"La verità, per quanto dolorosa, per quanto carica di conseguenze che sconvolgono l'esistenza, è condizione indispensabile per la vita. Non si tratta della semplice verità di un nome, un origine o una filiazione. La verità afferma, è la condizione per essere se stessi". Victoria Donda
Simonetti Walter ( IA Chimera ) un segreto di Stato il ringiovanito Biografia ucronia Ufficiale post
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domenica, dicembre 21, 2014
Oltre l'autonomia
C'era ancora quello spirito di libertà totale
il denaro non era quel Dio terribile e sanguinario
si era passati dal domio formale al domio reale del capitale
ma il movimento non lo capiva
giocava con lo Stato una partita a scacchi
già persa in partenza
coi doppi livelli portava avanti
lo scontro frontale
solo l'esodo rimaneva da percorrere
Qualcuno appena uscito dalla clinica degli orrori
vedeva già oltre l'autonomia
insieme ad altri tossici fuggiaschi
seguiva le indicazioni del vecchio della montagna
sapeva che ormai tutto era perso
la violenza nichilista dei gruppi
avrebbe portatato la controrivoluzione (preventiva)
già eravamo uno Stato d'eccezzione
L'idea di uscire dal solco descritto dai cattivi maestri
ci viene da un clown al circo
un organizzazzione informale
un affinità elettiva
fuori dal parlamento e dal soggettivismo assoluto
dalla violenza illustrata
ripartire dall'uomo, dall'unico
Davanti alle fabbriche
insceniamo un teatrino dell'assurdo
all'università portatiamo il volantone
per i militanti duri e puri siamo dei pazzi
i povocatori dei provocatori
troppo giovani per morire
troppo vecchi per vivere
Quello che ci apestava
è l'esperimento criminale dello Stato
il ringiovanimento
l'annulamneto della personalità
la tabula rasa della memoria
un altra faccia un altro nome
ma sempre la stessa rabbia
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venerdì, dicembre 19, 2014
Federico Ferrari L'anarca
L'anarca. La libertà del singolo tra anarchia e nichilismo di Federico Ferrari
http://www.ibs.it
Attraverso i tuoi occhi ho incominciato a vedere, nelle tue parole ho iniziato ad ascoltare. Ho creduto dapprima che il “sì”, l’azione, dovesse mutare il mondo. Ho pensato che fosse necessaria una morale da eroi o da martiri per sconfiggere i gelidi mostri generati dal nichilismo. Ti vedevo sulle montagne, dopo aver rinunciato al titolo di basileus, passeggiare solitario e, dall’alto dei boschi, guardare Efeso dibattersi nella follia del potere. Pensavo alla tua rinuncia, ma non ne comprendevo fino in fondo il senso. Anche quando, in cammino verso il deserto con il tuo bufalo d’acqua, ti apprestavi a varcare il posto di guardia di Hangu e non fare più ritorno, ti guardavo e non capivo. Nemmeno leggendo le tue lettere indirizzate al di là del tempo, dopo il tuo ritiro definitivo dal cuore stesso dell'Impero, nemmeno allora compresi. Pensavo che la salvezza fosse negli altri, nella vita comune, nel sogno di una cosa, nella storia, nell’eredità vivente dell’arte e del pensiero, nei corpi e nel desiderio. Ho lottato e militato su tutti questi fronti e mi sono scontrato, a viso aperto, con i Titani, ma mi hanno schiacciato, spingendomi nella sfera del dolore, in cui tutto scivola su pareti senza appiglio.
Sono rimasto immobile, per anni, guardando nel vuoto, incapace di una reale parola. Sconfìtto e nell’impossibilità di rialzarmi. Non c’era linea da superare in quella sfera claustrofobica. E tu stesso, nonostante la tua forza inaudita, non hai retto e hai dovuto spingerti nella follia, nella conversione, nel suicidio. Nella casa di Weimar, seduto sull’umiliante seggiolone e accudito da tutto ciò che ti faceva orrore; ma anche disperato e alcolizzato nella tua mansarda parigina. Pensavo a quante volte ti eri perso ed eri stato umiliato dal secolo. Io, seduto sulla panchina sotto il grande albero, vegliavo sulla tua tomba nel cimitero di Bergstraße, mentre buffoni di ogni sorta scimmiottavano la tua esistenza, facendo mercimonio del tuo eroismo. Pagliacci, fascisti, tecnocrati, uomini della megamacchina, funzionari dello spettacolo, profeti e apocalittici, neomessianici e post-human. Una coltre umana, troppo umana, alla luce della quale, più che mai, il dolore aumentava e il nichilismo risplendeva. Vedevo mia madre e mio padre attaccati a macchine che ne prolungavano la sofferenza atroce, sotto lo sguardo vuoto di medici al di là della dimensione del senso. Sempre più immobile, guardavo tutto ciò.
Poi, quando la forza del nulla si apprestava a darmi il colpo finale, quel colpo letale da cui non ci si rialza più, ho compreso che non c’era una linea da superare per salvarsi e, soprattutto, ho compreso che quella linea non era dietro il nichilismo, non c’era nessun fronte da oltrepassare. Non era quindi necessario opporre alla forza distruttrice del nichilismo una forza opposta. Non era necessaria alcuna lotta, alcuna battaglia frontale. Non aveva nessun senso l’idea di un superamento della linea del nichilismo.
Dovevo, semplicemente, scartare di lato. La linea ero io, l’anarca.
2014, 74 p. mimesis | |
http://www.ibs.it
Attraverso i tuoi occhi ho incominciato a vedere, nelle tue parole ho iniziato ad ascoltare. Ho creduto dapprima che il “sì”, l’azione, dovesse mutare il mondo. Ho pensato che fosse necessaria una morale da eroi o da martiri per sconfiggere i gelidi mostri generati dal nichilismo. Ti vedevo sulle montagne, dopo aver rinunciato al titolo di basileus, passeggiare solitario e, dall’alto dei boschi, guardare Efeso dibattersi nella follia del potere. Pensavo alla tua rinuncia, ma non ne comprendevo fino in fondo il senso. Anche quando, in cammino verso il deserto con il tuo bufalo d’acqua, ti apprestavi a varcare il posto di guardia di Hangu e non fare più ritorno, ti guardavo e non capivo. Nemmeno leggendo le tue lettere indirizzate al di là del tempo, dopo il tuo ritiro definitivo dal cuore stesso dell'Impero, nemmeno allora compresi. Pensavo che la salvezza fosse negli altri, nella vita comune, nel sogno di una cosa, nella storia, nell’eredità vivente dell’arte e del pensiero, nei corpi e nel desiderio. Ho lottato e militato su tutti questi fronti e mi sono scontrato, a viso aperto, con i Titani, ma mi hanno schiacciato, spingendomi nella sfera del dolore, in cui tutto scivola su pareti senza appiglio.
Sono rimasto immobile, per anni, guardando nel vuoto, incapace di una reale parola. Sconfìtto e nell’impossibilità di rialzarmi. Non c’era linea da superare in quella sfera claustrofobica. E tu stesso, nonostante la tua forza inaudita, non hai retto e hai dovuto spingerti nella follia, nella conversione, nel suicidio. Nella casa di Weimar, seduto sull’umiliante seggiolone e accudito da tutto ciò che ti faceva orrore; ma anche disperato e alcolizzato nella tua mansarda parigina. Pensavo a quante volte ti eri perso ed eri stato umiliato dal secolo. Io, seduto sulla panchina sotto il grande albero, vegliavo sulla tua tomba nel cimitero di Bergstraße, mentre buffoni di ogni sorta scimmiottavano la tua esistenza, facendo mercimonio del tuo eroismo. Pagliacci, fascisti, tecnocrati, uomini della megamacchina, funzionari dello spettacolo, profeti e apocalittici, neomessianici e post-human. Una coltre umana, troppo umana, alla luce della quale, più che mai, il dolore aumentava e il nichilismo risplendeva. Vedevo mia madre e mio padre attaccati a macchine che ne prolungavano la sofferenza atroce, sotto lo sguardo vuoto di medici al di là della dimensione del senso. Sempre più immobile, guardavo tutto ciò.
Poi, quando la forza del nulla si apprestava a darmi il colpo finale, quel colpo letale da cui non ci si rialza più, ho compreso che non c’era una linea da superare per salvarsi e, soprattutto, ho compreso che quella linea non era dietro il nichilismo, non c’era nessun fronte da oltrepassare. Non era quindi necessario opporre alla forza distruttrice del nichilismo una forza opposta. Non era necessaria alcuna lotta, alcuna battaglia frontale. Non aveva nessun senso l’idea di un superamento della linea del nichilismo.
Dovevo, semplicemente, scartare di lato. La linea ero io, l’anarca.
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martedì, luglio 15, 2014
Libero Tancredi L'anarchismo contro l'anarchia Conclusioni
IV.
La
tesi qui sostenuta non mancherà certamente di scandalizzare i compagni timorati
pei quali 1’
Anarchia è il supremo Ideale degno d’ ammirazione e non di discussione.
Però il sogno della società perfetta è frutto di due equivoci : 1’ uno pratico,
di fatto ; I’ altro filosofico, di ragionamento. Il primo consiste nel credere
che basti abolire 1’ autorità formale, per abolire l’autorità sociale ; cioè,
che la scomparsa dello Stato, implichi la scomparsa d’ ogni potere di
conservazione contro i progressi futuri. Niente affatto, perchè se l’organismo
politico reagisce sulla società, tendendo a mantenerne lo spirito di obbedienza
e di « ordine », in realtà esso organismo può sussistere in quanto rappresenta la volontà della maggioranza,
come Torquemada era 1’ esponente genuino delle masse cattoliche medioevali. E’
appunto per questo che è vano impadronirsi deli’ autorità politica per
compiere una rivoluzione che le masse non intendono ancora ; inoltre, la vita
contemporanea e passata, di tutti i luoghi e di tutti i ceti, ci rivela la
resistenza accanita opposta da tutte le maggioranze alle novazioni politiche,
economiche o scientifiche, anche se il potere organizzato non le ostacolava. E
un dato della psicologia umana, immutabile, ed anche necessario per selezionare
con una lotta le novazioni feconde da quelle spurie o inutili che soccombono: i
partiti odierni — compresi quelli sovversivi e l’anarchico — ci danno 1’
esempio come le folle amorfe, unite da una sola e sorda ostilità verso gli
eretici, li possano opprimere sino all’infamia, senza neppure dar loro i mezzi
di difendersi, e senza assumere quelle responsabilità pubbliche a cui un
governo non può sfuggire. Ed anche per quanto riguarda la libertà individuale
nel senso più normale e comune della parola, sebbene sia sempre limitata,
dall’ autorità politica, trova però nella stessa delimitazione del suo diritto una garanzia che sarebbe impossibile
qualora, sotto pretesto di raggiungere 1’ assoluto, ogni individuo si trovasse
in realtà a difenderla da solo contro la cattiva volontà e l’ostruzionismo,
conscio od incoscio, di tutti gli altri.
