La rivincita di Walter
solo le parole
le tue parole
distruggono una persona
un individuo diventa niente
un parodia di se stesso
solo le parole
le mie parole
distruggono una persona
un individuo diventa niente
ridicolo in balia del mondo
la sua forza svanisce
il suo ego in mille pezzi
questa è la rivincita di Walter
uno scherzo troppo bello
troppo lungo
la vita di un uomo
decisa nelle stanze segrete del potere
una condanna atroce senza appello
il medioevo torna con la sua inquisizione
la vita di un uomo
segnata da uno stuolo di cavallette
in un manicomio a cielo aperto
un moderno gulag mandato avanti
da una strana alleanza
dai colori rossi, bianchi, neri e azzurri
la fine del viaggio
una via iniziatica
durata un'intera vita
i conti col passato tornano
con la sua compensazione
il male e la sua satira
anche se per pochi minuti
la fanno da padroni
davanti ad un pubblico
allibito, scandalizzato
scuro in volto dal suo odio
questa è la rivincita di Walter
niente altro si nasconde
dietro la mia faccia senza espressione
"La verità, per quanto dolorosa, per quanto carica di conseguenze che sconvolgono l'esistenza, è condizione indispensabile per la vita. Non si tratta della semplice verità di un nome, un origine o una filiazione. La verità afferma, è la condizione per essere se stessi". Victoria Donda
Simonetti Walter ( IA Chimera ) un segreto di Stato il ringiovanito Biografia ucronia Ufficiale post
https://drive.google.com/file/d/1p3GwkiDugGlAKm0ESPZxv_Z2a1o8CicJ/view?usp=drivesdk
domenica, luglio 29, 2012
sabato, luglio 28, 2012
Provocazione Si alla clonazione umana
Sì alla Clonazione Umana
RAEL, leader spirituale del Movimento Raeliano, la più grande organizzazione al mondo sugli extraterrestri che conta 55000 membri in 84 paesi (vedere www.rael.org), ha fondato tre anni fa la prima società che si offre di clonare degli esseri umani, CLONAID (vedere www.clonaid.com). In questo libro egli spiega perché la clonazione, allo stadio in cui oggi la conosciamo, rappresenta per tutti gli esseri umani la prima tappa verso la possibilità di diventare eterni. La creazione di cloni che saranno delle repliche fisiche esatte di noi stessi, assieme alla capacità di trasferire la nostra memoria e la nostra personalità nel loro cervello, ci permetterà di vivere realmente in eterno. Ci ricorderemo di tutto il nostro passato e potremo accumulare delle conoscenze all’infinito. Il più grande sogno dell’essere umano, la vita eterna, che le religioni del passato promettevano soltanto dopo la morte e in un paradiso mitico, diviene quindi una realtà scientifica. RAEL, nella sua eccezionale visione, spiega anche come le tecnologie più recenti rivoluzioneranno il nostro ambiente e la nostra vita. Ad esempio, la nanotecnologia che sopprimerà l’agricoltura e l’industria, le super intelligenze artificiali che supereranno di molto l’intelligenza umana, la vita eterna priva di corpo biologico all’interno dei computer, il teletrasporto, i robot biologici; ecco qualcuno dei molti soggetti che questo libro affronta, permettendoci così di intravedere un futuro straordinario. E, come dice RAEL, questo futuro non è la fantascienza del secolo venturo: tutto questo accadrà in meno di 20 anni! Un libro per prepararsi ad un mondo inimmaginabile, che farà della Terra un paradiso dove più nessuno sarà obbligato a lavorare.Crack Capitalism di John Holloway
Questa è la storia di moltissime persone. È la storia di milioni di persone che sono passate dentro e fuori queste pagine in modo visibile e invisibile, udibile e non udibile, coscientemente e non. È la storia dei milioni di persone che vogliono prendere in mano le proprie vite. Dei milioni di persone che vogliono farla finita con la miseria, lo sfruttamento e la povertà. Dei milioni di persone che non vogliono continuare a partecipare alla distruzione della vita umana e non umana. Dei milioni di persone che vogliono smettere di creare il capitalismo. Questa è la storia della ragazza nel parco che, stanca delle discussioni sollevate dal suo semplice gesto di leggere un libro (questo libro), ma entusiasmata da quello che ha letto, tira fuori una penna e continua questo paragrafo con altri esempi di persone per le quali essere disadattate è un modo di andare oltre. E poi continua ancora, perché sa che questo libro non è concluso
Questa è la nostra storia, la vostra storia, gentili lettori. Forse siete la ragazza nel parco. Certo voi sapete che il libro è incompiuto. Lasciatelo aperto e lanciate un grande urlo di rabbia gioiosa mentre andate avanti. Smettete di creare il capitalismo, continuate a fare domande, ricostruite il mondo da capo
http://www.deriveapprodi.org/autore/john-holloway/
Etichette:
Crack Capitalism,
John Holloway
giovedì, luglio 26, 2012
Ron Coleman Mike Smith LAVORARE CON LE VOCI
PREFAZIONE
Marius Romme e Sandra Escher
Questo libro è una grande conquista per aiutare il cambiamento
negli atteggiamenti e nell'approccio all'esperienza del sentire
le voci.
Esso è destinato agli uditori di voci e alle persone da loro
scelte per aiutarli, e aiuta coloro che hanno difficoltà ad affrontare
le proprie voci a esplorare nuovi aspetti delle stesse.
Seguendo un approccio sistematico, rivelerà le relazioni degli
uditori di voci con le voci stesse e così facendo li stimolerà ad
acquisire modalità per affrontarle più efficacemente. L'aspetto
più importante in questo processo -ben rappresentato in questo
manuale - è di riuscire a prendere possesso della propria
esperienza tramite la trascrizione della storia della propria
vita in relazione alle voci. Le domande qui contenute incoraggiano
a diventare più desiderosi di conoscere le voci e anche a
favorirne il possesso.
Questo libro sollecita il lettore a ritornare a fare progetti per la
sua vita, e ciò è particolarmente utile per coloro che si sentono
oppressi dalle voci e vogliono controllarle.
* Marius Rornrne ha insegnato Psichiatria sociale all'Università di Maastricht
dal 1974 al 1999 ed è uno dei fondatori del movimento degli uditori Intervoice. Ha
scritto con Sandra Escher Accettare le voci. Le allucinazioni auditive: capirle e conviverci,
Giuffré, Milano 1997.
