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lunedì, giugno 30, 2014

Lettura de "L'Unico e la sua Proprietà" di Max Stirner di Enrico Voccia

Premessa
L'eterodossia del pensiero stirneriano Tra i testi "classici" della tradizione del pensiero filosofico contemporaneo, L'unico e la sua proprietà di Max Stirner viene a trovarsi in una condizione paradossale. La sua valenza di testo politico gli dona da sempre lettura e diffusione notevole negli ambiti più disparati, mentre l'insegnamento e la ricerca accademica - attenti talvolta a vere e proprie cineserie e/o ad autori che l'argomentazione filosofica non sanno nemmeno dove sia di casa - si può dire che lo ignori pressoché completamente. Eppure i manuali di Storia della Filosofia citano, unanimemente, questo testo come un momento fondamentale della riflessione sui fondamenti dell'agire sociale portata avanti dalla cosiddetta "sinistra hegeliana". Il motivo di questa esclusione/ rimozione è in realtà facilmente comprensibile, purché sì tenga conto della preminenza pressoché assoluta, nella cultura contemporanea, della critica romantica del moderno. La società moderna, secondo questa diffusissima visione, sarebbe caratterizzata da valori puramente materiali quali la produzione, la tecnica, il profitto, la merce, ecc. tale situazione precipiterebbe l'uomo in una condizione di alienazione, di perdita della sua essenza umana, di incapacità a riconoscere il vero senso della vita. Questa visione della modernità nasce per l'appunto nel movimento romantico, ma si è rapidamente diffusa ed ha trovato una assai vasta rispondenza nella cultura contemporanea.
Tenendo presente una tale condizione, è comprensibile come qualunque voce che si ponga fuori dal coro sia guardata con sospetto e sottoposta a meccanismi di esclusione/ rimozione. Max Stirner, in effetti, sostiene la tesi esattamente contraria a quella appena esposta: a suo giudizio, lungi dall'essere dominata da valori puramente materiali, la società contemporanea è totalmente ideologizzata e sacralizzata. Secondo l'autore de L'unico e la sua proprietà, infatti, noi non ci troviamo immersi nel regno dei valori materiali bensì in quello degli " spiriti", dei "fantasmi", delle "idee fisse". E, se ciò non bastasse, la tesi stirneriana ha come corollario diretto l'idea che i critici romantici del moderno non sono nemmeno dei critici ma, al contrario, gli ideologi (nel senso marxiano del termine) maggiormente autentici della società contemporanea. Su cosa si fonda questa tesi decisamente eterodossa rispetto alla corrente dominante del pensiero contemporaneo? Stirner sostiene esplicitamente che ciò che è accaduto con il passaggio dall'età medievale/ moderna a quella contemporanea non è stato un processo di desacralizzazione, di pura e semplice messa fuori gioco della potenza politica della mentalità religiosa, ma semplicemente un mutamento dell'oggetto sacralizzato. Utilizzando a piene mani l'armamentario concettuale della critica hegeliana al "dover essere " Stirner conclude che l' " Uomo" ha scalzato Dio dall'altare dei meccanismi ideologici.
Che cos'è l'ideale se non l'io di cui si va in cerca e che resta sempre lontano? Si cerca se stessi, perciò non si ha ancora se stessi, si aspira a ciò che si deve essere, perciò non si è. Si vive nello struggimento: per secoli si è vissuti in esso, si è vissuti nella speranza. ( ... ) Forse che questo riguarda solo la cosiddetta gente pia? No, riguarda tutti quelli che appartengono a quest'epoca storica che sta tramontando, anche quelli di cui si dice che sono l'uomini di vita". Anche per loro c'è sempre una Domenica, attesa dopo i giorni di lavoro, e oltre all'agitazione mondana c'è il sogno di un mondo migliore, di una felicità universale per l'uomo, insomma un ideale. ( ... ) Ovunque struggimento, speranza, e nient'altro. Chiamatelo pure, per quel che mi riguarda, romanticismo.
Nel caso di queste persone religiose che sperano nella vita eterna e considerano la vita terrena come una semplice preparazione per l'altra, salta subito agli occhi la subordinazione della loro esistenza terrena, da loro posta completamente al servizio della speranza in quella celeste, ma ci si sbaglierebbe di grosso se si attribuisse ai più illuminati meno spirito di sacrificio. Forse che, per presentarne subito il concetto liberale, la vita "umana" e "veramente umana" non è la vera vita? Forse che ognuno ha già in partenza questa vita veramente umana o non deve piuttosto innalzarsi a tanto con grandi fatiche? Ce l'ha già come sua vita presente o non deve piuttosto raggiungerla come sua vita futura, di cui parteciperà solo quando "non sarà più macchiato da nessuna forma di egoismo"? Secondo questa concezione la vita è fatta solo per acquistarsi la vita, e si vive solo per rendere viva in noi l'essenza dell'uomo, si vive per amore di questa essenza. Si ha la propria vita solo per acquistarsi, per mezzo di essa, la vita "vera", depurata da ogni forma di egoismo. Per questo si ha paura di fare della propria vita l'uso che più ci piacerebbe: di essa si deve fare il "giusto uso" e nessun altro. Insomma, si ha una missione nella vita, un compito per la vita, si ha da realizzare e attuare qualcosa con la propria vita, un qualcosa per il quale la nostra vita è solo un mezzo e uno strumento, un qualcosa che vale più di questa vita, un qualcosa a cui si deve tutta la vita. Si ha un Dio che pretende vittime vive. Soltanto la brutalità del sacrificio umano è andata perduta col tempo; il sacrificio umano stesso è rimasto inalterato noi "poveri peccatori" ci portiamo al macello in sacrificio per l' " essenza dell'uomo", per 1' " idea dell'umanità " per 1` " umanitarismo" e come altrimenti si chiamano idoli e dei..
