In realta' costoro, che furono effettivamente per la maggior parte meridionali, Arturo Labriola, Walter Mocchi, Romeo Soldi, Enrico Leone, Paolo Orano, Tomaso Monicelli, Maurizio Maraviglia, Ernesto Cesare Longobardi, Nicolo' Fancello, Sergio Panunzio, Agostino Lanzillo, teorizzavano il liberismo come un mezzo e non come un fine, quello che a mio avviso lo storico socialista Gaetano Arfè aveva giustamente chiarito come "liberismo di classe", il quale consisteva in cio': occorre permettere il pieno e libero dispiegarsi delle forze produttive, e segnatamente della classe borghese, consentire un suo rafforzamento ed un suo agguerrimento, rompere appunto il blocco giolittiano industriale capitalistico-operaio-protezionistico, in modo da portare la lotta di classe al suo massimo grado di radicalizzazione e ferocia, al famoso punto di non ritorno; il cimento tra proletariato e borghesia si sarebbe finalmente realizzato con uno scontro frontale e decisivo tra le due forze sociali in lotta e non piu' dilazionato in una serie di scaramucce di scarso rilievo, procrastinanti la pugna fatale e dirimente.
In questo modo era da attuarsi una preparazione morale delle classi, una coscientizzazione del loro rispettivo ruolo storico e divergente-antagonistico. Anche la guerra, e quella coloniale nondimeno, avrebbe acuito l'esasperazione delle condizioni per lo scontro/confronto ed era quindi secondo questa concezione non solo accettabile ma addirittura augurabile.
L'analisi era sbagliata perche' fondata sul falso assioma secondo il quale ad un peggioramento delle condizioni economiche, sociali e morali-psicologiche del proletariato corrisponde un aumento, direttamente proporzionale a questa premessa, della coscienza di classe e della consapevolezza dell'essere sfruttati. Cosa che in realta' è vera per il suo contrario: l'abbruttimento sociale e morale porta alla piu' cupa disperazione e all' irreversibile atomizzazione degli individui. A questo medesimo risultato conducono oggi nell'opulento Occidente l'impossibilita' della rivoluzione e la recisione sempre piu' profonda dei legami sociali di appartenenza tra i soggetti umani oggetti di sfruttamento nell'ambito di una economia di mercato divenuta ormai una societa' di mercato, fondata sull'individualizzazione estrema e sulla precarizzazione consolidata della forza-lavoro reificata. Comunque, molti dei concetti enucleati precedentemente a questa mia personale parentesi di giudizio, non tutti pero', sono evidentemente di matrice soreliana, e spiegano come la parte minoritaria dei sindacalisti rivoluzionari fu favorevole alla guerra di Libia del 1911-12 da un lato, e dall'altro come la parte maggioritaria di essi fu fautrice dell'intervento dell'Italia nella prima guerra mondiale fin dall'autunno 1914,con alcune rilevanti eccezioni, come Giuseppe Di Vittorio. Anche se, a onor del vero, Sorel fu aspramente e recisamente contrario ad entrambi i conflitti e fin dall'inizio, e molti che a lui si richiamarono non ne ebbero certamente il consenso e la benedizione, Arturo Labriola in testa, il quale in questo dibattito introduceva una variante in piu' e tutta sua, la sottile e cavillosa distinzione tra lo Stato e la Patria, o ancora tra lo Stato e la Nazione, con i secondi termini rivalutati e difesi.
Tra parentesi, esiste ed è esistita una forte similitudine tra l' "intervento umanitario", la "guerra umanitaria" delle potenze capitalistiche dell'Intesa in difesa di svuotati e deformati concetti quali la liberta' e la democrazia, nel 1914-18, e la guerra per " motivi umanitari " condotta in Kossovo nel 1999 e in Afghanistan dal 2001 e ancora in corso. Mi ci hanno fatto pensare due intellettuali molto diversi tra loro, proprio Georges Sorel ed il comunista di sinistra olandese Hermann Gorter; il primo con i suoi scritti ed articoli del primo dopoguerra 1918-1922, il secondo con il suo opuscolo "L'opportunismo nel partito comunista olandese", dell'agosto 1919.