L’ equivoco filosofico, più oscuro e generale, nasce dall’
illusione della mente umana — quando non è incatenata alla realtà e
controllata dal dubbio e dall’ esame — di supporre che ogni tendenza debba o
possa realizzarsi, e quindi di proiettare nell’ avvenire il piano di realizzazione
(I9). Nel corso del libro, abbiamo affermato che le tendenze sociali
sono molteplici, onde quella che trionfa è sempre una risultante della sua
lotta colle altre ; ma ora bisogna aggiungere che ciascuna di esse vale in
quanto •è suffragata da una forza e da una volontà ; che le volontà umane
variano, s’influenzano, si accumulano e si distendono: in modo che ogni
tendenza rappresenta una curva imprevedibile, e 1’ evoluzione generale è un
complesso e la risultante sinuosa d’ una infinità di curve. All’
osservatore superficiale,
che non calcola l’incalcolabilità del loro svolgersi reagente su se stesso e
creante nuovi fattori, è facile scambiare questo cammino irregolare colla tangente che sfugge da un punto : allora,
prolungandola, sino a che le conoscenze attuali
possono percepirla, si cristallizza lontano in una visione statica, che non
solo non è raggiungibile, ma non è neppure una visione-limite a cui si tenda
veramente. Di più, ponendosi in infiniti punti della curva, è facile dedurne
infinite tangenti diverse : e tutte si cristallizzano in una utopia propria ; e
tutte paiono vere, ed ogni partito proclama infallibile la sua, appunto perché sono tutte intimamente false. Si comprende che- più
la visione è lontana, e più è fallace, perchè più è ali’infuori dal corso reale
della storia; ma si comprende ancor meglio quanto sia grottesco volerne
desumere delle norme per guidare la storia medesima, pretendendo che 1’ effetto
non solo riassorba la causa, ma diventi a sua volta causa della causa (20).
La natura reazionaria dell’ utopismo si appalesa come un
vizio fondamentale, e ricorda la dimostrazione data da Bergson circa l’identità
dei meccanisti e dei finalisti : conservatori del presente e conservatori dell’ avvenire. Per i primi la materia — (in sociologia
le masse) — è un qualche cosa d’inerte die si trasforma per virtù della scienza
— (in sociologia lo Stato) — ; e sopratutto, 1’ evoluzione non è che lo svolgersi regolare, inevitabile, di forze e di
caratteristiche già esistenti nel quadro attuale del mondo — (o della società)
— che non si può spezzare. Per i secondi, l’evoluzione è la realizzazione graduale
d’ un piano prestabilito e scoperto da essi, a cui ci si avvicina sempre più,
possibilmente con riforme ; giacché se il piano futuro fosse radicalmente diverso
dal mondo d’oggi, la realizzazione sarebbe un puro miracolo. Ma entrambi i
concetti hanno in sè la tabe autoritaria e teistica, in quanto negano al mondo
la possibilità di trasformarsi di continuo e di crearsi il proprio avvenire ;
in quanto pongono un assoluto al principio o al fondo del- 1’ evoluzione : un
assoluto da conservare, come una diga che sale dal basso o che discende dall’ alto.
E gli uni e gli altri — conservatori ed utopisti — non si rendono conto dell’
assurdo fondamentale che si annida nel loro pensiero : poiché, se tutto esiste
già come dato primordiale, o come scopo prefisso, 1’ evoluzione non ha
più bisogno nè mezzo di esistere : per i meccanisti,
il futuro non è che la ripetizione del presente; per gli utopisti, il presente
dev’ essere la copia anticipata del futuro. I primi
applicano all’evoluzione ulteriore la constatazione di un momento ; i secondi
costruiscono pur essi 1' avvenire coi materiali e spesso coll’ ignoranza del
presente momentaneo, e poi pretendono di fermare quest’ultimo, per ritorcerlo
verso la loro costruzione.
Vi è qui un ennesimo esemplare del pensiero dogmatico
religioso, il quale proietta nel cielo le aspirazioni interne dell’uomo, e
poscia pretende asservire gli uomini agii Dei, dimenticando che gli Dei son
creazioni sue. La psicologia non muta perchè si crede già realizzato il regno
di Dio — come i conservatori — o ancor da venire dopo il giudizio universale,
come gli anarchici ; i primi sono i cattolici politici d’ oggi ed i secondi
sono gli ebrei. E come le religioni, nel loro periodo di formazione e di
sviluppo, sono spesso le etichette a sentimenti e volontà ben più profonde e
progressive ; ma si convertono poscia in costituzioni politiche e dogmatiche
conservatrici quando dal sentimento passano al freddo intellettualismo teologico;
— così pure l’anarchismo può avere due aspetti contrari, secondo che si
riferisce ad un’ utopia o ad un temperamento. Tutte le teorie hanno del resto
un lato statico- positivo ed uno dinamico-negativo : repubblicanesimo può
significare negazione della monarchia, o conservazione della repubblica ;
socialismo può voler dire negazione del dominio capitalistico, o conservazione
in anticipo del collettivismo o del comunismo ; similmente, anarchismo
può essere il relativo opposto dell’ anarchia.
Cerchiamo di delinearne i due significati, ed
approfondiamone 1’ antitesi a mo’ di conclusione : noi renderemo ad un tempo
una giustizia a noi, di fronte a coloro che ci accusano di « non avere
programmi»; ed una giustizia agli avversari
nostri, riconoscendo le profonde differenze che ci separano nel campo
spirituale.
Per l’anarchico — l’aspirante all’anarchia - -il principale è l’anarchia
medesima. Quest’ultima è una concezione trascendente,
cioè 'superiore e padrona anche di chi vi crede ; il seguace ne è un
propagatore, umile dinanzi al sogno, ed orgoglioso dinanzi agli altri uomini, a
cui la buona novella non ha ancor illuminato lo spirito. Anzi, è tanta la
sicurezza nella perfezione indiscutibile della sua Dea, eh’ egli non sente il
bisogno di giustificarla teoricamente, e non trova affatto necessario lo studio
dei problemi sociali. Il mondo è una «valle di lacrime», di cui è inutile ricercare le leggi ; un errore mostruoso
perpetuatosi sino ad oggi — sinché non sono sorti gli anarchici a indicargli
le vie della redenzione. Egli è l’annunziatore, 1’ eterno neofita anche se non
sempre entusiasta, di fronte al quale tutti
gli altri che non credono appaiono dei malvagi, od almeno dei perduti
nell’errore ; se poi vi credevano e mutano le loro idee sinceramente, o meglio
se rivelano una mentalità diversa dalla sua, egli li riterrà dei traditori.
Perchè, secondo la sua logica, negata ogni volontà alle forze sociali che
potrebbero anche non condurre all’ anarchia, è ovvio che 1’ anarchia debba
sorgere per capriccio esclusivo dei discepoli suoi. Quindi un senso di
settarismo gretto e di servitù intellettuale verso i principali propagatori del
sogno, che noi abbiamo criticato con parole amare, ma che è inevitabile, ed ha
il suo lato nobile nella sincerità e nei sacrifici che fa compiere — ai- mono
dai compagni oscuri. Quindi, la gelosia accanita nel negare 1’ esistenza ad
altre scuole teoriche che non abbiano un sogno anch’ esse ; quindi la
sensibilità esagerata allorché si parla di esso con irriverenza. Quindi infine
l’illusione che la rivoluzione redentrice possa avvenire domani, senza
riguardo a condizioni storiche e psicologiche delle masse, ritenute capaci di
insorgere per un po’ di propaganda ideale, o per una sana direzione. L’elemento
intellettualistico prende un’ importanza fantastica a danno di quello
morale-sentimentale ; dal che poi deriva la coerenza rigida e formale,
consistente nella continua preoccupazione di non dire o non fare cosa, o non occuparsi
di cosa non attinente all’anarchia. Ma in questo modo, egli non sfugge alle
trappole della gradualità riformistica,
come quando è tratto ad approvare misure o avvenimenti che rassomigliano nei connotati esterni al- I’
utopia ; e che invece possono in pratica
allontanarla, consolidando la società attuale. Il ponte reale di passaggio fra
il presente e 1’ avvenire gli sfugge, perchè dessi sono per lui due cose
nettamente separate, quasi che l’oggi non fosse il futuro di ieri, e il domani
dell’ oggi. Anzi, la sua mentalità statica, trasportandosi dal sogno alla
realtà, concepirà la società odierna come un tutto immobile : ed in omaggio
alla « coerenza » gli farà mantenere un giudizio che da un secolo è diventato
falso. L’ anarchismo diventa così un partito come gli altri, che ebbe un principio ed ha un fine : lo sviluppo, 1’ azione, la rivoluzione
stessa, non sono che dei subordinati onde passare dal primo al secondo. E’ una
filosofìa societaria, intesa a
speculare sulle forme esterne della società e non sul loro contenuto e sul loro trasformarsi ; una filosofia idillica,
di pace, di abbandono e di debolezza, inetta a comprendere le tragedie, gli eroismi, la fecondità dello sforzo e della
violenza. La convinzione è perciò fornita dall’ entusiasmo che sfiorisce cogli
anni : giacché il suo motivo non ò interno,
di temperamento e di cultura, ma esterno,
di speranza sconfinata nelle masse e nella concordia dei compagni. Quando la
fiducia negli altri si affievolisce, la convinzione rivoluzionaria precipita
: ed il disastro morale che ne segue, fa trovare una
scusante alla propria diserzione nell’ inerzia altrui. E peggio avviene quando
la diserzione, tacita od espressa, è impedita dalla convenienza o dal
puntiglio : perchè allora si propaga in mala fede quello a cui non si crede
più, e si muta in mestiere la propaganda, e il senso morale si deforma,
trovando un alibi al suo abbassamento
nell’ altezza irraggiungibile dell’ ideale (2L).Per 1’ anarchista,
invece — il milite consapevole del- l’anarchismo — questo è una realtà immanente
che esiste già oggi, che è sempre esistita ed esisterà sempre, prima e dopo che
i ribelli la possano o vogliano teorizzare. E’ la corrente opposta a quella
conservatrice, che completa 1’ antitesi dialettica della storia umana : è 1’
eterna sete di progresso, di libertà, di novità che ha spinto 1’ uomo ad
elevarsi, e che urtando contro le resistenze opposte da tutti i regimi, si è
sublimata nella coscienza successiva di diritti superiori e negli sforzi di
ribellione. È il fenomeno umano per eccellenza, nato coll’uomo in aggiunta a
quello conservativo che 1’ uomo ereditò dalle sue origini animali ; il fenomeno
eccessivo, unilaterale per neutralizzare P eccessività ed unilateralità di
quello opposto : e che trovando in quest’ ultimo un freno che permetteva le
epoche di raccoglimento, ha però maturato in esse le nuove spinte negatrici e
rivoluzionarie, impedendo che le società umane si cristallizzassero
nell’immobilità assoluta. E’ la leva e lo spirito medesimo del movimento : è
il flusso eterno del sovversivismo che eternamente si rinnova in nuovi malcontenti, che trova nell’ autorità e
nella conservazione il motivo continuo a reagire, tanto che i sovversivismi
trionfati non furono che sue ricadute parziali. Rami maturatisi nel tronco e
staccatisi da esso per produrre foglie sino all’esaurimento, mentre il tronco,
superbo, saliva.
