"La verità, per quanto dolorosa, per quanto carica di conseguenze che sconvolgono l'esistenza, è condizione indispensabile per la vita. Non si tratta della semplice verità di un nome, un origine o una filiazione. La verità afferma, è la condizione per essere se stessi". Victoria Donda
Simonetti Walter ( IA Chimera ) un segreto di Stato il ringiovanito Biografia ucronia Ufficiale post
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giovedì, dicembre 04, 2014
mercoledì, dicembre 03, 2014
Angeli caduti
Ero su un tetto di un vecchio palazzo
insieme ad un amico
avevo delle ali di cartone
legate sulla schiena
credevo e fingevo di essere un uccello rapace
che spiccava il volo
col sangue pieno di acido lisergico
cercavo scalpore trovavo indifferernza
dalla moltitudine solo urla indistinte
"Buttati! falla finita, criminale!"
La visione di un santo eretico
ci portò al salto improvviso
dieci metri sotto di noi
sembravamo spacciati
ma qualcuno, qualcosa ci teneva
per le braccia
il volo dell'angelo caduto
la leggenda del RE pescatore
siamo il frutto di esperimenti
siamo il frutto di macchinazioni
siamo il frutto della violenza dello Stato
siamo agenti provocatori
che sono diventati lavori sporchi
ma non sanno loro come farla finita
la legge del Karma
la violenza che fai un giorno ritornera contro di te
sono stato vittima e carnefice
un angelo caduto
Mi contraddico, cammino al buio
un uomo solo
con la vita fatta a pezzi
non solo dalla finanza ma da tutto il resto
dell'umana società
questa storia ci dice che siamo tutti in vendita
e chi parla per valori parla per il nulla
del denaro
fatto con la merce dell'infamia e dell'ipocrisia
solo la forza primordiale che sta dentro di noi, l'anarchia ci può salvare!
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Simonetti Walter
sabato, novembre 22, 2014
Dopo il trattamento
Sono stato internato
per il mio bene e della comunità
avevo un coltello in mano
o volevo andarmene di nuovo
così mi è stato detto
sono stato classificato come un fuoriuscito
dal circo dal manicomio della vita
a cielo aperto
una gabbia d'acciaio
da cui non si può fuggire
non si può scappare
dalle proprie responsabilità
nemmeno morire i tentacoli dell'Ordine sono ovunque
nemmeno con la droga e l 'alcool si può far perdere
le proprie tracce
annegare i pensieri molesti paranoici
è solo una nuova prigione
da cui è difficile uscire
Sono stato internato
per delle agitazioni psichiche
disturbo borderline di personalità
sono stato venduto come Gesù
per tranta denari
il socialismo degli straccioni, degli imbecilli
dopo anni di analisi viene a galla
che non esisto
e mai ho potuto vivere nell'isola felice
un film tragicomico
il riso ha soffocato il dolore della perdita
il sacrificio come costante e rigenerazione
Sono stato internato
per il divertimento del Principe
e del capo della Lobby dei devianti che crede di essere un ariano
per paura delle proprie origini
e compra le proprie amicizie
a suon di quattrini
violentando e ammazzando quello che chiama ebreo di spirito
il pariah l'intoccabile che non vuole morire
che non ha più paura della paura
sabato, novembre 15, 2014
In principio era paranoia
Ricomincio dal futuro anteriore
dal passato che non è stato
dalla dolce ascesa della paura
in principio era paranoia
un ucronia sempre presente, liquida
ero un bambino una specie di mostro dissacrante
strappato alla madre
con l'iniezione mi facevano dimenticare
la tortura quotidiana nella clinica degli orrori
la forza era con me
poi bastava sopportare la paranoia
poi bastava sopportare lo specchio
un altro volto
poi bastava sopportare il ringiovanimento
il mio futuro capovolto
distrutto ero come una maionetta impazzita
nelle mani dello Stato
mordi e fuggi, i provos, la comune, il 77
la rigenerazione del pane quotidiano, l'oppio dei popoli,
agenti del kaos in prima linea
nel riflusso dissociati dalla realtà
cadono a branchi nel girone infernale dell'eroina
un ideale, una fede, una bandiera, l'eroina
avanguardie del proletaraiato
si trasformano in spacciatori di paradisi artificiali
agenti provocatori fanno il doppio gioco
per stare a galla
trasportano la merce
come fosse il vangelo
i primi morti
le prime vettime dell'estinzione
i perfetti se ne vanno al paradiso dei giusti
poche parole per rendere omaggio
alla provocazione
un sacrificio umano
per L'Ordine della Stella d'argento
per placare il Dio dell'amore e dell'odio
un giorno si diventa dei criminali
un giorno rischiando il linciaggio
si parte di nuovo
per il secondo ringiovanimento
l'esperimento continua
la galera la violenza illustrata
il tradimento dell'anarchia
sentirsi liberi di scegliere
oltre la linea
non sopporatare i raket del movimento
i gesuiti cattivi maestri
il rispetto che è un vecchio ricordo torna a farmi visita ora
nel presente senza ombra
i ricordi ormai cancellati
dalle pillole della memoria
lasciano un vuoto che nemmeno
i farmaci e l'alcoll possono riempire
un lavoro sporco questo sono diventato
non da oggi ma da sempre
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domenica, ottobre 19, 2014
Non sono razionale
E' assurdo ma non sono razionale
leggo ed ascolto di continuo cose che non capisco
digerisco fino al parossismo
elucubrazioni all'insegna del valore del denaro
della famiglia delle virtù del Capitale, dello Stato e del Partito
rispondo con critica del valore lavoro
e sogno l'empiriocriticismo di Bogdanov il postfordismo e le vacche magre
ma non posso vivere in questo modo
datemi un appiglio
per non affogare perchè so appena nuotare
ho contro nelle mie psicosi uno Paese intero
ho perso l'onore ma cosa può essere un capro espiatorio
se non un delatore fuggiasco, il provocatore dei provocatori
che non hanno pena del ragazzo dal sangue impuro
e credo nei miraggi e nelle nuvole elettrificate
in oggetti volanti volanti non identificati
nel buon popolo degli elfi e degli gnomi
nella fratellanza del Vero Comunismo
nella saggezza dell'innocenza
perduta nel crimine
degli anarchici stirneriani
issati a simbolo di un intero mondo
per il loro peccato originale
di non appartenere al popolo di Cristo
ma discendenti di demoni implacabili
gli uomini più antichi
ormai animali estinti da leggi speciali
E' assurdo ma non sono razionale
mi estraneo dal mondo
ascoltando musica fuori dal confine
dalla linea di condotta
dove nemmeno un nichilista
può sognare la sua agape
Dopo il trattamento dei servizi segreti
dopo le siringate di eroina
dopo la vendetta e l'oblio
dopo la scelta del fratello ebreo
la fine di un icona
un marsigliese
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Simonetti Walter
mercoledì, ottobre 15, 2014
Passaporto per Magonia
«Dominando la legge del valore, il capitale domina gli uomini; più precisamente, a mano a mano che si incarna e si antropomorfizza, esso succhia agli uomini tutte le forze e la loro materialità. Essi vengono in tal modo ridotti a puri spiriti che ricevono, adesso, la propria sostanza dal capitale il quale, in quanto comunità materiale, è divenuto anche natura»
(Camatte, «A proposito del capitale», in appendice a II capitolo VI del Capitale e l’opera economica di Karl Marx
Sono indeciso sul da farsi
non so dove andare
che autobus prendere
in sogno prendo il volo delle nove per Parigi
per un aperitivo
mi dico
solo un bicchierino e poi torno soddisfatto
ma io non posso più bere
me l'ha detto il dottore
me l'hanno detto in tanti
anche il mio corpo
coi psicofarmaci non si scherzazero tolleranza
c'è una strana aria in giro
e non è solo la crisi del nuvo eone
che ha perso la fede, ma da
quando il capitale si è fatto uomo
non c'è più scampo
tranne l'esodo
bisogna proprio abbandore questo mondo
come gli eretici, come le streghe nel medioevo in combutta col demonio,
e ora gli alieni in procinto di creare una nuova specie (sic)
sperando in Magonia
Sono cresciuto dimenticando Magonia
o meglio dire hanno cancellato, gli uomini in nero,
dalla mia mente l'altro mondo, l'altra dimensione
e non è stato un piacere
sono caduto dentro un brodo di giuggiole
un bad trip
chi l'ha fatto sa di cosa parlo
Non c'è alternativa non c'è una possibilità per noi che Magonia
l'uomo non ci permetterà di vivere in pace
solo tra noi solo nelle nostre comunità
se ancora esistono? le nostre isole di Tortuga
dedicato ai miei fratelli e le mie sorelle a Magonia
Se accendo il televisore
venditori ambulanti comprano e vendono tutto
anche la vita delle persone
voglio ridere per ridere
se spengo la mia mente
e mi avvicino al sonno gioisco
una droga naturale mi pervade il corpo
voglio ridere per ridere
se affogo nell'alcol
e divento un straccio d'uomo
alla terza birra voglio ridere per ridere
giovedì, settembre 18, 2014
F. Nietzsche Il viandante e la sua ombra
Parte seconda
Il viandante e la sua ombra
L 'ombra: Giacché è tanto tempo che non ti sento parlare, vorrei dartene
un'occasione.
Il viandante: Parla — dove? e chi? E quasi come se sentissi parlare me stesso, solo
con voce più debole della mia.
L'ombra (dopo una pausa): Non sei contento di avere un'occasione di parlare?
Il viandante: Per dio e per tutte le cose a cui non credo, è la mia ombra che parla: la
sento, ma non ci credo.
L'ombra: Accettiamolo e non pensiamoci oltre, tra un'ora sarà tutto finito.
II viandante: Pensai proprio così, quando in un bosco vicino a Pisa vidi prima due e
poi cinque cammelli.
L'ombra: E bene che ambedue siamo ugualmente indulgenti verso di noi, se per una
volta la nostra ragione tace: così anche nel nostro colloquio non ci adireremo e non
metteremo subito le manette all'altro se la sua parola ci suonerà incomprensibile.
Se proprio non si sa rispondere, basta già dire qualcosa: questa è l'equa condizione
alla quale io mi intrattengo con qualcuno. In un dialogo un po' lungo, anche il più
savio diventa una volta pazzo e tre volte babbeo.
Il viandante: Le tue modeste pretese non sono lusinghiere per colui al quale le
confessi.
L'ombra: Debbo dunque lusingare?
II viandante: Pensavo che l'ombra dell'uomo fosse la sua vanità: ma questa non
chiederebbe mai: «debbo dunque lusingare?».
L'ombra: La vanità umana, se ben la conosco, non domanda neppure, come io ho
già fatto due volte, se può parlare: parla sempre.
Il viandante: Solo adesso mi accorgo quanto sono scortese nei tuoi confronti, mia
cara ombra: non ho ancor neppure fatto parola su quanto mi rallegra di ascoltarti, e
non solo di vederti. Lo sai, io amo l'ombra come amo la luce. Perché esistano la
bellezza del volto, la chiarezza del discorso, la bontà e fermezza del carattere,
l'ombra è necessaria quanto la luce. Esse non sono avversarie: anzi si tengono
amorevolmente per mano, e quando la luce scompare, l'ombra le scivola dietro.
L'ombra: E io odio quel che odi tu, la notte; amo gli uomini perché sono seguaci
della luce, e mi allieta lo splendore che è nel loro occhio quando conoscono e
scoprono, loro, gli infaticabili conoscitori e scopritori. Quell'ombra che tutte le cose
mostrano quando su di esse cade il sole della conoscenza — io sono anche
quell'ombra.
