Joris-Karl Huysmans (1848-1907), notevole, talentuoso e finissimo scrittore francese di origini olandesi, diede alle stampe nel 1884 un romanzo destinato a rivoluzionare le lettere europee ammansite e cloroformizzate ed addomesticate allora e ormai da decenni nella placida e ammorbante melassa avviluppatrice del Naturalismo, il quale avrebbe assunto anche i nomi di Realismo e di Verismo, ma che sempre si sarebbe ispirato alle regole e ai dogmi stantii che fecero di questo genere letterario il più insipiente ed arrogante nonchè venerato fino all'inverosimile: l'invereconda supponenza che muoveva i suoi esponenti si proponeva di spiegare ogni fenomeno dell'Esistente in conformistica sudditanza dei dettami di quel positivismo scientista di cui si nutrirono non soltanto studiosi borghesi del calibro di Charles Darwin e di Herbert Spencer, ma anche presunti e compiaciuti rivoluzionari della stazza di Karl Marx e Piotr Kropotkin, i quali, seguendo questi moduli, riconducevano ogni manifestazione umana quale espressione del semplice fattore economico, mentre Martucci, all'opposto e dal canto suo, nel suo numero unico "Capaneo" del 27 Maggio 1965, affermava veritieramente che "la vita non è determinata da un solo fattore, quello ideale di Hegel o quello economico di Marx, ma da una pluralità di fattori, tra cui l'economico, l'ideale, il sentimentale, il sessuale".
I due rivoluzionari consideravano le esplicazioni vitali come determinate pedissequamente dal Sociale, dal Politico e financo dallo Statale, avversato da entrambi nella sua forma borghese, monarchica o repubblicana che fosse, ma sempre relato alle precedenti esplicazioni sunnominate e alle proposizioni da essi stilate.
Con Huysmans, che visse la sua quasi intera esistenza dietro la scrivania del pubblico funzionario di infimo ordine, si realizza quella rivolta spirituale, archetipicamente stirneriana, che si compie nel suo primo adempimento proprio con la composizione di "A ritroso" (1884), opera-madre del Decadentismo, alveo immaginifico, dolomitico, estroso, imperscrutabile, inatteso, attingibile soltanto da una selva di sicuri Eletti, dal quale si dipartirono tutti i rivoli dei vari Decadentisti e dei Simbolisti del Vecchio Continente, non ultimo l'Individualista Aristocratico per eccellenza, Gabriele D'Annunzio.
Finalmente le emozioni, le sensazioni, i vissuti, unici, misteriosi, occulti, lividi, a volte inspiegabili e nondimeno irrefragabili, le forze vivide dello Spirito che si ergono allo scopo di manifestarsi in tutta la loro irrazionale Volontà di vivere e di creare, sorgono, legiferano, imperano, si impongono con i loro dubbi e le loro insicurezze su una civiltà borghese decrepita, purulenta, corrotta, molle, debosciata, che credette di risolvere i problemi dell'Essere con lo sguinzagliamento delle aberranti Scienze Sociali, che si ostina tuttora a non morire per portare a termine e a pieno compimento quella missione storica che il marxismo, nella sua ansia di tutto comprendere, compendiare e antivedere, si rifiutò di concepire ed anzi non intuì nemmeno lontanamente che essa fosse a questo destinata: il mandato, appunto, dell'Annichilimento Universale, tramite un graduale depauperamento dell'Umano, che avrà come esito definitivo l'estinzione della medesima Umanità nel più grande imbarbarimento glaciale e azzeramento soffocante del Pianeta assegnatoci dall'intonso e sfingeo Caso e insieme ad essa di tutte le forme di vita su di esso pullulanti.
