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venerdì, giugno 25, 2010

CARLO MOLASCHI: DAL SUPERUOMO ALL'IDIOTA da Anarcotico.net

Molto spesso il nome di Carlo Molaschi (1886-1953) è risuonato in questo luogo dannato e ha fatto vibrare le corde degli strumenti plumbei delle nostre emozioni; Molaschi è stato sovente nominato in queste pagine con rancore, acredine, con quell'irrispettosa avversione che suscita il puerile voltagabbana, il traditore, il giovane saltafossi verso il quale tante speranze si erano appuntate.
A lui, che aveva dimostrato come l'individualismo nietzscheano potesse esacerbare gli animi ma non sospingerli ad una furia cieca ed istituzionalizzata bensì allo sbranamento dell'Ordine societario in ogni sua espressione, e come potesse condurre al rifiuto della guerra della violenza ma nondimeno alimentare l'apoteosi della violenza della guerra-antisociale per eccellenza, a lui che aveva curato e prefato così eccezionalmente la raccolta degli scritti postumi di Bruno Filippi, ovvero "I Grandi Iconoclasti nel pensiero e nell'azione", Tipografia Fratelli Ciattini, Pistoia 1920, rivendicando all'Anarchia la prerogativa di Ideale senza voce, senza direzione, senza nome e senza scopo, inarticolabile a parole ma soltanto intuibile, ferocemente in opposizione al belante mormorio di preci, al movimento rivoluzionario di classe, ai sempre disprezzabili, secondo l'insegnamento di Nietzsche, "miglioratori dell'Umanità", al giovane Carlo Molaschi, dunque, prima del suo transitare a tutto ciò che in gioventù aveva diffidato ed aborrito, queste mie parole sono in perpetuo suffragio.
Egli volle dimostrare, nell'anno dell'attentato di Sarajevo (1914), di avere ben intuito nel proprio intimo l'incomprensibile ed impraticabile alle masse profezia del Nietzsche.
Fu proprio in seguito alla defezione di alcuni individualisti, dai temperamenti e dai destini successivi i più disparati, i quali corsero ad ingrossare le file degli interventisti rivoluzionari (tra loro Libero Tancredi, Oberdan Gigli, Attilio Paolinelli), che egli, individualista milanese di ascendenza nietzscheana, legato a Giuseppe Monanni e a Leda Rafanelli e alle iniziative della loro casa editrice, lanciò, durante il periodo della neutralità italiana, un settimanale antimilitarista intitolato "Il Ribelle". Esso uscì dal 24 Ottobre 1914 al 20 Marzo 1915. In realtà venne fondato da Carlo Malighetti, che curò soltanto il primo numero, lasciando poi a Molaschi la redazione.
Lo scopo, se così si può dire, della pubblicazione, era quello di salvare la purezza dell'ideale individualista compromesso dalla "fuga in avanti" di alcuni suoi elementi in vista. Scriveva Molaschi nel numero del 16 Gennaio 1915: "Prima che la violenza statale ci obblighi al silenzio, vogliamo gridar forte la nostra rampogna contro la guerra, vogliamo dire il perchè noi, individualisti anarchici, non la subiremo inconsciamente. La corrente individualista dell'anarchismo fu troppo avversata in passato, troppe prevenzioni le hanno impedito di affermarsi nel campo del pensiero. Corrente d'idee che è all'avanguardia del progresso e del rinnovamento umano, limite estremo della più estrema utopia. Ma ora che la storia precipita, che un fato orrendo squassa le folle e i popoli, la nostra voce deve squillare più alta che mai contro tutto ciò che è infamia, vigliaccheria, dedizione".
Molaschi era allora uno dei pochi individualisti che si richiamavano compiutamente al pensiero di Nietzsche, la cui opera completa, nella versione all'epoca conosciuta, sarà pubblicata dalle edizioni di Monanni.
Il suo coerente superomismo e il suo disprezzo per la mandria umana lo condussero ad una opposizione netta e immediata a quella nuova guerra tra Stati che si imponeva nel 1914.
Egli infatti negava la disponibilità dell'individuo a cause come quella della patria, della disgustosa democrazia, della latinità, et coetera, in nome dell'Uomo "padrone assoluto di se stesso".
