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venerdì, giugno 25, 2010

NEL SEGNO DI ORWELL (parte seconda) di franc'O'brain

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Nel frattempo la fatidica data 1984 è arrivata ed è passata senza che molti all'Ovest abbiano visto realizzarsi l'utopia negativa di Orwell. O forse non si sono accorti che ci vivono, in quell'utopia - o meglio: kakotopia -? E' indubbio che '1984' servirà anche oltre il Duemila come modello delle preoccupazioni su quanto ci potrebbe riservare il futuro. Tuttavia - è importante sottolinearlo - in quest'opera ci si imbatte molto di rado negli elementi tipici della fantascienza classica. Gli scenari sono tutt'altro che da èra futura: quasi tutti gli edifici risalgono all'epoca vittoriana o all'inizio del Ventesimo Secolo e si trovano in una condizione di perenne rovina. Niente Torri di Babele e case in vetrocemento, dunque; niente megalopoli in acciaio e iridio. Di robot manco a parlarne. E neppure un'automobile per le strade.

Ma non conta molto sapere come saranno il paesaggio e l'architettura del '1984' a venire, dato che la verità si svolge anche e soprattutto a livello spirituale. Ed è una verità, come possiamo osservare, che tende sempre più a un'affermazione del collettivismo a discapito delle libertà individuali: giusto come nella visione orwelliana.

Accennavamo all'umorismo di Orwell. Al più tardi dal secondo capitoletto del piccolo essay qui presente, chiunque non abbia mai letto il romanzo (o lo abbia fatto usando una chiave d'interpretazione generica) si sarà chiesto cosa diavolo ci sia di umoristico. Quello di Winston Smith e dei suoi coevi - si diranno questi lettori/non lettori - è semmai un cupodramma...

Ebbene, l'umorismo sta tutto nel linguaggio, nelle allusioni, nelle descrizioni rimaneggiate di posti e situazioni caratteristici della Londra dei tempi di Orwell. La Londra di '1984', come quella del dopoguerra, è dominata dal puritanesimo, dal controllo sulla sessualità, dalla politica del risparmio, dall'austerità portata all'esasperazione. Il ministero della Verità (quello che per noi sarebbe "ministero della Cultura") assomiglia al quartiere centrale della BBC in cui George Orwell lavorò durante la Seconda Guerra Mondiale. (Allora la BBC era un solo, enorme centro propagandistico.)

Negli scantinati del ministero dell'Amore è localizzata una stanza, contrassegnata col numero 101, in cui ai "traditori" di Big Brother succedono cose terribili. Ma Room 101 era chiamata anche la stanza dove, presso la BBC, Orwell ebbe il suo piccolo ufficio per la produzione di programmi in lingua inglese per l'India! Inoltre, le sigarette scadenti in '1984' si chiamano Victory: esattamente come quelle che, durante la Seconda Guerra Mondiale, venivano distribuite alle truppe inglesi al fronte...

'1984' è una parodia alle dittature più repressive, con chiari riferimenti a una dittatura di stampo socialista. Ora, si sa delle simpatie di George Orwell per il socialismo. Come mai, allora, volle inventare l'Ingsoc?

L'Ingsoc - English Socialism - di '1984' intendeva essere una critica al possibile sopravvenire di un socialismo troppo dottrinario e dimentico dei problemi delle masse. Nel 1945 in Gran Bretagna era avvenuto una sorta di terremoto politico, che condusse i laburisti al governo. Una volta insediatisi, i comrades cantarono a pieni polmoni Bandiera Rossa, che eclissò i tradizionali God Save The King, Rule Britannia e Land of Hope and Glory. Orwell era un socialista convinto, lui voleva il socialismo. Fu quindi entusiasta di vedere i "compagni" al potere.

Ma non bisogna sottovalutare il fatto che a votare per la sinistra furono in primo luogo i reduci di guerra, il grosso delle truppe, il "popolino" insomma, e il voto rappresentò, almeno in parte, una protesta contro l'arroganza degli ufficiali dell'esercito, che con la loro voce nasale tipica dell'upper class si ostinavano a predicare un'agguerrita xenofilia e una politica di grande colonialismo ormai chiaramente in rotta.