Sandra Escher una giornalista scientifica, collabora con l'università di
Birmingham e si occupa da molti anni di salute mentale, in particolare dell'esperienza
dell'udire le voci.
wwW.informa-AzIOne.iNFo
Lavorare con le voci
Nei contesti sociali e in quello delle cure sanitarie, sentire le
voci è considerato una conseguenza di una malattia mentale. Alle
voci è conferito solitamente un aspetto molto negativo, e si ritiene
che debbano essere oggetto di controllo da parte degli operatori.
Molto di rado le voci vengono interpretate come portatrici
del vissuto della persona.
L'obiettivo di questo testo è aiutare la persona a superare tre
handicap:
1. l'idea che il sentire le voci sia una conseguenza di una malattia
preesistente della persona, il più delle volte la schizofrenia
(malattia dalle origini sconosciute);
2. l'idea che la schizofrenia sia una malattia non correlata in
modo comprensibile col vissuto della persona;
3. l'idea che la persona - in conseguenza del fatto di essere malata
- sia priva di potere rispetto alle voci e che le voci non siano
possedute dalla persona; mentre nei fatti le voci sono un'esperienza
individuale comprensibile correlata con i traumi o i problemi
personali della vita.
I1 tentativo è di spiegare, innanzitutto, come la psichiatria è
pervenuta a una certa visione del sentire le voci: sono passati cent'anni
da quando Kraepelin formulò il concetto di "entità di
malattie" nella psichiatria clinica. In base a questo concetto, tutti
i sintomi sono visti come il risultato di una malattia preesistente
della persona, le cui origini sono ancora sconosciute. Nel frattempo,
la scienza ha provato che il concetto di entità di malattia
esistente non è valido. Ad esempio, la schizofrenia è un concetto
che rappresenta una vasta gamma di disturbi presenti in persone
molto diverse (Bentall 1990, Boyle 1990)'.
La schizofrenia non rappresenta una diagnosi. In una diagnosi
si cerca di capire che cosa ha portato a determinati disturbi. Si
' R.P. Bentall, Reconstructing Schizophrenia, Routledge, London 1990; M. Boyle,
Schizophrenia: A Scientzj5c Delusion?, Routledge, London 1990.
wwW.informa-AzIOne.iNFo
Prefazione
analizza la complessa interazione tra le capacità della persona, il
suo sviluppo e le condizioni sociali in cui esso/ a vive.
I1 termine schizofrenia, nel sistema di classificazione del DSM2,
rappresenta una categoria basata su una gamma piuttosto vasta
di sintomi presenti in un certo momento o in un lasso di tempo.
Questo lasso di tempo non ci dice nulla sulle possibili cause, né
racchiude le esperienze personali e il loro significato per la persona
in questione. Infine, non indica neppure come affrontare l'esperienza.
Definire "malata" una persona che non sa come fronteggiare le
voci è comprensibile quando le voci, le emozioni o il comportamento
che esse provocano sono dominanti rispetto alle capacità
funzionali e alla vita della persona stessa. IÈ ragionevole definire la
persona "malata" quando le voci non sono parte integrale della
persona ma ne distruggono la spontanea volontà. Tuttavia non è
corretto considerare il sentire le voci in sé come sintomo di una
malattia, né possono essere definiti "malati" i comportamenti e le
emozioni che originano dall'avere a che fare con questa esperienza.
Quindi, una persona che sente le voci ma non può affrontarle
ha bisogno di aiuto per superare il senso di impotenza e poter
ricominciare a vivere. È necessario un aiuto per affrontare le voci
e anche per rafforzare il proprio senso d'identità. Infine, c'è bisogno
d'aiuto nell'accettare che quello che è successo è acqua passata
e non ci si dovrebbe sentire in colpa del fatto accaduto, piuttosto
ricollocarlo nella storia della vita della persona, dando la
responsabilità di ciò a chi ha compiuto l'azione e non a chi l'ha
subita.
I1 primo grande merito di Ron Coleman è di aver sperimentato
questi tre handicap nella sua vita e di averla cambiata con
grande ostinazione, diventando un vincitore dopo essere stato
Diagnostic and Statistic Manual of Menta1 Disorders della American Psychiatric
Association (N.d.T.).
wwW.informa-AzIOne.iNFo
Lavorare con le voci
una vittima. Egli non ha mai negato quello che gli è successo, ma
è divenuto critico in modo tale da rendere possibile ricostruirsi
una vita. I1 suo secondo grande merito è di aver trovato compagni
di viaggio tra gli operatori del mondo della salute mentale. È
l'intuizione di Mike Smith che ha visto il valore del lavoro di Ron
e si è unito a lui per seguire questa strada diversa. Hanno scritto
a quattro mani questo bellissimo libro. È una grande occasione
che Mike e Ron abbiano lavorato insieme per sviluppare questo
sistema pratico di sostegno per quegli uditori di voci che intendano
ricostruirsi una vita, senza negare il duro lavoro che comporterà
ma intraprendendo un percorso anziché aspettare qualche
miracolo.
Questo libro si basa sulle nostre ricerche per il superamento del
primo handicap e sull'esperienza privata di Ron per quanto
riguarda il secondo e il terzo handicap. Inoltre fa tesoro delle
esperienze di molti altri uditori di voci incontrati nei gruppi di
auto-aiuto in tutto il Regno Unito. Queste persone hanno insegnato
a Mike e Ron a fare le domande giuste. Tutto ciò si basa su
delle esperienze, non ancora su una valutazione scientifica.
Marius Romme e Sandra Escher
Questo libro è una grande conquista per aiutare il cambiamento
negli atteggiamenti e nell'approccio all'esperienza del sentire
le voci.
Esso è destinato agli uditori di voci e alle persone da loro
scelte per aiutarli, e aiuta coloro che hanno difficoltà ad affrontare
le proprie voci a esplorare nuovi aspetti delle stesse.
Seguendo un approccio sistematico, rivelerà le relazioni degli
uditori di voci con le voci stesse e così facendo li stimolerà ad
acquisire modalità per affrontarle più efficacemente. L'aspetto
più importante in questo processo -ben rappresentato in questo
manuale - è di riuscire a prendere possesso della propria
esperienza tramite la trascrizione della storia della propria
vita in relazione alle voci. Le domande qui contenute incoraggiano
a diventare più desiderosi di conoscere le voci e anche a
favorirne il possesso.
Questo libro sollecita il lettore a ritornare a fare progetti per la
sua vita, e ciò è particolarmente utile per coloro che si sentono
oppressi dalle voci e vogliono controllarle.