Il linguaggio e l' egoismo come fondamenti dell'agire normativo "Linguaggio" ed "egoismo" sono i concetti chiave utilizzati da Stirner nella sua analisi del fondamento dell'agire sociale umano regolato da norme. L'unico e la sua proprietà svolge incessantemente l'idea che dietro qualunque comportamento sociale, ivi compresi quelli apparentemente "altruistici" e/o l'ascetici, vi siano interessi assolutamente egoistici. La posizione stirneriana coniuga e porta alle estreme conseguenze le tradizioni filosofiche dell'intellettualismo etico e dell'utilitarismo: ogni essere umano regola la sua azione in base a ciò che, in un momento dato, gli appare essere il comportamento migliore in vista della soddisfazione dei suoi interessi egoistici. Quando Stirner parla di interessi egoistici non vuole intendere che il singolo potrebbe operare una scelta tra interessi "privati" ed interessi "pubblici"; la sua tesi anzi è proprio che gli "interessi pubblici ", il "bene comune", ecc. siano oggettivamente inesistenti, pure funzioni linguistico/ ideologiche con le quali si portano avanti i propri interessi privati depotenziando le altrui volontà. Ma se l'egoismo è il fondamento ultimo di ogni azione umana, come spiegare il fatto che la grande maggioranza degli uomini acconsente a formazioni politiche, modi di produzione, idee religiose e morali sfacciatamente contrari ai loro interessi? La risposta di Stirner è che l'attuale sistema di dominio deve necessariamente fondarsi sul linguaggio. Infatti gli esseri umani, per portare avanti i loro interessi, devono cooperare con i loro simili; e lo strumento indispensabile per tale cooperazione è per l'appunto il linguaggio. I meccanismi del dominio dell'uomo sull'uomo passeranno perciò anch'essi per lo strumento principe defia comunicazione intersoggettiva: la "parola". Se si tratta d'intendersi e comunicare con gli altri, posso ovviamente far uso solo dei mezzi uniani, di cui dispongo perché sono anche uomo, oltre ad essere me stesso. ( ... ) Il linguaggio o 1a parola" ci tiranneggiano nel modo più brutale perché ci sollevano contro un intero esercito di ideefisse.
Il meccanismo ideologico delle idee fisse Prima di andare avanti occorre sgomberare preliminarmente il campo da un possibile equivoco. La riflessione stirneriana non è rivolta a mettere in evidenza il fatto banale che alcuni uomini possano ingannare coscientemente altri uomini attraverso l'utilizzo di una particolare dialettica; il meccanismo linguistico /ideologico che viene analizzato è invece del tutto inconscio, al punto tale che i personaggi che ricevono evidenti vantaggi dal suo funzionamento e coloro che altrettanto evidentemente ne vengono svantaggiati possono essere accomunati dalla " fede" in esso. Torquemada e la sua vittima possono entrambi credere in perfetta buona fede nella validità del cristianesimo; anzi il potere del torturatore si basa proprio sul fatto che esiste tale condivisione. In quest'ottica il potere ottenuto di fatto da una parte della società contro la maggior parte degli uomini è un risultato del processo, non un suo scopo coscientemente perseguito . Questo meccanismo, vero e proprio fondamento della "societa gerarchica", ha molto a che fare per Stirner con la logica della follia - tant'è vero che il termine che egli utilizza per definirlo è fissazione.
Che cos'è che chiamiamo "idea fissa" ? Un'idea che ha soggiogato l'uomo. Se voi riconoscete che una tale idea fissa è sintomo di pazzia, rinchiudete chi ne è schiavo in un manicomio. E forse che la verità di fede di cui non si può dubitare, la maestà, per esempio, del popolo alla quale non si può attentare (chi lo fa è reo di lesa maestà), la virtù contro la quale il censore non può permettere una sola parola, affinché la moralità si mantenga pura, ecc., non sono tutte Idee fisse"? ( ... ) Un povero matto del manicomio è convinto,nel suo delirio, di essere Dio Padre o l'Imperatore del Giappone o lo Spirito Santo, ecc.; un bravo borghese è convinto di essere chiamato ad essere un buon cristiano, un protestante credente, un cittadino fedele, un uomo virtuoso, ecc. - bene nell'un caso come nell'altro si tratta esattamente della stessa cosa: di un "idea fissa". Chi non ha mai tentato e osato non essere un buon cristiano, un protestante credente, un uomo virtuoso, ecc, è schiavo e succube della fede, della virtuosità, ecc. Gli scolastici filosofavano solo all'interno dei dogmi della Chiesa; papa Benedetto XIV scrisse opere ponderose restando sempre all'interno delle superstizioni papistiche, senza mai metterle in dubbio; allo stesso modo ci sono scrittori che riempiono grossi in-folio sullo Stato, senza mai mettere in questione la stessa idea fissa dello Stato e i nostri giornali rigurgitano di politica, perché sono fissati sull'idea che l'uomo sia fatto per diventare uno zoon politikón; e così i sudditi vegetano nella sudditanza, i virtuosi nella virtù, i liberali nell"'umanità", ecc., senza provar mai sulle loro idee fisse il coltello tagliente della critica. E cosi quei pensieri sono ostinati e irremovibili come le manie di un pazzo: chi li mette in dubbio, compie atto sacrilego. Ecco cos'è veramente sacro: l'idea fissa.