Il voto di protesta delle masse si spiega però anche con altri fattori. I soldati necessitano fondamentalmente di un ideale, hanno bisogno di credere che dietro alla guerra ci sia un valido, nobile motivo, e i concetti di "patria" e "nazione", propagati dal governo britannico e dal fumatore di sigari Winston Churchill, si erano già autosvalutati dopo il 1918. L'Europa era stanca della guerra. Due conflitti mondiali in meno di cinquant'anni erano un po' troppo, e dovunque, persino in Inghilterra, soffiava un'aria di cambiamento, di internazionalismo, di affratellamento tra i popoli: tutti ideali predicati dalla sinistra.

L'Ingsoc di Orwell aveva dunque poco o nulla in comune con i socialisti che nel 1945 conquistarono tanti seggi nel parlamento inglese. Orwell descriveva piuttosto il rischio di una tirannia basandosi sulle proprie esperienze all'estero.

Lo scrittore aveva lavorato e lavorava per il Tribune (quotidiano filocomunista) e, nella Guerra Civile di Spagna, aveva combattuto spalla a spalla con i marxisti; ma, al contrario di tanti altri comrades, non era pronto a chiudere gli occhi e ignorare le malefatte che Stalin compiva nel nome degli ideali socialisti.

Come ogni inglese che si rispetti, Orwell amava il suo Paese ancora più del partito. L'Ingsoc era indubbiamente un socialismo spinto agli estremi... era in pratica fascismo. Lo scrittore non gradiva la tendenza dei socialisti più radicali a voler "ricostruire" il mondo come una pura dottrina, ignorando gli usi e le tradizioni del popolo. Amava le sue origini inglesi, e i suoi gusti erano tipicamente borghesi, pur con uno sviscerato attaccamento alla classe operaia. Parlava con l'accento dei patrizi (in fondo era nato e cresciuto in un ambiente nobile e aveva studiato a Eton), ed ecco forse perché nel suo romanzo gli operai sono descritti come dei mezzi inetti, incapaci di prendere in mano le redini della propria vita e ribellarsi contro la cattiva sorte. Anzi, questi poveracci non pensano neppure a ribellarsi, e il loro passatempo preferito sembra essere il gioco del lotto (!), pur se nei loro ambienti serpeggia la diceria che anche il lotto sia una presa per i fondelli e che non ci siano mai veri vincitori (!!).

I proletari di '1984' sono una razza di "animali" leali e non privi di una certa nobiltà (ricordiamoci del cavallo Boxer in Animal Farm). Orwell non può identificarsi con loro: lui era fatto di ben altra pasta. Certamente provava compassione sia per la classe lavoratrice che per... gli animali, ma "compassione" non equivale ad "amore".

Un nodo contraddittorio che Orwell non seppe mai sciogliere fu quello della contrapposizione tra gli intenti che sono propri del socialismo e la profonda affezione per il passato che caratterizza ogni autentico Englishman. Il socialismo si orienta al futuro, e uno dei suoi principi consiste proprio nello smascherare le falsità etiche e politiche delle epoche andate, di intentare un processo al passato rivelandone gli effetti deleteri sulle classi non privilegiate. Tuttavia, un inglese vero - a real Englishman - non può separarsi così, di punto in bianco, dalle sue tradizioni. In Orwell, la nostalgia per il proletariato (comune a molti altri intellettuali) si mischia con la nostalgia per un passato "pulito", "ingenuo", di stampo dickensiano. A real Englishman non può che augurarsi che il passato non abbia mai fine.

E invece tutto passa, tutto muta. Oh, poveri inglesi!


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Il romanzo è profetico là dove esso rappresenta un'Inghilterra convertitasi al sistema metrico decimale. Già nel 1960, nessuno in Inghilterra riusciva più a ricordarsi che cosa fosse un sixpence o quali misure si usassero nei pub fino a qualche decennio prima. Orwell dipinge a tinte fosche questa perdita delle antiche misure come se il dovere ordinare mezzo litro di birra, anziché una pinta, costituisse una tragedia (e per molti inglesi è stata una tragedia, difatti!).