Su "Il Ribelle" del 24 Ottobre 1914, in un articolo nomato "La mia neutralità!...", egli vergava: "Ma se dovessi far getto della vita per una causa, sarà per la mia e non di certo per quella della nazione, o della latinità, o della civiltà, o della borghesia, o del proletariato".
Alla fine del conflitto, prima della sua adesione all'Unione Anarchica Italiana (vecchia bavosa ed incartapecorita baldracca che durante un sordido amplesso, intenta come era a puttaneggiare, ebbe a concepire ed infine a figliolare quello sgorbio maleodorante e rancido e putrido che è l'attuale F.A.I.), Molaschi determinò il suo passaggio dalla fase nietzscheana a quella nichilista pura, trasformando il proprio sdegno in odio e il proprio superbo isolamento in febbre d'azione, di distruzione, di devastazione e di demolizione.
Nell'Aprile 1920 egli pubblicava la rivista "Nichilismo", con l'obiettivo di affermare i principii individualisti anarchici nel campo della lotta sociale; resistere alla degenerazione socialista del movimento anarchico italiano; tentare di dare vita ad un movimento artistico e letterario improntato da carattere schiettamente anarchico.
"Nichilismo" esprimeva un orientamento di radicale pessimismo, di negazione assoluta di ogni verità o di ogni speranza. Ma una forte ed irresistibile crisi d'identità, "spirituale" se voi volete, o un improvviso attacco di imbecillità acuta, a mio parere, lo portarono in breve tempo ad una profonda revisione del proprio pensiero, ad avvicinarsi alla linea di Errico Malatesta e di Luigi Fabbri, e a divenire un valente e mite corrispondente di "Umanità Nova".
Nel 1921, inoltre, come se non bastasse, Molaschi iniziava la pubblicazione della rivista "Pagine Libertarie", sulla quale il 15 Gennaio 1922 egli esibiva il suo saggio, già ricordato altrove e celeberrimo, dallo squisito titolo "Dal superuomo all'umanità", dove chiariva i motivi del proprio superamento dell'individualismo, folgorato, come si suole banalmente dire, sulla via di Damasco, e nel quale attaccava la nostra stessa ed unica ragione di vita, "l'egotismo presuntuoso del superuomo", una vera bruttura che egli abiurava battendosi il petto e recitando all'infinito il mea culpa.
Fu quella una scena orripilante per tutti gli egoarchi, ma non bastò. Tra il 1924 e il 1925, in nome della linea di Fabbri sull'unità sindacale e sulla sua teorizzazione della cosiddetta "gradualità rivoluzionaria", Molaschi propose la liquidazione dell'U.S.I., che di lì a breve fu lo stesso Mussolini a mandare in soffitta con lo scioglimento forzato del 1925 e, analogamente a quanto andavano sostenendo alcuni "anarchici confederali", la creazione di "gruppi libertari sindacali" all'interno della C.G.D.L.
Intanto, a Roma, il Primo Gennaio 1924, usciva il primo numero della rivista "Pensiero e volontà", diretta da Malatesta e con principali collaboratori Berneri, Fabbri, Frigerio e anche il nostro Molaschi.
L'adesione molaschiana al Bestialismo Malatestiano poteva, con questa ultima preziosità, dirsi totalmente e completamente conclusa, portata definitivamente a compimento.
Ma nonostante questa sua vomitevole ed irritante fase egli non potè cancellare il lascito della sua ben più fulgida attività giovanile: Molaschi seguace di Bruno Filippi non potrà essere radiato dalla codardia e dalla stupidità malatestiana, resterà sempre ad indicarci la strada da percorrere; che è poi la via che conduce verso il Nulla.
"L'epilogo della vita di un anarchico è una tragedia o un abisso di dolore. Si scompare fatti a brani dall'odio compresso della dinamite, si muore di tisi su un letto di un ospedale, esauriti in fondo ad un carcere, sfiniti sul marciapiede di una via, tremanti di freddo fra le pareti squallide di un tugurio, affamati sull'orlo di un fossato... E tutto per un gran sogno che non sarà mai!
(Carlo Molaschi, estratto dalla prefazione a "I Grandi Iconoclasti nel pensiero e nell'azione. Scritti postumi di Bruno Filippi", Pistoia 1920)

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