Il meccanismo che Stirner descrive è fondato sostanzialmente su di un meccanismo di depotenziamento della volontà politica delle classi subalterne. Il testo stirneriano inizia difatti proprio con la constatazione che le classi superiori - "coloro per la cui causa noi dobbiamo lavorare, sacrificarci ed entusiasmarci, posseggono la capacità politica di far passare i propri interessi privati per interessi pubblici. Le religioni di tutti i tempi, ivi compresa l'attuale "religione dell'Uomo", sono interpretate da Stirner come puri meccanismi ideologici. Le classi superiori non affermano affatto di voler portare avanti i propri interessi privati e di subordinare a questi ogni interesse altrui, e in primo luogo gli interessi dei senza potere: esse affermano al contrario di voler portare avanti obiettivi per quest'ultimi psicologicamente e/o socialmente desiderabili, almeno all'apparenza. Questi obiettivi vengono ampiamente sbandierati ed utilizzati come collante sociale, meccanismo ideologico unificante dei desideri di tutti gli strati della società: il servo e il padrone hanno tutti uguale interesse a salvarsi l'anima, a captare la benevolenza della divinità sulla società nel suo complesso, a mostrarsi potenti verso i nemici esterni, a combattere la disoccupazione... Le classi dominanti si fanno allora benignamente carico del compito di portare a compimento tali obiettivi, "sacrificandosi" per essi. Per un puro caso, però, le strategie volte a conseguire tali obiettivi "collettivi" coincidono stranamente con gli interessi privati dei potenti. Come è possibile che le classi subalterne caschino da millenni in un simile inganno, apparentemente facile da smascherare? Questo accade perché gli interessi privati delle classi subalterne vengono accusati di egoismo,ovvero di voler sabotare in maniera bieca il "bene pubblico". Le classi subalterne vengono educate ad aver vergogna di sé, dei propri desideri,della loro stessa vita; qualunque loro azione non subordinata agli interessi dei ceti dominanti è bollata come "asociale", " dominata da volgari interessi privati" e additata al pubblico ludibrio. La richiesta di un piccolo aumento salariale da parte dei lavoratori viene negata come contraria agli interessi della società, dello sviluppo dell'economia, della creazione di nuova occupazione, ecc., mentre l'arricchimento dei grandi proprietari e dei burocrati statali viene fatta apparire come un mezzo per conseguire il "bene pubblico". Accade così che le stesse classi subalterne educate partecipino alla repressione di quelle sue componenti che vogliono, coscientemente o perché giunte alla disperazione, dar libero sfogo al loro egoismo; esse per prime credono infatti che il perseguimento degli "Interessi pubblici" comporti la loro subalternità. " Le cose vanno male perché finora abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità ": un tale modo di pensare,implicitamente autodenigratorio, ha necessariamente come corollario che gli interessi della iiazione possono venire realizzati solo attraverso l'arricchimento di chi è già ricco ed il contemporaneo impoverimento ulteriore di chi povero già è. I poveri, i senza potere, vengono così intrappolati nel meccanismo inutile ed anzi controproducente della denuncia morale: invece di perseguire coerentemente e senza remore i propri interessi privati, si limitano di solito ad accusare i potenti di "cattiveria", di "immoralità", insomma di egoismo. Ma condannando la prassi dell'egoismo essi non fanno che introiettare sempre di più quel meccanismo che li ha depotenziati politicamente, portandoli a rinnegare i propri interessi, a farli vergognare di se stessi e a credere che - se non l'azione del singolo potente - gli interessi privati delle classi dominanti coincidano proprio con l'interesse generale della società".
Secondo la borghesia ognuno è possessore o "proprietario". Come mai, allora, i più non hanno praticamente niente? Dipende dal fatto che i più sono contenti già solo del fatto di essere possessori, anche se quel che posseggono non sono che i loro stracci.
Poiché nella società si manifestano i peggiori disagi, soprattutto gli oppressi, cioè gli appartenenti alle classi sociali inferiori, pensano di trovare la colpa nella società stessa e si pongono il compito di scoprire la società giusta. Solo il vecchio fenomeno per cui si cerca la colpa in tutti gli altri prima che in se stessi; la si cerca quindi nello Stato, nell'egoismo dei ricchi, ecc. i quali invece debbono la loro esistenza proprio alla nostra colpa".
