La concezione stirneriana dell' individuo proprietario di se stesso si colloca certamente all'origine della tendenza anarchica individualista e nichilista, ma non possiamo contare in modo diretto ed organico Friedrich Nietzsche (1844-1900) tra i suoi adepti, e in ultima analisi nemmeno Max Stirner (1806-1856) stesso, quindi; entrambi non possono evidentemente essere annoverati come esponenti di una concezione dell'anarchismo che fa della militanza pedissequa e alienante la sua più alta se non unica forma espressiva, ricalcante pertanto quella di qualsiasi altro partito.
Si tratta di due eretici di ogni morale, di due avversari di ogni concezione etica imposta, autoimposta, assunta didascalicamente o pedagogicamente, di due asperrimi nemici dell'educazione e dell' insegnamento che sempre sono strumenti dell'autorità o di un disciplinamento ad una delle varie forme attraverso le quali si è materializzata e si materializza l' autorità medesima.
L'eccezionale ampiezza del viaggio di Nietzsche nell individualità singola e indipendente lo colloca in un posto a parte e al di là di tutto ciò che lo ha preceduto e seguito. Il superomismo individuale che egli esalta rappresenta il compimento ultimo e iperbolico della storia dell' individualismo e non ha niente a che vedere con un superuomo bramoso di dominare i deboli e compiaciuto del culto del suo piccolo essere. Rappresentando piuttosto la pienezza di un mondo di cui è padrone assoluto, esso rompe irrimediabilmente con l'idea stessa di associazione di simili o di ricostituzione di una libera società. Aspirando alla sovranità sulla propria vita più che alla vita stessa, l'individuo nietzscheano crea se stesso in solitudine e forgia i propri valori; e la Volontà di potenza si attua nella gioiosa affermazione di un Sè senza simili.
Premesse di un tal genere sembrano portare naturalmente Nietzsche a ripudiare qualsiasi parentela con il "livellamento" che certo individualismo emancipatorio propone; infatti nei "Frammenti postumi" del 1887, egli dichiara: "L'individualismo è una forma modesta e ancora incosciente della volontà di potenza: sembra che all'individuo particolare sia sufficiente emanciparsi da una supremazia della società (sia lo Stato o la Chiesa). Non si oppone in quanto persona ma in quanto essere particolare; rappresenta tutti gli esseri particolari contro la totalità. D'istinto si predispone all'eguaglianza con qualunque essere particolare".
Friedrich Nietzsche (1844-1900)Per Nietzsche sono rari coloro che hanno la passione e la forza di diventare individui, perchè ciò vuol dire "vivere pericolosamente" ed espone al rischio di doversi sciogliere dal legame di solidarietà con gli altri, di rinunciare a qualunque appartenenza nazionale o di classe e di scoprire la povertà esistenziale del proprio IO ovverosia di un Sè fallimentare. Il nemico principale dell' individuo è infatti dentro ciascuno di noi: è la cattiva coscienza, il senso di colpa, l'odio di sè, segni indelebili di debolezza.
Avvelenato da duemila anni di cristianesimo, l'uomo comune è un essere gregario, un animale da gregge divorato dal risentimento verso l' essere solitario che sa vivere per sè e di sè.
Questo risentimento collettivo tocca il suo culmine nella solidarietà predicata dallo Stato; sempre nei "Frammenti postumi" (1880-1889) Nietzsche afferma che "l'istinto altruista è un ostacolo al riconoscimento dell'individuo, esso vuole vedere nell'altro un nostro eguale o costringerlo a rendersi tale. Vedo nella tendenza statale e sociale un impedimento alla individuazione, un'elaborazione dell' homo communis; ma se si aspira ad essere uomini ordinari ed eguali, è perchè i deboli temono l'individuo forte e preferiscono un generale indebolimento a uno svolgimento che miri all'individuale".
In questo senso, nell' ambito della congiura delle masse amorfe contro il plurale ed infinito dispiegarsi dell' individuo autoliberantesi dalle catene sociali e statali, va inteso il disprezzo nietzscheano per la morale degli schiavi.
Questa è una lettura ermeneutica del pensiero di Nietzsche circa la morale data in chiave libertaria. L' individualismo radicale e libertario di Nietzsche, il gelido esteta, rimane però fondamentalmente elitario e aristocratico; mentre il nietzscheano di sinistra Georges Palante, agli inizi del Novecento, ha voluto in parte riequilibrare le due direttrici facendosi banditore di un individualismo al tempo stesso egualitario ed elitario, democratico ed aristocratico.
Il tema di vita principale del francese Georges Palante (1862-1925) fu comunque in ogni caso quello dell' "Individualismo Aristocratico".
