LA LINEA DEL MOSTRO
di Toni Negri
Qui si parla di mostri, di come essi sono apparsi, talora nel circo,
altre volte nei laboratori, o ancora nella politica, ieri oggi e domani,
certo di nuovo, – nella filosofia o nella medicina, nel cinema o nella
letteratura. Ogniqualvolta il potere dichiara che la storia è finita, e
che la natura fa esperienza di un ordine definitivo, sicché felice può
essere solo l’uomo che, adeguandosi alla misura, obbedisce e crede,
allora il mostro appare a sconfessare ogni normalità, a dire miserabile
l’obbedienza e stolta la credenza. Il mostro è un cavaliere che trascina
in luoghi pericolosi, ci dice Elfriede Jelinek, ma nello stesso tempo
libera dal dogmatismo e incita alla creazione immaginaria (ma presto
pratica) di nuovi mondi. Nel «postmoderno», dentro e contro le culture
del «new age», il mostro ci salverà, forse, dalla nostalgia della vita
semplice e nuda ; sicuramente ci mette in contatto con il laboratorio
della dismisura tecnica e dentro a questo ci fa inventare una realtà che
noi vogliamo prodotto di potenza collettiva.
Questo insieme di saggi è dunque dedicato ai mostri – evidentemente ad
alcuni soltanto dei mostri possibili: ché, se tentassimo di enumerarli
tutti, ne avremmo un elenco ipertrofico, alla Borges o alla Eco... A
quali mostri va dunque il nostro interesse?
In primo luogo a quei mostri che ci hanno mostrato la natura inventarsi
fuori da ogni ordine trascendente o comunque predeterminato. Da questo
punto di vista, qui il lettore troverà dunque prima di tutto l’abbozzo
di un’indagine materialista sui mostri. Val dunque la pena di ricordare
che è lottando contro la teologia naturale e il dogma di un cosmo fisico
ben ordinato, che i mostri sono divenuti «eroi filosofici». Gli
aristotelici non potevano sopportarli: i mostri ingarbugliavano il nesso
delle quattro cause fisiche e deturpavano la bella metafisica sequenza
di natura e ordine politico, cioè l’eugenia gerarchica della «politeia».
L’occidente è sempre stato dominato da questa legge e contro di essa si
sono infrante anche le rivoluzioni umaniste più conseguenti. Ancora a
Montaigne i mostri erano antipatici : «il mostro non esiste agli occhi
di Dio».
È solo il razionalismo dei Lumi (e il suo implicito materialismo) che
recupera i mostri: ne fa buon uso per mostrare che teologia e teleologia
sono cose oscure per la scienza e l’intelligenza e funzioni
dell’assolutismo, di ogni assolutismo... Misura e figura, che codice e
sostanza naturalistici implicavano, venivano così dissolte da potenze di
metamorfosi, defiguranti e smisurate. Non era il sublime, visione che
rimane attonita e passiva, quello che rivelava quest’avventura
dell’intelletto; trionfava invece un socratico non-sapere, una radicale
disposizione all’altro, al nuovo, appassionata; dismisura e
defigurazione, sublimi certo, ma attive, creatrici di altro. Che sapore
di libertà ha, in questa stagione, il mostro!
Qui di seguito, nella prima sezione di questo volume, Charles T. Wolfe,
Aurélie Suratteau-Iberraken, e Michael Hagner mettono in luogo le
ambiguità che l’inchiesta sui mostri ha dovuto attraversare (e talora ha
prodotto) fra Lumi e modernità e – nel medesimo tempo – la potenza
critica del suo materialismo. Pierre Ancet, a partire dagli inizi della
teratologia scientifica, apre successivamente l’analisi sulle condizioni
di possibilità di una nuova considerazione dei mostri e di una attuale
riarticolazione fra biologia e metafisica (etica).
In secondo luogo, il nostro interesse va a quei mostri che, dentro
l’estinzione della teleologia naturale e l’appannarsi d’ogni necessità,
gli uomini vogliono e riescono direttamente a costruire. All’ontologia
della mutazione segue dunque la tecnologia organizzata da un’adeguata
antropologia. Vi è un’enorme accumulazione di conoscenza, scienze dure e
desiderio di libertà, che si forma su questo passaggio, dove vanno a
nozze tecnologie e immaginazione: ogni differenza fra natura e artificio
deve dunque cadere. L’affermazione del moderno si raccoglie in questa
divisa. Ciò che, dai Lumi in poi, aveva cominciato a uscire
dall’underground e a vivere all’aperto, il mostro, diviene ora egemone.