Fondamentalmente, lo scrittore era un socialista moderato. Riteneva che fascismo e comunismo non fossero due poli contrapposti, ma una medesima forma di oligarchia collettiva. Come Arthur Koestler, anche lui era conscio che nessun uomo politico vuole raggiungere il potere per mero idealismo, per altruismo o "buonismo". Nella politica c'è sempre qualcosa di losco. A Koestler, comunista convinto, accadde di essere sbattuto in carcere dal sistema che per anni aveva fervidamente appoggiato; e, dopo quella brutta esperienza, come poteva continuare a impegnarsi per le vecchie idee? Infatti: Koestler (ungherese di origine ebrea, naturalizzato inglese) finì col ripudiare il marxismo. Allo stesso modo, Orwell, che andò a combattere in Spagna sognando di poter donare a quel popolo la libertà, dovette fuggirsene quando gli agenti sovietici cominciarono a condannare aspramente il movimento anarchico catalano; e solo in extremis riuscì a scampare alle sanguinose rappresaglie degli stalinisti.

Ma nel suo Ingsoc non si riconosce unicamente il comunismo di Stalin: qua e là affiora anche la dittatura di Hitler. Attraverso il sempiterno media televisivo, Lo Stato d'Oceania sbraita a più riprese che i cittadini sono diventati più forti, più alti, più biondi che mai, mentre Winston Smith, guardandosi attorno, non vede che esseri deboli di costituzione, di statura modesta e - come se ciò avesse una qualche importanza! - dai capelli scuri, anziché biondi.

Il Big Brother non viene fatto oggetto di culto di persona, come accadde invece a Stalin o a Hitler: è una figura inventata, una personalità fittizia. E' un volto e una voce che si replicano all'infinito. Ma giusto per questo risulta essere ancora più potente di uno Stalin e di un Hitler: poiché la sua è un'esistenza "virtuale", lo si deve considerare a tutti gli effetti immortale.

Vediamo il protagonista Winston Smith (a proposito: anche questo nome ha, per le orecchie inglesi, un suono lievemente comico) trasformarsi in un ipocrita commediante: gli tocca nascondere l'odio per il Grande Fratello e per il sistema vigente e nello stesso tempo fingere di essere ancora un funzionario ligio al dovere. La sua "rivolta segreta" viene però banalizzata dal televisore e dai cartelloni che, dovunque e in ogni momento, proclamano eclatanti parole d'ordine quali 'LIBERTA' E' SCHIAVITU' ' e 'IGNORANZA E' FORZA'. Questi slogan - volutamente assurdi - fanno parte della strategia del Partito: una volta o l'altra, il bombardamento continuo con tutta una serie di massime insensate dovrà pure produrre un effetto deleterio nei "traditori", farli uscire allo scoperto...

E l'effetto lo produce, infatti. Winston compie uno dei peccati più grandi che ci siano: si innamora, trasgredendo così agli ordini; e non solo: copula con la sua nuova amica per il semplice piacere di copulare.

L'Inghilterra di quel periodo, del periodo cioè in cui '1984' fu concepito, era tappezzata con poster che sbraitavano: 'IL TUO CORAGGIO, LA TUA RESISTENZA CI PORTERANNO ALLA VITTORIA'. Come nel romanzo, il governo inglese cercava, per mezzo di quei messaggi, di ridurre le ambizioni e l'orgoglio personale, o di incanalarli in un attivismo "per il bene collettivo". Ma cos'altro era questo "bene collettivo" se non il fritto e rifritto giochetto dei politici, dei potenti, sempre a caccia di trionfi personali? "Dammi il tuo voto e ti farò star bene... Fammi vincere la guerra e farò di te una celebrità..." Tutte bugie, e chi ci casca muove il fatidico passo in più verso il baratro e verso il... '1984'. A lasciarci allettare, rischiamo di ritrovarci come Winston Smith, con una gabbia assicurata alla nostra testa tramite legacci; la gabbia ha un'apertura dalla parte del nostro volto e al suo interno si agita un ratto famelico, o una vedova nera, o una vipera... insomma, quello che più ci incute paura - lo spaventoso mostro dei nostri incubi personali.