Uno degli esperimenti principali di commistione, compromissione, relativo avvicinamento tra sindacalismo rivoluzionario e nazionalismo fu la nascita della rivista "La Lupa", fondata e guidata da Paolo Orano nel 1910; una iniziativa che ebbe una forte analogia con il breve sbandamento di Sorel nei confronti della rivista sindacalista-rivoluzionaria-nazionalista francese "La cite' francaise"(1910), motivata quest'ultima pero' da connotazioni decisamente antiborghesi. Sorel vi si impegno' soprattutto con intenti nettamente eversivi nei riguardi della Terza Repubblica borghese francese e del suo corrotto sistema parlamentare, verso cui a ragione il filosofo nutriva il piu' profondo odio e disprezzo. Ma nonostante tutto cio', Orano fu uno dei sindacalisti rivoluzionari italiani piu' detestati da Sorel, per via di una forte polemica tra loro, innescata pero' da Sorel stesso,sulla storia del Cristianesimo; Orano aveva scritto un saggio nel quale sopravvalutava l'apporto del mondo latino e della romanita' per lo sviluppo del Cristianesimo, dimenticando la lezione e l'opera soreliana nella quale il contributo della cultura greca in questa dinamica storica emergeva in tutta la sua importanza. Di questo fatto Sorel non si dimentico' mai, e ogni occasione fu da allora buona per attaccare e demolire Orano, alla cui rivista, malgrado le sue reiterate profferte, egli non collaboro' mai.
Che tutti i sindacalisti rivoluzionari avrebbero nel primo dopoguerra tradito la classe saltando il fosso e passando dalla parte della borghesia, magari usando come paravento e giustificazione proprio le dottrine di Sorel e Lagardelle, è vero solo parzialmente, non certamente per tutti; il saltafosso fu una esperienza che riguardo' ad ogni modo molti di loro, e a cui riesco a dare come spiegazione soltanto motivazioni psicologiche di disagio e disorientamento in seguito alla grande carneficina. Alcuni morirono in guerra interventisti come Filippo Corridoni; Giuseppe Di Vittorio, sindacalista rivoluzionario soreliano, poi aderente al PCI diventandone uno dei maggiori dirigenti sindacali per alcuni decenni, disse per difendere la memoria di Corridoni:"Egli non si sarebbe mai venduto agli agrari". Ed in effetti la sua vita proletaria e la sua morte eroica contrastano antiteticamente con la vigliaccheria e il pescicanismo dello squadrismo fascista.
A ltri tra loro, tanti, tentarono il rilancio dell'esperienza teorica e della prassi del sindacalismo rivoluzionario, non abbandonandolo ma arricchendolo del portato di altre teoriche rivoluzionarie, come il fiumanesimo, e fu questa l'esperienza di Alceste De Ambris e dei suoi; altri aderiranno al nascente Partito Comunista come appunto Di Vittorio e anche Longobardi; alcuni intraprenderanno le esperienze politiche piu' diverse, sempre pero' sul versante antifascista, oppure stazioneranno nell'area socialista-riformista-democratica-radicale-repubblicana-massonica, come Arturo Labriola; infine altri ancora impazziranno, come Enrico Leone, che va ricordato per il suo saggio "Espansionismo e colonie" (1911), nel quale analizza le forme del dominio e dell'oppressione proprie del militarismo, del colonialismo e dell'imperialismo con acume e spirito caustico.