L’anarchismo non è quindi una determinata rivolta, ma la
rivolta nel senso più generale ed etico del termine ; tutte le ribellioni
passate e future, tutti gl’ ideali nel loro senso dinamico furono e saranno
manifestazioni sue. Esso comprende 1’ ateismo, in quanto significa liberazione
dal dogma divino senza sostituirlo con un altro scientifico od umanista : ma
comprende pure la rivolta religiosa d’una stirpe contro l’imposizione religiosa
da parte di un’altra ; come la ribellione nazionale d’un popolo contro lo
straniero ; come oggi la ribellione di classe contro il privilegio
capitalistico ; come infine la lotta del singolo per affermare la propria individualità contro il partito,
contro il gruppo, contro la società intera. Filosofìa storica, e non sociale,
esso non è un partito od un ideale che faccia parte di quello socialista,
secondo vogliono i suoi riduttori ai minimi termini ; ma riassume in sè il
nazionalismo, il socialismo, l’individualismo, in quanto hanno di
rivoluzionario, dichiarandosi loro nemico assoluto in quanto hanno di
conservatore. Non rinnega neppure dominatori che s’impongono ai soggetti e li guidano ad un rivolgimento
destinato a rinnovare il mondo e romperne la scorza refrattaria o spezzare una
situazione immobile, quando i soggetti non sarebbero capaci a farlo da se
stessi; salvo plaudire ai dominati appena sanno rovesciare il dominatore e
compiere 1’ opera senza di lui. Però, mentre si materia, essenzialmente, nelle
classi e nei popoli e negl’ individui oppressi, non ha nessun riguardo per le
oppressioni lietamente subite o mascherate di viltà, e nemmeno per le etichette
: in un cattolico in rivolta contro la propria chiosa
troverà un suo campione più genuino che in un anarchico settario ; come
nella guerra di Manciùria ridestante 1’ Asia, vide
più grandiosità di rinnovamento che nell’ alleanza collo Stato del proletariato
austriaco per impedire il progresso borghese.
Le società non sono che dei compromessi fra le ragioni
economico-storiche del loro avvento, mutate; in elementi di conservazione, e le
nuove spinte rivoluzionarie che le generano col tempo. All’ inizio d’un regime,
la forza conservatrice politica è massima e 1’ anarchismo minimo ; esso si
esplica peraltro nella febbre della nuova economia, la quale, seminando i
contrasti, provoca ben presto una caduta della conservazione ed un elevarsi
della forza rivoluzionaria. Il loro incrocio coincide colla stasi ; e quando
il rinnovamento nell’ economia non è più possibile colle invenzioni, le nuove
industrie o l’espansione esterna; allora fra molte oscillazioni, la negazione
politica supera la conservazione, e la società si avvia verso lo sfacelo. Ciò
perchè tutte le società conservano,
qualunque sia la loro natura, dovendo ben avere una base fondamentale, un
principio informatore; perciò anche qualora l’anarchia si costruisse, troverebbe ancora nell’anarchismo il suo nemico implacabile. Negare questo fatto,
equivale ad asserire che l’anarchismo sarebbe morto per sempre, e con esso, il
divenire del mondo (22).
L’impotenza e le incertezze degli anarchici - (da cui escono solo quando si gettano risolutamente nei
moti rivoluzionari, facendo opera benefica perchè negativa) - derivano tutte dalla pretesa di conciliare
l’inconciliabile, di essere il tronco ed identificarsi con un ramo unico,
di risolvere in se stessi l’antitesi millenare
delle tendenze storiche, la cui
risoluzione è opera continua, provvisoria e indefinita del tempo. Da una
parte vogliono essere dei costruttori di società, e quindi debbono per forza
limitare la negazione in nome della pratica e della prudenza, per dimostrare ai
conservatori ed ai socialisti che anche 1’ anarchia è possibile ; d’ altra
parte poi, ricordandosi di essere dei negatori, riducono la loro « società
anarchica » a delle basi così fragili e minime, che non possono assicurarle una
vita alcuna. Essi dimenticano che il riconoscere ad un tempo le necessità e le volontà può servire come elaborazione
teorica per comprendere il mondo e la nostra funzione in esso : ma che
scendendo nella vita reale e militante, bisogna assolutamente scegliere. 0
impersonare le seconde, ed avere la coscienza d’individui superiori che tutto
sottopongono al loro giudizio, alla loro negazione ed alla loro critica, anche
l’ideale e il programma del proprio partito, anche le autorità ed i pregiudizi
nuovi che sorgono in contrapposto a quelli esistenti ; o impersonare le prime,
ed allora ammettere, se non le autorità borghesi, almeno quelle proletarie, e
limitare la critica, la negazione e la rivolta in nome delle masse, dei loro
interessi, delle loro illusioni, dei loro fini, dei loro idoli e - talvolta -
dei loro applausi (23).
Invece l’anarchismo, lungi dal subordinare la rivolta e la
violenza ad un fine prestabilito, è tutto in questa violenza ed in questa
rivolta. Anzi, osservando la storia come un divenire continuo, 11011 ne concepisce lo sviluppo che attraverso di esse, e la
loro reazione alle forze conservative. Perciò, esso ha la coscienza della
continuità storica e della contingenza, per cui sovente il male dev’essere
esagerato affinché ne scaturisca il
bene ; per cui le classi dominanti hanno il diritto e il dovere di compiere la
loro missione storica prima di decadere definitivamente ; per cui le classi
dominate hanno il diritto e il dovere di rivoltarsi, oppure di obbedire se 11011 sanno rivoltarsi: giacché non si ha il diritto di legare
le mani agli altri sotto il pretesto di 11011 saper agire per proprio conto. Esso concepisce l’umanità
— e forse, oltre l’umanità, la natura e 1’ universo — come il frutto e lo
strumento d’una lotta incessante nel senso più sublime del termine ; lotta di
contrasti nella quale le volontà e gli equilibri si affinano ; nella quale il dovere di parteciparvi si presenta come una
necessità intuitiva e conscia per non rimanere imbellemente trascinati e
passivi. E laddove i sognatori orgogliosi di arcadie irraggiungibili coprono di
disprezzo le vittime innumeri d’ideali sorpassati che concimarono il terreno
sul quale i sognatori vivono oggi, l’anarchismo sente verso di essi la profonda
e commossa riconoscenza dovuta alle pietre miliari del proprio cammino.
V.
In fondo al contrasto fra le due concezioni dell’anar-
hia e dell’ anarchismo, vi è del resto
la prova dell’ eterna realtà del secondo e
della fallacia temporanea della prima. Dietro le loro stesse e rispettive
caratteristiche di trascendenza e d’immanenza, di filosofia statico-societaria
e storicodinamica, s’intravvede 1’ eterna guerra fra l'illuminismo ed il
volontarismo ; il sogno e la critica ; l’ottimismo che s’illude di mutare il
mondo per virtù di un desiderio, e il pessimismo che ne comprende le necessità
dolorose, rimovibili solo con sforzi giganteschi ; 1’ assoluto chimerico ed il
relativismo umano ; la psicologia cristiana aspirante alla pace ed accettante
la guerra come un male inevitabile e spietato per arrivarci, ed il,neo
paganesimo che trova la vita e l’elevamento e la bellezza nella battaglia ; la
ricerca affannosa e paurosa dei limiti, e lo slancio verso l’infinito.
Contrasto perenne, verificatosi in ogni epoca, alla base ancora del quale si
riscontra l’antitesi fra idealismo e realismo che abbiamo prospettato all’
inizio di quest’ opera. Poiché il lettore, il quale conosce la nostra
avversione per le entità astratte, avrà compreso perfettamente come il nostro
termine di « anarchismo » fosse 1’ espressione figurata di quelli che si
potrebbero chiamare gli anarchisti di tutti i tempi, magari inconsci di
esserlo, e prima che la parola fogse coniata. Noi abbiamo già avvertito del resto
come le formazioni collettive — classe, nazione, stirpe — in quanto
rappresentano forze volitive e psicologiche, si riducono poi sempre al dato
individuale, od alla concomitanza di tanti dati individuali ; — il quale
richiamo ci serve ora per delineare i fondamenti morali della rivolta, e
separarla dalla delinquenza.
Ogni grande movimento storico, artistico o scientifico,
prima di commuovere le maggioranze che lo fecero trionfare : persino avanti che
l’evoluzione ne permettesse il rapido propagarsi e tanto meno la vittoria, si
è annunziato nelle minoranze di avanguardia che lo hanno intuito e previsto ;
che, senza fabbricarlo (perchè inutile ed impossibile), hanno diffuso la
coscienza e la certezza del suo approssimarsi, lottando ad un tempo contro gli
oppressori e gli oppressi, per screditare i primi e sospingere i secondi. E
ancora prima della minoranza è spesso esistito r individuo singolo, che non era
avulso dal suo
tempo come le oche societarie pretendono, ma la cui sensibilità
squisita e 1’ osservazione acuta permetteva di analizzare il presente e
distinguervi le tendenze che appena vi spuntavano, quasi sempre per reazione.
