Mentre, rifugiatesi in Francia, subito dopo l'avvento del fascismo, le forze politiche italiote d'emigrazione democratiche-borghesi e della sinistra storica marxista, salvo alcune eccezioni, si riorganizzavano e costituivano quel "cartello", o meglio sarebbe usare l'espressione eponima di coalizione-farsa, che gli storici chiameranno Concentrazione Antifascista, la quale avrebbe dovuto dare nelle intenzioni dei suoi fautori prova di Forza e che invece rappresentò palpabilmente la quintessenza dell'impotenza, avversario e critico inveterato della stessa si manifestò fin nell'immediato Mario Mariani (1883-1951), uno scrittore espatriato dall'italo suol alla fine del 1926 che, nel Marzo 1927 e con l'ausilio di Umberto Bellini, Ettore Cecconi e Giuseppe Pirrone diede vita al Partito Socialista Volontista e al suo organo portavoce, il settimanale "Volontà"; questa organizzazione sembra fosse sorta nel giugno precedente a Roma, nell'intento di rispondere con azioni puntuali ai soprusi fascisti. Mariani era entrato in politica dopo anni di aspettative deluse, di speranze rivoluzionarie disattese proprio da coloro che predicavano il Verbo della Rivoluzione e nell'esilio perpetuavano le abitudini nefaste che avevano arriso al fascismo. Giacchè, egli sosteneva, le radici della reazione affondavano negli errori dei dirigenti socialisti, nella loro incomprensione della nuova generazione uscita dal conflitto mondiale che, rivoluzionaria, esigeva uno sboccorivoluzionario.
Mariani, in una sua opera senza data ma pubblicata intorno alla metà degli Anni Venti a Parigi, "Le origini del fascismo", così argomentava: "Dal fronte tornammo tutti bolscevichi, ma i bolscevichi delle retrovie e gli imboscati del bolscevismo non ci compresero". Non si trattava di seguire le orme della Repubblica Russa dei Soviet - nuova forma di tirannia - bensì di costruire una Rivoluzione Sociale Italiana, ispirata alle esigenze storiche, economiche e sociali assurte a precipue in quel nostro determinato e specifico contesto. Invece, si lamentava Mariani, furono gli scioperi a catena, le discussioni a tavolino, le mozioni congressuali, i dibattiti, i comizii, le elezioni di buona memoria: cioè quanto gli ex combattenti rifiutavano con indefettibile disprezzo. Sicchè una parte di loro cedette alla tentazione del fascismo che sapientemente sfruttava le loro aspirazioni e ventilava certe possibilità di cambiamento. Le critiche ai capi facevano comunque tutt'uno con quelle alle teoriche che essi propalavano. Il marxismo ortodosso scolastico in primo luogo, secondo Mariani, si avviava al declino, perchè, già insensibile agli slanci attivistici e vitalistici dei reduci, si rivelava incapace di cogliere l'intima natura di Mussolini che, nella tempesta della lotta di classe, perdeva i suoi caratteri personali per divenire uno strumento nelle mani della Borghesia e dall'altro lato non era in grado di interpretare il fascismo, giudicato da esso come un fenomeno di reazione capitalistica mentre era innanzitutto il prodotto dell'inerzia e dell'ignavia della classe politica italiana. Per questo egli rigettava le due facce del socialismo purtroppo affermatesi, la socialdemocrazia e il comunismo, e rivendicava l'appartenenza di sè e del suo movimento alla tradizione dell'interventismo rivoluzionario e di sinistra del 1914-1918 e all'esperienza combattentistica. Il socialismo libertario di cui Mariani andava disputando, del quale il Volontismo avrebbe potuto essere velleitariamente l'anticamera, nella fantasia dello scrittore, in prospettiva, avrebbe dovuto condurre, essere alla base e divenire una delle articolazioni e determinazioni della formazione in fieri di quello che, nietzscheanamente, avrebbe recato il nome di "Partito Socialista Immoralista", il cui obiettivo primario sarebbe stato la Trasvalutazione di Tutti i Valori. Ma la carica e la valenza individualista e tendenzialmente antiorganizzatrice e destabilizzante-disarticolante del socialismo di Mariani stava pure in quell'affermazione che egli ribadiva spesso ed inorgoglito: "Il mio socialismo è insomma marianismo".