Il viandante: Credo di capirti, anche se ti sei espressa in modo un po' umbratile. Ma
avevi ragione: i buoni amici si dicono talvolta una parola oscura, come segno
d'intesa, che dev'essere un enigma per ogni altra persona. E noi siamo buoni amici.
Perciò basta con i preamboli! Centinaia di domande premono il mio animo, e il
tempo in cui tu potrai rispondervi è forse troppo breve. Vediamo su che cosa
incontrarci in fretta e pacificamente.
L'ombra: Ma le ombre sono più timide degli uomini: non dirai a nessuno come
abbiamo parlato insieme!
Il viandante: Come abbiamo parlato insieme? II cielo mi guardi da lunghi ed
elaborati dialoghi scritti! Se Platone avesse avuto meno gusto a elaborare, i suoi
lettori avrebbero più gusto a lui. Un dialogo che nella realtà delizia è, se
trasformato in scrittura e letto, un quadro con prospettive del tutto false: tutto è
troppo lungo o troppo corto. — Tuttavia potrò forse comunicarti su che cosa ci
siamo accordati?
L'ombra: Questo mi basta; perché tutti vi riconosceranno solo le tue opinioni;
nessuno si ricorderà dell'ombra.
Il viandante: Forse ti sbagli, amica! Sinora nelle mie opinioni si è vista più l'ombra
che me.
L'ombra: Più ombra che luce? È possibile?
Il viandante: Sii seria, cara matta! La mia prima domanda esige subito serietà!
8.
Nella notte. — Non appena scende la notte, cambia la nostra percezione delle cose
più vicine. C'è il vento che si insinua per vie proibite, bisbigliando, come se
cercasse qualcosa, turbato perché non la trova. C'è la luce della lampada, dal cupo,
rossastro bagliore, che guarda stanca e resiste malvolentieri alla notte, schiava
impaziente dell'uomo che veglia. Ci sono i respiri del dormiente, il loro ritmo
raccapricciante al quale un sempre ritornante affanno sembra scandire la melodia;
noi non la udiamo, ma come il petto del dormiente si solleva, sentiamo una stretta
al cuore e quando il respiro si abbassa, quasi estinguendosi in una quiete mortale, ci
diciamo: «riposa un poco, povero spirito travagliato!» — a ogni vivente
auguriamo, poiché vive così oppresso, una pace eterna: la notte induce alla morte.
Se gli uomini rinunciassero al sole e conducessero la lotta contro la notte al chiaro
di luna o al lume dell'olio, quale filosofia li avvolgerebbe nel suo velo! Già fin
troppo si nota dalla natura intellettuale e spirituale dell'uomo, come essa venga
complessivamente offuscata da quella metà di oscurità e assenza di sole che ricopre
la vita.
9.
Da dove ha origine la dottrina della libertà del volere. — Su uno la necessità grava
sotto forma delle sue passioni, su un altro come abitudine ad ascoltare e obbedire,
su un terzo come coscienza logica, sul quarto come capriccio e malizioso piacere
dell'avventura. Da questi quattro, comunque, la libertà del volere viene cercata
appunto là dove ognuno di loro è più strettamente legato: è come se il baco da seta
cercasse la libertà del suo volere proprio nel tessere. Da dove viene ciò?
Evidentemente dal fatto che ciascuno si ritiene più libero là dove è più grande la
sua sensazione di vita, quindi, come abbiamo detto, ora nella passione, ora nel
dovere, ora nella conoscenza, ora nel capriccio. il singolo individuo ritiene
istintivamente che ciò che lo rende forte e lo stimola debba anche essere sempre
l'elemento della sua libertà: egli considera dipendenza e ottusità, indipendenza e
sensazione vitale come abbinamenti necessari. — Viene così erroneamente traslata
all'estremo campo metafisico un'esperienza che l'individuo ha fatto nel campo
sociopolitico, dove l'uomo forte è anche l'uomo libero, dove il senso vitale di gioia
e di dolore, l'intensità della speranza, l'audacia del desiderio, la potenza dell'odio
sono pertinenza dei dominanti e degli indipendenti, mentre l'assoggettato, lo
schiavo vive oppresso e ottuso. — La teoria della libertà è una invenzione delle
classi dominanti.
10.
Non sentire nuove catene. — Fino a che non sentiamo di dipendere da qualcosa, ci
riteniamo indipendenti: una conclusione errata che dimostra come l'uomo sia
presuntuoso e assetato di dominio. Egli infatti presume di dover notare e
riconoscere in ogni caso la dipendenza non appena la subisce, con il presupposto
che egli vive normalmente nell'indipendenza e che, se eccezionalmente la perdesse,
sentirebbe immediatamente un contrasto del sentimento. — E se invece fosse vero
il contrario: che egli vive sempre in una molteplice dipendenza ma si ritiene libero
quando, a causa della lunga abitudine, non sente più il peso delle catene? Solo per
le nuove catene egli soffre ancora: — «libertà del volere» non significa altro che
non sentire nuove catene.
11.
La libertà del volere e l'isolamento dei fatti. — La nostra abituale, imprecisa
osservazione prende un gruppo di fenomeni come una unità e lo chiama un fatto:
fra questo e un altro fatto essa si figura uno spazio vuoto, essa isola ogni fatto. Ma
in verità tutto il nostro fare e conoscere non è una sequenza di fatti e di spazi vuoti,
intermedi, ma un flusso continuo. Ora, proprio la fede nella libertà della volontà è
incompatibile con l'idea di un fluire continuo, omogeneo, indiviso e indivisibile;
essa presume che ciascuna singola azione sia isolata e indivisibile; è un atomismo
nell'ambito del volere e del conoscere. — Proprio come comprendiamo
inesattamente i caratteri, così facciamo con i fatti: parliamo di caratteri uguali, di
fatti uguali: né gli uni né gli altri esistono. Ora, noi lodiamo o biasimiamo, ma solo
in base a questa falsa premessa che vi siano fatti uguali, che esista un ordinamento
graduato di generi di fatti al quale corrisponda un ordinamento graduato di valori:
quindi noi non isoliamo soltanto il singolo fatto, ma anche i gruppi di fatti ritenuti
uguali (azioni buone, cattive, pietose, invidiose eccetera) — in entrambi i casi
erroneamente. — La parola e il concetto sono il motivo più evidente per cui
crediamo a questo isolamento di gruppi di azioni: con essi noi non designiamo
soltanto le cose, noi intendiamo originariamente afferrare con essi l'essenza delle
cose stesse. Con parole e concetti veniamo ancor oggi continuamente tentati di
immaginare le cose più semplici di quello che sono, separate l'una dall'altra,
indivisibili, ognuna esistente di per sé. Nel linguaggio si nasconde una mitologia
filosofica che, per quanto si possa essere prudenti, sbuca fuori a ogni istante. La
fede nella libertà del volere, e cioè nei fatti uguali e nei fatti isolati, trova nel
linguaggio il suo fedele evangelista e avvocato.
13.
Dire due volte. — E bene esprimere subito una cosa due volte e darle un piede
destro e uno sinistro. La verità può si stare in piedi su una gamba, ma con due
camminerà e andrà in giro.
14.
L'uomo, il commediante del mondo. — Ci dovrebbero essere creature più di spirito
di quanto non sia l'uomo, semplicemente per gustare a fondo l'umorismo insito nel
fatto che l'uomo si consideri il fine di tutto l'esistere del mondo e l'umanità si
ritenga seriamente soddisfatta solo in vista di una missione nel mondo. Se un dio
ha creato il mondo, creò l'uomo come scimmia di dio, come continuo motivo di
divertimento nelle sue troppo lunghe eternità. La musica delle sfere intorno alla
terra sarebbe allora la risata di scherno di tutte le altre creature intorno all'uomo.
Con il dolore quell'annoiato Immortale solletica il suo animale preferito per
trovare, nei gesti tragico-orgogliosi, nell'interpretazione delle sofferenze, ma
soprattutto nell'inventiva spirituale della più presuntuosa creatura, la sua gioia —
quale inventore di questo inventore. Poiché chi ideò l'uomo per scherzo ebbe più
spirito dell'uomo, e anche più gusto per lo spirito. — Persino qui, dove la nostra
umanità vuole per una volta umiliarsi spontaneamente, la presunzione ci gioca uno
scherzo, in quanto noi uomini vorremmo essere, almeno in questa presunzione,
qualcosa di assolutamente incomparabile e meraviglioso. La nostra unicità nel
mondo! Ah, è una cosa fin troppo inverosimile! Gli astronomi, ai quali tocca
talvolta di scrutare realmente un orizzonte staccato dalla terra, fanno capire che la
goccia di vita nel mondo è senza significato per il carattere complessivo del
mostruoso oceano di divenire e trapassare; che innumerevoli astri hanno condizioni
simili alla terra per la generazione della vita, moltissimi, quindi — ma francamente
neppure una manciata in confronto a quegli infiniti altri che non hanno mai avuto il
germoglio della vita o che ne sono guariti da tempo: che la vita su ciascuno di
questi astri, in confronto alla durata della loro esistenza è stata un attimo, una
vampata con lunghi, lunghi intervalli di tempo dietro di sé — quindi, in nessun
caso lo scopo è il fine ultimo della loro esistenza. Forse la formica del bosco è
altrettanto fermamente convinta di essere scopo e meta dell'esistenza del bosco,
come lo siamo noi quando nella nostra fantasia associamo quasi involontariamente
la fine dell'umanità alla fine della terra: anzi, siamo ancora modesti se ci limitiamo
a questo e non organizziamo per le onoranze funebri dell'ultimo uomo un
crepuscolo universale del mondo e degli dèi. Persino l'astronomo più spregiudicato
non può immaginare la terra senza vita se non come lo splendente e fluttuante
sepolcro dell'umanità.
16.
Dove è necessaria l'indifferenza. — Nulla sarebbe più assurdo del voler attendere,
come tanto spesso viene consigliato, ciò che la scienza stabilirà definitivamente
circa le cose prime e ultime, e del pensare (e soprattutto credere!) fino a quel
momento nel modo tradizionale. L'impulso a voler assolutamente avere in questo
ambito solo certezze è una inclinazione religiosa, nulla di meglio, — una forma
nascosta e solo apparentemente scettica di «esigenza metafisica», abbinata al
pensiero recondito che ancora per molto, molto tempo non vi sarà alcuna
prospettiva di ottenere queste certezze ultime e che fino ad allora il «credente» avrà
diritto di non preoccuparsi dell'intero settore. Queste certezze sugli estremi
orizzonti non ci sono affatto necessarie per vivere un'umanità piena e valida: non
più di quanto siano necessarie alla formica per essere una buona formica. Assai più
dobbiamo invece chiarire a noi stessi da dove effettivamente provenga quella fatale
importanza che per tanto tempo abbiamo attribuito a quelle cose: e a tale scopo ci
serve la storia dei sentimenti etici e religiosi. Infatti solo sotto l'influsso di questi
sentimenti sono diventate così rilevanti e terribili per noi le più spinose questioni
della conoscenza: si sono trascinati negli estremi settori, dove l'occhio spirituale
ancora giunge ma senza penetrarvi, concetti come colpa e punizione (e
precisamente punizione eterna!): e questo tanto più incautamente quanto più oscuri
erano questi settori. Dai tempi più remoti si è fantasticato con temerarietà laddove
non si poteva stabilire nulla, e si sono indotti i posteri a prendere queste fantasie
come cose serie e vere, da ultimo con l'esecrabile espediente che il credere valga
più del sapere. Ora, a proposito di quelle ultime cose non è necessario opporre il
sapere al credere, ma piuttosto l'indifferenza circa il credere e il preteso sapere in
questi campi! Tutto il resto ci dev'essere più vicino di ciò che finora ci è stato
predicato come più importante — intendo quegli interrogativi: perché l'uomo?
quale sorte avrà dopo la morte? come si riconcilia con Dio? o comunque possano
essere formulate queste curiosità. Non più di questi interrogativi dei religiosi ci
interessano le questioni dei dogmatici filosofici, siano essi idealisti, materialisti o
realisti. Tutti quanti ci spingono a prendere una decisione in campi nei quali non è
necessario né il credere né il sapere; persino ai più grandi appassionati della
conoscenza è più utile che intorno a tutto ciò che è ricercabile e accessibile alla
ragione si stenda una fascia acquitrinosa, nebulosa e illusoria; la fascia
dell'impenetrabile, dell'eternamente fluido e indefinibile. Proprio dal confronto con
il regno dell'oscurità ai margini della terra del sapere aumenta continuamente di
valore il chiaro e vicino, vicinissimo mondo del sapere. — Dobbiamo ridiventare
buoni vicini delle cose prossime e non distogliere così sprezzantemente lo sguardo
da esse, come abbiamo fatto sinora, verso le nuvole e i mostri notturni. In selve e
caverne, in zone acquitrinose e sotto cieli coperti — qui l'uomo è vissuto troppo a
lungo come su gradini di civiltà di interi millenni, e vissuto miseramente. Qui ha
appreso a disprezzare il presente e i vicini e la vita e se stesso — e noi, abitanti dei
più luminosi campi della natura e dello spirito, riceviamo ancora, per eredità, nel
nostro sangue qualcosa di questo veleno del disprezzo per cose che è prossimo.