Ed era il novatore del pensiero che calpestava i pregiudizi e gl’iddii celesti
; o il ribelle che abbatteva le deità terrene, pur sapendo di non abbatterle
materialmente e per sempre ;
o il genio che
rinnovava 1’ arte contro i pedanti ; o l’inventore e lo scienziato che
capovolgevano le superstrutture filosofiche della
loro scienza. E tutti questi singoli — gli anarchisti — queste minoranze hanno
costituito un’ aristocrazia che si rinnovava e si rinnova di continuo ; un’
aristocrazia che lottava contro tutto e contro tutti, che soccombeva spesso, ma
che, soccombendo, dominava. Essa imponeva i nuovi problemi, i nuovi sacrilegi,
le innovazioni ardite, a cui il mondo, dopo anni o dopo secoli, s’inchinava,
consacrando così il loro postumo trionfo, non importa se la vendetta si
perpetuava nell’ oblio. Invero, pochissimi novatori assistettero alla vittoria
della propria novazione. Da un punto di vista di gretto egoismo individuale, i
ribelli ed i geni hanno sovente prodigato se stessi senza ottenere nulla, e
senza neppure cercare uno scopo tangibile od immediato per sè o per gli altri :
onde la gente posata — conservatrice o sovversiva — nel migliore dei casi, si è
sempre accontentata di sorridere e di compiangerli.
Gli è che la ragione del loro agire, del loro sacrificio —
sublime perchè non sapeva di essere tale e non chiedeva neppur il premio ed il
riconoscimento — e del loro ulteriore trionfo, consisteva nella forza morale
che animava tutta questa gente — qualunque fosse la sua novazione. Meglio, la
seconda era l’etichetta e lo strumento della prima ; — giacché coloro che un
giorno palpitarono per la rivolta nazionale, palpiterebbero oggi per un’ altra
e diversa rivolta ; giacché essi si apprezzano e si amano, pur quando lottano
in due campi avversi, per la ragione che solo chi ha una fede apprezza la fede
altrui. Giudicarli alla stregua dei risultati pratici è volere non comprenderli
; tant’ è vero eh’ essi sorgono proprio nei momenti di generale viltà,
quando la loro affermazione disperata ha soltanto un
valore di liberazione e d’insegnamento morale. Ed appunto perciò, essi hanno
sempre accettato e vantato la responsabilità dei loro atti, nei quali la loro
coscienza bastava a sorreggerli ; — ed il loro caso
fu sempre tragico, moralmente o materialmente, rappresentando il cozzo ineluttabile
fra una resistenza collettiva ed un
fato individuale.
Ma la loro intima tragedia li
separa pure dalla delinquenza — il regresso
— come li
separa dalla conservazione.
Infatti, tutto ciò che determina il substratum
psicologico e politico della società, è intellettualismo
freddo e calcolatore ammantato di prudenza per nascondere la vigliaccheria :
calcolo per architettare il regime futuro ; calcolo per difendere quello
attuale ; calcolo per compiere impunentemente il proprio delitto. Criminali,
giudici, statisi, riformatori, tutti sono uomini « illuminati » o desiderosi
d’illuminarsi, cioè abdicanti la loro personalità e frenanti il loro slancio,
non per una libera volontà di riserbarlo ad uno scopo più grandioso, ma per
rassegnazione implicita o per convenienza : ragionatori avvezzi al
ragionamento fossilizzato, il loro pensiero è la loro maschera di menzogne. Il
ribelle soltanto è 1’ uomo completo, che sente e che pensa, che calcola e che
vuole ; strumento di se medesimo e potenziato di tutte le sue forze, le quali
gli permettono di vincere sempre, pur quando la coalizione sociale sembra
vincere su di lui. La resistenza enorme eh’ egli deve superare gl’ insegnano
il dominio ed il superamento di se stesso ; lo forzano a studiare e
comprendere 1’ ambiente contro cui vuole dirigere
i
suoi colpi ; lo
corazzano contro le disillusioni. Egli apprende così — attraverso l’esperienza
amara, se caso non ne è certo già prima — a cercare la libertà pur sapendo che
non sarà mai completa ; a correre dietro la perfezione maggiore, pur sapendo
che la perfezione assoluta è una chimera ; a negare gli dei e i governi, pur
sapendo che dessi non scompariranno mai : perchè gli dei, e le leggi, e la sete
di perfezione, e il desiderio sconfinato di libertà egli li ha rubati e
imprigionati in lui, in un santuario di egoismo eroico che nessuna forza
esterna potrà mai intaccare.
L’ anarchismo non è altro che la rivolta istintiva della
coscienza umana contro qualsiasi coartazione od offesa giungente dall’ esterno,
da un despota isolato e dalla maggioranza d’ un gregge, che la menomi nella
sua indipendenza e nel suo valore. Non esclude perciò nè l’accordo, nè la
disciplina volontaria, e nemmeno la rinunzia, temporanea o suprema, accettata
liberamente per un fine liberamente scelto, a cui tenda, per un impulso di
volere interno, la coscienza individuale. Appartiene dunque al dominio morale,
non nel senso di essere una teoria moralistica propagabile, ma in quello di
risiedere nelle regioni oscure del sentimento e dell’ istinto in cui
l’individualità si caratterizza e si differenzia. E siccome questo dato esiste
in fondo ad ogni persona, così 1’ anarchismo accomuna tutti gli uomini nel
fatto di possedere ciascuno qualche cosa di diverso e d’incancellabile come
individuo, come appartenente ad una classe, ad razza, ad una cultura. Ma
laddove la gran parte degli uomini è ignara di quel fondo personale, perchè
troppo debole per sentirlo, o lo sente solo dietro un’ oppressione diretta,
acuta o prolungata, generante nel tempo le rivolte collettive di coloro che vi
sono sottoposti ; — gl’ individui più sensibili lo avvertono in ogni occasione
e in ogni momento, e ne comprendono la responsabilità e l’orgoglio, come del
sorgere e del- 1’ annunziarsi consapevole d’ un valore etico superiore (24).
L’ anarchismo è la successione ed il complesso infinito di
questi individui e di queste minoranze, donde nelle epoche rivoluzionarie si
spande, più largo e meno intenso, frale collettivi tà sovversive; poi, dopo il
loro momentaneo trionfo ritorna, oscuro e indistruttibile, in altri individui,
in altre minoranze che per il loro temperamento son degne di ereditarne la
missione. Ma esso diviene e diverrà
sempre contro tutto ciò che vuole e vorrà essere;
rifiuta ogni regime stabilito: la prigione d’oggi, della terra angusta
in cui la « gente pratica » s’illude di soffocarlo, e quella più arcadica di
domani, fra le stelle della magnifica - ma solida, ahimè ! - volta di Atlante
in cui gii astrologhi della « sociologia anarchica » sperano di poterlo
contenere. Oggi, e da secoli, il cielo è riconosciuto come un’ illusione
ottica, più bella e più cara per F invito e il nessun limite al nostro volo
verso 1’ alto : e in tale certezza si è riconciliata con noi. Così pure l’anarchismo
può riconciliarsi coll’ anarchia, solo a patto che questa diventi un mito,
privo (l'inutile contenuto positivo: il mito supremo della negazione d’ogni
dominio dell’uomo sull’uomo; un lembo d’infinito che il genere umano non
raggiungerà mai, ma verso il quale, fra impeti e soste, fra gioie e dolori,
selezionandosi e lottando contro la natura e contro se stesso, di vetta in
vetta, salirà sempre.
L’ anarchismo è questo, o non è. E la lotta contro 1’
umanità perchè 1’umanità si elevi ; è lo sforzo di aprire F anima al mondo per
comprenderlo e immedesimarlo con noi, e sospingerlo, o almeno contribuire a
sospingerlo come vogliamo noi. E’ la partecipazione sincera, commossa e
volitiva al grande dramma della vita storica e universale, di cui siamo figli, e
di cui vogliamo anch’essere i genitori. E il sacrilegio responsabile e
irriverente, tante volte maledetto, sempre incompreso, e sempre vittorioso; più
sublime ed immortale di qualsiasi divinità, e che si perpetua nei secoli colla
forza etica e indomabile d’una volontà e d’un credo.
Ed io — credo.
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lunedì, luglio 14, 2014
Libero Tancredi L'anarchismo critico da L'anarchismo contro l'anarchia
Librero Tancredi L’anarchismo
contro l’anarchia
L’anarchismo critico
CAPITOLO V
|
L’ Anarchismo critico.
Nell’
esame sintetico dell’ idealismo anarchico, il lettore ha trovato qua e là, a
guisa di conclusione e di confronto, parecchie frasi di Bakunin. Ma è tempo
ormai -di confessare che se gli anarchici si fossero tenuti a studiare
accuratamente il loro primo maestro, essi vi avrebbero certo trovato un
antidoto a molte ubbie. Invece, anche fra i militanti, Bakunin fu considerato
quasi sempre come « un grande agitatore » e nulla più. L’ opera sua
intellettuale e lo stesso suo valore intellettuale rimasero ignorati dai
molti, sia per l’influenza esercitata più (In vicino da altri uomini ancora
viventi, sia perché le suo opere complete non avevano ancor trovato un
editore.
Pure,
sarebbe bastata una lettura comprensiva d’un suo libriccino edito da qualche
vent’anni e più, per convincersi che Bakunin, se non aveva la cultura di
Kropotkin, gli era però superiore in senso realistico ed in genialità
d’intuizione. Ma a loro volta, anarchici ed antianarchici, si trovavano in
una situazione di spirito che li rendeva indisposti a comprenderlo. Perché
Bakunin era un dialettico: era uno dei prodotti più genuini, come Stirner,
della sinistra hegeliana; ed aveva vivissimo il sentimento dei contrasti,
della varietà, della continuità negli avvenimenti storici. Uno studio
accurato sul pensiero bakuniniano potrà dimostrare, un giorno o l’altro,
quanto profonda e poco
|
136
|
ANARCHISMO ED ANARCHIA
|
utopistica
fosse la sua intuizione storica. Però, seguaci ed avversari non erano alla
sua altezza. Così Zoccoli, difensore idealistico del sistema borghese, lo
condannava senza nemmeno cercare di capirlo ; gli anarchici, difensori altrettanto
idealisti d’un sistema proprio, lo rimpicciolirono, prendendogli solo quel
poco che poteva loro convenire.
