timide mani ». Vi è soltanto una piccola



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Ogni modo che lo rivoluzioni siano accidenti fortuiti dovuti ii^li arrosti dell’ evoluzione » praticati dalle cocciute chi i dirigenti, o che sia un bene evitarle per amor di pace o di passaggi graduali. Rileva persino che, in tempi rivoluzionari, le idee possono essere il contrario dei fatti, e cita in proposito la Riforma — proprio la Riforma lute­rana, che, se « è sembrata           una delle crisi benefiche
dell’umanità », fu invéce un disastro, in modo che, pra­ticamente, la sua « fu dottrina d’ asservamento e di men­zogna ». Anche per Reclus, sebbene portato dalla posi­ziono, dagli studi e dalla razza ad essere un idealista, i fatti contavano più delle idee.
Lo stesso pensava indubbiamente Henry — che fra
i   ribelli individuali ottenne e può pretendere tutt’ ora il rispetto anche dei conservatori. Discutete sulla legittimità e sull’ opportunità de’ suoi atti finché vorrete : non po­trete mai negare alla sua dichiarazione durante il processo l’impronta d’uu pensiero lucido, profondo e responsabile che provoca la meditazione. La giustificazione eh’ egli dà de’ suoi delitti ha un accento passionale che le impedisce di essere cinica, ed ha un sapore così alto di tragicità fa­tale e solenne, da elevare il suo autore di mille cubiti sui delinquenti volgari. Ebbene, se non é cinico, non è nem­meno fanatico : la sua non è la tesi dei puritano idealista che distrugge perché suggestionato da una visione apoca­littica ; è tutta una ritorsione violenta ed amara a coloro che lo condannano. Egli non si scusa in considerazione di ciò che sarà, ma in considerazione di ciò che è. La pace, 1’ armonia, 1’ amore, ecc. ecc. esisteranno magari do­mani : benissimo. Ma la realtà di oggi è la lotta fra la classe borghese e quella operaia — fra la società autori­taria e l’individuo che vuole la libertà perché è respon­sabile di sé stesso. Gli uni — i conservatori — si difen­dono, e fanno bene dal loro canto ; gli altri — i sovver­sivi — attaccano, e fanno ancora meglio dal canto loro.
osservazione da aggiungere : che gli « esseri incompiuti », vivendo fra gli anarchici, e non osando dire che non vo­gliono assolutamente la rivoluzione, asseriscono che « non la vorrebbero », ma vi si rassegnano, perché viene malgrado loro!



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A la guerre comme à la guerre : si prende partito e si va tino in fondo. Fra due nemici irreconciliabili non vi può essere che lotta, e gli sgocciolamenti di miele 11011 servono che a produrre la nausea. Egli fa sua la frase messa in bocca da Zola a Souvarine : « Tutti i ragiona­menti sull’avvenire sono delittuosi, perché impediscono la distruzione pura e semplice ed ostacolano il cammino della rivoluzione ». Si, associa persino ad Herzen, sotto­scrivendo, nella prigione della Roquette, la frase secondo cui « noi non edifichiamo, ma demoliamo ; noi non annun­ziamo alcuna nuova rivelazione, ma distruggiamo le an­tiche menzogne ». Il carattere realistico e negativo del sovversivismo in genere e dell’ anarchismo in specie ri­salta splendidamente. E per impedire ogni equivoco, egli deride i rivoluzionari « teorici » ed a modo, dicendo che « la sfera delle idee generali ha preso per essi il posto della contemplazione » (10).
Nè si potrebbe negare ogni contenuto morale al suo' pensiero, anche lasciando a parte ogni denigrazione o apo­logia ilei suo agire. Egli ammette di « avere portato nella lotta un odio profondo, ogni giorno ravvivato dallo spet­tacolo nauseante di questa società in cui tutto è ostacolo alla espansione delle passioni umane, alle tendenze gene­rose del cuore, al libero slancio del pensiero ». Parole che fanno ridere quando sono scritte dai grafomani sugli articoli catastrofici e retorici di certi organini anarchici, ma che impongono il rispetto in un uomo che si prepara alla ghigliottina. Ditegli che 1’ « anarchia è amore e non odio », ed egli vi risponderà che « 1’odio che non poggia sopra una bassa invidia, ma sopra un sentimento gene­roso, è una passione sana e potentemente vitale ». Ditegli che il « sentimento generoso » dev’ essere un’ utopia da fabbricare : ed egli, realista capace di misurare 1’ abisso che intercede fra la realtà ed il desiderio, vi risponderà con l’espressione del suo sdegno : « Io amo tutti gli uomini per ciò che dovrebbero essere, ma li disprezzo per quello che sono ». Trattatelo da giacobino perché