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Winston Smith vive in un mondo senza speranza, un mondo di continuo regresso in cui anche la lingua viene sistematicamente impoverita. Sta infatti per essere ufficialmente varato il Newspeak, idioma formato da appena due-trecento parole. (Quando anche il più ignorante degli anglosassoni si serve almeno di cinquantamila vocaboli!) Il Newspeak diventerà presto lo strumento, anzi l'arma del bispensiero... Ovviamente, in un romanzo del genere un happy end sarebbe completamente fuori posto. Ma la vicenda di '1984', per quanto noir, non è nemmeno scevra di immagini poetiche, immagini che sbocciano come fiori anomali in questo campo di disperazione, in questa miseria pilotata dall'alto - dal Grande Fratello o da chi per lui. Una delle più significative è quella di un bigliettino con su le parole 'I LOVE YOU', appallottato e gettato sull'erba, sullo sfondo di grigie case-caserme e di biechi stabilimenti di produzione.

Il sistema, che controlla finanche la vita sessuale dei suoi servitori (il sesso deve avere l'unico fine di regalare figli allo Stato: come nella Germania di Hitler!), riesce a distruggere l'amore spontaneo nato tra il protagonista e una sua collega impiegata (ma dovremmo meglio dire: incasermata) in uno dei quattro ministeri principali. L'amore è un crimine, o meglio uno "psicocrimine" (crimethink), una prova di infedeltà verso lo Stato. Nelle ultime pagine del libro, Winston, dietro tortura, denuncerà ferocemente la ragazza: solo così potrà salvare la propria vita. (Ci ricorda qualcosa, questo? Forse la situazione nell'ex DDR?) Nell'A.D. 1984, anche l'Amore è rigorosamente proibito. Perciò attenti: 'BIG BROTHER IS WATCHING YOU!' E Big Brother ha i mezzi e le possibilità non solo di controllare ogni vostro spostamento, ma anche di leggere nei vostri pensieri...

Winston Smith e tutti gli altri funzionari del Partito sono costretti a sorbirsi al televisore i programmi propagandistici, e dal televisore vengono a loro volta "spiati". Può darsi benissimo che per questa sua "invenzione" Orwell si fosse ispirato a Tempi moderni di Charlie Chaplin, dove già apparve uno schermo televisivo.
Il televisore "spia" soltanto i funzionari, ma lo fa in ogni dove: nei quartieri ministeriali, per strada, dentro i loro alloggi stretti e spogli... Al contrario, i proles (e dunque la stragrande maggioranza della popolazione) non ne posseggono alcuno, e forse non sanno nemmeno di che cosa si tratta.

Qui i pronostici di Orwell circa la popolarità e la funzione futura del televisore si rivelano inesatti. Oggi non c'è più quasi nessuno al mondo che non abbia uno di questi apparecchi. Ne troviamo nelle baracche dei rifiutati, degli esclusi, e persino nei monasteri buddhisti. Appunto per questo, appunto perché la tivù oggi è onnipresente, la realtà si presenta anche peggiore che nel romanzo di Eric Blair alias George Orwell. Certo, ognuno di noi è abbastanza intelligente da sapere che la televisione non può spiarci; ma veniamo ininterrottamente condizionati da essa e, pur sapendolo, continuiamo a farci condizionare.

Se è vero che noi assomigliamo sempre più ai programmi che guardiamo - come sostengono alcuni sociologi -, allora l'unica terapia è un cocktail di codici e media differenti. Ed è qui che il computer assume un'importanza considerevole, presentandosi come l'unica alternativa valida.

In Inghilterra il televisore era apparso già sul finire degli anni Trenta. Era il sistema Baird, cui James Joyce dedicò un pensierino definendolo "l'autorità ufficiale di bombardamento Baird". La primissima commedia in tivù fu L'uomo dal fiore in bocca, di Pirandello. Lo schermo Baird forniva le immagini, mentre i i dialoghi provenivano dalla radio. Già Aldous Huxley "applicò" il sistema Baird in Brave New World (1932).