* Marius Rornrne ha insegnato Psichiatria sociale all'Università di Maastricht
dal 1974 al 1999 ed è uno dei fondatori del movimento degli uditori Intervoice. Ha
scritto con Sandra Escher Accettare le voci. Le allucinazioni auditive: capirle e conviverci,
Giuffré, Milano 1997.
Sandra Escher una giornalista scientifica, collabora con l'università di
Birmingham e si occupa da molti anni di salute mentale, in particolare dell'esperienza
dell'udire le voci.
wwW.informa-AzIOne.iNFo
Lavorare con le voci
Nei contesti sociali e in quello delle cure sanitarie, sentire le
voci è considerato una conseguenza di una malattia mentale. Alle
voci è conferito solitamente un aspetto molto negativo, e si ritiene
che debbano essere oggetto di controllo da parte degli operatori.
Molto di rado le voci vengono interpretate come portatrici
del vissuto della persona.
L'obiettivo di questo testo è aiutare la persona a superare tre
handicap:
1. l'idea che il sentire le voci sia una conseguenza di una malattia
preesistente della persona, il più delle volte la schizofrenia
(malattia dalle origini sconosciute);
2. l'idea che la schizofrenia sia una malattia non correlata in
modo comprensibile col vissuto della persona;
3. l'idea che la persona - in conseguenza del fatto di essere malata
- sia priva di potere rispetto alle voci e che le voci non siano
possedute dalla persona; mentre nei fatti le voci sono un'esperienza
individuale comprensibile correlata con i traumi o i problemi
personali della vita.
I1 tentativo è di spiegare, innanzitutto, come la psichiatria è
pervenuta a una certa visione del sentire le voci: sono passati cent'anni
da quando Kraepelin formulò il concetto di "entità di
malattie" nella psichiatria clinica. In base a questo concetto, tutti
i sintomi sono visti come il risultato di una malattia preesistente
della persona, le cui origini sono ancora sconosciute. Nel frattempo,
la scienza ha provato che il concetto di entità di malattia
esistente non è valido. Ad esempio, la schizofrenia è un concetto
che rappresenta una vasta gamma di disturbi presenti in persone
molto diverse (Bentall 1990, Boyle 1990)'.
La schizofrenia non rappresenta una diagnosi. In una diagnosi
si cerca di capire che cosa ha portato a determinati disturbi. Si
' R.P. Bentall, Reconstructing Schizophrenia, Routledge, London 1990; M. Boyle,
Schizophrenia: A Scientzj5c Delusion?, Routledge, London 1990.
wwW.informa-AzIOne.iNFo
Prefazione
analizza la complessa interazione tra le capacità della persona, il
suo sviluppo e le condizioni sociali in cui esso/ a vive.
I1 termine schizofrenia, nel sistema di classificazione del DSM2,
rappresenta una categoria basata su una gamma piuttosto vasta
di sintomi presenti in un certo momento o in un lasso di tempo.
Questo lasso di tempo non ci dice nulla sulle possibili cause, né
racchiude le esperienze personali e il loro significato per la persona
in questione. Infine, non indica neppure come affrontare l'esperienza.
Definire "malata" una persona che non sa come fronteggiare le
voci è comprensibile quando le voci, le emozioni o il comportamento
che esse provocano sono dominanti rispetto alle capacità
funzionali e alla vita della persona stessa. IÈ ragionevole definire la
persona "malata" quando le voci non sono parte integrale della
persona ma ne distruggono la spontanea volontà. Tuttavia non è
corretto considerare il sentire le voci in sé come sintomo di una
malattia, né possono essere definiti "malati" i comportamenti e le
emozioni che originano dall'avere a che fare con questa esperienza.
Quindi, una persona che sente le voci ma non può affrontarle
ha bisogno di aiuto per superare il senso di impotenza e poter
ricominciare a vivere. È necessario un aiuto per affrontare le voci
e anche per rafforzare il proprio senso d'identità. Infine, c'è bisogno
d'aiuto nell'accettare che quello che è successo è acqua passata
e non ci si dovrebbe sentire in colpa del fatto accaduto, piuttosto
ricollocarlo nella storia della vita della persona, dando la
responsabilità di ciò a chi ha compiuto l'azione e non a chi l'ha
subita.
I1 primo grande merito di Ron Coleman è di aver sperimentato
questi tre handicap nella sua vita e di averla cambiata con
grande ostinazione, diventando un vincitore dopo essere stato
Diagnostic and Statistic Manual of Menta1 Disorders della American Psychiatric
Association (N.d.T.).
wwW.informa-AzIOne.iNFo
Lavorare con le voci
una vittima. Egli non ha mai negato quello che gli è successo, ma
è divenuto critico in modo tale da rendere possibile ricostruirsi
una vita. I1 suo secondo grande merito è di aver trovato compagni
di viaggio tra gli operatori del mondo della salute mentale. È
l'intuizione di Mike Smith che ha visto il valore del lavoro di Ron
e si è unito a lui per seguire questa strada diversa. Hanno scritto
a quattro mani questo bellissimo libro. È una grande occasione
che Mike e Ron abbiano lavorato insieme per sviluppare questo
sistema pratico di sostegno per quegli uditori di voci che intendano
ricostruirsi una vita, senza negare il duro lavoro che comporterà
ma intraprendendo un percorso anziché aspettare qualche
miracolo.
Questo libro si basa sulle nostre ricerche per il superamento del
primo handicap e sull'esperienza privata di Ron per quanto
riguarda il secondo e il terzo handicap. Inoltre fa tesoro delle
esperienze di molti altri uditori di voci incontrati nei gruppi di
auto-aiuto in tutto il Regno Unito. Queste persone hanno insegnato
a Mike e Ron a fare le domande giuste. Tutto ciò si basa su
delle esperienze, non ancora su una valutazione scientifica.
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sentire le voci
IL suicidio M. Onfray
La morte mi vuole? Io voglio la morte, ecco il solo modo di restare
all'epicentro di se stessi, padroni della propria rotta. Attori di uno
spettacolo teatrale dove almeno l'utima replica sarà siglata con il
proprio nome.
Vivere va bene, ma per fare cosa?vivere per vivere?niente sembra più stupido.
Vivere va bene, ma per fare cosa?vivere per vivere?niente sembra più stupido.
Morire bene piuttosto che vivere male , godere di una morte volontaria e non subire una vita costretti a letto. E' meglio morire per amore di una vita nobile che vivere preferendo una morte ignobile.