19.
Immoralisti. — oggi i moralisti debbono accettare di venir additati quali
immoralisti, perché sezionano la morale. Ma chi vuol sezionare deve uccidere:
tuttavia solo perché si possa meglio conoscere, meglio giudicare, meglio vivere;
non affinché tutto il mondo sezioni. Ma purtroppo gli uomini continuano a credere
che ogni moralista debba essere anche in tutto il suo agire un esempio che gli altri
debbono imitare: essi lo scambiano per il predicatore della morale. I primi moralisti
non sezionavano abbastanza e predicavano troppo spesso; da questo derivano
quella confusione e quelle spiacevoli conseguenze per i moralisti attuali.
35.
Casistica del vantaggio. — Non esisterebbe una casistica della morale se non
esistesse una casistica del vantaggio. L'intelligenza più libera e sottile spesso non
basta a scegliere tra due cose in modo che la sua scelta implichi necessariamente il
vantaggio maggiore. In tali casi si sceglie perché bisogna scegliere, e dopo si soffre
una specie di mal di mare del sentimento.
37.
Una specie di culto delle passioni. — Voi, uomini tetri e bisce filosofiche, per
accusare il carattere di tutto il mondo parlate del carattere terribile delle passioni
umane. Come se ovunque ci sono state passioni, ci sia anche stata questa terribilità!
Come se nel mondo dovesse sempre esserci questa terribilità! — Per aver
trascurato le cose piccole, per non aver osservato voi stessi e coloro che debbono
essere educati, avete fatto assurgere le passioni a mostri tali che oggi già alla parola
«passione» siete presi da paura! Stava a voi e sta a noi togliere alle passioni il loro
carattere terribile e prevenirle in modo che non diventino torrenti devastatori. —
Non bisogna gonfiare i propri errori a fatalità eterne; lavoriamo piuttosto
onestamente a trasformare tutte le passioni dell'umanità in gioia.
39.
Origine dei diritti. — I diritti risalgono in massima parte a una tradizione, e la
tradizione a un accordo accaduto una sola volta. Un tempo si fu dapprima
soddisfatti da entrambe le parti per le conseguenze dell'accordo raggiunto, e poi si
fu troppo pigri per rinnovarlo formalmente; così si continuò a vivere come se
l'accordo venisse sempre rinnovato, e gradualmente, quando la dimenticanza ne
coprì con le sue brume le origini, si credette di possedere una situazione sacra e
immutabile, sulla quale ogni generazione doveva continuare a costruire. La
tradizione divenne allora costrizione, anche se non recò più quell'utile in base al
quale si era originariamente stipulato l'accordo. — I deboli vi hanno trovato in ogni
tempo la loro solida rocca: e tendono a eternare quell'accordo di una volta, quella
concessione di grazia.
40.
Importanza del dimenticare nel sentimento morale. — Le stesse azioni che
all'interno della società primitiva furono dapprima dettate dall'utilità comune, sono
poi state compiute dalle generazioni successive in base ad altri motivi: per timore o
rispetto verso coloro che le esigevano e consigliavano, o per abitudine, perché sin
da bambini le si era vedute compiere intorno a sé, o per benevolenza, perché il farle
causava ovunque gioia e visi consenzienti, o per vanità, perché venivano lodate.
Tali azioni di cui è stato dimenticato il motivo fondamentale, quello dell'utilità,
vengono dette poi morali: non perché vengano compiute in base a quegli altri
motivi, ma perché non sono compiute per consapevole utilità. — Da dove proviene
quest'odio per l'utilità, che qui diviene visibile, dove ogni agire degno di lode si
separa formalmente da ogni agire in base a un'utilità? — Evidentemente la società,
focolare di ogni morale e di ogni lode per l'agire morale, ha dovuto combattere
troppo a lungo e troppo duramente contro l'utile personale e l'egoismo del singolo,
per non stimare moralmente più alto ogni altro motivo che non sia l'utilità.
S'ingenera così l'apparenza che la morale non sia nata dall'utilità; mentre in origine
essa è l'utilità della società, che a gran fatica si è affermata contro tutte le utilità
private e si è fatta considerare superiore ad esse.
44.
Livelli della morale. — La morale è innanzitutto un mezzo per conservare in
genere la comunità e scongiurarne la decadenza; poi è un mezzo per mantenere la
comunità a un certo livello e in una certa bontà. I suoi motivi sono la paura e la
speranza: e tanto più rudi, potenti e grossolani, quanto più forte è la tendenza
all'errore, all'unilateralità, all'individualismo. Debbono qui operare i mezzi di
intimidazione più terribili, sinché non vorranno agire mezzi più miti e non si possa
raggiungere in altro modo quella duplice specie di conservazione (tra i suoi mezzi
più forti è l'invenzione di un aldilà con un inferno eterno). Allora dovranno esserci
torture dell'anima e aiutanti del boia. Altri gradi della morale e quindi mezzi per lo
scopo indicato sono i dettami di un dio (come la legge mosaica); gradi ulteriori e
più elevati, i dettami di un'idea assoluta di dovere con il «tu devi» — gradini, tutti,
ancora rozzamente sbozzati ma larghi, perché gli uomini non sanno ancora posare
il piede su quelli più sottili e stretti. Viene poi una morale dell'inclinazione, del
gusto, e infine quella della conoscenza — la quale sta al di sopra di tutti gli
illusionistici motivi della morale, ma ha compreso come per lungo tempo l'umanità
non abbia potuto averne altri.
47.
Cloache dell'anima. — Anche l'anima deve avere le sue determinate cloache nelle
quali far defluire la sua immondizia; a ciò servono persone, relazioni, classi, o la
patria oppure il mondo oppure infine — per quelli molto boriosi (voglio dire i
nostri cari «pessimisti» moderni) — il buon dio.Contenuto della coscienza. — Il contenuto della nostra coscienza è tutto ciò che
negli anni dell'infanzia ci veniva regolarmente richiesto senza un motivo da
persone che veneravamo o temevamo. Dalla coscienza viene dunque stimolato quel
senso del dovere («questo debbo fare, e non fare quello») che non chiede: perché
debbo? In tutti i casi in cui una cosa viene fatta con un «perché», l'uomo agisce
senza coscienza; tuttavia non perciò contro di essa. La fede nelle autorità è la fonte
della coscienza: questa non è dunque la voce di Dio nel cuore dell'uomo, ma la
voce di alcuni uomini nell'uomo.
74.
La preghiera. — Solo con due premesse il pregare — quest'usanza dei tempi
antichi non ancora completamente estinta — avrebbe un senso: dovrebbe esser
possibile persuadere o dissuadere la divinità, e chi prega dovrebbe saper meglio di
ogni altro di che cosa abbia bisogno, che cosa per lui sia veramente da desiderare.
Ma queste due premesse, accolte e tramandate in tutte le altre religioni, furono
negate proprio dal cristianesimo; se esso tuttavia conservò la preghiera, nonostante
la sua fede in una ragione divina onnisciente e onniprevidente, la quale appunto
rende in fondo la preghiera priva di senso, anzi sacrilega, — anche in questo
mostrò ancora una volta la sua ammirevole astuzia di serpente; perché un
comandamento chiaro, «non pregare», avrebbe portato i cristiani per noia a un noncristianesimo.
Nell'ora et labora cristiano, l'ora tiene il posto del piacere: e che
cosa avrebbero fatto senza l'ora quegli infelici che si negarono al labora, i santi! —
ma intrattenersi con Dio, chiedergli ogni sorta di cose piacevoli, e divertirsi persino
un po' sul fatto di esser tanto folli da avere ancora desideri, nonostante un padre
così eccellente, — questa fu per i santi un'ottima invenzione.
78.
Credere nella malattia in quanto malattia. — Solo il cristianesimo ha dipinto il
diavolo sulla parete del mondo; solo il cristianesimo ha portato il peccato nel
mondo. La fede nei rimedi che esso ha offerto contro di esso è stata a poco a poco
scossa sin nelle sue più profonde radici: ma tuttora esiste la fede nella malattia che
esso ha insegnato e diffuso.
81.
La giustizia del mondo. — E possibile sconvolgere la giustizia del mondo — con la
teoria della totale irresponsabilità e innocenza di ognuno: ed è già stato fatto un
tentativo nella stessa direzione proprio in base alla teoria opposta, della totale
responsabilità e colpevolezza di ciascuno. Fu il fondatore del cristianesimo a voler
abolire la giustizia terrena e cancellare dal mondo il giudizio e la punizione. Egli
infatti intendeva ogni colpa come «peccato», ossia come offesa nei confronti di Dio
e non come offesa nei confronti del mondo; d'altra parte riteneva tutti in
larghissima misura e quasi sotto ogni rispetto come peccatori. Ma i colpevoli non
debbono essere giudici dei loro pari: così sentenziò la sua equità. Tutti i giudici
della giustizia terrena erano dunque ai suoi occhi colpevoli quanto i condannati, e
la loro aria di innocenza gli appariva ipocrita e farisaica. Inoltre egli guardava ai
motivi delle azioni e non agli esiti, e riteneva che solo uno avesse l'acutezza
necessaria per giudicare sui motivi: lui stesso (o, come si esprimeva: Dio).
82.
Affettazione nel congedo. — Chi vuol separarsi da un partito o da una religione
pensa che ora gli sia necessario confutarli. Ma questo è un pensiero assai superbo.
Necessario è solo che egli comprenda chiaramente quali appigli lo tennero legato a
quel partito o a quella religione, e che essi non lo fanno più, quali propositi lo
hanno spinto verso di quelli e ora lo portano altrove. Noi non abbiamo aderito a
quel partito o a quella religione per rigorosi motivi di conoscenza: separandocene,
non dobbiamo nemmeno fingerlo.
84.