Per contrastare il ritorno dei vecchi uomini, di cui a dire il vero riconosceva l'integrità morale, e impedire il ripetersi di vecchi errori, ciò che pareva verosimile con l'apparizione della Concentrazione, definita "un lembo d'Aventino in terra di Francia", Mariani si mise alla testa di questo nuovo partito, suo malgrado. "Uomo di penna, scrittore di razza - egli compitava sempre nel suo "Le origini del fascismo"- ho atteso per un decennio che qualcuno, un semianalfabeta, un qualunque uomo mediocre, dato che gli uomini politici lo sono sempre, mi chiamasse a seguirlo sulle strade del rischio e della riscossa. Io non mi sentivo la voglia di organizzare; quella di sacrificarmi, si. Sono dieci anni che aspetto che l'ultimo degli imbecilli mi indichi un posto di battaglia. Dieci lunghi anni. Adesso l'ho preso da me". Nasceva così il Volontismo, un gruppo riservato ai miltanti sovversivi, a quanti facevano di ogni mezzo, dalla bomba a mano all'insurrezione generale, metodi possibili per il sovvertimento sociale. E simili finalità e l'intenzione di accumulare armi e di preparare militarmente gli adepti egli precisò in un manifesto pubblicato nel Marzo 1927 dal "Corriere degli Italiani"; questo ultimo gesto provocò l'interessamento e le preoccupazioni del Ministero degli Affari Interni di Francia e d'Italia.
L'orizzonte si profilava minaccioso per il neonato partito, anche se forse in virtù della personalità conosciuta di Mariani qualcuno tentò di coinvolgerlo in una prospettiva di unità antifascista. Al che, intransigenti, i militanti volontisti richiesero condizioni talmente rigorose da scoraggiare anche i meglio disposti. Il partito aveva ad ogni modo i giorni contati, nonostante l'attività instancabile del fondatore che pubblicò nello spazio di pochi mesi, oltre a "Volontà", alcuni opuscoli di propaganda, i cosiddetti "Quaderni dell'antifascismo", tanto più che da un lato la polizia francese, dopo le professioni di fede insurrezionale, teneva gli occhi bene aperti, e dall'altro la consorella italiana affilava l'arma della infiltrazione. E difatti Ernesto Gulì, funzionario al servizio di Arturo Bocchini, capo della polizia italiana, sembra intrattenesse rapporti con il capo del Volontismo; era lo stesso Gulì che, come risultava alla sbirraglia gallica, era giunto a Parigi sin dal 27 Aprile per porre mano ad un movimento antifascista con scopi provocatori. Vero o no, il 31 Luglio 1927 scoppiò l'incidente: una lettera sul "Corriere degli Italiani" in cui Mariani rendeva nota la decisione di trasformare il Volontismo in società segreta per evitare le espulsioni e dipingeva i suoi collaboratori, innominati, in veste di grassatori, affaristi, ambiziosi e pedine di Mussolini, provocò la levata di scudi e la scissione. Pirrone e Bellini dichiararono decaduto l'antico comitato esecutivo del partito e soppressa "Volontà" diedero alle stampe "Rivoluzione Volontista", un foglio durato invero lo spazio di un mattino, votato alla maldicenza, alla polemica spicciola e alla denuncia di alcune verità scomode: quali la rivelazione di un complotto ordito, pare, da Mariani ai danni di Giuseppe Pirrone per sabotare la sua opera di continuazione politica e giornalistica. Inevitabile che l'accusato accusasse gli accusatori e li qualificasse come agenti al soldo di Roma secondo l'ingiuria in voga tra gli esiliati. In tal modo, con la messa a nudo dei propri panni sporchi, il gruppo si autodistruggeva con malinconica, iconoclastica e e perversa voluttà, raggiungendo purtroppo punte di immancabile piccineria, con gran soddisfazione degli Anarchici Ufficiali i quali, per la presenza di alcuni anarchici nelle file volontiste - ricordiamo ad esempio il Gruppo Monito di Agostino Sette - paventavano una crescente perdita di prestigio e di militanti a discapito della loro tattica eunuca e a vantaggio di formazioni insurrezionaliste.
Le autorità della Repubblica Francese fecero il resto: Mariani e più di cento suoi seguaci furono espulsi dalle Gallie l'11 Settembre 1927. In definitiva, le teorie del Volontismo toccarono le vette dell'Ideale e si concretarono in grandi progetti al servizio dell'Assurdo, dell'Altissimo e dell'Impossibile, ma i suoi militanti si rivelarono fragili al miraggio dell'azione benchè sensibili alle summentovate suggestioni romantiche. E Mario Mariani, uomo di lettere, innamorato della Rivoluzione, sognatore di una società senza strutture oppressive, di una vagheggiata Città del Sole di campanelliana memoria, in cui la proprietà scompariva e scomparivano la famiglia e la religione e il cittadino provvedeva alla difesa collettiva con le armi tenute in serbo presso di sè, profeta di una dottrina politica che intendeva mescolare e mescere in un Unico e Divino Balsamo Aulente Marx e Nietzsche, Stirner e D'Annunzio, scrittore ed esegeta di gusto decadente, delicato ed apocalittico al contempo, prestava il fianco quanto altri mai agli attacchi spudorati dei vigliacchi impudenti, dei pacifondai in ciabatte, dei provocatori fascisti, dei "borghesi" in senso esistenziale prima ancora che sociale, dei borghesi come categoria dell'anima di tutte le risme, degli evirati di tutte le tendenze.