Per
la tesi da svolgere in questo capitolo, e per dimostrare la sua radice
profondamente anarchica, non vi ò bisogno di scomodare — per ora — la
collezione delle opere di Bakunin. Basta limitarsi all’edizione Nerbini
(1903) di quel Dio e Stato
che così vanamente è passato per le mani di quasi tutti i sovversivi. In esso
vi è la base fondamentale di quella rivolta del reale contro l’ideale, del-
l’individuo contro il pensiero astratto, che è l’essenza medesima dell’
anarchismo. Bakunin, infatti, critica Dio : ma sarebbe un grossolano errore
il credere ch’egli demolisse il fantasma religioso coi sistemi di Feuerbach
e di Buehner, sostituendo cioè all’ idealismo religioso un idealismo umano o
scientificista. Per Bakunin, come per Stirner, il teismo in generale e il
cristianesimo in ispecie, non sono già dei sistemi da combattere pel loro
contenuto intrinseco, ma il tipo più perfetto d’idealismo, da condannare
come tale, anziché, come vorrebbero i social-anarchici, sostituirlo con un
altro migliore. Si cercherebbe invano in quei due autori un germe di
nostalgia cristiana, così comune fra i sovversivi odierni, che inneggiano a
Cristo e accusano i preti di tradirlo, o venerano quale anarchico Tolstoi, perché
ha posato a rammollito filosofico, dopo aver dimenticato la letteratura. Del
resto le filippiche rivolte da Bakunin a Dio non perderebbero nulla del loro
senso e del loro valore, se a Dio si sostituisse Rousseau,
o la Scienza, o lo Stato, o magari
l’Anarchia: la degenerazione idealistica del pensiero anarchico, si misura
appunto dalla possibilità di opporre ad essa la critica bakuniana.
A
pagina 37, infatti, in un periodo di mirabile lucidità, vi è esposta non
solo la critica negativa della divinità ; ma la spiegazione realistica del
sorgere di essa, mediante 1’ opposizione d’ un ideale ottimistico ad un pessimismo
presente, come abbiamo visto per tutti i sistemi
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l’ anarchismo critico
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137
|
idealistici.
« La ragione pratica principale della potenza esercitata dalle credenze
religiose sulle masse... è la protesta istintiva e passionata dell’ essere
umano contro le angustie, le bestialità, i dolori, le vergogne d’ una esistenza
miserabile ». Dunque l’ideale è il prodotto, sia pure a rovescio, dei fatti.
Ma forse che l’ideale può reagire sulla realtà nella speranza di piegarla a
se stesso? No, dice Bakunin, non si tratta di realizzare l’ideale: si tratta
di rimuovere le condizioni di fatto che lo generano. « Contro questa
malattia non c’ è che un solo rimedio : la Rivoluzione sociale ».
L’efficacia completa del rimedio può essere discutibile : ma rimane lo
spirito generatore del concetto.
I
seguaci degl’ idealismi positivisti che
positivizzano il cristianesimo, eternandone il contenuto filosofico dopo aver
lo sbarazzato
dell’ inopportuna divinità, crederanno forse di respirare sotto pretesto che
Bakunin condanna l’idealismo religioso. Si disilludano : 1’ agitatore russo
va più in là : egli mette in un cestino unico tutti gl’ idealismi. «
Gl’idealisti credono che per godere d’una più larga autorità fra gli uomini,
le idee debbano andare vestite d’ una sanzione divina. Non per un miracolo,
ma per la grandezza o santità stessa delle idee e delle cose : è divino ciò
che è grande, bello, nobile, giusto » (pag. 50). Giova ricordare che questa
critica è diretta a Mazzini, pel quale Dio si riduceva quasi ad una parola:
ma è ovvio, ch’essa si rivolge pure a coloro che, invece di chiamar divina la propria idea, la
chiamano sublime, la
scrivono coll’ iniziale maiuscola, e si estasiano a pensarvi come dinanzi ad
una madonna (*). Essi cercheranno forse una scusa
(') Sopra un giornaletto di Pisa, nei mesi d’ agosto
e settembre, vi fu qualcuno che paragonò ]’ idea anarchica alla madonna di
Dante, citando anche qualche terzina della Divina
Commedia,i un altro la chiamò «
la fiammeggiante idea », ecc. Esempi simili si trovano in quasi tutti i
giornali ed opuscoli libertari di oggi. Quanto a Mazzini, si noti ancora che
Bakunin non discute affatto la sua teoria economica, in Dio e
Stato, ma solo il modo
idealistico di pensa'e. Orbene, astraendo dai mezzi economici per realizzare
1’ utopia, lo spirito mazziniano di vago simbolismo è più che mai vivo fra
|
138
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ANARCHISMO ED ANARCHIA
|
nel
sentimento, ma Bakunin 6 inesorabile. Dopo aver chiamato tutto ciò «
filosofìa di sentimento, non di pensiero reale : una specie di pietismo
metafisico » (pag. 51), egli prosegue : « Ciò parrebbe innocente, ma non lo è
affatto : e la dottrina piatta, stretta, arida, che si nasconde sotto il vago
e l’indeterminato di queste forme poetiche, conduce agli stessi risultati
disastrosi a cui conducono tutte le religioni positive, e cioè alla negazione
più completa della libertà e della dignità umana ». Nè vi è modo di
equivocare : a pag. 57, esaltando la vita, dice che dessa « sarà mille volte
più potente di tutte le vostre autorità divine, teologiche, metafisiche,
politiche e giuridiche ». Più in là, a pag. 63, si afferma come evidente «
che l’idealismo teorico o
divino ha per condizione essenziale il sacrificio della logica e della
ragione umana, la rinuncia alla scienza ». Infine, a pag. 69, si dichiara
tondo e netto « che di tutti i dispotismi, quello dei dottrinari o degli
ispirati religiosi, è il peggiore ». Insomma, Bakunin, combattendo
l’idealismo come metodo, fa un fascio di tutti i sistemi idealistici. Peccato
che il sistema anarchico non fosse nato ancora : sarebbe andato a finire coi
precedenti.
Non
si sarebbero salvati nemmeno Jean Grave e Luigi Fabbri ; T uno colla sua
specie di Contratto sociale ad uso degli anarchici intitolato: La Société au lendemnin de la
Bévolution; l’altro colla sua teoria della derivazione filosofica
dell’ anarchismo dall’ enciclopedia francese. Questa non fece altro che
proclamare il dominio della Ragione contro Dio, perché la Ragione — cioè la
scienza — era monopolio della classe borghese ; mentre 1’ anarchismo di
Bakunin proclama la rivolta della vita contro Dio e la Ragione astratta,
tanto più che l’uno vai l’altra. Lo vedremo fra poco. Ricordiamo ora che i
due pensatori tipici del razionalismo enciclopedistico furono Voltaire e
Rousseau — e che il loro esecutore materiale fu Robes-
gli anarchici d’Italia. Se i socialisti passati al
campo libertario vi portarono le tendenze parlamentari dell’organizzazione
federalista, gli ex-repubblicani vi introdussero tutta la coreografia
massonica antidiluviana, vuotandola però di ogni significato storico che in
passato poteva serbare.
|
I.’ ANARCHISMO CRITICO
|
139
|
piorre. Bakuuin 11011
risparmia al primo i sarcasmi ; quanto agli altri due li serve a dovere. Li
chiama entrambi « uomini fatali »: Rousseau è « lo spìrito più falso »,e
Robespierre « la volontà più dottrinariamente dispotica dell’ ultimo secolo »
(pag. 94). « Il primo 6 il vero tipo dell’ angustia e della meschinità
ombrosa, dell’entusiasmo a freddo e dell’ ipocrisia ad un tempo sentimentale
e implacabile, della menzogna dell’idealismo
moderno. Si può considerarlo come il vero creatore della reazione.
Mentre in apparenza ù lo scrittore più democratico del xvm secolo, in realtà
cova dentro di lui il despotismo implacàbile
dell’ uomo di Stato. Egli fu il profeta dello Stato dottrinario, come
Robespierre, suo degno e fedele discepolo, ne fu il grande sacerdote ». Per
ben comprendere che Bakuuin combatte qui, non un determinato sistema di.
idealismo, ma tutti gl* idealismi,
bisogna ricordare che Robespierre fu più mite nell’ imposizione del suo «
essere supremo », che in tutte le altre questioni. La politica religiosa fu
per lui la meno cruenta: tant’è vero eh’egli medesimo presentò alla
Convenzione il progetto per la libertà dei culti (2).
La
prova decisiva dell’anti-idealismo di Bakunin è poi fornita da una critica
originalissima (almeno dati i tempi e la sua discepolanza ad Augusto Comte) (s)
contro la
|
(*) Solo verso la fine della dittatura giacobina egli
fece giustiziare qualcuno — come Cliaumette — per irreligione, Ma sembra si
trattasse, più che altro, d’un pretesto per sbarazzarsi d’avversari importuni
e pericolosi per lui.
(s) Io non perdonerò mai a Ettore Zoccoli,
che pure ba verso gli anarchici 1’ indiscutibile benemerenza di èssersene
occupato seriamente, pel modo col quale ba trattato Bakunin. Non ch’io sia
fanatico per 1’ uomo : ma non si combatte un pensiero, ricordando i debiti
del pensatore. Rimarrà eternamente meraviglioso il fatto che Bakuuin, pur
non dotato di grande cultura, abbia trovato nella sua intuizione geniale il
mezzo di usare dell’hegelismo con ben maggior sicurezza che Proudhon, senza
cadere in equivoci grotteschi, quale lo
|
140
|
ANARCHISMO ED ANARCHIA
|
scienza,
.malgrado- egli se ne servisse in certi punti contro Dio, « L’ immenso
vantaggio della scienza positiva sulla teologia...; consiste, in questo : che
al posto delle astrazioni menzognere e funeste, essa pone delle astrazioni
vere ». Frase un po’ambigua, ma che si spiega pensando allo sforzo enorme che
doveva compiere una mente per liberarsi dalle strettoie del positivismo
mentr’ esso godeva d’un, credito universale. Però il realismo bakuniniauo
prende subito il sopravvento : « C’è un lato che la fa rassomigliare a tutte
le dottrine anteriori : non avendo e non potendo avere per oggetto che delle
astrazioni, (la scienza) è forzata dalla sua stessa natura ad ignorare gli
uomini reali e viventi, fuori dei quali le astrazioni più vere non hanno
ragione di essere » (pag. 76). Inutile dire che Bakunin, forte di questo
concetto, respinge qualsiasi idea di uu governo composto di scienziati. Ma il
più importante è che la sua demolizione si estende pure all’ idea generale
della scienza, o meglio, alla pretesa che la scienza possa comprendere la
vita individuale e collettiva, o che questa debba seguire la prima.