Il mostro è oggetto di produzione, – di una produzione che non riproduce
la natura né vi ritorna, ma la sostituisce, sempre, soprattutto quando
sembra riprenderla o sussumerla. È su questi temi, dunque, che si svolge
la seconda parte della nostra ricerca: temi non più paradossali ma
singolarmente efficaci e significativi, quando si intrecciano
teratologia e tecniche, percezioni e produzioni del mostro... Ma qui le
cose si complicano di nuovo ed è a queste complicazioni che si rivolge
la nostra indagine. Quando infatti avremo visto il pensiero tecnico (e
quello filosofico) assumere nella sua propria potenza (e responsabilità)
le metamorfosi dell’essere e, ancora (last not least), svilupparsi la
percezione del mostro nella nostra cultura con effetti talora
sconvolgenti, spesso creativi («ma ci son sempre zombies che si aggirano
fra noi!») – e quando avremo inteso che lo stesso passaggio dal moderno
al postmoderno si raccoglie attorno alle alternative che queste
dimensioni avventurose dell’esperienza presentano – bene, eccoci a dover
verificare la correttezza del nostro cammino e la sua verità etica.
Perché noi non vogliamo che il risultato di questa storia sia quello di
fare di questa nostra società un enorme «freak-show», né pensiamo che
l’artificialità che costruiamo possa ridursi a casualità e/o arbitrio, e
tanto meno possiamo rassegnarci al fatto che quei mostri che ci fanno
male, nascano dalla distruzione critica della teleologia reazionaria e
del naturalismo patriarcale. No, quando i mostri non son più «curiosità
naturali» ma prodotti dell’attività creatrice del lavoro, occorre
metterci sopra le mani della ragione. Il cervello e i suoi muscoli son
da mettere qui all’opera, la «piena vita» della moltitudine...
L’eugenismo ellenico e quello nazista, quello estetico e quello
capitalista, vanno finalmente estirpati da una società nella quale
l’uomo ha la possibilità concreta di «generare bene», la potenza della
felicità.
In questa seconda sezione Ubaldo Fadini ci conduce, in primo luogo, ad
attraversare quei territori di confine della conoscenza scientifica che,
fra differenza e mostruosità, Deleuze e Klossowski, Bruno Latour e
Donna Haraway, nonché i filosofi del General Intellect, ci hanno
abituato a considerare ibridi e mostruosi; oppure quelle reti distese
per comunicare, dentro le quali Paul Virilio e Pierre Lévy ci hanno
mostrato come la nostra stessa percezione del mondo si metamorfosi,
diventando, forse, essa stessa mostruosa. Contemporaneamente, si
comincia a risalire alle questioni filosofiche e politiche che si
addensano in questi snodi mostruosi, come ad esempio sulla natura e il
divenire delle metamorfosi che investono la scienza, i suoi oggetti e la
soggettività stessa degli attori. Muriel Combes ci introduce qui alla
problematica dell’individuazione nella metamorfosi e nel collettivo (ed
in genere all’opera) di Gilbert Simondon. Marco Bascetta, percorrendo le
vie d’accesso alla tecnologia ed all’economia politica del vivente,
introduce nel medesimo tempo alla loro critica e alla costruzione di
percorsi alternativi.