(10)            Cito sempre dall’ opuscolo La nostra violenza, edito a W. Hoboken, U. S. A.



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Passa immediatamente dall’idea all’atto: ed egli vi replicherà di non mandare gli altri ad attuare la sua idea, ma di affrontare le conseguenze delle sue azioni : « Noi diamo la morte: noi sapremo subirla ». E poi, era veramente  estratta         che lo spingeva     al delitto ed al sacrificio?
Una volontà    che      agisca sino al suicidio         può suscitare
atti di abnegazione definitivi e senza speranza » : ecco la Sua replica, che           fa apparire i suoi atti                          non come il
fine, ma come      lo strumento di      una rivolta        morale, espli­
cata mediante uno suicidio indiretto per essere più signi­ficativo. « In fin dei conti, io ho bene il diritto di uscir dal teatro quando la commedia mi diventa odiosa, e magari di sbattere le porte nell’ uscire, a rischio di turbare la tranquillità di coloro che son soddisfatti ». Quest’ultima frase ribadisce la precedente, e dimostra che le rivolte hanno la loro origine in circostanze di fatto ed in forze morali presenti che contro quelle circostanze reagiscono; non in considerazioni su ideologie future. E se da una parte risulta che il tribunale « vendica » piuttosto di •« giudicare » in simili casi (poiché il ribelle si pone volon­tariamente fuòri e contro la base comune giuridica della .società a cui il tribunale appartiene) — deriva, d’ altro lato, che è semplicemente idiota il considerare una rivolta individuale o collettiva dal punto di vista dell’ utopia sognata o dell’ utilità che può seguirne nella realizzazione dell’ utopia.
IV.
Rimane ora da volgere un rapido sguardo al lato realistico dell’ opera kropotkiniana. Infatti, il pensatore russo è 1’ esempio più tipico di quella contraddizione a cui abbiamo accennato più sopra. Il contrasto fra mezzo e fine egli non lo risolve e forse non lo sente ; onde il Kropotkin scienziato ed economista rimane come un alter ego accanto al Kropotkin storico. Ma il secondo, appunto perché esamina ciò che fu e non ciò che sarà, ha sul primo una superiorità critica decisiva. L’opera migliore del Kropotkin è quella storica : migliore fra tutte poi, è