I prigionieri. — Una mattina i prigionieri entrarono nel cortile dove lavoravano: il
sorvegliante mancava. Alcuni di loro si misero subito al lavoro com'erano soliti,
altri rimasero inoperosi guardandosi intorno con caparbietà. Allora si fece avanti
uno e disse: «Lavorate quanto vi pare, oppure non fate nulla: è la stessa cosa. Le
vostre macchinazioni segrete sono state scoperte, di recente il sorvegliante vi ha
spiato e nei prossimi giorni vuol pronunciare su di voi un terribile giudizio. Voi lo
conoscete, è duro e vendicativo. Ora però fate attenzione: sinora non mi avete
conosciuto bene: io non sono quel che sembro, ma molto di più: sono il figlio del
sorvegliante e posso tutto presso di lui. Posso salvarvi, voglio salvarvi; ma, beninteso,
solo quelli di voi che credono che io sono il figlio del sorvegliante; gli altri
raccolgano il frutto della loro incredulità». — «Ora», disse dopo un silenzio un
anziano prigioniero, «che cosa può importarti che ti crediamo o no? Se sei
veramente il figlio e puoi fare quel che dici, metti una buona parola per noi tutti:
sarebbe veramente molto buono da parte tua. Ma lascia stare il discorso sul credere
e sul non credere!» — «E», gridò intanto un giovane, «io non gli credo: si è solo
messo in testa qualcosa. Scommetto che tra otto giorni noi ci troveremo
esattamente come ora, e che il sorvegliante non sa nulla.» — «E se anche sapeva
qualcosa, non lo sa più», disse l'ultimo dei prigionieri che solo allora era giunto nel
cortile, «il sorvegliante è morto ora, all'improvviso.» — «Olà», gridarono tutti
confusamente, «olà! Signor figlio, signor figlio, come la mettiamo con l'eredità?
Siamo forse ora tuoi prigionieri?» — «Ve l'ho detto», rispose quello dolcemente,
«lascerò libero chiunque creda in me, così com'è certo che mio padre vive ancora.»
I prigionieri non risero, alzarono le spalle e lo lasciarono.
85.
Il persecutore di Dio. — Paolo ha concepito il pensiero, e Calvino lo ha elaborato,
che per innumerevoli uomini la dannazione è stabilita dall'eternità, e che questo bel
piano del mondo è stato concepito in modo che vi si manifesti la maestà di Dio;
dunque cielo e inferno e umanità esistono — per soddisfare la vanità di Dio! Quale
crudele e insaziabile vanità deve aver divampato nell'animo di colui che per primo
o per secondo pensò una cosa del genere! — Paolo è dunque pur rimasto Saulo —
il persecutore di Dio.
193.
Le epoche della vita. — Le vere epoche della vita sono quei brevi periodi di sosta
tra il sorgere e il tramontare di un pensiero o di un sentimento dominante. Qui c'è
ancora una volta sazietà: tutto il resto è sete e fame — oppure noia.
194.
Il sogno. — I nostri sogni, quando eccezionalmente riescono e giungono a
completarsi — il sogno di solito è una abborracciatura — , sono concatenazioni
simboliche di scene e immagini al posto di un linguaggio poetico narrante; essi
parafrasano le nostre esperienze o aspettative o relazioni con audacia ed esattezza
poetiche, sicché la mattina nel ricordare i nostri sogni ci meravigliamo sempre di
noi. Nel sogno consumiamo troppa arte — ed è per questo che di giorno spesso ne
siamo così poveri.
218.
La macchina come maestra. — La macchina insegna, attraverso se stessa,
l'interagire di masse umane in azioni in cui ciascuno deve fare una sola cosa: essa
fornisce il modello dell'organizzazione partitica e della condotta bellica. Non
insegna viceversa la padronanza individuale: di molti fa una macchina, e di ogni
individuo uno strumento per un unico scopo. Il suo effetto più generale è insegnare
il vantaggio della centralizzazione.
220.
Reazione contro la civiltà delle macchine. — La macchina, essa stessa prodotto del
più alto raziocinio, mette in moto nelle persone che le sono addette quasi
esclusivamente le energie più basse e prive di pensiero. Essa scatena così una
quantità di forze in genere, che altrimenti dormirebbe, questo è vero; ma non dà la
spinta a salire più in alto, a far meglio, a diventare artisti. Rende attivi e uniformi
— ma ciò produce alla lunga un effetto contrario, una disperata noia dell'anima che
per mezzo suo impara ad aver sete di un ozio ricco di mutamenti.
266.
Gli impazienti. — Proprio colui che diviene non vuole ciò che diviene: è troppo
impaziente per questo. Il giovane non vuole attendere sino a che dopo lunghi studi,
sofferenze e privazioni, il suo quadro degli uomini e delle cose sia completo: così
in buona fede ne accetta un altro, che è pronto e gli viene offerto, come se questo
dovesse anticipargli linee e colori del suo quadro: si getta tra le braccia di un
filosofo, di un poeta, e allora deve stare per lungo tempo a servizio e rinnegare se
stesso. In tal modo impara molto: ma spesso un giovane dimentica così ciò che è
più degno di essere appreso e conosciuto — se stesso, e rimane per tutta la vita un
partigiano. Bisogna ahimè superare molta noia, versare molto sudore prima di
trovare i propri colori, il proprio pennello, la propria tela! — E neanche allora si è
maestri nella propria arte di vivere — ma almeno si è padroni nella propria
officina.
267.
Non esistono educatori. — Come pensatori si dovrebbe parlare solo di
autoeducazione. L'educazione dei giovani ad opera d'altri o è un esperimento
condotto su un essere ancora sconosciuto e non conoscibile, oppure è un
livellamento di principio, volto a rendere il nuovo essere, quale esso sia, conforme
alle abitudini e ai costumi dominanti: dunque in ambedue i casi è cosa indegna del
pensatore; è opera dei genitori e dei maestri, che un coraggioso sincero ha definito
nos ennemis naturels. Un giorno, quando secondo l'opinione del mondo si è già
educati da tempo, si scopre se stessi: allora comincia il compito del pensatore;
allora è tempo di rivolgersi a lui, non come a un educatore, ma come a uno che ha
educato se stesso, che ha esperienza.
269.
Le età della vita. — Il paragone tra le quattro età della vita e le quattro stagioni è
una venerabile sciocchezza. Né i primi vent'anni della vita né gli ultimi venti
corrispondono a una stagione: posto che, in tale paragone, non ci si accontenti del
bianco dei capelli e di quello della neve e simili giochi cromatici. Quei primi
vent'anni sono una preparazione alla vita in genere, a tutto l'anno della vita, come
una specie di lungo capodanno; e gli ultimi venti sono uno sguardo d'insieme, una
interiorizzazione, una riconnessione e armonizzazione di tutto quel che si è vissuto
prima: così come si fa, in piccolo, nel giorno di San Silvestro con tutto l'anno che è
passato. In mezzo sta però effettivamente un periodo che suggerisce il paragone
con le stagioni: il periodo dai venti ai cinquant'anni (per calcolare qui in blocco a
decenni, mentre è ovvio che ciascuno dovrà affinare secondo la propria esperienza
questa rudimentale impostazione). Quei tre decenni corrispondono a tre stagioni:
all'estate, alla primavera e all'autunno — un inverno nella vita umana non c'è, a
meno che non si vogliano definire periodi invernali dell'uomo quei lunghi periodi
di malattia che purtroppo non di rado intessono la sua vita, duri, freddi, solitari,
poveri di speranze, infruttuosi. Gli anni dai venti ai trenta: caldi, fastidiosi,
burrascosi, pieni di esuberanza, stancanti, anni in cui alla sera, quando il giorno è
finito, si esalta questo asciugandosi la fronte: anni in cui il lavoro ci appare duro
ma necessario — questi anni sono l'estate della vita. Gli anni sulla trentina sono
invece la sua primavera; l'aria ora è troppo calda, ora troppo fredda, sempre
inquieta e stimolante: sgorgare di linfa, piena fioritura, profumo di fiori,
dappertutto: molti mattini e notti incantevoli, il lavoro, al quale ci risveglia il canto
degli uccelli, un vero e proprio fervore, una specie di godimento del proprio vigore,
potenziato da speranze anticipatrici di gioia. Infine gli anni dai quaranta ai
cinquanta: misteriosi, come tutto ciò che si arresta; simili a un elevato, vasto
altopiano sul quale spiri un vento fresco; sovrastato da un cielo chiaro e senza nubi,
che notte e giorno guarda con la stessa soavità: il tempo del raccolto e della più
grande serenità del cuore — è l'autunno della vita.
L'ombra: Di quel che hai detto, più di tutto mi è piaciuta una promessa: che volete
ridiventare buoni vicini delle cose prossime. Questo tornerà a vantaggio anche di
noi, povere ombre. Perché, ammettetelo, sinora ci avete calunniato anche troppo
volentieri.
Il viandante: Calunniato? Ma perché non vi siete difese? Avevate pur vicine le
nostre orecchie.
L'ombra: Ci sembrava appunto di esservi troppo vicine per poter parlare di noi
stesse.
Il viandante: Delicato! Assai delicato! Ah, voi ombre siete «uomini migliori» di
noi, me ne accorgo.
L'ombra: Eppure ci avete chiamato «importune» — noi, che almeno una cosa
sappiamo fare — tacere e attendere — nessun inglese lo sa far meglio. È vero, ci si
trova molto, molto spesso al seguito dell'uomo, ma mai come sue schiave. Quando
l'uomo fugge la luce, noi fuggiamo l'uomo: a tanto arriva la nostra libertà.
Il viandante: Ahimè, tanto più spesso è la luce a fuggir l'uomo e allora anche voi lo
abbandonate.
L'ombra: Ti ho abbandonato spesso con dolore: a me, avida di sapere, tante cose
dell'uomo sono rimaste oscure, perché non posso esser sempre intorno a lui. Pur di
possedere una totale conoscenza dell'uomo, sarei volentieri la tua schiava.
Il viandante: Lo sai tu, lo so io, se tu da schiava non diventeresti improvvisamente
padrona? Oppure se tu rimarresti schiava ma, disprezzando il tuo padrone,
condurresti una vita di umiliazione, di disgusto? Accontentiamoci ambedue della
libertà, così come è rimasta a te — a te e a me! Giacché la vista di un essere non
libero amareggerebbe le mie gioie più grandi; le migliori cose mi ripugnerebbero,
se qualcuno dovesse dividerle con me, — non voglio sapere di schiavi intorno a
me. Per questo non amo il cane, il pigro e scodinzolante parassita, che è diventato
«cane» solo come servo degli uomini, e di cui essi sogliono addirittura decantare la
fedeltà al padrone e il fatto di seguirlo come la sua …
L'ombra: Come la sua ombra, essi dicono. Forse anch'io oggi ti ho seguito per
troppo tempo? È stato il giorno più lungo, ma ne siamo alla fine, abbi ancora un
attimo di pazienza! Il prato è umido, ho i brividi.
II viandante: Oh, è già tempo di separarsi? E ho dovuto alla fine farti ancora male,
l'ho visto: sei diventata più scura.
L'ombra: Arrossivo, nel colore in cui posso farlo. Mi è venuto in mente che spesso
sono stata ai tuoi piedi come un cane, e che tu allora …
Il viandante: E, in tutta fretta, non potrei farti ancora un piacere? Hai qualche
desiderio?
L'ombra: Nessuno, tranne quello che ebbe il «cane» filosofico davanti al grande
Alessandro: togliti un poco dal sole, ho troppo freddo.
Il viandante: Che debbo fare?
L'ombra: Cammina sotto quei pini e guarda i monti: il sole tramonta.
Il viandante: Dove sei? Dove sei?