Si può benissimo affermare che la parola "televisione" esistesse ancor prima dello stesso oggetto. Nel 1948 l'oggetto era di nuovo là, stavolta tangibile, anche se a possederlo erano solo e quasi esclusivamente gli americani. Già in quel periodo, era palese che questo elettrodomestico sarebbe diventato il nostro nuovo focolare... anche se non sarà mai in grado di irradiare il calore di un vero camino.

Tra i primi telespettatori dotati di fervida immaginazione, circolava la credenza che l'annunciatrice - il cui volto allora veniva ripreso in primissimo piano - potesse effettivamente vedere chi stava seduto nel soggiorno. (!) Winston Smith, il protagonista del romanzo di Orwell, è realmente osservato. La conduttrice di un programma di ginnastica mattutina obbligatoria (quanto simile alle nostre matinée di Aerobic!) ad un tratto si rivolge direttamente a lui e lo sgrida, chiamandolo per nome, esortandolo a impegnarsi di più negli esercizi... Questo è umore nero, umore nero e un po' patetico. A proposito: lo scrittore ci presenta Winston Smith come "una figura magra, fragile... la sua pelle è ruvida a causa del sapone di pessima qualità e delle lamette da barba spuntate..." Perdio, se osserviamo un qualsiasi fotoritratto dello scrittore, che cosa vediamo? La stessa faccia ossuta e triste da loser, la stessa figura fragile... Per certi versi, George Orwell e Winston Smith sono una sola persona.


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Similmente a Utopia di Tommaso Moro, la società "futuristica" descritta da Orwell è priva di ogni comodità; non vi regna l'edonismo, bensì uno scialbo solipsismo. I funzionari statali che vorrebbero un po' divertirsi, ricrearsi dopo una lunga giornata in ufficio, non troveranno nessun bel localino, nessun bordello o altra caverna di vizi in cui potersi rifugiare. Curiosamente, sono proprio i proletari ignoranti e completamente tagliati fuori dalle attività del Partito a condurre un'esistenza che, pur se misera, assomiglia a una felice anarchia. I "privilegiati" sono invece come immersi in un bagno di tedio e di tristezza. Ma quasi tutte le visioni del futuro di cui siamo a conoscenza sono simili a '1984': cacotopiche, più che utopiche. Il termine esatto con cui gli storici della letteratura designano questo filone che prolificò nei primi decenni del secolo è "antiutopia".

Una delle opere antiutopiche di cui Orwell fu influenzato è 'Noi', di Eugenij Samjatin. Possiamo esserne certi perché lo scrittore britannico ne fece una recensione sulle pagine del Tribune, nel gennaio del 1946.

Samjotin, critico e romanziere russo, morì in esilio, a Parigi, nel 1937. Dapprima imprigionato dal regime degli zar, poi da quello bolscevico (due sistemi opposti e contrari; ma lo infilarono nella stessa prigione, e perfino in due celle situate nello stesso braccio della prigione!), finì per odiare ogni forma di governo, propendendo per un'anarchia naif di stampo bakuniniano. "Non voglio essere un io, voglio essere un noi" dichiara il protagonista del suo romanzo. Noi, scritto nel 1923, non racconta della Russia dei Soviets, ma di un sistema in fondo inesistente; d'altronde, la vicenda si svolge nel Ventiseiesimo Secolo.

Poiché ai tempi di Samjatin il televisore-spia di Orwell non era stato ancora inventato, i suoi personaggi vivono dentro case dalle pareti interamente di vetro, come pesci in un acquario. Non è loro concessa nessuna privacy; il bene della comunità è preposto al bene del singolo. L'individualità - e l'individualismo - non sono affatto concepibili. Soltanto durante "l'ora del sesso" è permesso di tirare le tende per proteggersi dagli sguardi del mondo...

L'io narrante di 'Noi' è D-503, un ingegnere spaziale che, pur se ambisce a essere un cittadino esemplare, viene assalito a più riprese da oscuri desideri atavici. (Vedi Winston Smith mentre si aggira per Old London alla ricerca delle reliquie di un ieri leggendario.)

Traviato da questi suoi imperdonabili desideri, D-503 si aggrega a un movimento clandestino che predica il recupero di oggetti e usanze del passato, quali il consumo di alcol e di tabacco. "Guarito" poi da un'appropriata terapia (similmente all'Alex di 'Arancia meccanica' di Burgess, che si sottopone alla Terapia Ludovico), non esita a tradire i compagni dissidenti, spifferandone i nomi.