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il libro : Parole d’un Ribelle, (ll) scritte durante la lotta e la propaganda, e quindi sotto il fascino della realtà. È forse il distacco dalla vita vissuta che, mutando 1’ agita­tore in filosofo, ha accentuato in lui le tendenze all’ utopia.
Nel libro-citato, Kropotkin risente dell’ influenza eser­citata su di lui dall’ esempio e dal ricordo del mir russo :
    egli è un po’ comunista di razza, come Marx era di razza autoritario. L’epoca (verso 1’ 80) in cui furono scritte le Parole d’xn Ribelle, non presentava ancora la possibilità di teorizzare la formazione spontanea, nella classe operaia, degli organi della società futura (l2). Per Kropotkin, la rivoluzione deve pur sempre fare il mira­colo di creare la forma organizzatrice del domani : per lui espropriazione e comunismo coincidono — ed in questo è utopistico — ; ma ha una visione netta dei coefficienti materiali, dello sviluppo e dei valori morali della violenza e della rivoluzione.
Egli nota invero, a pag. 13, che « vi sono delle fasi nella vita dell’ umanità in cui il bisogno di una scossa formidabile, d’ un cataclisma che rinnovi la società fin dalle sue fondamenta, s’impone sotto tutti i rapporti », perché « rinnovi la società nella sua vita intellettuale e morale, la scuota dal torpore, ne rifaccia i costumi, appor­tando in mezzo alle passioni vili e meschine del momento il soffio vivificatore di passioni nobili di slanci elevati, di generosi sacrifici ». Qui non si parla d’ideale moralistico, ma di elevazione delle passioni e delle capacità di sentire per sè e per gli altri, mediante 1’ efficacia morale della violenza. Per precisare meglio il suo pensiero, Kropotkin paragona gii uomini di oggi ai romani della decadenza ; ma a pag. 19 dichiara subito che la decadenza « è ine­vitabile, e gli scritti dei moralisti nulla vi cambieranno ». Solo la rivoluzione può rinnovare.
In un altro capitolo, a pag. 24, proclama 1’ univer­salità possibile delle rivolte quando si ripetono e durano,, ma sfata 1’ utopia che la rivoluzione possa essere decretata

(11) Edizione del Risveglio, Ginevra.
(l2) In questi ultimi tempi, Kropotkin ha però accennato- diverse volte, con simpatia, al diffondersi dei sindacati operai.



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dall'alto, simultaneamente, come una festa preparata prima.
Oggigiorno « una rivoluzione locale diventa un’ impossibilità qualora duri un certo tempo »; ma il suo esten­dersi avviene perché « come nel 1848, una scossa pro­dottasi in un paese, guadagnerà gli altri ». Più in là, a pag. 31, egli canta quell’ inno risoluto alla forza che i masturbatoli dell’ anarchismo sembrano avere dimenticato da molto tempo : « Siamo forti, egli sottolinea, e potremo star certi che nessuno oserà più disputarci il diritto di parlare, di scrivere, di stampare, di riunirci ». I diritti politici non servono a nulla — proprio come dice Stirner, perché il diritto o rappresenta una forza, ed allora è una parola ; o non è sostenuto da una forza, ed allora è una pietosa concessione che non serve a nulla. « Le libertà non si concedono, si prendono ». La qual norma vale anche per la società futura del signor Grave, qualora egli volesse convincerci od obbligarci ad entrare, nella sua « organizzazione » (1S).
Nel capitolo intitolato alle minoranze rivoluzionarie, assegna a queste ultime il compito di spingere la rivo­luzione più avanti che è possibile, senza pretendere però mai di digerirla dall’ alto ; e dimostra che se le situa­zioni rivoluzionarie sono dei fenomeni generali che col­piscono tutta la società, il loro sviluppo e il loro risolversi sono opera di minoranze, di singoli talvolta, che costi­tuiscono come una minoranza più piccola in seno ad una più grande. Questo concetto essenzialmente aristocratico del dominio rivoluzionario negativo, degli elementi più risoluti sulle maggioranze più apatiche, ritorna continuo in tutte le opere storiche di Kropotkin, circonfuso talora di eroica poesia. Nella Grande Revolution, constata ripe­tutamente come il popolo parigino rivoluzionario fosse

(13) Il signor Grave risponderà certo che non obbligherà nessuno; ma chi scrive sa per esperienza come la «tirannide collettiva » della maggioranza dei compagni sugli eterodossi, sia una dura ed innegabile realtà. E in ogni caso, se. non si obbliga nessuno, a che serve proclamare la necessità del- 1’ « organizzazione anarchica », se a tale necessità non si vuol dare alcuna sanzione pratica?