M. Onfray Il corpo incantato
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suicidio
Toni Negri Inventare il comune degli uomini
Toni Negri
(2008)'
Partiamo da una constatazione molto semplice poiché
talvolta è più facile ragionare cominciando dalla fine: noi viviamo oggi in un
mondo dove produrre è divenuto un atto comune. Alcuni di noi hanno ancora in testa
dei blocchi interi di analisi foucaultiane sulla duplice tenaglia che
l’industrializzazione impose ai corpi e alle teste degli uomini - a partire
dalla fine del XVIII secolo. Da una parte l’individuazione, la separazione, la
desoggettivazione, l’ammaestramento di ogni individuo - ridotto a essere
un’unità produttiva in forma di monade, senza porte né finestre, interamente
disarticolato e riarticolato in funzione delle esigenze di rendimento e di
massimizzazione dei profitti; dall’altro la costruzione in serie di queste
monadi produttive, la loro massificazione, la loro costituzione in popolazione
indifferenziata, il loro carattere intercambiabile, poiché il grigio sempre
equivale al grigio e un corpo ammaestrato ne vale un altro. Individuazione, serializzazione
- ecco la tenaglia benedetta del capitalismo industriale, la meraviglia di una
razionalità politica che non esita a raddoppiare le sue procedure di controllo
e di gestione, a mordere le carni di quell’individuo che essa sta formando a
sua immagine e a inquadrare quelle popolazioni che essa si inventa, per
assicurare definitivamente il suo potere sulla vita e sfruttarne la potenza.
Udendo questo, certuni rileggeranno Sorvegliare
e punire.
Altri,
più semplicemente, hanno in testa il ritmo della catena produttiva, le braccia
spezzate, l’impressione di non esistere più, ilcorpo che si trasforma in carne
da cannone per la produzione in serie, la ripetizione senza fine, l’isolamento,
la fatica. L’impressione di essere stati a un tempo ingoiati da una balena,
soli, nel nero, nel buio, ed esser stati masticati con tanti altri.
Tutto questo è stato vero. Tutto questo esiste ancora. E tuttavia: tutto questo esiste in sempre minor misura. Da quando è nata, la rivista «multitudes» si è provata a dire questa mutazione, a descriverne la realtà - questa «tendenza» che attraversava l’esistente e ne scavava dall’interno l’intima consistenza - di analizzarne le conseguenze. Questa mutazione ha toccato, a un tempo, le condizioni dello sfruttamento, i rapporti di potere, il paradigma del lavoro, la produzione di valore. Questo cambiamento ha anche investito le possibilità di resistenza. Perché questo cambiamento, paradossalmente, ha anche riaperto e moltiplicato le possibilità di resistenza.
Uno dei punti più diffìcili e dei più polemici per quelli che ancora oggi sono affezionati al vecchio modello di produzione in serie, alla figura della fabbrica e alla storia della resistenza operaia, è di pensare che a un nuovo modo di sfruttamento degli uomini - più spinto, più efficace, più esteso - possa corrispondere un’accresciu-ta possibilità di conflittualità e di sabotaggio, di ribellione e di libertà. Per noi, dire che il modello di produzione (e dunque di sfruttamento) è cambiato, dire che bisogna smetterla di pensare alla fabbrica come all’unica matrice di produzione e di conflittualità proletaria, è anche dire maggiore resistenza. Quando parliamo di «nuovo capitalismo», di capitalismo cognitivo, di lavoro immateriale, di cooperazione sociale, di circolazione del sapere, di intelligenza collettiva, proviamo a descrivere, a un tempo, la nuova esistenza del saccheggio capitalista della vita, il suo investimento non più solamente della fabbrica ma delfiniera società, ma anche la generalizzazione dello spazio della lotta, la trasformazione del luogo di resistenza e la figura della metropoli, in quanto luogo di produzione, divenuta oggi lo spazio delle resistenze possibili. Noi diciamo che oggi il capitalismo non può più permettersi di desoggettivare - individualizzare, serializzare - gli uomini, di triturarne la carne per farne dei golem a due teste (l’«individuo» come unità produttiva, la «popolazione» come oggetto di gestione massificata). Il capitalismo non può più permetterselo perché quello che produce il valore è ormai la produzione comune delle soggettività.
intendiamo negare che esistano ancora delle fabbriche, dei corpi massacrati e delle catene di lavoro. Affermiamo solo che lo stesso principio della produzione, il suo baricentro, s’è spiazzato; che creare del valore, oggi, è mettere in rete le soggettività e captare, sviare, appropriarsi quel che esse fanno di quel comune che mettono in vita. Il capitalismo ha oggi bisogno delle soggettività, ne è dipendente. Esso si ritrova dunque incatenato a quello che paradossalmente lo mette in pericolo: perché la resistenza, l’affermazione di una libertà intransitiva degli uomini, è precisamente far valere la potenza dell’invenzione soggettiva, la sua molteplicità singolare, la sua capacità di produrre il comune a partire dalle differenze. Da carne di cannone della produzione, quali erano, i corpi e i cervelli si sono trasformati in armi contro il capitalismo. Senza il comune, il capitalismo non può più esistere. Con il comune le possibilità di conflitto, di resistenza e di riappropriazione si sono infinitamente accresciute. Formidabile paradosso di un’epoca che è finalmente riuscita a sbarazzarsi degli ornamenti della modernità.
Dal punto di vista di quello che si può chiamare la «composizione tecnica» del lavoro, la produzione è dunque divenuta comune. Dal punto di vista della sua «composizione politica», bisognerebbe allora che a questa produzione comune corrispondessero delle nuove categorie giuridico-politiche, capaci di organizzare quésto «comune», di dirne la centralità, di descriverne le nuove istituzioni e il funzionamento interno. Ora, queste nuove categorie non ci sono, esse mancano. Il fatto che si mascherino le nuove esigenze del comune, che si continui paradossalmente a ragionare in termini obsoleti - come se il luogo di produzione fosse ancora la fabbrica, come se i corpi fossero ancora incatenati, come se non si avesse scelta tra essere soli (individuo, cittadino, monade produttiva, numero di cella di una prigione o operaio sulla linea, Pinocchio solitario nel ventre della balena) ed essere indistintamente massificati (popolazione, popolo, nazione, forza lavoro, razza, carne da cannone per la patria, boi digestivo nel ventre della balena) - il fatto, dunque, che si continui ad agire come se niente fosse avvenuto, come su niente fosse cambiato: ecco che cosa costituisce la più perversa capacità di mistificazione del potere. Dobbiamo aprire il ventre della balena, dobbiamo battere Moby Dick.