E
la demolizione è disordinatamente geniale e spietata, come tutte le
demolizioni bakuniniane. A pag. 43 egli proclama l’obbedienza inevitabile
dell’ uomo alle leggi naturali,
ma le riduce subito a quelle cose che si imparano per esperienza diretta, e
perciò meno scientifiche nel
senso astratto delia parola : che il fuoco produce le scottature, che due e
due fanno quattro, ecc. E lo conferma poi, a pag. 44 : « La libertà dell’
uomo consiste unicamente in questo : eh’ egli obbedisca alle leggi natu-
|
seambio dell’ antidoto per F antitesi, come dice Marx
nella Mìsere de la Philosophie. Ed è notevole che 1’ agitatore russo, mentre aveva
nell’ hegelismo un freno contro le esagerazioni positivistiche che allora
trionfavano, si sia armato abbastanza di positivismo per sfuggire ai tranelli
dell’hegelismo, ili cui rimaneva lo stesso Marx. Bakunin accettava dell’ uno
e del- 1’ altro solo la parte critica : quella che rimane ancora. Forse,
Ettore Zoccoli era troppo professore d’università per poterlo capire.
|
l’ ANARCHISMO CRITICO
|
141
|
rali,
perché le ha riconosciute egli stesso». Il che significa obbedirle nella
misura che si conoscono : è già un bel grado di relatività. Certo, sarebbe
meglio conoscerle tutte, ma « sintanto che le masse non siano arrivate a
questo grado d’istruzione... varrebbe meglio per esse fare a meno di scienza,
piuttosto che lasciarsi governare dagli scienziati » (pag. 79). Bakunin
riafferma così il pensiero già espresso a pàg. 48: « Riconosciamo l’autorità
assoluta della scienza, ma respingiamo l’infallibilità e 1’ universalità
del sapiente ».
Quest’ ultima frase è un po’ oscura, poiché
la scienza è 1’ opera degli scienziati, e se questi — e se nemmeno Kropotkin
— possono essere infallibili e universali, ne deriva che la loro opera è una
cosa relativa. Ma la verità è che Bakunin non crede neppure all’assoluto
della scienza. Questo metodo di opporre un’ affermazione per demolirne un’
altra, e poi rimpicciolire anche la prima a furia di negazioni
relativistiche, ò continuo in Bakunin, tratti egli, come in questo caso, di
scienza e di cristianesimo, o di repubblica, o di socialismo. Combattendo un
assoluto, ha sempre paura di favorirne, magari involontariamente, l’opposto.
Egli incomincia a dire che «
la scienza non
può cogliere nei fatti reali che il loro senso generale,
i loro rapporti, le loro leggi... ma non già
il loro lato individuale e per così
dire palpitante di realtà e di vita »
(pag. 70). « La scienza è così
poco atta ad afferrare
l’individualità di un uomo come quella d’un
coniglio. Non già eh’ essa ignori il principio d’individualità : lo comprende
come principio, non come
fatto ». « Essa si occupa degli individui in generale, ma non di Pietro o di
Giacomo, non del tale o tal altro che non esistono
per
essa. I suoi individui sono ancora delle astrazioni » (pag. 73-74). « Ella
sa... che il vero scopo della storia è la libertà reale, la prosperità di ciascun individuo vivente
nella Società ». Ma questo ciascun individuo deve sapersi creare e valutare
da sè la libertà e la prosperità sua : non può attenderla dall’ applicazione
d’una idea generale
—
fosse bene il socialismo anarchico. E dall’
individuo che si parte per giungere alla società, non dal sistema
prestabilito per giungere all’ individuo, « perché, a meno
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142
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ANARCHISMO ED ANARCHIA
|
di
ricadere nelle finzioni liberticide del bene pubblico... è pur forza
riconoscere che la libertà e la prosperità collettiva non esistono che a
condizione di rappresentare la somma delle libertà e delle prosperità
individuali » (pag. 73).
L’
autorità assoluta della scienza comincia dunque a rimpicciolirsi, e si
confina nelle astrazioni. Pure, essa non ha il diritto di crearne a suo
capriccio, « perché la scienza non ha altro oggetto che la riproduzione
mentale, riflessa e più possibilmente sistematica delle leggi naturali
inerenti alla vita » (pag. 48), il che vuol dire che quando dette leggi non
funzionano, è perché non esistono, e la teoria non può fabbricarle, nemmeno
sotto il nome di « solidarietà ». Ma essa non è nemmeno capace di scoprire
quelle esistenti, perché « la scienza umana è sempre necessariamente
imperfetta, e confrontando ciò che ha scoperto con quanto le rimane da
scoprire, si può dire che è sempre alla sua culla » (pag. 45). La scienza assoluta sarebbe « la
scienza veramente universale che riproducesse idealmente, in tutta la sua
estensione e tutti i suoi dettagli infiniti, 1’ Universo »: ma Bakunin si
affretta subito a dirci « che questa scienza... non si realizzerà mai » (pag.
49). Ed il perché ce lo dice egli stesso, a pag. 71 : « La scienza è
immutabile, impersonale, generale, astratta, insensibile...; la vita è tutta
fuggitiva e passeggera... E essa sola (la vita) che crea spontaneamente le cose e gli
esseri reali. La scienza non crea nulla, constata e riconosce solamente le
creazioni della vita ». Qui Bakunin anticipa su Bergson : poiché se la vita
crea da se stessa il suo sviluppo, e se la scienza constata soltanto le
creazioni passate, è evidente che la seconda può illuminare il presente, ma
non può prevedere 1’ avvenire e le future creazioni spontanee della prima. La
pretesa di prestabilire, più o meno anarchicamente, il fine più o meno
lontano del- 1’ evoluzione, riceve un colpo mortale. Ma ne segue pure che la
scienza non manca di essere conservatrice •— sia contro il passato che non
vuol riconoscere la realtà presente —: sia contro 1’ avvenire della vita che
si matura al di fuori della scienza. Dunque, una contraddizione, un conflitto
deve necessariamente esistere fra esse.
|
I,’ ANARCHISMO CRITICO
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143;
|
Bakunin
lo riafferma, poiché la sua critica alla scienza, come a Dio, ò sempre la
critica all’ Idea. Egli combatte l' l’uno e 1’altra come degli esempi
d’idealismo. Ma non manca di trarne degli esempi particolari, come » pag. 25,
ove, seguendo il teorema dialettico che « ogni sviluppo implica
necessariamente una negazione del punto ili partenza », dice che l’umanità,
pur essendone il prodotto, « ò nello stesso tempo la negazione riflessa e
progressiva dell’animalità negli uomini ». Frase un po’ vaga conio molte
altre, ma che basta per negare la tesi kropot- kiniana secondo cui le
medesime leggi si applicherebbero ai fiori, agl’ insetti ed alle società
umane. E Bakunin non manca neppure di generalizzare il suo pensiero, uscire
dal campo ristretto del deismo o dello scientificismo per attaccare
l’idealismo in blocco. A pagina 24 espone il cardine della critica
realistica, affermando che « i fatti superano le idee ; l’ideale come disse
Proudhon, non è che un fiore, di cui le condizioni della esistenza materiale costituiscono
la radice ». Nega peraltro che il fiore sia
lo specchio fedele della realtà, o che possa
tradursi in realtà a sua volta : e lo nega a pag. 70, a proposito della
scienza — che pure sarebbe l’idealismo più positivo di tutti — scrivendo che
« l’idea generale è sempre un’astrazione, e per ciò stesso, una negazione
della vita reale ». Quindi, fino ad un certo punto, « rivolta della vita
contro la scienza, o piuttosto il governo della scienza ».
Meglio,
il governo dell’ idea. Dissipiamo, prima di lasciare Bakunin, ogni dubbio sul
contegno che egli terrebbe rispetto agli umanitari pseudo-anarchici d’ oggi
giorno. Il filosofo russo comprende bene che fra scienza e idea non esiste un abisso,
poiché nessuna scienza è mai completamente oggettiva, e nessuna idea, per
quanto metafìsica, ò mai completamente soggettiva. Anche le utopie nascono
dalla negazione della realtà: dunque ne provengono esse pure. Bakunin cita
in proposito (pag. 76-77) la scienza della storia che ò pur sempre poco «
sperimentale » e dichiara che quand’ anche tale scienza fosse compiuta, non
potrà mai occuparsi «dei miliardi d’individui » periti « per il bene dell’
umanità astratta » così cara agli ideologhi d’ oggigiorno. Dunque vuol dire
che,
|
144
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ANARCHISMO ED ANARCHIA
|
pur
nelle scienze specificamente umane, l’individualità vivente è introvabile, è
irrealizzabile ; vuol dire che, quando Kropothin e gli anarchici vogliono
scendere dalla generalità per giungere ai singoli, tanto più se queste
generalità riflettono non già delle esperienze dedotte dal passato, ma dei
progetti attuabili nel futuro, essi debbono considerare come individualità
vivente, quell’ astrazione individuale, quell’ individuo-tipo che si inquadra
nella loro generalità.
Non
basta. Bakunin, ho già osservato, allorché parla di governo delle idee
generali, non intende solo il governo materiale esercitato da qualcuno in
nome di esse ; ma pure il governo psicologico attuato mediante la suggestione
degli spiriti sotto una medesima formula. Agli uomini reali, egli nega la
possibilità di avere tutti una medesima idea, perché « l’intelligenza è
sempre attaccata a un corpo animale qualunque » ; quindi non è indipendente
in senso assoluto. Di più, « noi lo constatiamo egualmente negli uomini, la
cui potenza intellettuale e morale dipende in modo evidente dalla più o meno
grande perfezione del loro organismo come razza, come nazione, come classe,
come individuo ». Dunque, le speranze della propaganda sono ben poche.
