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lunedì, giugno 30, 2014

Libero Tancredi: l'anarchismo contro l'anarchia da Anarcotico.net

Nessuno può negare che Libero Tancredi alias Massimo Rocca si sia convertito al fascismo, anzi, che nel 1919 ne sia stato un fondatore.
Questo è un fatto. Ma questo fatto non deve portare all'equipollenza tra anarchismo individualistico, ed in particolare la notevole esperienza animata da Rocca stesso prima della Grande Guerra, di cui intendo parlare, e fascismo.
L'unico Libero Tancredi alias Massimo Rocca che mi appartiene e che rivendico è l'individualista novatore, stirneriano-nietzscheano, in seguito superbo vergatore dell'opera "L'anarchismo contro l'anarchia. Studio critico-documentario", Pistoia, Il Rinascimento, 1914.
Collaboratore del "Grido della folla" nel 1905, ma desideroso di avere una personale palestra di idee, egli diede vita l'anno seguente a "Il Novatore anarchico", una delle riviste più iconoclaste della storia dell'anarchismo, improntata all'esaltazione dell'amorfismo etico, della violenza liberatrice, del neopaganesimo, ed ispirantesi all'esempio del protagonista della tragedia di D'Annunzio "Più che l'amore", Corrado Brando, eroe immoralista e selvaggio, eversore di ogni norma.
Il novatore, l'uomo nuovo, era una figura luminescente e sfolgorante, contrapposta alla moltitudine dei servi responsabili della propria schiavitù. Infatti, "nella società borghese nessuno è innocente", aveva scritto Giuseppe Ciancabilla. La violenza era pertanto vissuta da questi compagni novatoriani come leva potente che sconquassa ogni catena ed ogni dogma, poesia ribelle che sparge l'entusiasmo e schiude il cammino all'umanità, fattore vitale e liberatore in contrapposizione al quietismo, alla viltà e alla morte.
Tutte queste considerazioni finirono, anziché per sviluppare il sano germoglio della giusta rivolta individuale contro tutto e tutti, per produrre nel pensiero di Tancredi una valutazione positiva in senso libertario del fenomeno della guerra, estremo atto e concretizzazione invece della prepotenza del Dominio borghese-statale.
È in questa chiave, seguendo codesta prospettiva che Tancredi sarà a fianco dei sindacalisti rivoluzionari interventisti durante la guerra di Libia del 1911-12, che egli considerò una conquista rivoluzionaria, perché avrebbe insegnato al proletariato armato il modo per eliminare "il feudalesimo monarchico-clerico-sociale-austriacante" in nome di un "neonazionalismo proletario", e durante la prima guerra mondiale (1914-1918). Ma fu proprio alla vigilia di questa guerra che Tancredi ci consegnò il suo ultimo "scatto di reni" squisitamente ancora anarchico, proprio con l'opera già citata del 1914 "L'anarchismo contro l'anarchia". Punto focale della riflessione di Rocca era la contrapposizione fra la rigidità formale dell'anarchia, intesa come dottrina filosofico-politica, e l'energia liberatoria dell'anarchismo.
Se l'anarchia rappresentava il mito elevato a dogma, "una concezione trascendente e superiore e padrona anche di chi vi crede", l'anarchismo era invece più propriamente una disposizione dello spirito, "l'eterna sete di progresso, di libertà, di novità", incarnantesi nella rivolta, "nel senso più puro ed etico del termine", al punto che "tutte le rivolte passate e future, tutti gli ideali nel loro senso dinamico", potevano considerarsi sue manifestazioni.
Al libro di Rocca era premessa una breve missiva di Arturo Labriola, a riprova dei legami esistenti tra l'anarchico individualista torinese e il mondo del sindacalismo rivoluzionario italiano, che professava la propria ammirazione per l'autore, definendolo "uno degli scrittori politici più colti e completi".