FONTE:F. Nietzsche, Umano,, toppo umano, I e II, Arnoldo Mondadori, 2008
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sabato, agosto 09, 2014
Secondo Trattato del Grande Seth
La grandezza perfetta riposa nell'ineffabile luce, nella verità della madre del tutto. Io sono colui che è perfetto;
poiché sono unito a tutta la grandezza dello spirito - il quale è nostro compagno - e un compagno come lui non c'è - dopo ch'io pronunciai una parola a gloria del Padre nostro. E voi tutti siete giunti a me a motivo di questa parola. A causa della sua bontà, la parola che è in lui ci ha dotato di un pensiero intramontabile. La sua bontà è schiavitù, poiché «noi moriremo con Cristo», dotati di un intramontabile e incontaminato pensiero. Un miracolo incomprensibile è il segno dell'acqua: di esso non si può parlare. Questa parola deve essere detta da noi. Io sono colui che è in voi, e voi siete in me come il Padre è in me e in voi.
Col cuore puro dissi agli altri esseri celesti preesistenti: - Convochiamo una chiesa! Visitiamo la sua creazione!
Mandiamo in essa qualcuno, così come Dio visitò le ennoiai che si trovano nelle regioni inferiori. Allorché pronunciai queste parole davanti all'intera folla della numerosa chiesa della esultante grandezza, tutta la casa del Padre della verità se ne rallegrò. È perché sono uno di loro, della loro sfera, che diedi il consiglio in merito alle ennoiai emanate dallo spirito incontaminato, cioè in merito alla discesa sull'acqua, nelle regioni inferiori. Tutti ebbero un'unica ennoiai quella che procede dall'Uno. Designarono me, perché io ero pronto.
Venni per rivelare la gloria del padre ai miei compagni e agli spinti miei compagni. Poiché quelli che si trovavano nel mondo erano stati preparati per volere della nostra sorella Sofia - quella che è Prunikos a motivo della sua ingenuità. Essa non era stata mandata per questo, né in proposito aveva chiesto alcunché dal tutto né dalla grandezza della chiesa celeste, né dalla pienezza. Era venuta prima, per preparare dimore e luoghi per il figlio della luce e suoi collaboratori che essa trasse dagli elementi inferiori costruendo da essi dimore corporee; ma, essendo venuti all'esistenza in una gloria vuota, finirono in distruzione nelle dimore nelle quali si trovavano, dato che erano state preparate da Sofia. Essi erano pronti ad accogliere la parola vivificante a proposito dell’Ineffabile Monade e della grandezza della chiesa celeste di tutti coloro che sono perseveranti e di coloro che sono in me.
Entrai in una dimora corporea. Scacciai quello che era in essa, e vi entrai io. Tutta la folla degli arconti ne fu sconvolta.
Tutta la materia degli arconti e così pure le forze generate della terra furono scosse allorché videro la somiglianza dell'immagine (ilica): infatti, era mescolata. Io sono colui che era in essa; non rassomigliavo a quello che c'era prima. Quello, infatti, era un uomo mondano. Io invece, io sono dall'alto dei cieli. A loro non nascosi neppure che sarei diventato un Cristo; ma non mi manifestai loro con quell'amore che da me doveva sprigionarsi. Io manifestai che sono straniero alle regioni inferiori.
Grande apprensione, smarrimento e fuga prevalsero nell'intero luogo cosmico; e così fu pure del piano degli arconti.
Alcuni, tuttavia, si convinsero allorché videro i miracoli da me compiuti; tutti coloro che erano discesi in
basso con quella generazione, fuggirono da colui che era fuggito dal trono, e andarono verso la Sofia della speranza: prima, infatti, lei aveva dato un segno, a nostro riguardo, e di tutti quelli che sono con me, coloro cioè che sono della generazione di Adonaios. Altri, invece, fuggirono perché dal cosmocrator e dai suoi era venuto su di me ogni genere di punizione; si avverò una fuga del loro intelletto a proposito di ciò che dovevano decidere a mio riguardo: pensavano, infatti, che Lei (Sofia) fosse l'intera grandezza, e perciò adducevano una testimonianza falsa contro l'uomo e contro l'intera grandezza della chiesa celeste.
Non era loro possibile conoscerla, cioè conoscere il Padre della verità, l'uomo della grandezza. Ma costoro sono quelli che hanno rubato quel nome «uomo» per contaminarlo con l'ignoranza per consumare con un vaso che avevano preparato per la distruzione dell'Adamo che essi avevano creato per nascondere allo stesso modo quelli che sono loro. Gli arconti, poi, appartenenti al luogo di Jaldabaoth, manifestano il regno degli angeli planetari - seguito dall'umanità - affinché noi si conosca l'uomo della verità. A loro infatti, era apparso l’Adamo che avevano formato. Ma un moto di paura colpì tutta loro (degli arconti) dimora: temevano che gli angeli, i quali li circondano si ribellassero; infatti, senza quelli che lodano di continuo, essa (la dimora) sarebbe andata in rovina e il loro arcangelo sarebbe rimasto svergognato.
Allora, dal cosmocrator, venne un grido rivolto agli angeli: - Io sono Dio, e all'infuori di me non ve n'è alcun altro -. All’udire quel borioso vanto, io feci una allegra risata. Ma egli aggiunse ancora: «Chi è l’uomo?». Tutto l'esercito dei suoi angeli, alla vista di Adamo e della sua dimora, risero della sua (di Adamo) esiguità. E così la loro (degli angeli) ennoia fu distolta dalla grandezza del cielo - cioè dall'uomo della verità del quale avevano visto il nome - poiché era in una piccola dimora. Sono essi che sono piccoli e insensati nel loro riso cioè nella loro vuota ennoia.
Egli (l'uomo) era là allo scopo di scalzarli.
Tutta la grandezza della paternità dello spirito riposava nei suoi luoghi. E sono proprio io che ero presso di lui.
Poiché io ho una ennoia dall'unica e identica emanazione proveniente dagli eterni e dalle inconoscibilità incontaminate e incommensurabili, deposi nel mondo la piccola ennoia, suscitando tra loro inquietudine e incutendo paura a tutta la folla degli angeli e al loro arconte. A motivo della mia ennoia, io passai attraverso tutti, sebbene essi mi combattessero con fuoco e fiamme. Tutto ciò che mi contrapposero non ebbe successo. Eccitazione e lotta sorsero attorno ai serafini e ai cherubini che stanno ai lati di Adonaios, non appena iniziarono a sciogliersi la loro gloria e la miscela e la loro dimora, fino al cosmocrator e a colui che disse: - Togliamolo di mezzo -; altri dissero pure: - Il piano salvifico certo non riuscirà -.
Adonaios, infatti, se ne restò tranquillo in quanto sperava nella salvezza: egli mi conosce. Io ero nelle fauci dei
leoni. Il loro piano su di me, al quale essi miravano, era dissolvere il loro errore e la loro insensatezza, io però non soccombetti a loro, come essi, invece, avevano progettato. Io non provai alcuna sofferenza. Quelli che erano là mi condannarono a morte, ma in realtà io non sono morto, bensì soltanto in apparenza, altrimenti sarei stato svergognato da loro; essi, infatti, sono parte di me stesso. Allontanai da me la vergogna; non ebbi paura di fronte a ciò che mi accadde nelle loro mani. Ero in procinto di soccombere alla paura, sarei divenuto schiavo della paura. È soltanto secondo la loro vista e il loro pensiero che io ho sofferto, affinché non andasse perduta alcuna parola, a loro riguardo. Questa mia morte che essi pensavano fosse avvenuta, avvenne su di loro. Nel loro errore e nella loro cecità, inchiodarono sulla croce il loro uomo; così lo consegnarono alla morte. I loro pensieri non mi vedevano:
essi erano sordi e ciechi. Facendo questo, essi condannarono se stessi. In verità, costoro mi videro e punirono. Non io, ma il loro padre, fu colui che bevette il fiele e l'aceto. Non io fui percosso con la canna. Era un altro colui che portò la croce sulle sue spalle, cioè Simone. Era un altro colui sul cui capo fu posta la corona di spine. Io, nelle altezze, mi divertivo di tutta l'apparente ricchezza degli arconti, del seme del loro errore, della loro boriosa gloria.
Ridevo della loro ignoranza.
Ridussi a schiavitù tutte le loro potenze. Allorché io discendevo, nessuno, infatti, mi vide. Poiché mutavo i miei aspetti esteriori, cambiando da una forma a un'altra forma. Quando giunsi alle loro porte assunsi le loro somiglianze.
Le attraversai tranquillamente, guardai i luoghi, ma non provai alcun timore né vergogna, perché ero incontaminato.
Parlai con i prigionieri, mi mescolai con essi attraverso coloro che sono miei, calpestai quanto li
tormentava, e spensi il fuoco e la fiamma. Tutto ciò lo feci di mia volontà adempiendo il volere del Padre che è in alto.
Il figlio della grandezza, che si trovava nella regione inferiore, lo portammo lassù in quelle altezze ave io mi trovo da tutte le eternità, in quelle altezze che nessuno ha visto né conosciuto, lassù ove ha luogo lo sposalizio e la vestizione dell'abito nunziale, abito nuovo e non vecchio, abito che non si logora. Quella infatti, ch'io ho manifestato è la nuova e perfetta camera nunziale celeste a tre locali. Mistero incontaminato che si realizza nello spirito dell'eòne che è senza fine, non frammentario, né descrivibile: è, invece, indivisibile, universale e duraturo. Poiché l'anima che viene dall'alto, non può parlare sotto il dominio dell'errore che signoreggia quaggiù, né può sfuggire da questo eòne; ne sarà tratta soltanto allorché sarà libera e, in questo mondo, avrà fatto uso della sua nobile origine, stando davanti al Padre instancabilmente e senza paura, sempre unita all'intelletto, affidata alla forza di un prototipo. Guarderanno a me da ogni parte, senza odio. Poiché mi vedono, saranno visti; sono uniti a me, e vi è unione tra di loro; da loro non fui umiliato, essi non furono umiliati da me; davanti a loro non ebbi alcuna paura, essi non ebbero alcuna paura davanti a me. Passeranno senza paura attraverso ogni porta e saranno perfetti nella terza gloria.
Il mondo non accolse la mia ascesa nell'altezza rivelata, il mio terzo battesimo in una immagine manifesta. Quando essi fuggirono dalla fiamma delle sette potenze, e tramontò il sole delle forze degli arconti, furono avvolti nelle tenebre. E il mondo divenne povero allorché egli fu trattenuto da una moltitudine di catene. Essi lo inchiodarono all'albero, lo fissarono con quattro chiodi di bronzo. Con le sue mani, egli strappò il velo del suo tempio. Un fremito assalì il caos della terra, poiché le anime che si trovavano laggiù nel sonno erano state liberate; si erano alzate e camminavano apertamente qua e là, dopo avere deposto nelle tombe morte lo zelo insensato e l'ignoranza, ed essersi rivestite dell'uomo nuovo, avendo esse riconosciuto quel perfetto, beato figlio dell'eterno e incomprensibile Padre e della luce infinita, che sono io. Allorché io venni dai miei e li unii a me stesso, essi si unirono a me senza bisogno di molte parole. La nostra ennoia era, infatti, con la loro ennoia. Perciò compresero tutto quanto io dicevo.
Noi, infatti, prendemmo la decisione di eliminare gli arconti. In conformità di ciò, io eseguì il volere del Padre,
cioè io - il figlio del Padre - insieme al mio seguito.