Siamo così a un altro punto di discussione. Se il mostro naturale è
finito e non fa più scandalo, se la natura ha mostrato la sua
contingenza senza possibilità di ritorno o di cancellazione – e,
addirittura, natura e mostruosità son divenuti «capitale costante» della
nostra capacità di lavorare e trasformare il mondo, base cioè della
potenza creatrice della moltitudine: occorre dunque mettere in
discussione se esista una sorta di teleologia umana, trasparente alla
società e appropriabile dalla moltitudine; che insomma, attraverso il
lavoro cooperativo e le tecnologie dell’«intelletto generale», possa
proporsi come motore della lotta per la felicità di ogni uomo, contro la
miseria e la morte, per la libertà e l’eguaglianza. Là dove siamo
arrivati, il mostro non è più natura ma prodotto, un nostro prodotto. Il
mostro non è scandalo ma benvenuto. Una «seconda natura» (o terza o
ennesima) è davanti a noi, qualificata da eventi contingenti e creativi,
– mai più da categorie di sostanza e di necessità, da funzioni-immagini
di gerarchia, di comando e di morte... Davanti a noi, dentro di noi, e,
insieme, prodotta da noi. Questa seconda natura, così mostruosa che non
sappiamo più distinguerla da ciò che un tempo era scandaloso, – questa
mostruosità così perfettamente adeguata al nostro desiderio di felicità,
– vi è tuttavia chi cerca di riportarla alla follia, alla perversione e
alla perdita di senso. Dal «progetto genoma umano» alla «clonazione», e
in innumerevoli ricerche biologiche, passa un’enorme speranza. Ma c’è
una violenza finanziaria e industriale che rischia di soffocare, di
dominare, di dirigere verso finalità gerarchiche e sfruttatrici, queste
potenze del lavoro vivo e creatore. C’è un biopotere mondiale che vuol
distruggere il desiderio biopolitico di felicità e di libertà. Bisogna
opporsi a questo. Noi riconosciamo alla mostruosità, per il presente e
il futuro, non solo di poter essere etica ma soprattutto di dover essere
rivoluzionaria... Ora davanti a questa eccedenza di potenza, dinanzi
alla possibilità che il corso della vita della moltitudine possa essere
modificato secondo funzioni di comando, noi non ci arrocchiamo sui temi
del fondamentalismo naturalistico, tutt’al contrario, proponiamo una
linea di critica rivoluzionaria: ed è su questa linea di valore dire che
«noi vogliamo il mostro». È nell’eccedenza delle possibilità, nella
ricchezza dell’intelligenza, della scienza e del lavoro vivo delle
moltitudini, che il mondo non solo è fatto, ma deve essere fatto, e lo
faremo, nella libertà e nell’eguaglianza.
La terza sezione, che attorno a queste tematiche si raccoglie, muove
dall’analisi della percezione presente del mostro, – di nuovo cioè dalla
sua ambiguità che (nelle condizioni attuali, davanti al kairos dei
singoli e alla decisione delle moltitudine) diviene contraddizione e si
presenta storicamente e politicamente come crisi. Antonio Caronia,
Francesco Galluzzi, Tiziana Villani s’interrogano sull’alternativa fra
mostro buono e cattivo, ripercorrono la storia intellettuale della crisi
(da Adorno a Klossowski), ma soprattutto ci pongono davanti alla
necessità della scelta. Scelta etica, scelta strategica, illuminista,
scientifica, di «progresso» (i mostri ci restituiscono perfino questa
parola), una scelta politica, di lotta. (Non stupirà dunque che ci si
ponga contro i fondamentalismi naturalistici, ai quali però si consente
quando si oppongono all’arbitrio del biopotere capitalistico. Unabomber
non è solo un pazzo, Bill Joy non è solo un genio informatico. Di fatto,
solo una vera democrazia della moltitudine potrà permettere,
nell’economia come nella scienza, sviluppo, ricchezza e libertà,
metamorfosi dell’uomo e potenza comune dell’intelletto. È la verità di
Seattle).
Ecco dunque un ultimo capitolo aprirsi: potrebbe essere intitolato,
«dalla biologia e l’antropologia della mutazione alla politica del
comune», ovvero: «per un’etica comune del mostro». Sappiamo che questo
sarà il tema fondamentale del prossimo secolo, e sappiamo anche – per
parafrasare Hölderlin, – che solo l’estremo pericolo che corriamo potrà
creare la salvezza comune. È in questa tensione, fra l’enormità del
pericolo e la positiva mostruosità della speranza, questa nuova
Aufklärung dei corpi, che chiediamo ai nostri lettori di rilanciare
analisi, strategie e lotte. René Scherér, studiando l’Homunculus di
Goethe, ci introduce gentilmente alla fiducia che il mostro possa
accompagnarci nell’attraversamento dei margini della natura e nella
creazione di un altro mondo (dove non sia più possibile considerare
ordinata l’azione dell’appropriazione privata, della monetizzazione e
della schiavitù contro la moltitudine). L’Angelo che ci porterà fuori da
questa miseria, potrà solo essere mostruoso: perciò lo riconosceremo.
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