Questi ultimi, gli impazziti intendo, con Leone in testa, sono senz'altro quelli a me piu' cari e che riscuotono la mia piu' viva simpatia, anche se la loro follia non fu certamente una libera scelta; ma quale scelta della nostra vita, caso estremo della follia incluso, è veramente libera dai condizionamenti che la convivenza sociale purtroppo ed inevitabilmente ci comporta? Sarebbe comunque affascinante potere decidere della propria malattia mentale, se averla e quale e quando. Vorrei proprio qui recare una citazione dall'opera "Espansionismo e colonie" (1911), del caro, buono, folle sindacalista rivoluzionario Enrico Leone che mirabilmente chiosava:
A ltri tra loro, tanti, tentarono il rilancio dell'esperienza teorica e della prassi del sindacalismo rivoluzionario, non abbandonandolo ma arricchendolo del portato di altre teoriche rivoluzionarie, come il fiumanesimo, e fu questa l'esperienza di Alceste De Ambris e dei suoi; altri aderiranno al nascente Partito Comunista come appunto Di Vittorio e anche Longobardi; alcuni intraprenderanno le esperienze politiche piu' diverse, sempre pero' sul versante antifascista, oppure stazioneranno nell'area socialista-riformista-democratica-radicale-repubblicana-massonica, come Arturo Labriola; infine altri ancora impazziranno, come Enrico Leone, che va ricordato per il suo saggio "Espansionismo e colonie" (1911), nel quale analizza le forme del dominio e dell'oppressione proprie del militarismo, del colonialismo e dell'imperialismo con acume e spirito caustico.
Questi ultimi, gli impazziti intendo, con Leone in testa, sono senz'altro quelli a me piu' cari e che riscuotono la mia piu' viva simpatia, anche se la loro follia non fu certamente una libera scelta; ma quale scelta della nostra vita, caso estremo della follia incluso, è veramente libera dai condizionamenti che la convivenza sociale purtroppo ed inevitabilmente ci comporta? Sarebbe comunque affascinante potere decidere della propria malattia mentale, se averla e quale e quando. Vorrei proprio qui recare una citazione dall'opera "Espansionismo e colonie" (1911), del caro, buono, folle sindacalista rivoluzionario Enrico Leone che mirabilmente chiosava:
[...]"L'imperialismo è una passione: come tutte le passioni appassisce la poesia degli ideali veramente umani e universali, inaridendo le sorgenti di quel sentimento di solidarieta' sociale, che ci fa palpitare il cuore per ogni creatura umana oppressa e tiranneggiata. Esso mira anzi a poetizzare l'oppressione e l'imperio come gesti di nobilta'" [...]
Non potrebbe esserci omaggio migliore all'intelligenza di questo rivoluzionario, che alla follia del mondo non resse e divenne anch'egli malato, lasciando pero' la meravigliosa prova della sua esistenza nei suoi libri.
Ma la conclusione di questo mio scritto spetta sicuramente di diritto al gia' tante volte nominato Alceste De Ambris, che in un suo breve aforisma riassume e compendia egregiamente il senso di questa straordinaria ed irripetibile avventura umana che fu il sindacalismo rivoluzionario italiano:
[...] "Nessuna audacia di concezione, nessuna novita', nessuna contraddizione puo' spaventare il sindacalista rivoluzionario, il quale non ha da temere di cader nell'eresia, pel solo fatto che un'ortodossia non esiste nel Sindacalismo". "Il nazionalismo sindacalista, o sindacalismo nazionalista che chiamar si voglia, ha avuto il battesimo di tali e tante contraddizioni ed è stato fin dal primo suo vagito cosi' violentemente strapazzato dagli avvenimenti, che non sembra destinato ad avere in sorte una vita robusta. Si tratta di un bastardello nato da un amplesso clandestino e ripugnante fra una vecchia idea ritinta per simulare la giovinezza ed un giovane fenomeno. L'amplesso è stato consumato sui consunti triclinii della cultura classica, pronuba la filosofia energetica; ma il nato presenta tutti i caratteri dei parti mostruosi e non vitali. Fra non molto lo vedremo esposto sotto spirito in qualche baraccone fra il vitello a due teste e la capra con un occhio solo"[...]
2 commenti:
DA dove è stata ripresa la citazione di Alceste de Ambris? complimenti comunque per l'articolo
Grazie per il commento ma spiace deluderti l'articolo non è mio. Gli ho ripresi dal sito anarchico anarcotico.net (chiuso anni fa). La rubrica era dell'individualista.
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