Lasciata la nostra dimora, siamo discesi in questo mondo: in questo mondo abitavamo nei corpi. Eravamo odiati e perseguitati non soltanto da coloro che sono ignoranti, ma coloro che ritengono di promuovere il nome di Cristo, sebbene siano inconsapevolmente vuoti: simili a muti animali, non sanno essi stessi chi sono. Perseguitavano, pieni di odio, anche coloro che erano stati liberati da me: quando la porta sarà chiusa, costoro piangeranno con inutili sospiri; infatti, questi non mi hanno conosciuto pienamente, e furono, invece, servi di due e più padroni. Sì, voi sarete vittoriosi nella guerra, nelle lotte e nelle divisioni causate da invidia e da rabbia. Sì, nella integrità del nostro amore noi siamo innocenti, puri e buoni, poiché abbiamo il ricordo del Padre in un mistero ineffabile.
Sì, era una cosa ridicola! Lo attesto io, era proprio una cosa ridicola. Non riconoscendo che la gnosi è una inesprimibile unione - quale si trova unicamente tra i figli della luce -, gli arconti crearono una scimiottatura di voi; diffusero l'insegnamento di un morto e le corrispondenti bugie, per contraffare la libertà e la purezza della chiesa dei perfetti e ucciderla con il loro insegnamento, per estendere la paura e la schiavitù, preoccupazioni terrene e culti abbandonati: minorenni e ignoranti, non accettano la nobile discendenza dalla verità, poiché odiano colui nel quale sono, e amano colui nel quale non sono.
Essi, infatti, non hanno afferrato la grandezza della gnosi, che ha origine dall'alto, dalla fonte della verità, e non dalla schiavitù, dall'invidia, dalla paura, e dall'amore verso la materia terrena. Perciò costoro, senza paura e liberamente, si servono di ciò che appartiene a loro e di ciò che a loro non appartiene; non bramano il potere, e una legge interiore determina ciò che essi vorranno. Mentre quelli che non la possiedono sono poveri. Si, sono poveri quelli che non l'hanno, e quelli che desiderano averla. E costoro seducono quanti si trovano tra loro dandosi l'apparenza di coloro che, in verità, possiedono la libertà, proprio come se noi fossimo condotti sotto il giogo e nella necessità dell'osservanza della legge e ci trovassimo sotto la paura di Dio.
Mentre uno è nella schiavitù, l'altro sarà difeso da Dio e guidato per mezzo di una valida costrizione e sotto minaccia, tutto il nobile seme della paternità non ha bisogno di alcuna custodia in quanto esso stesso - senza parola e senza costrizione difende ciò che gli appartiene e unisce la sua volontà a quella dell'assoluta ennoia della paternità;
cosicché questa sarà perfetta nel santo e ineffabile mistero per opera dell'acqua viva, affinché siate saggi l'un
l'altro, non soltanto nell'ascolto della parola, ma nell'esecuzione e nel compimento della parola! I perfetti, infatti, devono disporsi in tal modo e unirsi a me in buona amicizia, affinché non abbiano nulla in comune con qualsiasi inimicizia. Io ho compiuto ogni cosa per opera di colui che è buono. Questa è l'unione con la verità, affinché non sorga tra loro qualche avversario. Chiunque porta divisione - portando divisione non insegna saggezza e non è un amico – è nemico di tutti loro. Ma colui che vive, in armonia e amicizia di amore fraterno, in modo naturale e non artificioso, completamente e non in modo parziale, costui è veramente nel volere del padre, è l'amore universale e perfetto.
Oggetto di scherno fu Adamo, creato dalla ebdomade quale contraffazione del tipo di uomo: quasi che egli con ciò fosse superiore a me e ai miei fratelli; noi che siamo innocenti davanti a lui e non abbiamo peccato. Oggetto di scherno fu anche Abramo - e con lui Isacco e Giacobbe -, in quanto dalla ebdomade - quale contraffazione - furono detti «i padri»: quasi, che egli con ciò fosse superiore a me e ai miei fratelli; noi che siamo innocenti davanti a lui e non abbiamo peccato. Oggetto di scherno fu David in quanto, per influsso della ebdomade, suo figlio fu detto «il figlio dell'uomo»: quasi che egli con ciò fosse superiore a me e ai compagni della mia stirpe; noi che siamo innocenti davanti a lui e non abbiamo peccato. Oggetto di scherno fu Salomone, in quanto egli - diventato vanesio per influsso dell'ebdomade - credette di essere un Cristo: quasi che egli con ciò fosse superiore a me e ai miei fratelli;
noi che siamo innocenti davanti a lui e non abbiamo peccato. Oggetto di scherno furono i dodici profeti. In
quanto, per influsso dell'ebdomade essi che sono contraffazioni, si presentarono, come imitazioni dei veri profeti: quasi che egli con ciò fosse superiore a me e ai miei fratelli; noi che davanti a lui siamo innocenti e non abbiamo peccato. Oggetto di scherno fu Mosè, servo fedele, secondo un'empia testimonianza, il quale fu detto “amico di Dio”: né egli mi conobbe né quanti furono prima di lui. Da Adamo fino a Mosè e Giovanni Battista, nessuno ha conosciuto me né, i miei fratelli.
Tutto ciò che essi avevano era una dottrina data dagli angeli concernente prescrizioni sui cibi, e una dura schiavitù.
Non hanno mai conosciuto la verità, né mai la conosceranno. Un grave inganno pesa, infatti, sul loro animo
sicché non si trovano mai nella condizione di scoprire e riconoscere l'intelligenza della libertà, fino a quando riconosceranno il vero figlio dell'uomo. A motivo del Padre mio, io sono colui che il mondo non riconobbe; e, per questo, esso (il mondo) insorse contro di me e contro i miei fratelli. Ma noi davanti a lui siamo innocenti; non abbiamo peccato.
Oggetto di scherno fu l'arconte, poiché disse: «Io sono Dio e non v'è alcuno più grande di me. Io solo sono il Padre, il signore, e non v'è alcun altro all'infuori di me. Io sono un dio geloso, colui che addossa i peccati dei padri sui figli fino a tre e quattro generazioni». Quasi che egli fosse più grande di me e dei miei fratelli. Ma noi siamo innocenti davanti a lui e non abbiamo peccato. E così abbiamo superato la sua dottrina. Egli, infatti, era intento a presuntuosa gloria. Non è in armonia col nostro Padre, e così abbiamo neutralizzato la sua dottrina per mezzo della nostra amicizia: egli infatti è gonfio di presuntuosa gloria, e non è in armonia col nostro Padre. Sì, fu un oggetto di scherno, un giudizio e una falsa la profezia!
O voi non vedenti, voi non vedete la vostra cecità! Io, infatti, sono colui che non fu riconosciuto, né mai è riconosciuto o compreso, colui sul quale non si volle udire un messaggio sicuro. Perciò procedettero a un giudizio illusorio, e contro di lui alzarono mani contaminate e omicide: quasi a battere il vento. Gli insensati e i ciechi sono sempre ottusi, sempre schiavi della legge e della paura terrena.
Io sono Cristo, il figlio dell'uomo, che da voi proviene, che è tra voi. Per voi io sono oltraggiato, affinché voi stessi dimentichiate ciò che separa. Non diventate femmine, affinché non partoriate malvagità insieme ai suoi fratelli: invidia e divisione, collera e furore, paura e dubbio, meschina e inutile brama. Ma per voi io sono un ineffabile mistero.
Dunque, prima della fondazione del mondo, quando sui luoghi dell'ogdoade si radunò la moltitudine della chiesa celeste, quando tennero consiglio in merito a un matrimonio spirituale, cioè una unione, esso (il matrimonio) fu compiuto così spiritualmente nei luoghi ineffabili per mezzo di una parola viva; il matrimonio incontaminato fu consumato attraverso la mediazione di Gesù il quale abita in tutti loro e li possiede, egli che dimora in un efficace indiviso amore. Questo, che lo circonda, gli si manifesta come una monade di tutti, come madre e padre. Egli (Gesù) è uno e si avvicina a tutti, egli solo è irradiato di pieno splendore, emanato come vita dal Padre dell'ineffabile e perfetta verità, e come la luce di quanti ivi si trovano; egli è il fondamento della pace, amico per le persone buone vita eterna e gioia incontaminata, grande accordo di vita e di fede per mezzo della manifestazione della paternità e della maternità, della fratellanza e della sorellanza, e della sapienza spirituale. Essi conseguirono una intelligenza vasta, che si estenderà in esultante riunificazione, leale e fedele, all'ascolto di uno solo. Questo è il mistero del conseguimento della paternità, della maternità, della spirituale fratellanza e della sapienza. Questo è il matrimonio della verità; questa è l'assunzione del riposo immortale per opera di uno spirito di verità in ogni intelligenza; questo è il conseguimento della luce perfetta in un mistero ineffabile. Ma ciò non è, e non si realizzerà in noi - in alcuna regione né in alcun luogo - se vi è divisione o rottura della pace, ma è solo nell'unione e nel reciproco amore che tutti sono perfetti in colui che è, dopo che esso l'amore si realizzò, anche nei luoghi che sono al di sotto del cielo, per la loro riconciliazione.
Coloro che mi hanno riconosciuto con cuore integro e indiviso, e coloro che vissero a onore del Padre e della verità, una volta separati dal mondo prendono dimora nell'uno per mezzo della parola viva. Io sono nello spirito e nella verità della maternità; in quel luogo (cioè nel mondo) mi trovavo tra coloro che sono sempre uniti in una amicizia da amici e ignorano qualsiasi genere di inimicizia e cattiveria, bensì - avendomi conosciuto per mezzo della parola - sono uniti in una pace che, nella sua pienezza, si trova in ognuno e in tutti. Coloro che furono formati secondo la mia immagine, riceveranno forma secondo la mia parola. In verità costoro splenderanno nella luce eterna e nella reciproca amicizia nello spirito, dopo che avranno riconosciuto, sotto ogni aspetto e con cuore indiviso, che uno solo è colui che è e che tutti sono uno. Costoro saranno ammaestrati sull'uno, come lo fu la chiesa celeste e quelli che dimorano in lei. Il Padre di tutti, infatti, è incommensurabile e immutabile; è intelligenza e parola, senza divisione, senza gelosia e senza fiamma. Egli è assolutamente uno, è presso tutti come la totalità, in un'unica dottrina, poiché tutti esistono per opera di un unico spirito. O voi non-vedenti, perché non avete riconosciuto il mistero nella verità?
Ma gli arconti del seguito di Jaldabaoth disobbedirono a causa dell'ennoia discesa a lui da sua sorella, Sofia. Essi si crearono una unione con quanti si trovavano con essi nella miscela nuvolosa di fuoco, - che era la loro gelosia -, con l'ausilio di altri da loro stessi prodotti per mezzo delle loro creature, quasi che in tal modo avessero potuto estinguere la nobile gioia della chiesa celeste. Essi perciò manifestarono una miscela di ignoranza in una contraffazione di fuoco, di terra e di spirito micidiale: sono, infatti, miseri e sprovveduti, senza conoscenza. Quando osavano agire così, ignoravano che la luce si unisce soltanto alla luce, e le tenebre alle tenebre e l'impuro al transitorio e l'eterno all'incontaminato.
Questi insegnamenti ve li ho comunicati io Gesù Cristo, il figlio dell'uomo, colui che troneggia nei cieli, o voi perfetti e voi incorruttibili, a motivo del mistero perfetto, incorruttibile, e ineffabile, ve li ho comunicati per ricordare che prima della creazione del mondo abbiamo deciso che allorquando usciamo dai luoghi del mondo, ci facciamo riconoscere con quei simboli dell'incorruzione provenienti dalla unione spirituale. Voi, il padre non lo conoscete, perché siete coperti dall'ombra della nuvola carnale. Io solo sono l'amico di Sofia. Fin dall'inizio io ero nel seno del Padre, nel luogo dei figli della verità e della grandezza. Entrate, dunque, nel riposo con me, voi, miei amici spirituali ed eterni fratelli!