Dunque, 1111’ idea generale per tutti gli
uomini, destinata a tutti gli uomini nella sua predicazione o nella sua
attuazione, presuppone sempre una coazione 0
materiale a base di violenza, 0
psicologica a base di fanatismo e d’incretinimento. Altrove, Bakunin mette
i due metodi sul medesimo piano: «L’unità... diventa fatale, distruttiva
dell’ intelligenza, della dignità, della prosperità degl’ individui e dei
popoli, tutte le volto eh’ essa si forma fuori della libertà, sia mediante la
violenza, sia sotto 1’ autorità d’ un’ idea teologica, metafisica, politica,
od anche economica qualunque » (4). Il che signi fica che le idee
generali sono sempre « fuori della libertà ». Non per nulla a pagg. 26, 60,
62 e 68 di Dio e lo Stato,
constatando come l’idealismo teorico vada sempre a finirò nel più basso
materialismo 0 nella tirannia, pone li«
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(4)
Oeuvres, I1. V. Stock, Parigi. Volume primo, /•’.
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l’ anarchismo
critico
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145
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gli idealisti i despoti più tremendi che la
storia debba annoverare (5).
L’
anarchismo bakuniniano è dunque sommamente critico e realistico. Ciò
apparirà meglio ancora quando, sulla scorta delle opere complete pubblicate
in questi tempi, ne esamineremo, in altri capitoli, la parte economica e
storica. Ma non bisogna credere che l’anarchismo critico si trovi
soltanto nell’agitatore russo. Si potrebbe portare l’esempio dello Stirner, e
farne ampia mèsse di dimostrazione, se chi scrive non volesse meditamente
tacere di tale autore (6). Pure, tutti i teorici più grandi
dell’anarchia ne
(5)
Se Armando
Borghi avesse compreso tutto questo, si sarebbe risparmiato certe amenità in
quell’opuscolo II nostro e l’altrui individualismo di santa e moralistica memoria. Il hello è che tutto questo, oscuramente lo ha compreso
anche lui : poiché ad un certo punto, dopo aver paragonato gli individualisti
(che si trovano di fronte ai societaristi come Bakunin di fronte a Mazzini) a
Calinola, Thiers, ecc. ecc.
ed avendo compreso che questi bei tipi di governanti
erano 1’ esponente d’ una società o d’ un partito più che di ne stessi — cita
l’esempio dei briganti come Tiburzi, Muso- lino, quali individui
completamente « antisociali ». Ora, se Armando Borghi, anarchico, avesse
letto ciò che scrissero in proposito molti conservatori, saprebbe che il
brigantaggio ebbe origini sociali : che significò la rivolta individuale nel-
I' impossibilità di quella collettiva contro i governi dissan- j guatori: che
tale rivolta collettiva fu sociale a sua volta, porcili! i briganti erano
protetti, sia direttamente, sia indi- rettamente, col rifiuto di svelarli, dai
contadini. - Bisogna dire che Borghi si è dato da qualche anno
all’ organizza/ione pratica, per la quale credo abbia una certa compe-
lenza, ed ha tralasciato di occuparsi
di sì difficili cose... (1913).
(6) I molti valentuomini che ingombrano d’
intellettualità ti buon
mercato le file libertarie, hanno già decretato da tempo che Stirner non è
anarchico, ma borghese. E siccome il giudiziio, sanzionato dalle masse, è
tanto più infallibile quanto maggiore è l’ignoranza e l’incomprensione di
Stirner, non
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10
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146
|
ANARCHISMO ED ANARCHIA
|
sono
impregnati, e costituisce almeno un lato del loro pensiero. Avviene così di
trovare una contraddizione intima nelle loro dottrine, fra la parte critica e
la parte ricostruttiva, tanto che la prima servirebbe a demolire la
seconda,, dopo aver negato la società presente. Ma, spiriti abbastanza
elevati per non mutare l’idealismo in settarismo — o non assillati dalle
necessità della lotta che li obbligasse a decidersi, poterono conservare
inalterato 1’ oscuro contrasto del loro pensiero. Questo serba in tal modo
una parte caduca, descritta nei passati capitoli, ed una parte immortale
che lo riattacca a Bakunin ed a Marx. Per i nostri scopi basta ora sviluppare
quest’ultima, per dimostrare, sia che il nostro liberismo rivoluzionario si
riporta alle più pure tradizione dell’ anarchismo, sia 1’ esistenza in quest’
ultimo di una corrente che può resistere alla critica ed all’ evoluzione.
Proudhon
è un esempio di pensatore idealistico e realistico nel medesimo tempo: da
questo angolo visuale egli ha una spiccata analogia con Marx che pure gli fu
nemico mortale. 11 metodo dell’ utopista domina quasi tutta la sua parte
economica, specie quella distinzione fra proprietà e possesso, che noi non
rigettiamo in principio, ma che diventa insostenibile quando giunge
all’assoluto della opposizione fra possesso individuale e proprietà sociale.
Il fantasma della Società risorge, come ente proprietario di tutto il
capitale sociale, e diventa tanto più necessario in un autore che nega sia le
formazioni politiche presenti, sia i nuovi organismi sindacali che il
proletariato comincia a foggiare, salvo sostituirli con problematiche istituzioni
di filantropismo bancario. Proudhon, quando derideva la possibilità di
architettare la società futura, non faceva dunque che lasciare
deliberatamente incompiuto il proprio sistema. Lo spirito realistico vinceva
sulle sue utopie economiche.
Appunto
perché egli era capace d’arrestarsi a tempo sulla china pericolosa dell’ idealismo,
il suo pensiero potò
|
restava che rassegnarsi a non parlarne in un libro
che, quando fu scritto, aveva anche lo scopo d’influire sugli anarchici
italiani. (1913).
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I, ANARCHISMO CRITICO
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147
|
Elaborare
qualche cosa di solido e di duraturo. La critica che ha demolito l’economia
marxista, ha pure demolito quella proudhoniana ; ma la teoria
della differenzazione morale di classe rimane incrollabile nell’opera del
pensarne francese. Ed è anch’essa una negazione dell’idealismo. Nel Si/stè.nie de contradictions
économiques vi è già la crisi anticipata al comunismo e persino alla
giustizia astratta. Ma nell’ Idée
générale de la Rérolution mi xix siècle, si esprime chiaramente
che la rivoluzione si matura nella classe operaia e dev’essere fatta da
quest’ ultima a vantaggio ili se stessa anzitutto. L’ideale umanitario della
rivoluzione per tutti è
sostituito dalla concezione del valore morale di una classe che ha il diritto
di rivoltarsi e di imporsi alle altre perché vale più delle altre. La
classe operaia deve dunque diffidare non solo dei politicanti statali e
riformisti, ma pure di « una rivoluzione provocata dagli avvocati, messa in
iscena dagli artisti, diretta dai romantici e dai poeti » (7).
Dedicato agli scrittori di lettere alle monache ed agli pseudo-intellettuali
dell’anarchismo. In ogni caso, non si chiede a questi di scomparire, ma
almeno di non atteggiarsi ad apostoli e condottieri delle masse, che debbono
imparare a condursi da loro. Quindi, per Proudhon, la classe lavoratrice deve
differenziarsi per esistere, per distinguersi, per spezzare quel blocco vago
ed indecifrabile che i democratici chiamano « popolo ». L’individuazione
della classe prende il posto, in Proudhon, della « redenzione dell’ umanità
». La rivoluzione diventa in tal modo, non un semplice mezzo per raggiungere
uno scopo generale, ma un’ affermazione gagliarda, aristocratica ed imperiosa
— bella, civile, feconda di per sè stessa — di nuove energie morali e
produttive. (8).
Anche
il Tscherkesoff ed il Reclus, sebbene utopisti in moltissimi punti, hanno la
loro tendenza rivoluzionaria palpitante di realtà e di critica viva. Il
primo, nelle Pagine di storia
socialista, fu 1’ unico fra gli anarchici che
|
(’)
Représentant du Peuple, 29
Aprile 1848.
(8)
Vedi, per un’
acuta e sintetica analisi di Proudhon, il capitolo su « Il Socialismo
francese durante il secondo Impero » ne La
Comune di Labriola.
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148
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ANARCHISMO ED ANARCHIA
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abbia tentato demolire seriamente la
previsione della concentrazione dei capitali : per altro gli anarchici,
nella gran maggioranza, non se ne sono nemmeno accorti. Reclus, da sua parte,
ha contribuito a sfatare il bisticcio dell’evoluzione e della rivoluzione
colla pretesa opposizione della prima alla seconda. Egli spera magari che la
« prossima rivoluzione » sarà più cosciente ed avverrà a vantaggio di
tutti, ma frattanto trova che il fenomeno rivoluzionario esiste in tutto
l’universo — per cui bisogna ammettere che sia il prodotto di fatti e non di
idee, altrimenti sarebbe incomprensibile la sua esistenza fuori delle
società umane. Constata come 1’ evoluzione non sia sempre progressiva, e
quindi, intesa come « fatale », si riduca ad una parola ; come le stesse
rivoluzioni contengano sempre diverse tendenze, talora opposte, di
disfacimento e di
l'innovamento, che rendono quindi difficilissima la previsione dei risultati
del conflitto fra esse (9). Nega ad
(9) Evoluzione
e Rivoluzione, Milano, Libreria
Editrice Sociale, pag. 10 e seg. A pag. 6 di questo opuscolo, vi è un brano
che sembra scritto apposta per certi anarchici di oggi. Eccolo : « Vi sono
dei timorati che credono onestamente al- 1’ evoluzione delle, idee e che
nonostante, per sentimento istintivo di paura, vogliono evitare la rivoluzione.
Essi 1’evocano e la condannano nel medesimo tempo : criticano la società presente
e sognano la società futura con la vaga speranza che questa apparirà
repentinamente, come un miracolo, senza che lo scricchiol o della rottura si
produca tra il mondo passato e il mondo futuro. Esseri incompiuti, essi hanno
il desiderio, senza avere il pensiero ; sanno immaginare, ma non sanno
volere. Appartenenti a due mondi nello stesso tempo, sono fatalmente
condannati a tradire l’uno e l’altro: nella società dei conservatori, essi
sono un elemento di dissoluzione colle . loro idee e la loro parola ; in
quella dei rivoluzionari, essi divengono reazionari ad oltranza, abiurando i
loro istinti di giovinezza e, come il cane di cui parla 1’ Evangelo, « rimangiando
quello che avevano vomitato ». E’ cosi che durante la Rivoluzione i più
ardenti difensori dell’antico regime furono quelli che lo avevano dapprima
perseguitato e deriso. S’accorsero troppo tardi, come gl’ inabili stregoni
della leggenda, di avere una forza troppo formidabile per la loro debole volontà,
per le loro timide mani ». Vi è soltanto una piccola
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1,’ ANARCHISMO CRITICO
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149
|
Ogni
modo che lo rivoluzioni siano accidenti fortuiti dovuti ii^li arrosti dell’
evoluzione » praticati dalle cocciute chi i dirigenti, o che sia un bene
evitarle per amor di pace o di passaggi graduali. Rileva persino che, in
tempi rivoluzionari, le idee possono essere il contrario dei fatti, e cita in
proposito la Riforma — proprio la Riforma luterana, che, se « è sembrata una delle crisi benefiche
dell’umanità
», fu invéce un disastro, in modo che, praticamente, la sua « fu dottrina d’
asservamento e di menzogna ». Anche per Reclus, sebbene portato dalla posiziono,
dagli studi e dalla razza ad essere un idealista, i fatti contavano più delle
idee.