ne quasi permanente di due termini, che funzionano come altrettanti inganni ma corrispondono allo stesso tempo a due maniere di appropriarsi il comune degli uomini. La prima di queste maniere è il ricorso alla categoria del «privato»; la seconda, è il ricorso alla categoria del «pubblico». Nel primo caso, la proprietà - Rousseau dixit: e il primo uomo che ha detto «questo è mio»... - è un’appropriazione del comune da parte di uno solo, vale a dire anche un’espropriazione di tutti gli altri. Oggi, la proprietà privata consiste propriamente nel negare agli uomini il loro diritto comune su quello che solo la loro cooperazione è capace di produrre. La seconda categoria, di contro, è quella del «pubblico». Il buon Rousseau, che era così duro con la proprietà privata quando, a giusto titolo, la considerava la sorgente di tutte le corruzioni e sofferenze umane, cade allora immediatamente nel tranello. Problema del contratto sociale - problema della democrazia moderna; poiché la proprietà privata genera l’ineguaglianza, come si potrà inventare un sistema politico dove tutto, appartenendo a tutti, non appartenga a nessuno? La trappola si chiude su Jean-Jacques - e su tutti noi allo stesso tempo. Ecco dunque cos’è il pubblico: quello che appartiene a tutti ma a nessuno, vale a dire quello che appartiene allo Stato. E poiché lo Stato dovremmo essere noi, allora bisognava inventare qualcosa per rendere gentile la sua manomissione del comune: farci credere ad esempio che esso ci rappresenti, e se lo Stato si arroga dei diritti su quello che noi produciamo, è perché quel «noi» che noi siamo, non è quello che noi produciamo in comune, inventiamo e organizziamo come comune, ma quello che ci permette di esistere. Il comune, ci dice lo Stato, non ci appartiene, perché noi non lo creiamo veramente: il comune è il nostro suolo, il nostro fondamento, quello che noi abbiamo sotto i piedi: la nostra natura, la nostra identità. E se questo comune non ci appartiene veramente - essere non è avere - la manomissione dello Stato sul comune non si chiama appropriazione ma gestione (economica), delegazione e rappresentanza (politiche). CVD:implacabile bellezza dal pragmatismo pubblico.
La natura e l’identità sono delle mistificazioni del paradigma moderno del potere. Per riappropriarci il nostro comune bisogna prima di tutto produrne una drastica critica. Noi non siamo niente e noi non vogliamo essere niente. «Noi»: non è una posizione è un essenza una cosa della quale è facile dichiarare che è pubblica. Il nostro comune non è il nostro fondamento, è la nostra produzione, la nostra invenzione continuamente ricominciata. «Noi»: è il nome di un orizzonte, il nome di un divenire. Il comune ci è davanti, sempre, è un progredire. Noi siamo questo comune: fare, produrre, partecipare, muoversi, dividere, circolare, arricchire, inventare, rilanciare.
Tuttavia noi abbiamo pensato, lungo quasi tre secoli, la democrazia come l’amministrazione della cosa pubblica, vale a dire come l’istituto dell’appropriazione statale del comune. Oggi, la democrazia non può più esser pensata che in termini radicalmente differenti: come gestione comune del comune. Questa gestione implica a sua volta una ridefìnizione dello spazio - cosmopolitico; e una ridefìnizione della temporalità - costituente. Non si tratta più di definire una forma di contratto che faccia sì che tutto, essendo di tutti, non appartenga tuttavia a nessuno. No: tutto, essendo prodotto da tutti, appartiene a tutti.
Nel dossier che alcuni di noi hanno proposto nella «Maggiore» di questo numero di «Multitudes»2 (a partire da esperienze che conducono da alcuni anni e a partire anche dalla constatazione che queste esperienze, altre volte «di nicchia», stanno oggi generalizzandosi), tentiamo di rendere visibile questo comune, di raccontare delle strategie di riappropriazione del comune. La metropoli, oggi, è divenuta un tessuto produttivo generalizzato: è là che la produzione comune si dà e si organizza, è là che l’accumulazione del comune si realizza. L’appropriazione violenta di quest’accumulazione si fa ancora a titolo privato o a titolo pubblico - e quello che si chiama «la rendita» dello spazio metropolitano è ormai un enjeu economico maggiore, ed è su questo punto che le strategie del controllo si cristallizzano - ma noi non vogliamo entrare qui nelle analisi del rapporto di questa rendita al profitto e neppure in quella delle «esternalità produttive»... ci è sufficiente, per il momento, fissare il fatto che l’appropriazione privata è sovente garantita e legittimata dall’appropriazione pubblica e viceversa.
Riprendere il comune, riconquistare non più una cosa ma un processo costituente, vale a dire anche lo spazio nel quale esso si svolge: lo spazio della metropoli. Tracciare delle diagonali dentro lo spazio rettilineo del controllo: opporre delle diagonali ai diagrammi, degli interstizi ai quadrìllages, dei movimenti alle posizioni, dei divenire alle identità, delle molteplicità culturali senza fine alle nature semplici, degli artefatti alle pretese di un’origine. In un bel libro, di qualche anno fa, Jean Starobinski ha parlato dell’età dei Lumi come d’un tempo che aveva visto «l’invenzione della libertà». Se la democrazia moderna è stata l’invenzione della libertà, la democrazia radicale, oggi, vuol essere invenzione del comune.
Tutto questo è stato vero. Tutto questo esiste ancora. E tuttavia: tutto questo esiste in sempre minor misura. Da quando è nata, la rivista «multitudes» si è provata a dire questa mutazione, a descriverne la realtà - questa «tendenza» che attraversava l’esistente e ne scavava dall’interno l’intima consistenza - di analizzarne le conseguenze. Questa mutazione ha toccato, a un tempo, le condizioni dello sfruttamento, i rapporti di potere, il paradigma del lavoro, la produzione di valore. Questo cambiamento ha anche investito le possibilità di resistenza. Perché questo cambiamento, paradossalmente, ha anche riaperto e moltiplicato le possibilità di resistenza.