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un’ oasi in mezzo ad un deserto di Vandea sorda o mili­tante, che copriva il sud, il sud-ovest, 1’ ovest e persino
il   nord della Francia. E sempre nelle Parole d’un Ribelle, ricorda la frase di Desmoulin  che i repubblicani fran­cesi non erano una dozzina prima della rivoluzione » — ; e spingendo all’ estremo logico la tesi delle minoranze d’ azione, a pag. 225 parla delle violenze individuali, non già come d’incidenti deplorevoli da « scusare » perché « dovuti alla reazione », ma come affermazioni che richia­mano 1’ attenzione collettiva sui problemi più urgenti, e che chiariscono la situazione generale proprio quando la rivoluzione non è ancora scoppiata, e le classi dirigenti son troppo decrepite per tentare una franca reazione.
Frattanto,, a pagg. 79-80, vi è l’inno al disordine, molto più rivoluzionario della proclamazione de 1’ ordine anarchico fatta da Gori in un suo opuscolo : perché — dice Kropotkin — « il disordine è la rivolta del pensiero... è 1’ abolizione della schiavitù antica, è l’insurrezione dei comuni, 1’ abolizione del servaggio.... l’insorgere dei con­tadini contro i preti e i nobili, bruciando i castelli... Il disordine.... sono le epoche durante le quali il genio popo­lare si sviluppa liberamente e fa in pochi anni dei passi giganteschi ». Il filosofo russo non considera, evidentemen­te, la rivoluzione come un taglio al nodo gordiano del- 1’ evoluzione, che si può ed è meglio evitare se il nodo non si forma. Non è soltanto il momento del passaggio da una società costituita ad un altra già preparata, vin­cendo « F ultima resistenza » della prima. Il semplicismo dell’ ovo che si forma dentro la gallina del presente, 11011 entra nella teoria rivoluzionaria kropotkiniana, ben diversa dalle elucubrazioni scientitìciste degli Enrichetti Ferri de F anarchismo riformato. Per Kropotkin la rivoluzione è un interregno, più o meno lungo, tra una società che non c’ è più ed un’ altra che non c’ è ancora, per obbli­gare gii uomini a vivere e dirigersi da sè, affrontando l’ignoto (14). È un qualche cosa di profondamente etico -—
(14) Ricordo un pensiero quasi identico del Kautsky pub­blicato sull’ antica Avanguardia Socialista di Milano. Se la rivoluzione francese, scriveva egli - fosse durata meno e meno



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come la teoria del Sorel e del Labriola che interpretano h' rivoluzioni come lavacri in cui 1’ umanità deve guar­darsi nella propria anima lasciando la neghittosa indiffe­renza abituale. E anzi una concezione così realisticamente morale — concernente l’interno valore degli individui e delle folle, e non 1’ esteriorità dei loro atti — che gl’idea­listi puri ed ignoranti di storia, non possono compren­derla. Essi non conoscono il senso tragico : e la rivolu­zione in mano ad essi diventa o una miseria piccina o una brutalità immane e selvaggia, ma non può cingersi mai di un’aureola di solennità drammatica e di poesia.
Su Kropotkin non si ò detto però ancora tutto. Tra parentesi, sempre nel citato libro, a pag. 174, si accusa la legge « d’immobilità che sostituisce lo sviluppo con­tinuo del genere umano » : Kropotkin non ò dunque del1’ avviso di Grave sulla instabilità del regime presente e la stabilità di quello futuro. Ma sembra pure che il filosofo russo non tenga troppo all’ eguaglianza, e eh’ egli se la prenda solo con le disuguaglianze artificiali create dalla legge, poiché, a pag. 179, confessa che « finché le sole ineguaglianze tra gli uomini erano naturali — non ancora accresciute e ingigantite dall’ accentramento delle ricchezze e del potere — non c’era alcun bisogno della legge ». Nemmeno la pace gli dev’ essere di eccessivo favore : poiché nella conferenza sullo Stato (l5) egli detesta le lotte eh’ ebbero per scopo di sottoporre tutto il mondo al giogo unico d’ uno Stato, ma esalta quelle contro lo Stato medesimo e dei Comuni fra loro. « Vi sono delle lotte che uccidono, ve ne sono di quelle che mandano innanzi l’umanità ». Concorda in tal guisa con Bakunin,
disordinata e sanguinosa, sarebbe stata certamente più « ci­vile », ed avrebbe risparmiato la tempesta napoleonica per imporsi all’Europa: ma il prestigio dinastico e i diritti feu­dali esisterebbero ancora in Francia, invece di essere aboliti nell’Europa intera!
(15) Raccolta in opuscolo dall’Università Popolare, Milano.