Il poeta di questa vegliarda decrepitudine incapace di scomparire, di questa inarrestabile putredine fu il rivoluzionario disilluso e cinico Charles Baudelaire (1821-1867): ad esso Huysmans, nel suo citato romanzo, attraverso il personaggio di Des Esseintes e per mezzo delle considerazioni che il nostro romanziere attribuisce a quest'ultimo, dedica pagine di una lucidità riposante ed evidente e al contempo stimolante, appropriata e puntuale: "La sua ammirazione per questo scrittore era senza limiti. A parer suo, in letteratura ci si era limitati fino allora a esplorare la superficie dell'animo o a penetrare nei suoi sotterranei accessibili e illuminati segnalando qua e là i giacimenti dei peccati capitali, studiando i loro filoni, il loro sviluppo, notando, come aveva fatto ad esempio Balzac, le stratificazioni dell'anima ossessionata dalla monomania di una passione, dall'ambizione, dall'avarizia, dalla stoltezza paterna, dall'amore senile. Ma si trattava, in fin dei conti, di vizi e virtù piene di salute, della tranquilla attività di cervelli formati al modo solito, della realtà pratica delle idee correnti, senza ideali di morbose depravazioni, senza al di là. Insomma le scoperte degli analisti si arrestavano alle speculazioni, buone o cattive che fossero, già classificate dalla Chiesa; era la semplice investigazione, la consueta attenzione di un botanico che segue da vicino gli sviluppi previsti di una flora normale piantata nel suo naturale terreno.
Baudelaire era andato più oltre; - "Più Oltre" (1947) è il titolo di un'opera del grande Enzo Martucci, nota del curatore - era sceso fino al fondo della miniera, si era avventurato per gallerie abbandonate o sconosciute, era sboccato in quelle zone dell'anima in cui si ramificano le mostruose vegetazioni del pensiero. Là, presso ai confini in cui soggiornano le aberrazioni e le malattie, il tetano mistico, la terzana della lussuria, le febbri tifoidali e i vomiti del delitto aveva trovato a covare sotto la tetra campana della Noia la spaventosa menopausa dei sentimenti e delle idee. Aveva rivelato la psicologia morbosa dello spirito che ha raggiunto l'ottobre delle sensazioni; aveva raccontato i sintomi dell'anima ricercata dal dolore, privilegiata dallo spleen; aveva mostrato la tabe progressiva delle impressioni quando gli entusiasmi, le fedi della gioventù si sono inariditi, quando resta solo l'arido ricordo delle miserie sofferte, delle intolleranze subite, degli urti sopportati da intelligenze oppresse da un assurdo destino. Aveva seguito tutte le fasi di quel lamentevole autunno, guardando la creatura umana così facile a inasprirsi, così abile nell'ingannarsi da sola, costringendo i suoi pensieri a truffarsi a vicenda per meglio soffrire, sciupando in anticipo a forza di analisi e osservazioni ogni possibile gioia. Poi, in quella esasperata sensibilità dell'animo, in quella feroce riflessione che respinge l'imbarazzante ardore della devozione, i benevoli oltraggi della carità, egli vedeva sorgere a poco a poco l'orrore di quelle passioni annose, di quegli amori maturi a cui l'uno si abbandona ancora quando l'altro si tiene già in guardia, in cui la stanchezza richiede alle coppie carezze filiali, apparentemente nuove per la loro illusoria gioventù, candori materni la cui dolcezza riposa e permette per così dire di gustare i piccanti rimorsi di un vago incesto.
In magnifiche pagine aveva esposto i suoi amori ibridi, esasperati dalla loro stessa incapacità di appagarsi; le pericolose menzogne degli stupefacenti e dei tossici chiamati in aiuto per addormentare la sofferenza e domare la noia. In un'epoca in cui la letteratura attribuiva quasi esclusivamente il dolore di vivere alle disgrazie di un amore non corrisposto o alle gelosie dell'adulterio, egli aveva trascurato queste malattie infantili e sondato quelle piaghe più incurabili, più vive, più profonde che sono scavate dalla sazietà, dalla disillusione e dal disprezzo delle anime in rovina, torturate dal presente, respinte dal passato, atterrite da un avvenire senza speranza.
Quanto più Des Esseintes rileggeva Baudelaire tanto più riconosceva un ineffabile fascino in questo scrittore che, in un tempo in cui il verso non serviva più che a ritrarre l'aspetto esteriore degli esseri e delle cose, era riuscito ad esprimere l'inesprimibile, grazie a una lingua tutta muscoli e polpe, e che più di ogni altro possedeva la meravigliosa capacità di fissare con una strana sanità di espressione gli stati morbosi più fuggevoli e più oscillanti degli spiriti spossati e delle anime tristi".