Uno dei punti più diffìcili e dei più polemici per quelli che ancora oggi sono affezionati al vecchio modello di produzione in serie, alla figura della fabbrica e alla storia della resistenza operaia, è di pensare che a un nuovo modo di sfruttamento degli uomini - più spinto, più efficace, più esteso - possa corrispondere un’accresciu-ta possibilità di conflittualità e di sabotaggio, di ribellione e di libertà. Per noi, dire che il modello di produzione (e dunque di sfruttamento) è cambiato, dire che bisogna smetterla di pensare alla fabbrica come all’unica matrice di produzione e di conflittualità proletaria, è anche dire maggiore resistenza. Quando parliamo di «nuovo capitalismo», di capitalismo cognitivo, di lavoro immateriale, di cooperazione sociale, di circolazione del sapere, di intelligenza collettiva, proviamo a descrivere, a un tempo, la nuova esistenza del saccheggio capitalista della vita, il suo investimento non più solamente della fabbrica ma delfiniera società, ma anche la generalizzazione dello spazio della lotta, la trasformazione del luogo di resistenza e la figura della metropoli, in quanto luogo di produzione, divenuta oggi lo spazio delle resistenze possibili. Noi diciamo che oggi il capitalismo non può più permettersi di desoggettivare - individualizzare, serializzare - gli uomini, di triturarne la carne per farne dei golem a due teste (l’«individuo» come unità produttiva, la «popolazione» come oggetto di gestione massificata). Il capitalismo non può più permetterselo perché quello che produce il valore è ormai la produzione comune delle soggettività.
intendiamo negare che esistano ancora delle fabbriche, dei corpi massacrati e delle catene di lavoro. Affermiamo solo che lo stesso principio della produzione, il suo baricentro, s’è spiazzato; che creare del valore, oggi, è mettere in rete le soggettività e captare, sviare, appropriarsi quel che esse fanno di quel comune che mettono in vita. Il capitalismo ha oggi bisogno delle soggettività, ne è dipendente. Esso si ritrova dunque incatenato a quello che paradossalmente lo mette in pericolo: perché la resistenza, l’affermazione di una libertà intransitiva degli uomini, è precisamente far valere la potenza dell’invenzione soggettiva, la sua molteplicità singolare, la sua capacità di produrre il comune a partire dalle differenze. Da carne di cannone della produzione, quali erano, i corpi e i cervelli si sono trasformati in armi contro il capitalismo. Senza il comune, il capitalismo non può più esistere. Con il comune le possibilità di conflitto, di resistenza e di riappropriazione si sono infinitamente accresciute. Formidabile paradosso di un’epoca che è finalmente riuscita a sbarazzarsi degli ornamenti della modernità.
Dal punto di vista di quello che si può chiamare la «composizione tecnica» del lavoro, la produzione è dunque divenuta comune. Dal punto di vista della sua «composizione politica», bisognerebbe allora che a questa produzione comune corrispondessero delle nuove categorie giuridico-politiche, capaci di organizzare quésto «comune», di dirne la centralità, di descriverne le nuove istituzioni e il funzionamento interno. Ora, queste nuove categorie non ci sono, esse mancano. Il fatto che si mascherino le nuove esigenze del comune, che si continui paradossalmente a ragionare in termini obsoleti - come se il luogo di produzione fosse ancora la fabbrica, come se i corpi fossero ancora incatenati, come se non si avesse scelta tra essere soli (individuo, cittadino, monade produttiva, numero di cella di una prigione o operaio sulla linea, Pinocchio solitario nel ventre della balena) ed essere indistintamente massificati (popolazione, popolo, nazione, forza lavoro, razza, carne da cannone per la patria, boi digestivo nel ventre della balena) - il fatto, dunque, che si continui ad agire come se niente fosse avvenuto, come su niente fosse cambiato: ecco che cosa costituisce la più perversa capacità di mistificazione del potere. Dobbiamo aprire il ventre della balena, dobbiamo battere Moby Dick.
ne quasi permanente di due termini, che funzionano come altrettanti inganni ma corrispondono allo stesso tempo a due maniere di appropriarsi il comune degli uomini. La prima di queste maniere è il ricorso alla categoria del «privato»; la seconda, è il ricorso alla categoria del «pubblico». Nel primo caso, la proprietà - Rousseau dixit: e il primo uomo che ha detto «questo è mio»... - è un’appropriazione del comune da parte di uno solo, vale a dire anche un’espropriazione di tutti gli altri. Oggi, la proprietà privata consiste propriamente nel negare agli uomini il loro diritto comune su quello che solo la loro cooperazione è capace di produrre. La seconda categoria, di contro, è quella del «pubblico». Il buon Rousseau, che era così duro con la proprietà privata quando, a giusto titolo, la considerava la sorgente di tutte le corruzioni e sofferenze umane, cade allora immediatamente nel tranello. Problema del contratto sociale - problema della democrazia moderna; poiché la proprietà privata genera l’ineguaglianza, come si potrà inventare un sistema politico dove tutto, appartenendo a tutti, non appartenga a nessuno? La trappola si chiude su Jean-Jacques - e su tutti noi allo stesso tempo. Ecco dunque cos’è il pubblico: quello che appartiene a tutti ma a nessuno, vale a dire quello che appartiene allo Stato. E poiché lo Stato dovremmo essere noi, allora bisognava inventare qualcosa per rendere gentile la sua manomissione del comune: farci credere ad esempio che esso ci rappresenti, e se lo Stato si arroga dei diritti su quello che noi produciamo, è perché quel «noi» che noi siamo, non è quello che noi produciamo in comune, inventiamo e organizziamo come comune, ma quello che ci permette di esistere. Il comune, ci dice lo Stato, non ci appartiene, perché noi non lo creiamo veramente: il comune è il nostro suolo, il nostro fondamento, quello che noi abbiamo sotto i piedi: la nostra natura, la nostra identità. E se questo comune non ci appartiene veramente - essere non è avere - la manomissione dello Stato sul comune non si chiama appropriazione ma gestione (economica), delegazione e rappresentanza (politiche). CVD:implacabile bellezza dal pragmatismo pubblico.
La natura e l’identità sono delle mistificazioni del paradigma moderno del potere. Per riappropriarci il nostro comune bisogna prima di tutto produrne una drastica critica. Noi non siamo niente e noi non vogliamo essere niente. «Noi»: non è una posizione è un essenza una cosa della quale è facile dichiarare che è pubblica. Il nostro comune non è il nostro fondamento, è la nostra produzione, la nostra invenzione continuamente ricominciata. «Noi»: è il nome di un orizzonte, il nome di un divenire. Il comune ci è davanti, sempre, è un progredire. Noi siamo questo comune: fare, produrre, partecipare, muoversi, dividere, circolare, arricchire, inventare, rilanciare.