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che, in Dio e Stato, preferisce la civiltà greca fatta di varietà e di battaglie, a quella romana che seppelliva tutto sotto 1’ uniformità della civitas unica ed ufficiale.
Chiudiamo la parentesi, ed arriviamo ad un altro punto capitale del pensiero di Kropotkin. Nonostante la sua metafisica delle leggi naturali, quando si trova in contatto colla realtà, egli proclama che 1’ azione è supe­riore all’ idea. « Dai pacifici ragionamenti all’ insurrezione vi è un abisso » — vi è il capitombolo che Luigi Fabbri non ha visto, tra 1’ Enciclopedia e la rivoluzione francese. « Come mai questo abisso è stato colmato ? » — « Col- l’azione continua, ripetuta, incessante, delle minoranze. Il coraggio.... è contagioso quanto la paura. Quali forme prende quest’ azione ? Le forme più varie, volute dalle circostanze, dai mezzi, dai temperamenti ». Il che vuol dire che è semplicemente inutile ed idiota il prestabilirne una, come tentano gli anarchici organizzatori. Ma il più bello è che quei « pacifici ragionamenti » di cui parla Kropotkin più sopra, non sono altro che le .espressioni verbali di malcontento sorgenti naturali dal popolo stesso (Parole d’un Ribelle, pag. 223). Dunque, 1’ azione delle minoranze tende a dar corpo ed attuazione alle idee nega­tive sorte fra la popolazione, non a proporre un piano positivo di riorganizzazione sociale.
Se vi fosse bisogno d’ una conferma a tutto ciò, si potrebbe trovarla a pag. 227 e seguenti. L’indirizzo che prenderà la rivoluzione può essere previsto — secondo 1’ autore — sapendo qual’ è il partito sovversivo più po­tente, ma Kropotkin dichiara che le probabilità di suc­cesso non sono per « il tal partito che avrà meglio ela­borato le teorie e il programma, e li avrà molto propagati con la parola e con lo scritto, se non ha affermato le sue aspirazioni alla luce meridiana sulla piazza, con realiz­zazione del suo pensiero ». Giova notare che Kropotkin è contrarissimo al riformismo, ed ha scritto un opuscolo (Anarchismo e Comunismo) contro i tentativi di colonie comuniste. Dunque, s’ egli non crede nemmeno all’ attua­zione sui generis del programma, gradatamente e riformi­sticamente, non rimane che 1’azione : è dessa che importa. Quel partito « che non avrà avuto l’audacia di affermarsi



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con degli       atti     rivoluzionari nel periodo preparatorio....
avrà pochissima possibilità di realizzare la benché minima parte del                 suo      programma :          sarà sopraffatto dai   partiti
d’azione ».
L’interesse della citazione non è nel compito che il partito dovrebbe avere; è piuttosto, per noi, nel rapporto di efficacia fra idea ed azione. I concetti suesposti possono peraltro ritorcersi in parte anche contro il Kropotkin. Non si comprende più che cosa siano la solidarietà e 1’ armonia dato che esistano le ineguaglianze naturali — ad eccezione che 1’ armonia comprenda i                    contrasti, le lotte e i                               domini
morali ed      intellettuali fra i            produttori, ed anche   econo-­
mici contro i parassiti eventuali. Sarebbe, non più una uguaglianza di libertà —- ma un gioco di libero e reci­proco dominio, come intende Bakunin (l6). Se esistono delle lotte che mandano innanzi 1’ umanità — (e Kropot­kin, in riguardo ai Comuni medioevali parla pure di lotte economiche) — queste lotte è bene che continuino, ad esempio fra i popoli più civili e quelli più barbari, che guadagnano sempre dal contatto coi primi, anche se il con­tatto avviene colla violenza(17). Se 1’azione supera l’idea, è comprensibile che si abbia uno scopo momentaneo o una tendenza materiata in un gruppo o in una classe, ma non un punto d’ arrivo che 1’ azione potrebbe superare. Prepa­rare un piano quando si sa che i mezzi non esistono per attuarlo, o si prevede che il mezzo supererà il fine rea­gendo su quest’ ultimo, è perfettamente inutile e coutrad-