La summa dell'intera opera va sicuramente ricercata in queste parole: "Dal momento che io persisto a dichiararmi ed a sentirmi anarchico, senza curarmi dell'altrui divieto o permesso, credo e persisto a credere che l'anarchismo, quale energia critica di pensiero e di temperamento individuale, e quale affermazione ribelle di valori etici nuovi, possa avere una vasta ed importante funzione da compiere, a lato dei movimenti pratici: credo anzi che dell'anarchismo ve ne sia molto oggidì - fuori degli anarchici ufficiali - nelle minoranze che formano la parte più viva suscitatrice della vita pubblica odierna".
Successivamente le posizioni che assunse Rocca non possono definirsi altro che degne del più radicato e sincero disprezzo.
È soltanto questo, pertanto, il Libero Tancredi alias Massimo Rocca che mi aggrada, il prefascista; ma non ho assolutamente l'intenzione di seguire la china del liberismo e del fascismo, concedendo in questa guisa carta bianca a Idee Metafisiche, fantasmi che sono parto di fantasie malate e mostruose, come sottolinea Stirner, e che schiaccerebbero con i loro dogmi e i loro commi la mia unica, irripetibile e disperata individualità.
Io non piegherò di fronte ad esigenze nazionali, sociali, di classe, di Stato, di gruppo, di ceto, di tipo etico. Professo invero il nichilismo etico così sapientemente illustrato da Nietzsche nella sua "Genealogia della Morale" (1887). Quivi viene insegnato agli spiriti liberi l'ultimo meridiano da superare, l'ultima frontiera da varcare, l'ultimo idolo da abbandonare: ossia la fede nella verità. Superando la cinta delle mura leonine verifichiamo l'inanità e la perversione di ogni fede: è il non plus ultra. Il mio odio è inestinguibile perché si nutre del sacro fuoco che arde presso il Sacello del Dolore, eterno monumento agli affanni e alle ingiustizie subite da tutti gli esseri viventi, umani e non umani. La mia ragione è obnubilata da questa rabbia e tutto ad essa sacrifica.
Basta con i Grandi Sinedri dell'anarchia! Io sono anarchico, sì, e sono solo. Una voragine vertiginosa si spalanca all'orizzonte onirico e nebbioso del mio Calvario, della via che mi sono prefisso, il crinale della lancinante e rutilante disperazione; tutto trascolora, tutto si confonde. È il Nulla. E noi, zeloti instancabili del Verbo nichilistico, ne professiamo la sacertà.
Poi, quel che importa è di vivere, di vivere intensamente - di "diffondersi" direbbe Jean Marie Guyau - di "conquistare" direbbe Friedrich Nietzsche - di utilizzare il tempo non in futilità puerili, ma a perseguire un ideale di bellezza, di forza, di amore... trarre dalla nostra anima come da un meraviglioso eptacordo tutti i suoni, tutti i canti e le nuove e le vecchie armonie... infine - giunti all'ultima sera - colla calma degli stoici antichi - calare nel regno delle ombre...
La guerra, in ogni modo, scrive Oriani, è l'essenza della vita: i suoi modi possono attenuarsi e la sua passione ingentilirsi, ma la guerra non finirà.
"Quale differenza corre tra il fanatico che si lascia castrare per i suoi dei, il patriota che si fa uccidere per il suo Paese, e il sovversivo che cade evocando la redenzione collettiva? Nessuna! Nella stessa guisa, hanno perduto la coscienza del proprio IO, e perseguono un fantasma irraggiungibile. Sono dei deboli. Essi non sentono la propria individualità che vuole affermarsi, godere, vivere. E vorrebbero che io li seguissi. Io scettico, iconoclasta, cinico. Vorrebbero che mi sacrificassi per la plebe stupida, grossolana e volgare. Io che voglio bere il profumo della Vita e inebriarmi di Bellezza, che voglio aspirare l'aere della Libertà sconfinata, per ricevere infine il bacio della Morte. Io tanto superiore alla mediocrità. Io lotto per me, unicamente per me. Sono al di là del Bene e del Male".
(Enzo Martucci, brani estrapolati dall'articolo "Il mio individualismo", comparso sulla rivista "L'Iconoclasta" del 15 Maggio 1920)

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