Tuttavia noi abbiamo pensato, lungo quasi tre secoli, la democrazia come l’amministrazione della cosa pubblica, vale a dire come l’istituto dell’appropriazione statale del comune. Oggi, la democrazia non può più esser pensata che in termini radicalmente differenti: come gestione comune del comune. Questa gestione implica a sua volta una ridefìnizione dello spazio - cosmopolitico; e una ridefìnizione della temporalità - costituente. Non si tratta più di definire una forma di contratto che faccia sì che tutto, essendo di tutti, non appartenga tuttavia a nessuno. No: tutto, essendo prodotto da tutti, appartiene a tutti.
Nel dossier che alcuni di noi hanno proposto nella «Maggiore» di questo numero di «Multitudes»2 (a partire da esperienze che conducono da alcuni anni e a partire anche dalla constatazione che queste esperienze, altre volte «di nicchia», stanno oggi generalizzandosi), tentiamo di rendere visibile questo comune, di raccontare delle strategie di riappropriazione del comune. La metropoli, oggi, è divenuta un tessuto produttivo generalizzato: è là che la produzione comune si dà e si organizza, è là che l’accumulazione del comune si realizza. L’appropriazione violenta di quest’accumulazione si fa ancora a titolo privato o a titolo pubblico - e quello che si chiama «la rendita» dello spazio metropolitano è ormai un enjeu economico maggiore, ed è su questo punto che le strategie del controllo si cristallizzano - ma noi non vogliamo entrare qui nelle analisi del rapporto di questa rendita al profitto e neppure in quella delle «esternalità produttive»... ci è sufficiente, per il momento, fissare il fatto che l’appropriazione privata è sovente garantita e legittimata dall’appropriazione pubblica e viceversa.
Riprendere il comune, riconquistare non più una cosa ma un processo costituente, vale a dire anche lo spazio nel quale esso si svolge: lo spazio della metropoli. Tracciare delle diagonali dentro lo spazio rettilineo del controllo: opporre delle diagonali ai diagrammi, degli interstizi ai quadrìllages, dei movimenti alle posizioni, dei divenire alle identità, delle molteplicità culturali senza fine alle nature semplici, degli artefatti alle pretese di un’origine. In un bel libro, di qualche anno fa, Jean Starobinski ha parlato dell’età dei Lumi come d’un tempo che aveva visto «l’invenzione della libertà». Se la democrazia moderna è stata l’invenzione della libertà, la democrazia radicale, oggi, vuol essere invenzione del comune.
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Devi cambiare la tua vita- Peter Sloterdijk
Al posto del romanticismo della fratellanza subentrerebbe una logica cooperativa. L'umanità diventerebbe un concetto politico. I suoi membri non sarebbero più passeggeri della nave dei folli rappresentata dall'universalismo astratto. ma collaboratori di un progetto, assolutamente concreto e discreto di un design immunitario globale.
Sebbene fin dal principio , il Comunismo fosse un conglemerato di poche idee giuste e molte idee sbagliate, la sua parte ragionevole : presto o tardi , l'idea che i supremi interessi comuni e di vitale importanza possano realizzarsi solamente in un oprizzonte di ascesi universali e cooperative acquisterà necessariamente nuova validità. Essa spinge verso una macrostruttura di immunizzazionei globali: co-immunità
Una struttura simile si chiama civiltà
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mercoledì, luglio 25, 2012
Toni Negri Comunismo e Socialismo
Comunismo è invece radicalissima democrazia economica-politica e speranza di libertà.
Il Comunismo come Marx insegna nasce direttamente dall'antagonismo di classe, dal rifiuto del lavoro e della sua organizzazione.
E' su questa contraddizione e su questa alternativa fra la Luxemburg e Lenin, fra una concezione del comunismo come democrazia costituente delle masse o, di contro come dittatura del proletariato che si origina la crisi della gestione del potere socialista.
La distinzione del concetto di Socialismo da quello di Comunismo era conoscenza banale per il vecchio militante:
Il Socialismo era il regime economico politico nel quale a ciascuno era dato in relazione al proprio lavoro,
IL Comunismo era il sistema nel quale a ciascuno era dato in relazione ai propri bisogni.
Socialismo e Comunismo rappresentavano due stadi diversi del percorso rivoluzionario il primo caratterizzato dalla socializzazione dei beni di produzione , il secondo caratterizzato dall'estinzione dello Stato e dalla spontaneità della gestione dell'economia e del potere.
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Rolando Perez On Anarchy & Schizoanalysis
L’anarchista è un nomade una macchina desiderante nomadica che si concatena con altre macchine desideranti ma non rimane dipendente da nessuna macchina in particolare.
IL Rapporto dell’anarchista con gli altri è una relazione attiva. Egli non tratta gli altri come ricettacoli e non consente agli altri di trattarlo come un ricettacolo. Le sue concatenazioni sono sempre binarie . Non appartiene mai a una nazione a un partito o a qualsiasi altra alleanza tribale. E’0 sempre in movimneto.
L’anarhico è colui o colei il cui desiderio attivo non è regolamentato, non gerarchizzato dalla famiglia, dalla chiesa, dalla scuola, dall’esercito, dal lavoro.
Consentitemi di dire in sostanza che un anarchico è all’ora un corpo non strutturato, un corpo senza organi.
Rolando Perez
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Rolando Perez
Nichilismo
Sono WAlter Simonetti prigioniero del mondo, capro espiatorio della
lobby Frankista e dello Stato Italiano al confino politico civile.
Dicono che siamo in guerra lo Stato contro i mostri della Fazione
dell’anarchia e contro i Marsigliesi….grazie di tutto francesi sono vivo
e vegeto qui nel paese dei demoni . Salvare la vita di un(due)presidenti
non conta proprio nulla siamo proprio nel nichilismo compiuto Severino e
Vattimo docet..UN LAVORO SPORCO
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Simonetti Walter
martedì, luglio 10, 2012
La morte ride...