(1S) Dio e Stato, pagg. 47 49. - La differenza fra lo spi­rito del realismo bakuniniano e 1’ utopismo anarchico è tutta qui : il primo ammette come feconda la volontà del dominio, e cerca nell’ abolizione del privilegio economico e politico V impossibilità per essa di tradursi in autorità legale e sta­bile; il secondo si affida ad una ipotetica rinunzia generale che nemmeno chi la predica è capace di attuare.
(n) A prevenire malignità meschine, circa il mio atteg­giamento di fronte alla guerra di Tripoli, avverto che questo fu scritto in giugno-luglio 1911, quando l’impresa era ancora ignota. Di più il medesimo concetto si trova nei due primi capitoli della mia Tragedia di Barcellona, scritta nel 1910.



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ditorio. E tale contraddizione balza evidente da un pensiero di Kropotkin nella Grande Revolution (18).
Parlando della rivoluzione francese egli dice precisa- mente che i germi dei principi comunisti sono sorti spon­taneamente dall’azione popolare. « E’ sopratutto studiando questo modo di agire del popolo, e non scervellandosi allo studio dell’ opera legislativa dell’ assemblea, che si com­prende il genio della grande rivoluzione ». Benissimo : la parola agire è sottolineata dall’autore. Ma poi aggiunge: « il genio, in fondo, di tutte le rivoluzioni passate ed av­venire ». Qui Kropotkin si lascia trascinare nuovamente dalla metafisica. Anzitutto, la rivoluzione francese è un qualche cosa di unico nella storia — ed il suo esempio non può essere elevato al grado di legge. I principi co­munisti — o le tendenze comuniste — (che esamineremo fra poco) — non si fecero strada nella rivoluzione inglese. Però, lasciamo Kropotkin completare il suo pensiero. Nella conclusione egli dice che « ogni rivoluzione lascia, in ere­dità al periodo evolutivo che segue, dei principi, che detto periodo potrà affinare e sviluppare, e che serviran­no di base alla prossima rivoluzione ». Affermazione gra­tuita cotesta, poiché il periodo evolutivo può modificare radicalmente, ed anche invertire 1’ eredità ideologica della rivoluzione, appunto perché le idee nascono dalla realtà e non viceversa. Ora, la realtà della classe operaia, in certi riguardi, può essere non la continuazione, ma l’an­titesi della realtà borghese, e le teorie non mancherebbero di risentirlo. Così lo spirito del marxismo — ed anche di Bakunin — è 1’ antitesi di quello di Rousseau. Il periodo evolutivo può creare delle cose che la rivoluzione prece­dente non prevedeva : esempio, i sindacati di mestiere. Pure, ammettiamo che i principi d’una rivoluzione giun­gano intatti alla seguente. Se la prima ha generato delle idee, la seconda farà altrettanto. Se le creazioni della prima erano imprevedibili, appunto perché erano creazioni, si deve dire altrettanto della seconda ; altrimenti bisogne­rebbe affermare che nella prima 1’ azione produsse l’idea, e nella seconda l’idea produrrà 1’ azione. La rivoluzione

(l8) La Grande Révolution, P. V. Stock, Parigi, pag. 142.