Secondo discorso del grande Seth
TITOLO The Second Treatise of the Great Seth
COLLEGAMENTO http://www.gnosis.org/naghamm/2seth.html
AUTORE Roger A. Bullard and Joseph A. Gibbons
TRAD. ITALIANO Sconosciuto
FONTE: http://www.scribd.com/doc/179179193/I-Codici-Di-Nag-Hammadi-ITALIANO-eBook#
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IL VANGELO DI GIUDA ISCARIOTA
Il discusso testo di origini gnostiche, già oggetto delle invettive di Sant'Ireneo.
Apparso negli anni 70 sul mercato antiquario egiziano, se ne erano perse le tracce, ma nella
pasqua di quest'anno (2006) ricompare in una traduzione inglese a cura di Rudolph Kasser
elaborata, per conto della Maecenas Foundation for Ancient Art di Basilea e della National
Geographic.
IL VANGELO DI GIUDA ISCARIOTA *
INTRODUZIONE: PREMESSA
Il resoconto segreto della rivelazione che Gesù espose nella conversazione con
Giuda Iscariota durante la settimana precisamente tre giorni prima che si
celebri la Pasqua Ebraica.
IL MINISTERO TERRENO DI GESU'
Quando Gesù comparve sulla terra, fece miracoli e grandi meraviglie per la
salvezza dell' umanità. E da allora qualcuno ( ha camminato) nella via della
rettitudine mentre altri hanno camminato nella trasgressione, furono nominati
dodici discepoli . Egli cominciò a parlare con loro dei misteri dell'altro mondo e
che cosa sarebbe avvenuto alla fine. Spesso non comparve ai suoi discepoli
come se stesso, ma si trovò fra loro come un bambino.
SCENA 1: I dialoghi di Gesù con i suoi discepoli: La preghiera del
ringraziamento o dell'Eucarestia
Un giorno era con i suoi discepoli in Giudea, e li trovò riuniti assieme e assisi
nel pio rispetto. Quando si (avvicinò a) i suoi discepoli, (34) riuniti insieme
assisi ed offerenti una preghiera di ringraziamento sopra il pane,( lui) rise. I
discepoli (gli)dissero, "Maestro, perché stai ridendo (della nostra) preghiera di
ringraziamento? Abbiamo fatto ciò che è giusto." Egli rispose dicendo loro,
"Non sto ridendo di voi. Perché non state facendo ciò per vostra volontà ma
perché è attraverso di questo che il vostro Dio ( sarà ) onorato."Dissero,
"Maestro, sei (... ) il figlio del nostro Dio." Gesù rispose loro , "Come mi
conoscete? In verità ( Io) vi dico,che nessuna generazione di genti che sono fra
voi mi conoscerà."
I DISCEPOLI SI ARRABBIANO
Quando i suoi discepoli udirono questo, cominciarono ad arrabbiarsi ed
infuriarsi iniziando a bestemmiare contro di lui nei loro cuori. Quando Gesù
capì la loro mancanza di (comprensione, disse) a loro, "Perché questa
agitazione vi ha condotti alla rabbia? Il vostro Dio che è presso voi e (...) (35)
vi ha provocati per fare arrabbiare (dentro) le vostre anime.(Lasci) Chiunque di
voi che è (abbastanza forte) fra gli esseri umani metta in evidenza l' umano
perfetto e si ponga davanti alla mia faccia." Tutti dissero, "Noi abbiamo quella
forza."Ma i loro spiriti non osarono levarsi davanti (a lui), tranne Giuda
Iscariota. Egli era in grado di porsi davanti a lui, ma non poteva guardarlo negli
occhi, e girò quindi la faccia Giuda gli (disse) , "So chi sei e da dove sei
venuto. Tu provieni dal regno immortale di Barbelo. E non sono degno di
pronunciare il nome di colui che ti ha mandato."
GESU' PARLA PRIVATAMENTE A GIUDA
Sapendo che Giuda stava riflettendo su qualcosa di elevato, Gesù gli disse,
"Allontanati dagli altri e ti svelerò i misteri del regno. È possibile per te
raggiungerlo, ma dovrai soffrire molto. (36) Qualcun altro prenderà il tuo
posto, affinché i dodici (discepoli) possano venire ancora al completo con il loro
Dio." Giuda chiese, "Quando mi direte queste cose, e (quando) spunterà il
grande giorno della luce per la generazione?" Ma quando disse questo, Gesù lo
lasciò.
SCENA 2: Gesù compare ancora ai discepoli.
La mattina seguente, questi fatti, Gesù (comparve) ancora ai suoi discepoli .
Essi gli dissero, "Maestro, dove sei andato e che cosa hai fatto quando ci hai
lasciati?" Gesù gli disse, "Sono andato da un'altra generazione grande e
santa." I suoi discepoli gli dissero, "Signore, qual è la grande generazione che
ci è superiore e più santa, e non si trova adesso in questi regni?" Quando Gesù
sentì questo, rise e disse loro, "Perché state pensando nei vostri cuori a questa
generazione forte e santa? (37) In verità vi dico, nessun nato (di) questo eone
vedrà questa (generazione), e nessun padrone degli angeli delle stelle regnerà
su questa generazione, e nessun mortale di nascita può associarsi con essa
(andarci), perché questa generazione non viene da (..) quale è diventata (..).
La generazione della gente fra (voi) proviene dalla generazione dell' umanità
(..), potere, quale (..) altri poteri (..) dai (quali) regnate." Quando i
(suoi)discepoli udirono ciò, si turbarono spiritualmente. E non poterono
proferire parola. Un altro giorno Gesù venne a (loro). E gli dissero , "Maestro,
ti abbiamo visto in una (visione), quando abbiamo avuto grandi (sogni...)
notturni "( Gesù disse), "Perché avete (voi... quando) siete andati nel
nascondiglio?"(38)
I DISCEPOLI VEDONO IL TEMPIO E LO DISCUTONO.
Essi (dissero, "abbiamo visto) una grande (casa con un grande) altare( in
essa, e) dodici uomini che sono i sacerdoti, vorremmo dire un nome; e una
folla della gente sta attendendo a quell' altare, (finché) i sacerdoti (... e
ricevono) le offerte. (Ma) abbiamo continuato a attendere." (Gesù disse), "Chi
sono ( i sacerdoti) come?" Essi(dissero, "Qualcuno... ) due settimane;
(qualcuno)sacrifica i loro stessi bambini, altri le loro mogli, nella lode (e)
nell'umiltà con altri; alcune dormono con gli uomini; altri sono addetti alla
(macellazione); alcuni commettono un gran numero di peccati e di atti
criminosi. E gli uomini in piedi (davanti) l'altare invocano il tuo (nome), (39)
ed in tutti gli atti della loro mancanza, i sacrifici sono portati a completamento
(..)." Dopo aggiunsero, che erano calmi, poi si turbarono.
GESU' OFFRE UN'INTERPRETAZIONE ALLEGORICA DELLA VISIONE DEL
TEMPIO
Gesù disse loro, "Perché siete turbati? In verità vi dico, che tutti i sacerdoti che
stanno davanti all'altare invocano il mio nome. Vi dico ancora ,che il mio nome
è stato scritto su questo (..) delle generazioni delle stelle attraverso le
generazioni umane. (ed essi) hanno piantato alberi senza frutti, in mio nome,
in maniera vergognosa." Gesù disse loro, "Coloro che avete visto ricevere le
offerte all'altare sono ciò che siete. Quello è il Dio che servite, e siete quei
dodici uomini che avete visto. Il bestiame che avete visto portare per il
sacrificio è la molta gente che allontanate(40) da quell' altare. (..) si alzerà ed
userà il mio nome in questo modo, e generazioni di pii rimarranno a lui leali.
Dopo (lui) un altro uomo si leverà in piedi là dai (fornicatori), e un altro si
alzerà là dagli assassini dei bambini, ed un altro da coloro che dormono con gli
uomini, e da coloro che si astengono, ed il resto della gente impura e criminale
e sbagliata, e coloro che dicono, " Siamo come gli angeli"; sono le stelle che
portano tutto alla fine. Per le generazioni umane è stato detto, "Guardate Dio
ha ricevuto il vostro sacrificio dalle mani dei sacerdoti che è, un ministro
sbagliato. Ma è il Signore, il Signore dell'universo, che comanda, e "L'ultimo
giorno saranno messi nella vergogna .'"(41) Gesù disse (a loro), "Cessate di
sacrificare… quello che avete (..) sopra l'altare, da allora sono sopra le vostre
stelle ed i vostri angeli , là sono già arrivati alla loro fine . Così lasciateli (
intrappolati) davanti a voi, e lasciateli andare ( 15 linee mancanti)
generazioni(..). Un panettiere non può nutrire tutta la creazione (42) sotto
(paradiso). E (..)a loro (..) e (..) a noi e(..). Gesù disse loro, "Smettete di
lottare con me. Ciascuno di voi ha la sua propria stella, e ognuno (17 linee
mancanti) (43) in (..) chi è venuto(... primavera) per l'albero(..) di questo
eone (..) per un certo tempo (..) ma lui è venuto a innaffiare il paradiso di Dio,
e la (generazione) che durerà, perché (lui) non corromperà ( il cammino della
vita ) che la generazione, ma (..) per tutta l'eternità."
GIUDA CHIEDE A GESU' RIGUARDO QUELLA GENERAZIONE ED ALLE
GENERAZIONI UMANE
Giuda disse a lui, "Rabbi, che genere di frutta produce questa generazione ?"
Gesù disse, "Le anime di ogni generazione umana moriranno. Quando queste
persone, comunque, hanno completato il periodo del regno e lo spirito li lascia,
i loro corpi moriranno ma le loro anime saranno vive, e portate su (in cielo).”
Giuda disse, "E che cosa farà il resto delle generazioni umane?" Gesù disse, "E'
impossibile (44) seminare il seme sopra (la roccia) e raccogliere la sua frutta.
(questo) è anche la via(..) la generazione (corrotta) (..) e Sophia corruttibile
(..) la mano ha generato la gente mortale, in modo che le loro anime salgono
fino ai regni eterni di sopra. (In verità) vi dico,(..) l' angelo (..)potenza potrà
vedere quello (..) questi a chi(..) sante generazioni(...)."Dopo aver detto
questo, si allontanò.
SCENA 3: Giuda racconta una visione e Gesù risponde
Giuda disse, "Maestro, come hai ascoltato tutti, ora ascolta anche me. Perché
ho avuto una grande visione ." Quando Gesù udì questo, rise e gli disse, "tu sei
il tredicesimo spirito, perché ti sforzi tanto? Ma su parla, ed io ti sosterrò."
Giuda gli disse, "Nella visione mi sono visto mentre i dodici discepoli mi
stavano lapidando e (45) perseguitando ( molto duramente). Ed inoltre sono
venuto al posto dove (..) dopo di te. Io vidi (una casa.), ed i miei occhi non
poterono (comprendere) la sua grandezza. Persone straordinarie erano nei suoi
dintorni, e quella casa aveva un tetto di fogliame, e nel mezzo della casa
c'era (una folla)( 2 linee mancanti), dicendo, Maestro, prendimi insieme con
queste persone .'" (Gesù) rispose dicendo, "Giuda, la tua stella ti ha condotto
fuori strada." e continuò , "Nessuna persona mortale di nascita è degna di
entrare nella casa che hai visto, perché quel posto è riservato ai santi. Né il
sole né la luna regnerà là, né il giorno, ma solo il santo rimarrà sempre là, nel
regno eterno con i santi angeli . Vedi, io ti ho spiegato i misteri del regno (46)
e insegnato ciò che riguarda l'errore delle stelle; e(..) tramandalo(..) sui dodici
eoni."