Una delle idee portanti di 'Noi' è il concetto dell'entropia. L'entropia è enunciata dalla seconda legge della termodinamica, che dice - essenzialmente - che un dato sistema molecolare (o sociale) è destinato col tempo a "spegnersi" a causa della costante perdita di energia. Sotto questo punto di vista, l'individuo che ha deciso di rifiutare allo status quo è invece un portatore di energia.

Anche 'Brave New World' fu scritto sotto l'influsso di 'Noi'. E, dopo questo suo romanzo che da molti è considerato il suo capolavoro, Aldous Huxley sarebbe andato anche oltre nel suo pessimismo nei confronti del futuro e della scienza, dando alle stampe La scimmia e l'essenza, tragico racconto di una California all'indomani di una catastrofe nucleare: una specie di 'The Day After' con tanto di mutanti...

Naturalmente ci sono stati anche utopisti "in positivo" che credevano a una possibile società a misura d'uomo: come H.G. Wells. Ma la loro visione pulita ed "ellenica" del futuro fu clamorosamente infranta dall'uscita di '1984'.

Mentre Huxley non esitò ad affrontare la tematica dell'"atomo che uccide", Orwell volle bellamente ignorare il terrore della bomba atomica, e ciò malgrado Hiroshima e Nagasaki risalissero a soltanto un anno prima della stesura di '1984'. Ad Orwell il terrore nucleare doveva apparire remoto, troppo distante dalla realtà in cui lui era immerso: e cioè la Britannia con i suoi noiosi, grigi problemi quotidiani. Nondimeno, la sua accusa nei confronti dei potenti non manca mai di mordente, e Big Brother non ci appare certo meno pernicioso solo perché rinuncia a fare uso della bomba H...

A dire il vero, le risorse tecnologiche di cui dispone il Grande Fratello sembrano a noi - lettori moderni - alquanto povere; tuttavia è encomiabile il modo in cui il Grande Fratello riesce a controllare l'intera nazione applicando tanta scarsezza di mezzi.

In Orwell, le tecnologie vengono controllate dal governo, ovvero da Big Brother e dal Partito. Ma chi le controlla nella realtà attuale?

Esaminiamo il media computer. Norbert Wiener e Warren McCullogh lo svilupparono nell'ambito di una ricerca nel campo dello studio del cervello. I due scienziati volevano dimostrare che il cervello umano può essere elettronicamente riproducibile o comunque simulabile. La cibernetica divenne subito una materia a sé stante, e fu aprioristicamente condannata da molti intellettuali che ne considerarono solo la sua funzione primaria, ossia quella di controllo sull'umano e dunque sulle informazioni concernenti i cittadini.

Un computer è un apparecchio neutrale; l'informazione è una merce neutrale. Più informazioni abbiamo a disposizione, tanto meglio è. Ma quando uno Stato si impadronisce di una tecnologia, la strada conduce irrevocabilmente alla raccolta di dati sui singoli individui. Nel 1971, nella libera e democratica Gran Bretagna, fu indetto un censimento popolare che causò tanti dubbi e sollevò rimostranze in tutti gli strati sociali. Le domande a cui si doveva rispondere riguardavano il tipo di rapporto di ogni soggetto con gli altri componenti della famiglia o della comunità, quante automobili possedevano gli inquilini di ogni abitazione, se avevano una cucina con forno, se la toilette si trovava in casa oppure fuori casa, quale fosse il Paese d'origine dell'intervistato, quale il Paese d'origine dei genitori, gli indirizzi precedenti, l'istruzione ricevuta, quanti bambini avesse a carico e così via. Alcuni cittadini si rifiutarono di riempire il modulo, ma la maggioranza fornì disciplinatamente i dati richiesti. Per quest'operazione di censimento occorsero ottocento tonnellate di carta con un impiego di centocinquemila tra collaboratori fissi e saltuari e un costo complessivo di ben dieci milioni di sterline. Il risultato? Cinquecento processi intentati ad altrettanti cittadini a causa di effrazioni vere o presunte. Chi si rifiutava di rispondere alle domande era punito con una multa di 50 sterline: una cifra in fondo ridicola. Lo scrittore Alan Sillitoe si permise di dichiarare che la sua età era di 101 anni: uno scherzetto che gli costò 25 sterline. Un signore di 73 anni e la moglie di 66, che non vollero rivelare i dati personali e non possedevano i soldi per pagare la multa, dovettero andare alternativamente in prigione...