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francese sconvolse tutte le idee positive di organizzazione sociale che la precedevano : sconvolse in parte persino il Contratto Sociale, e dimostrò poi fallace la parte realizzata di esso. La prossima rivoluzione potrebbe dunque smen­tire anche le idee comuniste, o dimostrarle cattive dopo hi loro eventuale realizzazione.
Il  contrasto fra rivoluzione e società futura, ritorna così ad affermarsi, dopo un semplice esame logico. Noi abbiamo visto come i socialisti-anarchici lo risolvano a favore del secondo termine. Kropotkin, invece — ad onore del suo spirito rivoluzionario e del senso di realtà che non gli manca, allorché scende dalle nebbie scientifìciste —
lo risolve in senso contrario.
In nn articolo pubblicato sul Pensiero del 16 set­tembre 1910 (Insurrezioni e rivoluzione) egli si pone in­fatti risolutamente il problema, e riafferma la teoria che si potrebbe chiamare classica della rivoluzione: « Ci vo­gliono delle insurrezioni locali, perché un giorno la Rivo­luzione diventi possibile. Fa d’uopo anzi eh’ esse siano numerose. Ci vogliono pure delle città e delle regioni agri­cole che abbiano la tradizione delle insurrezioni ». E lo scopo ? domanderanno molti sovversivi timorati. Kropotkin risponde con un’ amara ritorsione : « Chi mai più di noi anarchici, ha contribuito a diffondere fra i lavoratori la coscienza netta, ragionata, concreta dello scopo comunista- anarchico che bisogna porre dinanzi alla prossima rivolu­zione ? » Il che sembra dire che se la rivoluzione si fa senza scopo, non è colpa sua; ma che non è una ragione per non farla. Egli protesta quindi « contro 1’ abuso ge­suitico della parola incosciente applicata alle insurrezioni ». Avviso a coloro che trattano a priori da briganti i ri­belli se non sono comunisti. Egli tenta di riaffermare che la rivoluzione conduce al comuniSmo, per quanto « non in un giorno », ma frattanto proclama che ogni rivolu­zione è un bene di per sè stessa, e che gli anarchici deb­bono sempre prendervi parte. « In ogni caso, se doves­simo aspettare che la Rivoluzione tino dalle sue prime insurrezioni, abbia un carattere francamente comunista, od anche collettivista, sarebbe come abbandonare per sempre l’idea della Rivoluzione e sopratutto lo svolgimento stesso



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della rivoluzione che può condurre le masse al comuniSmo, come ve le ha condotte nel 1789 ». Giovanni Grave è così rassicurato de’ suoi timori sulla panacea della rivo­luzione.
Il   lettore avrà notato che « la rivoluzione può con­durre al comunismo », nell’ ultimo periodo citato. Non cri­ticheremo ora il concetto che la rivoluzione possa da sola demolire e riedificare; non entra in questo capitolo. Ma la morale dell’ atteggiamento, documentato più sopra, del- P anarchico russo, è che la rivoluzione è più importante del comunismo. Si potrà dissentire dall’ illusione secondo cui la prima genererà il secondo ; ma il metodo di far di­pendere il domani dall’ oggi rivoluzionario, ed il punto d’ arrivo dallo svolgersi degli avvenimenti, è giusto. Quindi la società futura è il prodotto subordinato allo sviluppo della rivoluzione, e non già la rivoluzione uno strumento subordinato alla società futura. L’anarchismo consiste più nell’epopea rivoluzionaria che nello scopo — a poste­riori, e non a priori della rivoluzione.
Noi siamo riusciti, attraverso 1’ esame dei principali teorici dell’ anarchismo a stabilire qualche massima che è l’antitesi di quanto scrivono qua e là i monopolisti del- l’anarchismo pseudo-tradizionale. Abbiamo visto la con­clusione di Kropotkin : quella di Bakunin era che i fatti superano le idee. Reclus e Tscherkesoff riducono a nulla o ben poco la madonna dell’ evoluzione graduale, naturale ed economica. Proudhon afferma che la classe vai meglio degl’ ideali umanitari. Henry trova nell’ interno morale degl’ individui, non nei sogni futuri, la spinta alla rivolta. Conclusione delle conclusioni : la realtà è più importante delle idee.
Tale punto di vista è dunque perfettamente anarchico, nel senso tradizionale della parola. Abbiamo così formate le basi, e raccolti i germi dell’anarchismo critico e rea­listico. Cerchiamo ora di coordinarli brevemente e chia­ramente, per intelligenza di tutti, prima di procedere oltre.



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