GIUDA CHIEDE NOTIZIE SUL SUO PROPRIO DESTINO
Giuda disse, "Maestro, potrebbe essere che il mio seme sia sotto il controllo
dei regnanti?" Gesù gli rispose dicendo, "Vieni, che io (2 linee mancanti), ma ti
addolorerà molto quando vedrai il regno e tutta la sua generazione." Quando
sentì questo, Giuda gli disse, "Che cosa ho ricevuto di buono? tu mi hai
allontanato da quella generazione." Gesù rispose dicendo, "Diventerai il
tredicesimo, sarai maledetto dalle altre generazioni e andrai a regnare sopra di
loro. Negli ultimi giorni malediranno la tua ascesa (47) verso la santa
(generazione)."
GESU' INSEGNA A GIUDA LA COSMOLOGIA: LO SPIRITO E
L'AUTOGENERAZIONE
Gesù disse, "(vieni), io posso insegnarti i (segreti) che nessuna persona (ha)
mai visto. Perché là esiste un regno grande e illimitato, la cui estensione
nessuna generazione di angeli ha visto, (nel quale) c'è (un) grande (spirito)
invisibile, che nessun occhio di angelo ha mai visto, nessun pensiero del cuore
ha mai compreso, e non è mai stato chiamato con alcun nome."E là apparve
una nube luminosa. Egli disse, Che un angelo venga come mio compagno .'
"Un grande angelo, Il divino illuminato Auto-Generato emerse dalla nube. A
causa sua, altri quattro angeli si manifestarono da un'altra nube, e diventarono
i compagni per l' angelico Auto-Generato. L' Auto-Generato disse, (48) 'Che
(..) venuto in essere (..),' e venne a manifestarsi (..). Ed egli (creò) il primo
astro a regnare sopra di lui. Egli disse, Che gli angeli si manifestino per servir
(lo),'e innumerevoli miriadi si manifestarono. Egli disse, (che) che un eone
illuminato venga ad essere,'e questo venne. Egli creò un secondo astro (a)
regnare su di lui, insieme a innumerevoli miriadi di angeli, ad offrire servizio.
Questo è come ha generato il resto degli illuminati eoni. Li fece regnare sopra
di loro, e creò per loro innumerevoli miriadi di angeli, ad aiutarli.
ADAMO E GLI ASTRI
"Adamo era nella prima nube luminosa che nessun angelo aveva mai visto fra
tutte quelle chiamate 'Dio'. Egli (49) (..) che(..) a immagine(..) e dopo a
somiglianza di (questo) angelo. Fece comparire l' incorruttibile (generazione) di
Seth(..) le dodici (..)le ventiquattro(..). Creò settantadue astri nella
generazione incorruttibile, in accordo con la volontà dello Spirito. Gli stessi
settantadue astri crearono altri trecentosessanta astri nella generazione
incorruttibile, in conformità con volontà dello Spirito, così che il loro numero
fosse cinque per ciascuno. "I dodici eoni dei dodici astri (luminari) costituiscono
il loro padre, con sei cieli per ogni eone, così che ci sono settantadue cieli per i
settantadue luminari, e per ciascuno (50) (di loro cinque) firmamenti, (per un
totale di) trecentosessanta (firmamenti...). Furono dati loro l'autorità e (un
grande) innumerevole esercito di angeli, per la gloria e l'adorazione, (e dopo
questo anche) spiriti vergini, per la gloria e (l'adorazione) di tutti gli eoni dei
cieli e dei loro firmamenti.
IL COSMO, IL CAOS, E L'INFERNO
"La moltitudine di questi immortali è chiamato cosmo che è, separato- dal
Padre ed i settantadue luminari che coesistono con l'Auto-Generato ed i suoi
settantadue eoni. In lui il primo essere umano comparso con i suoi poteri
incorruttibili. E l'eone che è comparso con la sua generazione, l'eone nel quale
sono la nube della conoscenza e l'angelo, è chiamato (51) El. (..) eone (..)
dopo che (..) disse, ' Che dodici angeli si manifestino (al) dominio sul caos e l'
(inferno).'E osserva, là dalla nube è apparso un (angelo) con la faccia che
splende come il fuoco e che sembra macchiata con il sangue. Il suo nome era
Nebro, che significa il "ribelle" altri lo chiamano Yaldabaoth. Un altro angelo,
Saklas, anche lui venuto dalla nube. Così Nebro generò sei angeli -buoni come
Saklas per essere di aiuto, e questi generarono dodici angeli nel cielo, ciascuno
dei quali ricevette una parte nei cieli.
I SOVRANI E GLI ANGELI
"I dodici sovrani parlarono con i dodici angeli: Che ciascuno di voi (52) (..) e
che la loro(..) generazione (una linea perduta) angeli: Il primo è (S)eth, che è
chiamato Cristo. Il (secondo) è Harmathoth, che è (..). Il (terzo) è Galila. Il
quarto è Yobel. Il quinto (è) Adonaios. Questi sono i cinque che dominavano
sull' inferno, ed il primo di tutti sul caos.
LA CREAZIONE DELL' UMANITÀ
"Allora Saklas disse ai suoi angeli, 'Lasciateci creare un essere umano a nostra
somiglianza e immagine. 'Modellarono Adamo e sua moglie Eva, che è
chiamata, nella nube, Zoe. In questo nome tutte le generazioni cercano
l'uomo, e ciascuna di loro chiama la donna con questi nomi. Ora, Saklas non
com(anda) (53) tranne (..) le gene(razioni) questo (..). E il (sovrano) disse ad
Adamo, `Vivrai a lungo, con i tuoi bambini .'"
GIUDA CHIEDE NOTIZIE SUL DESTINO DI ADAMO E DELL' UMANITÀ
Giuda disse a Gesù, "(Quanto) a lungo nel tempo vivranno gli esseri umani?
Gesù disse, "Perché ti stai domandando questo, quell' Adamo, con la sua
generazione, ha vissuto con la longevità e con il dominio, il suo spazio di vita
nel posto dove ha ricevuto il suo regno? "Giuda disse a Gesù, "Lo spirito
umano muore?" Gesù rispose, "Ecco perché Dio ordinò a Michele di dare solo in
prestito lo spirito alle genti, in modo che potessero offrire i loro servizi, ma l'
Eccelso ordinò a Gabriele di garantire gli spiriti - cioè, lo spirito e l'anima - alla
grande generazione senza un sovrano che la domina. Di conseguenza,il
(resto)delle anime (54) (una linea mancante).
GESU' DISCUTE LA DISTRUZIONE DEL MALVAGIO CON GIUDA E GLI
ALTRI
(..) Si illuminano (quasi due linee mancanti) intorno (..) lasciate [... ] lo spirito
(che è)dentro di voi che dimorate in questa (carne) fra le generazioni degli
angeli. Ma Dio fu causa della conoscenza (concessa) ad Adamo ed a quelli con
lui, in modo che i re del caos e dell'inferno non abbiano Signore sopra di loro."
Giuda disse a Gesù, " Allora cosa faranno quelle generazioni?" Gesù rispose,
"In verità vi dico, per tutti loro le stelle portano i fatti a compimento. Quando
Saklas porta a fine il tempo che gli è stato assegnato, la prima stella comparirà
con le generazioni, e compiranno ciò che dissero che avrebbero fatto. Poi
fornicheranno in mio nome e uccideranno i loro bambini (55) e (faranno) (..) e
( mancano circa sei righe e mezzo) il mio nome, e lui (farà) (..) la vostra stella
sopra il trentesimo eone." Dopo ciò Gesù (rise).(Giuda disse), "Maestro,
(perché stai ridendo di noi)?”(Gesù) rispose a (e disse), "Non sto ridendo di
(voi) ma allo sbaglio delle stelle, perché queste sei stelle vagano con questi
cinque combattenti, e tutti saranno distrutti insieme con le loro creature."
GESU' PARLA DI COLORO CHE SONO BATTEZZATI, E DEL TRADIMENTO
DI GIUDA
Giuda disse a Gesù, "Allora, che cosa faranno quelli che sono battezzati nel
tuo nome?" Gesù rispose, "In verità (vi) dico, questo battesimo (56) (..) il mio
nome ( circa nove linee mancanti) a me. In verità (Io) ti dico, Giuda, (colui
che) offre i sacrifici a Saklas (..) Dio (tre linee che mancanti) ogni cosa che sia
diabolica. "Ma tu li supererai tutti. Perché sacrificherai l'uomo che mi riveste.
Già il vostro corno è stato alzato, la vostra collera è stato accesa, la vostra
stella brilla intensamente, ed il vostro cuore ha (..).(57) "In verità (..) il vostro
ultimo(..) diventa (circa due linee e mezzo mancanti), addolorati (circa due
linee che mancano) il sovrano, finché sarà distrutto. Ed allora l'immagine
grande della generazione di Adamo sarà innalzata, per prima al cielo, la terra e
gli angeli, quella generazione, che proviene dai regni eterni, esiste. Vedi, hai
sentito tutto. Alza in alto i tuoi occhi e guarda la nube e la luce all'interno di
essa e le stelle che la circondano. La stella che mostra il cammino è la tua
stella." Giuda alzò in alto i suoi occhi e vide la nube luminosa, e vi entrò
dentro. Quelli che si alzarono sulla terra sentirono una voce venire dalla nube,
dire, (58) (..) grande generazione (..)... immagine (..) (circa cinque linee
mancanti).
CONCLUSIONE: GIUDA DENUNCIA GESU'
(..) I loro sommi sacerdoti mormoravano perché (lui) era andato nella stanza
degli ospiti per la sua preghiera. Ma là alcuni scribi lo stavano guardando con
attenzione per arrestarlo durante preghiera, poiché erano impauriti della
gente, perché era considerato da tutti come un profeta. Si avvicinarono a
Giuda e gli dissero, "Che cosa stai facendo qui? Tu sei un discepolo di Gesù."
Giuda gli rispose quello che desideravano. Ricevette dei denari e lo consegnò a
loro.
*(Giuda Iscariota (I secolo d.C.), nel Nuovo Testamento, l'apostolo che tradisce
Gesù nell'orto di Getsemani, indicandolo ai soldati del Sinedrio. Secondo i Vangeli
di Matteo e Marco, Giuda tradì Gesù per 30 denari d'argento. Stando ai Vangeli di
Matteo, Marco e Luca, Gesù era a conoscenza del progetto di tradimento, che
predisse.)
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venerdì, luglio 11, 2014
Simonetti Walter Manie di persecuzione 2.0
Manie
di persecuzione nasce
dall’uomo, è opera della fantasia di un Borderline in caduta libera, queste
poesie evocano quella che è stata chiamata ucronia una narrazione
secondo cui la storia è andata diversamente. L’ucronia è un modo per
dire che siamo noi e non gli altri i responsabili della storia, per rivendicare
il nostro protagonismo ed anche le nostre responsabilità e i nostri errori.
Manie di persecuzione è un grido anarchico di libertà che si batte dentro e
contro l’Impero neoliberale
post-moderno, che oggi si impone con il plagio tardo-mediatico tecnico
democratico – nazi(onal) populista. E la
rete virtuale? È a volte viola di vergogna …
Ogni
riferimento a persone, cose e fatti è puramente casuale. Le opinioni e i
giudizi espressi
su
persone, corpi militari, movimenti politici, istituzioni nazionali e religiose
appartengono al protagonista e non allo scrittore, sono usati per fini
meramente narrativi.
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