Voi ripetete sempre meccanicamente a voi stessi la domanda che avete sentito porre: "A che cosa sono chiamato? Che cosa devo fare?". Basta che vi poniate queste domande e vi fate dire e ordinare ciò che dovete fare, vi farete prescrivere la vostra vocazione
Questo, secondo Stirner, è il meccanismo ideologico con il quale le classi subalterne vengono depotenziate políticamente e instradate in un vicolo cieco. Credendo di perseguire il loro interesse, esse in realtà inseguono solo dei fantasmi senza esistenza oggettiva - la volontà di Dio, l'essenza dell'Uomo, il bene pubblico, la giustizia, l'altruismo, ecc. - e così facendo consentono paradossalmente all'interesse delle classi dominanti: ' il bene comune può esultare mentre io devo 'chinare la testa', lo Stato può prosperare nel modo più splendido mentre io faccio la farne.
Il consenso come fondmaento dello stato Il potere politico, lo Stato, è quindi nell'analisi di Stirner l'esatto contrario di unafunzione pubblica. Vale la pena di specificare che la gestione privatistica delle funzioni di governo appare essere un momento strutturale del potere politico e non un dato storico contingente - una sorta di usurpazione in vista dei loro scopi privati che alcuni uomini fanno di quelle che dovrebbero essere delle istituzioni dedite alla cura degli interessi collettivi. Quest'ultimo ragionamento Stirner lo bolla come un cedimento alla retorica del "dover essere": gli uomini di Stato dovrebbero accantonare i loro interessi particolari, e dovrebbero dedicarsi agli interessi pubblici. Sta di fatto che ogni singolo ha interessi diversi da quelli di ciascun altro, che gli " nteressi generali della società" e cose simili si sono dimostrati essere nientr'altro che meccanismi ideologici per portare avanti al meglio determinati interessi privati. Dal momento quindi che esistono solo ed esclusivamente interessi privati, lo Stato nell'analisi stirneriana non è altro che il privato più "forte" - così forte proprio perché riesce a convincere il resto della società che il perseguimento dei suoi scopi privati coincide proprio con il "bene pubblico".
Tutti i tipi di governo partono dal principio che tutto il diritto e tutto il potere appartengono al popolo preso nella sua collettività. Nessuno di essi, infatti, tralascia di richiamarsi alla collettività e il despota agisce e comanda In nome del popolo" esattamente come il presidente o qualsiasi aristocrazia.
Il fondamento della potenza dello Stato è dunque il paradossale consenso alla sua politica - in primo luogo alla "necessità" della sua esistenza -che questi riesce ad estorcere all'intera società, soprattutto alle classi inferiori che ne subiscono gli effetti negativi.
L'operaio starebbe davvero molto meglio se il padrone, con le sue leggi, le sue istituzioni, ecc. - tutte cose poi che è l'operaio a pagare - non esistesse affatto. Ma con tutto ciò il povero diavolo arna lo stesso il suo padrone.
Come nella cinquecentesca analisi di La Boétie' anche per Stirner quindi il vero fondamento della tirannia - che per lui coincide tout court con lo Stato - non sono i pur importanti apparati militari e burocratici, bensì il paradossale consenso che questi riesce ad estorcere ai dominati. Senza l'educazione dei sudditi a quella paradossale forma di consenso che egli chiama fissazione, "credenza nei fantasmi", "idee fisse", il potere politico resterebbe in piedi ben poco.
L'egoismo come fondamento dell'uguaglianza reale e del rifiuto del consenso Se le classi dominanti fanno leva sull'egoismo altrui - cercano infatti di convincere le classi dominate che i loro interessi coincidono con quelli del potere - è segno evidente per Stirner che questa è l'unica molla dell'agire umano. Unica possibile strategia di rifiuto del consenso dovrà perciò passare a sua volta proprio per " l'egoismo", per i " biechi interessi materiali del singolo". In effetti, la tesi di Stirner è che l'egoismo è distruttivo se e solo se una parte della società è depotenziata in questo suo egoismo, a tutto vantaggio della parte restante. Un egoismo generalizzato, invece, eguaglierebbe di fatto le condizioni umane, impedendo la formazione della gerarchia sociale. "Ciò che Stirner vuol dire è evidente: la scelta che si pone non è tra arbitrio personale da un lato e ordine legale/morale dall'altro. La scelta effettiva è fra un arbitrio personale nudo e quindi non pericoloso, ed un arbitrio personale che, grazie alle armi della morale e della legge, può assumere una legittimazione, una potenza e una impunità, e può quindi esaltare a dismisura la sua componente distruttiva, che sarebbe rimasta, altrimenti, di dimensioni innocue". La generalizzazione dell'egoismo porterebbe quindi di fatto ad una società egualitaria, anche se Stirner non ama questo termine. Il riconoscimento dell'unicità dei singoli, delle loro aspirazioni, dei loro interessi e desideri, impedirebbe infatti la formazione delle gerarchie sociali. Se non hanno fantasmi da adorare e/o da temere, idoli cui sacrificarsi, gli individui venderanno a caro prezzo la loro merce, e nessuno sarà perciò più in grado di sfruttare il lavoro altrui. ll "proletario" Stirner suggerisce perciò alla classe sociale di cui sociologicamente fa parte di valorizzare al massimo le proprie capacità lavorative, di non svenderle a nessun costo nei confronti delle classi dominanti, impedendo così il perpetuarsi del meccanismo gerarchico.
Noi non vogliamo regali da voi, ma non vogliamo nemmeno regalarvi niente. Per secoli vi abbiamo fatto l'elemosina per generosa stupidità, abbiamo dato l'obolo di noi poveri a voi ricchi, vi abbiamo dato ciò che non vi appartiene, è giunto il momento che apriate la vostra borsa, perché d'ora in poi la nostra merce comincerà a salire vertiginosamente di prezzo.