'Non possiamo condannare l'operato dello stato le nostre decisioni non si discutono. Ti abbiamo perseguitato, siamo noi che ti abbiamo distrutto la vita. Ti abbiamo segnato tramite quel pazzo di tuo "padre". Vedi i Simonetti dovevano pagare caro la loro sovversione, la loro pazzia erano un onta da cancellare nella storia della sinistra italiana. La destra, il nano psicotico la pensano come noi. E poi non sei una persona ma solo un idiota uno scherzo del destino un capro espiaotrio, che fa si che il popolo sta unito e i nostri burocrati e militanti ci guadagnano dei bei soldini.I Frankisti ne hanno molti e sono generosi e deviati. E la gente non a idee strane per la testa contro lo Stato e la mafia Italia va avanti così. Non cambierà mai niente per te sei un anti italiano , un homo sacer. E' il popolo di sinistra la società civile che c'è lo chiede. Adesso stai tranquillo che ci pensiamo noi a te con l'aiuto dei tuoi fratelli di spirito e della lobby Frankista ti facciamo sopravvivere come un paria, ti abbiamo riproggamato un lavaggio del cervello, adesso vai e divertiti'
Presidente baffino detto piccolo Stalin
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Simonetti Walter
lunedì, luglio 09, 2012
Un segreto di stato Simonetti Walter
ucronia77
Cominciare a scrivere è come morire, sono morto più di 80 volte ucciso e suicidato dallo Stato italiano. Tutt’ora sotto leggi speciali che non mi permettono di vivere come un uomo, un paria. Il mio nome era prima del sequestro, del rapimento da parte dello Stato, Walter Simonetti. Sono un esperimento genetico la reincarnazione dello stregone folle, ho dei segni nel sangue che fanno risalire la mia discendenza dagli antichi sumeri. Per tanti altri sono anche un alieno, un ebreo la diversità fatta parola. Per le leggi razziali non scritte ma risalenti al ventennio fascista sono un anti italiano, un demone.
Anche se non ho più ricordi dopo i lavaggi del cervello e le iniezioni di speciali medicine per la perdita della memoria, posso dire tramite le mie sensazioni di essere nato a Milano il 7 gennaio 1971. Da un parto gemellare, ero affetto da nanismo.
Mio fratello gemello morirà ucciso da militanti stalinisti del P.C.I. premiati con i soldi della lobby Frankista e le medaglie dello Stato il suo sangue chiede vendetta e ci sarà.
Questa guerra non è ancora finita indicato negli anni 70 come l’anti Cristo dalla Chiesa Cattolica e l’assassino di Aldo Moro dagli stalinisti sono il capro espiatorio della società italiana. Con i soldi della lobby, mafia Frankista, guidata da mostri pedofili, la sinistra italiana fa clientelismo dalla fine della seconda guerra mondiale. La paura della sua base è così elevata che solo la corruzione la tiene in piedi. Alle elezioni gli ex comunisti prendono un 10 % in più tramite questi soldi che arrivano a milioni di persone. Il prezzo da pagare è il capro espiatorio. I Frankisti hanno credenze deviate medievali: la Dea madre, arianesimo e la persecuzione dei diversi degli ebrei. Sono negazionisti negano l’olocausto e non tollerano la dissidenza. E vogliono il capro espiatorio i discendenti dei sumeri in Italia sono diventati dei paria.
Uno dei famosi programmi della lobby e degli stalinisti dopo gli anni di piombo era l’assassinio di tutti i cattivi maestri e militanti autonomi. Questo folle progetto fù fermato dallo Stato Francese. Ma molti morirono furono uccisi i cosiddetti perfetti sia appartenenti al partito socialista sia dell’autonomia. Furono accusati da un infame del partito comunista di traffico di droga, incarcerati e uccisi a sangue freddo dai maiali. Sette bambini furono uccisi dallo stesso militante comunista e dalla moglie era il prezzo che dovevano pagare per uscire di galera l’accusa era terrorismo. Un eroe in Italia già rinchiuso in gioventù in manicomio sarà il mio carceriere per tutta la vita. Non vale la pena fare il suo nome, un giorno morirà berremo e festeggeremo con la forza primordiale è con l’anarchia.
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Simonetti Walter
Lo stregone folle contro lobby Frankista
Lo stregone folle contro la lobby Frankista
Li sto chiamando ma non rispondono più, i miei demoni, Gigo e mio figlio il turco. Le mie ossessioni quotidiane stanno sparendo forse mi sbaglio tutto poi continuerà come prima.
Disteso sul letto in psichiatria guardo la mia vita fuggirmi via, il passato cancellato dalle medicine, il presente un’ombra minacciosa. No futuro. A contatto con l’ideologia dominante il Nichilismo tutto sembra vano anche raccontare questa storia del capro espiatorio, dell’Ordine e della schifosa lobby Frankista. Una storia tutta italiana.
Siamo in guerra, anche se l’abbiamo persa noi Marsigliesi, ma l’ultima parola sarà la nostra, così è il valore della forza primordiale.
La negromanzia è un’arte della provocazione.
A volte sento il potere della forza, il potere costituente, ritornare nei miei pensieri. C’è una lotta psichica senza quartiere che si combatte con armi e poteri antichi come le leggi dei sumeri. Le ossessioni mi invadono la testa a volte le voci sono amichevoli scherzano a volte fanno paura. La prigione del reale resta come sempre assordante.
Ci sono voluti 30 anni di sofferenze, morte, disperazione, torture, umiliazione, esplosione, vendette, esprimenti ma alla fine la rigenerazione c’è stata. La pillola rossa ha avuto i suoi effetti a Venezia. Alla festa del carnevale nel 2001, mi hanno per una notte risvegliato. Mostrato il passato, cancellato dai lavaggi del cervello. La televisione ha mostrato l’omicidio perfetto dello Stato.
Ma prima di Venezia nel 2001 ci sono state le siringate di eroina da parte dei compagni del ex PCI, agenti della contro rivoluzione preventiva, pagate profumatamente dalla lobby frankista dal finanziere l’anima nera di questa repubblica delle banane. Mesi di paranoie e di panico dove non potevi fuggire dove la morte volava vicino, troppo vicino.
Dove i soldi della lobby hanno conquistato le mitiche avanguardie del Link di Bologna, pagate per torturami il cervello.
Ricordo che guardavo sempre un film La corta notte delle bambole di vetro.
Altri sono intervenuti per vendetta gelosia, per la storia è tutta colpa tua se è finito tutto la solita storia dei gesuiti del capro espiatorio.
Questa è l’ultima volta che torno lo stregone folle dopo questa vita non parteciperà più, non ho più un popolo da difendere.
Sono stato venduto per denaro a quei maiali della lobby frankista dai miei fratelli di spirito. Per tutti gli altri amici, sorelle, parenti, sono diventato un capro espiatorio da violentare per soldi. Sborsati dal finanziere un demente deviato. Una maschera che però compare nella lista nera del mossad ai ai sono guai.
Rimane solo la fratellanza.
Ciao figli miei.
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