Espulso dalla Francia, Mariani riparò dapprima in Belgio, quindi raggiunse il Brasile, laddove, forse ammaestrato dall'esperienza vissuta, rinunciò temporaneamente ai clamori della politica. Non modificò comunque le proprie opinioni contro tutti i partiti e in primo luogo sulla Concentrazione Antifascista che, facendo onore alla sua verve polemista, gratificò dei seguenti epiteti in un articolo intitolato "Noterelle" e apparso laggiù presso la rivista "Rinascita Socialista", numero del 15 Febbraio 1930: "Polemica, disgusto, tessera, perfidia, corridoio, pettegolezzo, sottoscala, farmacia, chiacchiere, bottega, mal di fegato, emicrania, calunnia e diffamazione".
L'esperienza del fuoriuscitismo marianista ci induce una volta di più, se questo fosse ancora necessario, a spalancare le nostre dolenti e accorate ed indecifrabili palpebre di fronte all'inanità, alla debolezza, alla tragedia, alla farsa della Politica, dei suoi meccanismi meschini, delle sue speranze ridicole, dei suoi dei assurdi, delle sue malignità infingarde, dei suoi usi perversi, dei suoi sorrisi e ammiccamenti malevoli, delle sue progettualità complessive e disperate, dei suoi Ideali da perseguire, eternamente smentiti dalla Realtà sovrana, dei suoi Fini e delle sue Mete da raggiungere, sempre però irraggiungibili nella loro effettualità e fattualità, o più prosaicamente di fronte all'aspetto più laido e nauseabondo che questa Politica medesima esprime nella sua opzione peggiore, la mera, passiva, rassegnata, profittevole e subalterna gestione dell'Esistente.
Noi che rifiutiamo la sfera del Politico e del Sociale, noi che rifiutiamo il concetto di "Altro da Sè" che minaccia con la sua volgare e materiale barbarie le nostre Uniche, Superbe ed Irriducibili Individualità, siamo sempre più decisi ad assecondare la nostra indole, che ci spinge irrevocabilmente verso il rifiuto della normalità e della routine borghese in nome di comportamenti asociali, verso il soddisfacimento dei nostri istinti più autentici e meno vidimabili dal Potere.
Noi oggi auspichiamo soltanto "Purità", per citare il titolo di un dimenticato romanzo di Mario Mariani del 1920. Non altro possiamo dire, poichè abbiamo fatto strage di tutte le illusioni più belle e primordiali. Inavvertitamente, un colpo di revolver è partito, e il Chiaro di Luna, sopravvissuto a Filippo Tommaso Marinetti, è stato ferito a morte. Questo è veramente il Trionfo della Morte, inoppugnabile, fremente e fascinoso.
Ed io, io sono camaleontico, chimerico, priapesco, incoerente, inconsistente. Soprattutto inconsistente. Qualunque mio sforzo verso l'unità riuscirà sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge è in una parola: NUNC. Sia fatta la volontà della legge.
"Noi volontisti, dunque, siamo stanchi di disquisizioni. Noi vogliamo attendere all'inquadramento delle forze rivoluzionarie italiane e all'estero, approntare l'insurrezione armata".
(Mario Mariani, "Il Partito dei Volontisti", brano tratto da un articolo sul "Corriere degli Italiani", Parigi, 4 Marzo 1927)
"Egli era libero, dunque. Perchè mai avrebbe di nuovo seguita una ricerca inutile e perigliosa? Era in fondo al suo cuore il desiderio di darsi liberamente e per riconoscenza, a un essere più alto e più puro. Ma dov'era questo essere? L'Ideale avvelena ogni possesso imperfetto e ingannevole, ogni piacere è misto di tristezza, ogni godimento è dimezzato, ogni gioia porta in sè un germe di sofferenza, ogni abbandono porta in sè un germe di dubbio; e i dubbii guastano, contaminano, corrompono tutti i diletti come le Arpie rendevano immangiabili tutti i cibi a Fineo".
(Gabriele D'Annunzio, "Il Piacere", 1889)
"Milioni di uomini credono alla menzogna, per ignoranza, altri milioni non si arrischiano a combatterla per vigliaccheria. Tutti pensano solo a sfruttare delitti di lesa umanità, di lesa verità, di lesa libertà per vivacchiare alla meglio. E ci avviciniamo alla crisi. L'umanità morirà perchè è stanca di pagliacciate, di tragedie, di colpe".
(Mario Mariani, "Gli ultimi uomini", Sonzogno Editore, Milano 1948)
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