Una tale azione presuppone il rifiuto del consenso non alla singola politica statale e/o padronale ma all'idea di potere politico in quanto tale, in altre parole la fuga dai meccanismi ideologici su cui si fondano i legami "religiosi" della società gerarchica. Va tenuto presente che per Stirner la borghesia non è la classe detentrice del potere statale, bensì una classe vassalla nei confronti del potere dello Stato. Lo Stato è per Stirner l'unico vero proprietario che concede in feudo ad alcuni dei suoi servi più fidati alcune parti della sua proprietà, sapendo di poterle avere indietro in ogni momento attraverso il diritto di esproprio (per questo egli vede nei progetti di Weitling e Marx di statalizzazione dei mezzi di produzione una semplice variante del capitalismo). La classe "proprietaria", in cambio del suo feudo, svolge funzioni di controllo sulla classe lavoratrice e attira su di sé gli odi di questa, che spesso vedono nello Stato un possibile difensore contro le angherie dei suoi feudatari. La concessione in feudo della proprietà dei mezzi di produzione permette così allo Stato di diffondere nella società una sorta di versione moderna della favola del Re Buono e dei Ministri Cattivi. Rifiutare il consenso alla società gerarchica significa dunque, per Stirner, rompere il meccanismo ideologico di autodenigrazione che porta il singolo a rinnegarsi, a credersi un essere abietto, le cui inclinazioni e i cui desideri devono necessariamente passare in secondo piano davanti a Dio, alla Patria, alla Nazione, al Bene Pubblico, all'Interesse Generale, alla Società, alla Comunità, alla Chiesa, all'Uomo, alla Verità, alla Santità e via all'infinito. Per questo Stirner afferma che noi viviamo ancora pienamente immersi in una cultura mitico /religiosa: dal suo punto di vista è assolutamente indifferente inginocchiarsi davanti alla volontà di Dio o all'essenza dell'Uomo, alla Fede o alla 'Ubertà". Avremo sempre a che fare con meccanismi ideologici che depotenzieranno alcuni individui a tutto favore di altri, creando servi e padroni - la società gerarchica. Negare il consenso a tali meccanismi ideologici appare a Stirner come l'unica strada dotata di senso per la costruzione di una società in cui la follia non sia la norma dominante, al punto tale da far apparire degni di alta considerazione ed offerti a modelli di comportamento i comportamenti più assurdi ed autolesionisti.
Come non esaltare la coscienza di Socrate, che gli fa rifiutare il consiglio di evadere dal carcere? Ma non capite che Socrate è pazzo a concedere agli ateniesi il diritto di condannarlo? (...) Il fatto di non fuggire fu appunto la sua debolezza, il suo delirio, per cui credeva di avere ancora qualcosa in comune con gli ateniesi, ossia l'idea di essere un membro (e solo un membro) di quel popolo. (...) Avrebbe dovuto restare sulle sue posizioni e, dato che non aveva pronunciato contro se stesso una sentenza di morte, avrebbe fatto bene a disprezzare la sentenza degli ateniesi e a fuggire. Ma egli, invece, si sottomise, riconoscendo nel popolo il suo giudice,immaginando di essere piccola cosa di fronte alla maestà del popolo. Il fatto di sottomettersi, come a un "diritto", al potere violento al quale in realtà soggiaceva, fu tradimento di se stesso: fu virtù.
Stirner vede dunque nella Società senza Stato - in quella che lui chiama l' " Associazione degli Egoisti", il compimento definitivo del processo storico di demitizzazione avviato al tempo dell'antica Grecia. Gli esseri umani hanno imparato col tempo che gli esseri supremi delle religioni non erano altro che fantasmi; ora è auspicabile che ogni singolo giunga finalmente a comprendere di non avere un fine nella vita cui tendere, diverso dai suoi desideri e dalle sue aspirazioni. L'uomo singolo non deve diventare un "vero Uomo" più di quanto un cane deve diventare un "vero Cane". t questo l'in- segnamento più interessante che la lettura di un testo come L'unico e la stia proprietà può dare: il gioco dell'autodenigrazione, del sentirsi impotenti ed umili di fronte ad entità esterne, qualunque esse siano, di rinnegare la propria individualità, il proprio specifico senso della vita a favore di sensi a noi estranei è un gioco senza senso; che, infine, dietro l'apparente razionalità del consenso all'ideologia "umanistica", alla società capitalistico /liberale moderna, può nascondersi una lucida - ma non per questo meno distruttiva - follia.
