Radicalmente
diverse sono, come accennavamo sopra, le premesse teoriche da cui noi
partiamo. È oggi ormai acquisito che la riproduzione è l'altro polo
della produzione di plus-valore. Ma riconoscere questo non basta: non
ha senso nemmeno dire prima la fabbrica, poi la «società».
Certamente è in prospettiva l'organizzazione della fabbrica che
determina il tipo di individuo che il capitale cerca di plasmare. È
altrettanto vero tuttavia che l'instaurarsi della nuova disciplina
del lavoro ha richiesto come passaggio preliminare la
determinazione sul terreno della riproduzione di un nuovo individuo
sociale, forgiato sia attraverso la distruzione di quegli elementi
precapitalistici che si presentavano antagonistici rispetto alla
nuova disciplina, sia attraverso lo sviluppo di nuove capacità e
attitudini.
Anzi,
sarebbe opportuno rovesciare l’ordine temporale e dire prima
«società» e poi fabbrica, nel senso che ci sono voluti ben
tre secoli per sedimentare la forza-lavoro come merce disponibile sul
mercato. Tre lunghi secoli di lotte tra proletariato e capitale: così
a lungo è infatti durato il loro braccio di ferro, prima che si
sedimentasse un individuo ad immagine e somiglianza di una merce, la
forza-lavoro. Questa merce, che il capitale della grande industria
pone come presupposto e condizione della sua esistenza, è in realtà
il risultato di un laborioso processo nel corso del quale il capitale
rivoluziona ogni rapporto sociale e soprattutto le condizioni sociali
del processo di riproduzione. Quella che viene definita la «società»
del capitale è basilarmente fondata sull'invisibile fabbrica in cui
si produce e riproduce la forza-lavoro: è questa la prima fabbrica
sviluppata dal capitale, nonché vincolata fin da subito a una
produzione di massa.
Nessun commento:
Posta un commento