E in conclusione, più avanti: "Baudelaire e Poe, questi due spiriti così spesso accoppiati a causa della loro comune poetica, della loro comune inclinazione per l'esame delle malattie mentali, differivano radicalmente per le concezioni affettive che avevano tanta parte nella loro opera. Baudelaire con il suo amore alterato e iniquo, il cui feroce disgusto faceva pensare alle rappresaglie di un'inquisizione. Poe con i suoi amori casti, aerei, in cui i sensi non esistono e il cervello si eleva solitario senza corrispondere a organi che, se esistessero, rimarrebbero per sempre assiderati e vergini".
Il giudizio di Huysmans su Baudelaire noi lo condividiamo e lo facciamo sicuramente nostro. Lo scrittore cattolico francese dell'Ottocento Ernesto Hello, citato da Huysmans nell'opera di cui qui si tratta, in una sua introduzione alle opere scelte di Giovanni Rusbrock l'Ammirabile, un mistico di lingua germanica del tredicesimo secolo, dichiarava, con un'immagine che, sfortunatamente, non ebbe vista e riconosciuta la grandezza e il merito che effettivamente non la avrebbero che giustamente omaggiata, che "le cose straordinarie possono essere soltanto balbettate". A suffragio di questo, proprio perchè tutt'altro che straordinarie, le cose che sosteniamo, noi le propugnamo virulentemente e con marziale fermezza e virile bellezza, consci di non sapere stendere le nostre ali d'aquila sulle tenebre sacre dell'oceano, preda e gloria, benchè ardentemente lo desiderassimo e lo desideriamo, frustrati e presi dallo struggente languore elegiaco che ci suggerisce Grieg.
Questa battaglia culturale che intraprendiamo tende ad attribuire all'individualismo anarchico di tendenza aristocratica una letteratura e una musica che le siano le più affini possibili. E non vi è nulla di più congeniale alla nostra Individualità, in campo letterario, delle opere che germinarono e fruttificarono nell'istante del Decadentismo; "questa prosa manicomiale", come la avrebbero definita i giornaletti berneriani -autentica carta da cesso- quale ad esempio quella feccia di "Fede", in cui pari alla tronfia e sudicia supponenza era soltanto la incontenibile stupidità, e che chiusi nel loro moralismo smorto e supino non riconobbero nel Novatore quel suo stile affranto, ricercato, siderale, rarefatto, dettato da un'anima dolce e disperata, che sapeva esaltarsi in un impeto di ribellione aristocratica.
Segnaliamo pertanto in questo algido magma ormai consolidato in dura roccia i riflessi più intensi, le pietre più rilucenti e minerali: tra di esse troneggiano D'Annunzio, Baudelaire, Huysmans ed occorre prenderne atto. Sempre che non si voglia sprofondare e perire nel Manzonismo Berneriano o nel puritanesimo glorificante le salde ed inesistenti virtù del volgo, della folla tripudiante e beota, come nel patetico caso malatestiano.
"Poichè, con i tempi che corrono, non c'è più nulla di sano, poichè il vino che si beve e la libertà che si proclama sono adulterati e derisori, poichè, infine, è necessaria una singolare dose di buona volontà per credere che le classi dirigenti siano rispettabili e che le classi asservite siano degne di essere ristorate o compiante, non mi sembra, concluse Des Esseintes, ne' più ridicolo ne' più folle chiedere al mio prossimo una somma di illusioni appena equivalente a quella che dedica ogni giorno a fini sciocchi, per immaginarsi che la città di Pantin sia una Nizza artificiale o una Mentone fittizia".
Joris-Karl Huysmans, "A ritroso", Capitolo Decimo, 1884
"La musica va oltre i fenomeni, oltre le idee, e arriva sino alla dimora lieve e inesistente dove abita la vita. La poesia e la musica vivono nella notte, sono le sole arti notturne, le sole che non abbiano bisogno della luce per mostrarsi agli uomini, le sole che, nate dal silenzio che precede l'apparire della vita, generino il silenzio in cui parla la vita".
Angelo Conti, "La Beata Riva. Trattato dell'Oblio", 1900
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