Appendice
Chiarimenti innescati dal dibattito seminariale a) Stirner e la Tradizione Filosofica. Stirner ha subito, nel corso degli anni, una lettura sostanzialmente legata al cosiddetto "irrazionalismo" o, per utilizzare una terminologia maggiormente in voga, al "pensiero debole": in particolare, il nome cui è stato più frequentemente legato è stato quello di Nietzsche. Mi sembra invece evidente che una tale lettura sia inconsistente e, in larga misura, dovuta ad un sostanziale fraintendimento del suo pensiero. Alcuni chiarimenti preliminari: il termine "Filosofia", come molti altri, è usato in svariate accezioni, sia "colte" sia "popolaresche". Lo si usa talvolta per indicare la complessiva "visione del mondo" di una persona, in altre parole l'insieme delle sue idee sul mondo, sulla conoscenza, sulla politica, sulla vita sociale, sulla religione... Altre volte, invece, lo si usa per indicare una qual certa abilità nel sapersi muovere tra le cose del mondo, nelle difficoltà della vita quotidiana, nell'adattarsi alle circostanze senza però lasciarsene sopraffare. Altre volte, invece, si usa il termine per indicare una visione del mondo argomentata razionalmente e con estremo rigore concettuale. Si usa il termine in questo senso - sostanzialmente come sinonimo di "scienza" soprattutto in area linguistica anglosassone. Il termine è usato talvolta anche per indicare un atteggiamento di pensiero "aperto" rivolto continuamente all'indagine, "critico". Altre volte, infine, si usa il termine 'Filosofia" per indicare una particolare scienza, nata in Grecia più di duemilacinquecento anni fa in contrapposizione alle forme del pensiero mitico, che cerca di trovare e analizzare il fondamento logico di verità di qualsiasi conoscenza (scientifica, morale, religiosa, politica, ecc.). Si usa allora il termine con questo significato quando si fa riferimento - come abbiamo già accennato - ad un sapere scientifico che indaga soprattutto - anche se non esclusivamente - le verità "assolute", in quanto esse, essendo valide sempre e comunque, indipendentemente dal particolare linguaggio usato o dal contesto cui si applicano, possono essere usate come fondamento logico, criterio ultimo di giudizio di validità, per tutte le altre verità. Ovviamente qui non si tratta di stabilire un uso "giusto" o "sbagliato" del termine; gli usi di un termine sono usi, e basta. Una comunità di parlanti può utilizzare quel suono o quel segno grafico attribuendogli il significato che gli pare, purché sia cosciente di ciò e non cada negli equivoci. Quello che, però, può essere evidenziato in maniera oggettiva è che l'ultimo significato del termine - Scienza del Fondamento - è qualcosa di assolutamente peculiare nella cultura umana: mentre tutti gli altri significati lo portano verso la confluenza con altri aspetti culturali ("visione del mondo", "scienza", "saggezza", "atteggiamento critico"),l'aspetto di riflessionefondazionale è invece unico ed in confondibile. Stirner, mi pare evidente, rientra a pieno in questa concezione,"forte",fondazionalistica, della Filosofia: il suo argomentare si basa proprio sul non dare per scontato nulla, nel richiedere ad ogni concetto di andare ben oltre l'accettazione del senso comune, e da questo punto di vista i suoi debiti con Hegel sono enormi21. Lungi dal riconoscersi in un generico e banale appello ad un nichilismo gnoseologico e/o ontologico, la sua causa è fondata "sul Nulla" dell'inconsistenza delle argomentazioni ideologiche, delle "dee fisse" che sostanziano la società gerarchica, che egli sottopone ad un'analisi stringente e "nullificante".
b) Il Linguaggio come Fondamento della Società. Di là da tutto ciò, è poi lo stesso contenuto della sua opera maggiore, come abbiamo visto, ad essere tipicamente "fondazionalistico". Stimer, come abbiamo visto, svaluta sia il livello politico, sia il livello economico, sia il livello culturale, come strutture portanti dell'essere sociale: tutte queste strutture, infatti, non potrebbero essere quelle che sono indipendentemente dal linguaggio. Il linguaggio, dunque, non è per nulla un semplice strumento, più o meno accidentale, bensì è il vero fondamento dell'agire sociale umano, ciò che ne caratterizza l'essenza, e per comprendere i paradossi della società - il consenso sostanziale dei sudditi alla loro penosa condizione, in primo luogo - è nelle sue caratteristiche, nelle sue potenzialità che egli indaga. Il linguaggio gli appare dotato di caratteristiche distruttive - le "idee fisse" - ma anche foriero di potenzialità positive enormi. In effetti, egli ritiene che la società gerarchica sia una società assurda, delirante, non in quanto fondata sul linguaggio tout court, bensì in quanto fondata su di un uso folle e iniproprio del linguaggio stesso. La sua idea di una Associazione degli Egoisti è legata, a doppio filo, al concetto che un uso diretto e proprio del linguaggio - della comunicazione intersoggettiva - sia lo strumento per la creazione di una società radicalmente egualitaria. Per abbattere le "fissazioni", per guarire l'umanità dalla follia, Stirner invita ad un uso ampio e senza remore della razionalità, del principio logico di causalità e di quello di non contraddizione. L'uso "folle" del linguaggio - e la conseguente follia sociale che ne consegue - sono per lui proprio il risultato della rinuncia, implicita od esplicita, dei principi logici alla base del linguaggio corretto. Il "sacro" è per lui proprio questo, e vale la pena di richiamare, stavolta a questo riguardo, una precedente citazione di un passo della sua opera maggiore:
Che cos'è che chiamiamo " idea fissa"? Un'idea che ha soggiogato l'uomo. Se voi riconoscete che una tale idea fissa è sintomo di pazzia, rinchiudete chi ne è schiavo in un manicomio. E forse che la verità di fede di cui non si può dubitare, la maestà, per esempio, del popolo alla quale non si può attentare (chi lo fa è reo di lesa maestà), la virtù contro la quale il censore non può permettere una sola parola, affinché la moralità si mantenga pura, ecc., non sono tutte " dee fisse"? (...) Un povero matto del manicomio è convinto, nel suo delirio, di essere Dio Padre o l'Imperatore del Giappone o lo Spirito Santo, ecc.; un bravo borghese è convinto di essere chiamato ad essere un buon cristiano, un protestante credente, un cittadino fedele, un uomo virtuoso, ecc. - bene nell'un caso come nell'altro si tratta esattamente della stessa cosa: di un "idea fissa". Chi non ha mai tentato e osato non essere un buon cristiano, un protestante credente, un uomo virtuoso, ecc. è schiavo e succubo della fede, della virtuosità, ecc. Gli scolastici filosofavano solo all'interno dei dogmi della Chiesa; papa Benedetto XIV scrisse opere ponderose restando sempre all'interno delle superstizioni papìstiche, senza mai metterle in dubbio; allo stesso modo ci sono scrittori che riempiono grossi ín-folio sullo Stato, senza mai mettere in questione la stessa idea fissa dello Stato e i nostri giornali rigurgitano di politica, perché sono fissati sull'idea che l'uomo sia fatto per diventare uno zóon politikón; e così i sudditi vegetano nella sudditanza, i virtuosi nella virtù, i liberali nell "'umanità", ecc., senza provar mai sulle loro idee fisse il coltello tagliente della critica. E cosi quei pensieri sono ostinati e irremovibili come le manie di un pazzo: chi li mette in dubbio, compie atto sacrilego. Ecco cos'è veramente sacro: l'ídeafissa
Lo stato di follia causato dall'uso improprio del linguaggio è per lui fondamentale: se i meccanismi ideologici del dominio possono agire con dilaniante potenza, creando i sommi deliri e dolori della società gerarchica, è proprio perché essi agiscono in una collettività che è stata educata a svalutare gli strumenti sommi del linguaggio, i suoi principi logici di base. La potenza dell'analisi stirneriana è evidente se solo si pone attenzione al fatto che, oggi, l'Occidente industrializzato, nonostante gli indubbi progressi in tutti i campi del sapere oggettivo, ha adottato, come "principio dell'opinione pubblica% non solo un generico umanesimo retorico, ma addirittura posizioni irrazionalistiche, emarginando di fatto, nell'ambito della disciplina filosofica, qualunque riflessione coerentemente razionale. La spiegazione da dare a questo dato di fatto non può essere altro che la necessità del controllo ideologico delle classi subalterne. I meccanismi ideologici del dominio hanno bisogno, in altri termini, di persone educate ad accettare per vere conclusioni contraddittorie con le premesse, a non notare la contraddizione tra mezzi e fini, ecc. Nel passato, questo ruolo "educativo" era svolto esclusivamente dalla religione. La pratica religiosa era quasi sempre, per la stragrande maggioranza delle persone tenute fuori di qualunque processo di scolarizzazione, la fonte principale di acculturazione. Una fonte, questa, che combatteva strenuamente, persino nelle classi dominanti, la diffusione di una cultura scientifica e filosofica seria, portatrice in altri termini di una prassi coerente di ricerca della verità oggettiva. La Rivoluzione Industriale, però, ha imposto una sempre maggiore scolarizzazione delle classi subalterne, accrescendo le potenzialità di un loro accesso ad una forma mentis razionale e, di conseguenza, di un loro sganciamento dal controllo ideologico del dominio. L'apologia contemporanea delle varie forme di irrazionalismo, allora, può essere letta come una sorta di "meccanismo di assicurazione" da parte delle classi dominanti nei confronti del rischio di essere costrette ad "esporre" le classi dominate ai meccanismi logici della razionalità. Le masse vengono " istruite", in altre parole introdotte ad una serie di contenuti e di strutture argomentative valide nell'ottica di un sapere oggettivo forte. Al tempo stesso, però, questi stessi contenuti e strutture argomentative vengono, ad un livello metalinguistico e con una enorme pressione sociale, fortemente negati e svaltitati in quanto tali. L'obiettivo cardine di un tale processo è stato l'infiltrarsi nella stessa cultura del movimento operaio e socialista di tensioni irrazionalistiche, allo scopo di depotenziarne le poten~ zialità sovversive dello stato di cose presente. La cultura contemporanea è perciò rinchiusa in un tipico "doppio legame", resa schizofrenica, immersa in un contesto dove, alla fine dei conti, l'unica "verità" che conta - e che resta sostanzialmente indiscussa, nonostante le sue palesi contraddizioni - è quella del potere.