Egli fu professore di filosofia nei licei, ed ebbe rapporti di amicizia con il socialista parlamentarista ma internazionalista Jean Juares; costui per la sua ferma, decisa ed integerrima opposizione alla prima guerra mondiale e all'intervento della Francia in essa, sostenuto dalla maggior parte dei socialisti medesimi, verrà ucciso dal nazionalista francese Villain il 31 Luglio 1914. L'omicida sarà assolto dalla giustizia borghese, ma i rivoluzionari spagnoli lo fucileranno nel 1936, avendo egli avuto l'incauta trovata di andare a risiedere nelle Isole Baleari dopo il processo a suo carico. Questo singolare episodio è ricordato dal situazionista francese Guy Ernest Debord nei suoi "Commentari alla società dello spettacolo " (1988).
Palante rappresentò ad un grado estremo di evidenza l'influenza di Nietzsche su alcuni ambienti radicali del movimento operaio.
Affetto da acromegalia, il cosiddetto "gigantismo", morì suicida.
In Italia lo fecero conoscere nei primi due decenni del XX secolo due anarchici come Giuseppe Monanni e la Grande Insofferente, Leda Rafanelli, straordinaria figura di individualista, denominata da alcuni storici come l'anarchica maomettana, in grado di conciliare la sua conversione all'Islam con la propria particolare concezione anarchica, un gesto questo ulteriormente anticonformista nell'Italia irreggimentata e vigliacca di ieri e di oggi. Su di Lei non mancheremo di ritornare.
La loro casa editrice, le Edizioni Sociali, che tradusse in italiano le principali opere di Palante, manifestò interesse anche per figure egoarchiche, egocentriche, eccentriche come D' Annunzio, Papini, Prezzolini o per movimenti come il futurismo, ma Giuseppe Monanni rimase ad ogni modo costantemente vincolato ai motivi di fondo di quell'anarchismo esistenziale che continuò a caratterizzare fino alla fine la sua attività editoriale.
Resta il fatto che Palante impegnò tutta la sua attività intellettuale a sostegno di un individualismo di autodifesa solitaria e di automarginalizzazione di fronte ad una società conformista e "gruppista", nella quale non c'è posto per l' individuo.
In "La sensibilità individualista"(1909) egli sostiene che "questa entra inevitabilmente in conflitto con la società nella quale si sviluppa. La tendenza di quest'ultima, in effetti, è quella di ridurre per quanto è possibile, il sentimento dell' individualità: l'unicità con il conformismo, la spontaneità con la disciplina, la fiducia in noi stessi e l'orgoglio di sè con l' umiliazione, che è inseparabile dal processo di innalzamento sociale. L'individualismo è un pessimismo sociale, una diffidenza ragionata nei confronti di qualsiasi organizzazione sociale".
Nemico giurato del solidarismo e sostenitore della differenza interiore che distingue gli individui, Palante difende la causa dell'individualismo aristocratico che, precisa in "Le antinomie tra l' individuo e la società"(1913), "reclama una più alta originalità, una originalità che valga la pena di essere perseguita, una originalità che non sia più semplicemente negativa.
L'individualismo aristocratico si traduce in una condanna globale della sociabilità, in un atteggiamento di incredulità e scetticismo nei confronti di tutte le forme di altruismo e di solidarietà".
Ma è in un articolo inserito nella raccolta "La lotta per l'individualismo"(1923), edita in Italia appunto da Monanni, "Moralismo ed immoralismo", che Palante raggiunse quei vertici di inenarrabile e inarrivabile disperata poesia che ancora rende la sua figura così viva e straordinariamente lucida nei nostri commossi, al ricordo del suo dire, cuori; è l'estremo testamento di un indisciplinato, infelice e tragico mio adorato Rigoletto del sovversivismo, di un solingo, valido in ogni tempo ed in ogni luogo, da qui all'eternità:
"L'individualismo radicale è in fondo ciò che permea di sè l'immoralismo nietzscheano. In sostanza ciò che Nietzsche odia in ogni moralismo cristiano o kantiano, è la morale del Gregge, è l'annientamento dell'Individuo, dell'isolato, dell'Indipendente, dell'originale; è la negazione degli egoismi individuali a vantaggio dell'Egoismo ipocrita e predicatore dei gruppi. Le teleologie che sono l'infrastruttura di ogni moralismo cristiano, kantiano o d'altra specie, hanno tutte per conseguenza più o meno lontana la subordinazione dell'individuo al principio sociale. Una volta, questa teleologia era trascendente; essa è ancora tale in Kant. Dopo Kant il moralismo s'è fatto naturalista e scientifico; ma la sua finalità fondamentale non è mutata. Comunque, l'andamento della vita sembra indicarci che queste forze: l'egoismo, la malvagità, la bontà creatrice, sempre intrecceranno la loro azione; esse moltiplicheranno i loro punti di applicazione, capitalizzeranno i loro effetti; allargheranno all'infinito la trama che tessono sul rumoroso telaio del tempo; ma resteranno eternamente immutabili nella loro essenza ed anche nei cuori e nelle opere degli uomini".
Ed è così che concludo.
1 commento:
Complimenti per il recupero degli articoli di anacotico. Bravo.
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