Alla fine di questa operazione di conteggio - tipico esempio di Burokretinismus -, la direzione londinese dell'ufficio statistiche ammise che parte delle informazioni raccolte era stata "ceduta" a organizzazioni commerciali. Una delle ditte usufruitrici poté vantarsi fino al 1980 di avere a disposizione i dati di oltre il 90% della popolazione inglese, tutti memorizzati in un supercomputer. 152.800 persone ricoverate in case di cura per malattie nervose dovettero arrendersi all'evidenza che particolari anche molto intimi della loro vita erano stati raccolti in gigantesche banche dati...

Immaginiamoci un novello Hitler sul ponte di comando dell'odierna Europa: il Führer avrebbe accesso a tutte le informazioni possibili e immaginabili su oltre trecento milioni di persone; riuscirebbe a sapere chi è di ascendenza ebrea o di qualche altra razza "indesiderata", conoscerebbe ogni particolare di ciascuno di noi - il gruppo sanguigno, il colore della pelle, quello dei capelli...

Ma NO PANIC! Niente paura. Non ci sarà più l'avvento di un Satrapo del genere nel nostro evolutissimo continente. Non c'è, né più ci saranno, statisti come Hitler, Stalin o Mussolini. Dietro il Big Brother di oggi si nascondono piuttosto gli istituti bancari, o meglio gruppi mondiali di banchieri, affaristi et similia. Questi gruppi, che hanno interessi prettamente utilitaristici, formano a piacimento nuovi governi o li sopprimono sostituendoli con altri, facendo esercitare (a governi "democratici", e non certo al fiabesco Re di Lilliput, al Presidente di Freddonia o al Ciambellano del Lichtemburgo) una politica in cui il rispetto per l'arte, per le tradizioni, per la salute e per i sentimenti di ogni individuo e di popoli interi sono concetti pressoché sconosciuti.

Nella società orwelliana non ci imbattiamo in bande di giovani criminali che infestano le strade (come invece accade in Arancia meccanica). Lo Stato concentra e convoglia l'aggressività dei teen-agers per perseguire i propri scopi: esattamente come nella Germania di Hitler! La vita è lavoro, e al lavoro segue lo stare seduti per ore, passivamente, di fronte al televisore.

Intanto, mentre la popolazione dell'emisfero occidentale invecchia sempre più, la tivù canta l'elogio dell'essere giovani, brillanti e attivi. E' una canzone delle apparenze, non dell'essere. Ma che cosa succede se la gioventù decide di ribellarsi rifiutandosi di stare a sognare dietro alle idiozie propinate dal media televisivo? Esce, non segue più le mode, nuota contro il maelstrom, diventa sovversiva, esercita la pirateria in Internet.

Sempre più spesso si registra oggi la nascita di fogli a diffusione militante che si sostengono economicamente mediante contributi volontari e sottoscrizione libera. Poiché la disoccupazione cresce, molte persone, tagliate fuori dai giochi del sistema, si inventano un'attività controcorrente. E così lavorano - e lavoriamo - tenendo presente che i tempi sono cambiati. I tempi sono cambiati, sì (siamo in piena "retro-reality", come l'ha definita Lorenzo Miglioli) e, se non vogliamo subire passivamente l'uso di questi nuovi strumenti - come è già accaduto con il telefono e con la TV -, bisogna radunarsi e discuterne insieme: oggi stesso.

"Le armi non ci mancano; dobbiamo solo scoprire dove si trova il grilletto."

L'unica nostra alternativa a tale forma di rivolta culturale, di nuova lotta (perché sempre di lotta si tratta): un biglietto appallottolato e gettato nella polvere. E su quel biglietto le parole, ormai a malapena leggibili: 'I LOVE YOU'.

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