c) La Questione dell'Uguaglianza. Ho già ricordato che Stirner usa raramente il termine "uguaglianza", eppure non v'è filosofo che prima di lui abbia così radicalmente sostenuto la tesi della perfetta equipollenza di tutti gli esseri umani - detto per inciso, questo è uno dei punti che più rendono difficile il suo accostamento a Nietzsche, che sostiene con altrettanta radicalità la tesi opposta. Il paradosso è facile da spiegare: sinora si è cercato, a giudizio di Stirner, di comparare l'uomo all'Uomo, alla sua idea o, meglio, ad un suo ideale. Uguaglianza, allora, diveniva un compito: occorreva adeguarsi ad un modello, divenire un "vero uomo" e, anche se si presupponeva l'uguaglianza radicale di tutti gli uomini, in realtà si finiva sempre in un nuovo modello cui, di là dalle belle intenzioni dei suoi autori, alcuni uomini corrispondevano, altri meno... Per Stirner, invece, noi siamo già uguali ora perché siamo sin da ora tutti diversi. Nulla dell'umano - dell'homo sapiens sapiens - ci è alieno, ma ognuno di noi ha declinato la propria umanità in modo unico, irripetibile ed imparagonabile. Di conseguenza, nessuno di noi è "più o meno" uomo di altri, proprio perché un modello della declinazione dell'umano, cui paragonare i singoli individui effettivamente esistenti, non esiste. Di conseguenza, la società gerarchica non ha fondamento se non sul Nulla. Unica società che possa vantare credito nei confronti della ragione o, meglio, di un uso proprio del pensiero, è solo quella egualitaria. Non a caso perciò, più che alla cosiddetta corrente " Individualista" - ben più influenzata dal superominismo nietzscheano e, dunque, da un dover essere modellizzante dell'Uomo - Engels vede l'eredità stirneriana nella corrente comunista dell'anarchismo, l'unica, in effetti, teoria politica che ha provato a sostanziare concretamente l'idea di un' " Associazione degli Egoisti": un Unione senza Valore, radicalmente egualitaria, non basata su di un modello dell'umano da raggiungere, ma solo sulla reciproca e pianificata cooperazione per il raggiungimento del maggior benessere possibile del singolo, che è sempre libero di scindersi da essa e di riorganizzarsi al meglio con chi gli pare, dove le decisioni valgono solo per chi le accetta. Stirner, d'altronde, per quanto la cosa possa sembrare paradossale, è ben poco "individualista" e notevolmente "realista" nel delineare il rapporto tra gli "unici" e le loro associazioni egualitarie: lo è certamente, ed ecco un nuovo apparente paradosso, ben più del suo antagonista Karl Marx. E nota,infatti, la riflessione del pensatore socialista tedesco volta al rifiuto della elaborazione utopistica. Nel suo rifiuto di "prefigurare il futuro" egli però si costringe, ogni qualvolta è portato a descrivere in qualche modo l'obiettivo del movimento socialista, ad una notevole genericità o, talvolta, ad una sorta di pseudo-utopismo del tutto irrazionale, privo in pratica di quell'aspetto di progettazione sociale razionale che caratterizza il pensiero utopico. Quest'aspetto è stato messo in rilievo soprattutto da Domenico Losurdo:
Nella società comunista, in cui nessuno ha una sfera di attività esclusiva ma ciascuno può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo rende possibile fare oggi questa cosa, domani quell'altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi viene voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico" [MEW, vol. III, p. 331). Se accogliamo tale definizione, allora il comunismo presuppone uno sviluppo così prodigioso delle forze produttive da cancellare i problemi e i conflitti relativi alla distribuzione della ricchezza sociale e quindi relativi al lavoro, e alla misurazione e al controllo del lavoro, necessario alla sua produzione; anzi, così configurato, il comunismo sembra presupporre la scomparsa, oltre che dello Stato, della divisione del lavoro, e in realtà dello stesso lavoro, il dileguare, in ultima analisi, di ogni forma di potere e di obbligazione.
La tesi generale di Losurdo è che Marx sarebbe condizinato da posizioni "anarchiche : egli dimentica però che queste posizioni marxiane nascono proprio come critica all'anarchismo. Le pagine citate, che s'inseriscono nella tematica della "abolizione del lavoro ", sono nate, infatti, proprio all'interno della Polemica antistirneriana. Stirner, infatti, riteneva impossibile tale abolizione e poneva invece ad obiettivo della unione degli Egoisti", dell'azione dei proletari, la liberazione del lavoro" dal capitalismo e dallo Stato: " Lo Stato si fonda sulla schiavitù del lavoro; se il lavoro diventerà libero, lo Stato sarà perduto. Anche la prefigurazione della scomparsa di ogni forma di potere e di obbligazione fa parte della polemica antianarchica di Marx: Stirner, infatti, affermava che: " è ben vero che una società a cui aderisco mi toglie alcune libertà, ma in compenso me ne concede altre; non c'è niente da dire nemmeno sul fatto che io stesso mi privo di questa o di quel la libertà ( ... ). Per quel che riguarda la libertà, non vi è differenza essenziale tra lo Stato e l'unione. Neppure la seconda può nascere o conservarsi senza che la libertà venga limitata ( ... ). La religione e in particolare il cristianesimo, hanno tormentato i uomo con la pretesa di realizzare ciò che è contro la natura e contro il buon senso; l'autentica conseguenza di questa esaltazione religiosa, di questa tensione esagerata è nel fatto che la libertà stessa, la libertà assoluta, venne alla fine innalzata ad ideale ( ... ). Stirner, insomma, una volta analizzato con l'attenzione che merita, fa piazza pulita di un'infinità di preconcetti - anche quelli nati all'interno di coloro che pretendono di ripeterne il pensiero. Un motivo di più per leggerlo con occhi naiv.
Questioni di Fondazione della Società
Lettura de "L'Unico e la sua Proprietà" di Max Stirner
di Enrico Voccia
tratto da "Antosofia-Potere 1"
edizione Mimesis Eterotopie, 2003

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