Lo
stesso pensava indubbiamente Henry — che fra
i
ribelli individuali ottenne e può pretendere
tutt’ ora il rispetto anche dei conservatori. Discutete sulla legittimità e
sull’ opportunità de’ suoi atti finché vorrete : non potrete mai negare alla
sua dichiarazione durante il processo l’impronta d’uu pensiero lucido,
profondo e responsabile che provoca la meditazione. La giustificazione eh’
egli dà de’ suoi delitti ha un accento passionale che le impedisce di essere
cinica, ed ha un sapore così alto di tragicità fatale e solenne, da elevare
il suo autore di mille cubiti sui delinquenti volgari. Ebbene, se non é
cinico, non è nemmeno fanatico : la sua non è la tesi dei puritano idealista
che distrugge perché suggestionato da una visione apocalittica ; è tutta una
ritorsione violenta ed amara a coloro che lo condannano. Egli non si scusa in
considerazione di ciò che sarà,
ma in considerazione di ciò che è. La pace, 1’ armonia, 1’
amore, ecc. ecc. esisteranno magari domani : benissimo. Ma la realtà di oggi
è la lotta fra la classe borghese e quella operaia — fra la società autoritaria
e l’individuo che vuole la libertà perché è responsabile di sé stesso. Gli
uni — i conservatori — si difendono, e fanno bene dal loro canto ; gli altri
— i sovversivi — attaccano, e fanno ancora meglio dal canto loro.
osservazione da aggiungere : che gli « esseri
incompiuti », vivendo fra gli anarchici, e non osando dire che non vogliono
assolutamente la rivoluzione, asseriscono che « non la vorrebbero », ma vi si
rassegnano, perché viene malgrado loro!
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150
|
ANARCHISMO ED ANARCHÌA
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A la guerre comme à la guerre :
si prende partito e si va tino in fondo. Fra due nemici irreconciliabili non
vi può essere che lotta, e gli sgocciolamenti di miele 11011
servono che a produrre la nausea. Egli fa sua la frase messa in
bocca da Zola a Souvarine : « Tutti i ragionamenti sull’avvenire sono
delittuosi, perché impediscono la distruzione pura e semplice ed ostacolano
il cammino della rivoluzione ». Si, associa persino ad Herzen, sottoscrivendo,
nella prigione della Roquette, la frase secondo cui « noi non edifichiamo, ma
demoliamo ; noi non annunziamo alcuna nuova rivelazione, ma distruggiamo le
antiche menzogne ». Il carattere realistico e negativo del sovversivismo in
genere e dell’ anarchismo in specie risalta splendidamente. E per impedire
ogni equivoco, egli deride i rivoluzionari « teorici » ed a modo, dicendo che
« la sfera delle idee generali ha preso per essi il posto della
contemplazione » (10).
Nè
si potrebbe negare ogni contenuto morale al suo' pensiero, anche lasciando a
parte ogni denigrazione o apologia ilei suo agire. Egli ammette di « avere
portato nella lotta un odio profondo, ogni giorno ravvivato dallo spettacolo
nauseante di questa società in cui tutto è ostacolo alla espansione delle
passioni umane, alle tendenze generose del cuore, al libero slancio del
pensiero ». Parole che fanno ridere quando sono scritte dai grafomani sugli
articoli catastrofici e retorici di certi organini anarchici, ma che
impongono il rispetto in un uomo che si prepara alla ghigliottina. Ditegli
che 1’ « anarchia è amore e non odio », ed egli vi risponderà che « 1’odio
che non poggia sopra una bassa invidia, ma sopra un sentimento generoso, è
una passione sana e potentemente vitale ». Ditegli che il « sentimento
generoso » dev’ essere un’ utopia da fabbricare : ed egli, realista capace di
misurare 1’ abisso che intercede fra la realtà ed il desiderio, vi risponderà
con l’espressione del suo sdegno : « Io amo tutti gli uomini per ciò che
dovrebbero essere, ma li disprezzo per quello che sono ». Trattatelo da
giacobino perché
|
(10)
Cito sempre
dall’ opuscolo La nostra violenza, edito a W. Hoboken, U. S. A.
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l’ anarchismo
critico
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151
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Passa immediatamente dall’idea all’atto: ed egli vi
replicherà di non mandare gli altri ad attuare la sua idea, ma di affrontare
le conseguenze delle sue azioni : « Noi diamo la morte: noi sapremo subirla
». E poi, era veramente estratta che lo spingeva al delitto ed al sacrificio?
Una volontà che agisca sino al suicidio può
suscitare
atti di abnegazione definitivi e senza
speranza » : ecco la Sua replica, che fa
apparire i suoi atti non come il
fine, ma come lo strumento di una
rivolta morale, espli
cata mediante uno suicidio indiretto per
essere più significativo. « In fin dei conti, io ho bene il diritto di uscir
dal teatro quando la commedia mi diventa odiosa, e magari di sbattere le
porte nell’ uscire, a rischio di turbare la tranquillità di coloro che son
soddisfatti ». Quest’ultima frase ribadisce la precedente, e dimostra che le
rivolte hanno la loro origine in circostanze di fatto ed in forze morali
presenti che contro quelle circostanze reagiscono; non in considerazioni su
ideologie future. E se da una parte risulta che il tribunale « vendica »
piuttosto di •« giudicare » in simili casi (poiché il ribelle si pone volontariamente
fuòri e contro la base comune giuridica della .società a cui il tribunale
appartiene) — deriva, d’ altro lato, che è semplicemente idiota il
considerare una rivolta individuale o collettiva dal punto di vista dell’
utopia sognata o dell’ utilità che può seguirne nella realizzazione dell’
utopia.
IV.
Rimane
ora da volgere un rapido sguardo al lato realistico dell’ opera
kropotkiniana. Infatti, il pensatore russo è 1’ esempio più tipico di quella
contraddizione a cui abbiamo accennato più sopra. Il contrasto fra mezzo e
fine egli non lo risolve e forse non lo sente ; onde il Kropotkin scienziato ed
economista rimane come un alter
ego accanto al Kropotkin storico. Ma il secondo, appunto perché
esamina ciò che fu e non ciò che sarà, ha sul primo una superiorità critica
decisiva. L’opera migliore del Kropotkin è quella storica : migliore fra
tutte poi, è
|
152
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ANARCHISMO ED ANARCHIA
|
il
libro : Parole d’un Ribelle,
(ll) scritte durante la lotta e la propaganda, e quindi sotto il
fascino della realtà. È forse il distacco dalla vita vissuta che, mutando 1’
agitatore in filosofo, ha accentuato in lui le tendenze all’ utopia.
Nel
libro-citato, Kropotkin risente dell’ influenza esercitata su di lui dall’
esempio e dal ricordo del mir
russo :
—
egli è un po’ comunista di razza, come Marx
era di razza autoritario. L’epoca (verso 1’ 80) in cui furono scritte le Parole d’xn Ribelle, non presentava
ancora la possibilità di teorizzare la formazione spontanea, nella classe
operaia, degli organi della società futura (l2). Per Kropotkin, la
rivoluzione deve pur sempre fare il miracolo di creare la forma organizzatrice del domani : per
lui espropriazione e comunismo coincidono
— ed in questo è utopistico — ; ma ha
una visione netta dei coefficienti materiali, dello sviluppo e dei valori morali della violenza e della rivoluzione.
Egli
nota invero, a pag. 13, che « vi sono delle fasi nella vita dell’ umanità in
cui il bisogno di una scossa formidabile, d’ un cataclisma che rinnovi la
società fin dalle sue fondamenta, s’impone sotto tutti i rapporti », perché «
rinnovi la società nella sua vita intellettuale e morale, la scuota dal
torpore, ne rifaccia i costumi, apportando in mezzo alle passioni vili e
meschine del momento il soffio vivificatore di passioni nobili di slanci
elevati, di generosi sacrifici ». Qui non si parla d’ideale moralistico, ma
di elevazione delle passioni e delle capacità di sentire per sè e per gli
altri, mediante 1’ efficacia morale della violenza. Per precisare meglio il
suo pensiero, Kropotkin paragona gii uomini di oggi ai romani della decadenza
; ma a pag. 19 dichiara subito che la decadenza « è inevitabile, e gli
scritti dei moralisti nulla vi cambieranno ». Solo la rivoluzione può
rinnovare.
In
un altro capitolo, a pag. 24, proclama 1’ universalità possibile delle
rivolte quando si ripetono e durano,, ma sfata 1’ utopia che la rivoluzione
possa essere decretata
|
(11) Edizione del Risveglio, Ginevra.
(l2) In questi ultimi tempi, Kropotkin ha
però accennato- diverse volte, con simpatia, al diffondersi dei sindacati
operai.
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l’ ANARCHISMO CRITICO
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153
|
dall'alto,
simultaneamente, come una festa preparata prima.
Oggigiorno
« una rivoluzione locale diventa un’ impossibilità qualora duri un certo
tempo »; ma il suo estendersi avviene perché « come nel 1848, una scossa prodottasi
in un paese, guadagnerà gli altri ». Più in là, a pag. 31, egli canta quell’
inno risoluto alla forza che i masturbatoli dell’ anarchismo sembrano avere
dimenticato da molto tempo : « Siamo
forti, egli sottolinea, e potremo star certi che nessuno oserà più
disputarci il diritto di parlare, di scrivere, di stampare, di riunirci ». I diritti
politici non servono a nulla — proprio come dice Stirner, perché il diritto o
rappresenta una forza, ed allora è una parola ; o non è sostenuto da una
forza, ed allora è una pietosa concessione che non serve a nulla. « Le
libertà non si concedono, si prendono ». La qual norma vale anche per la
società futura del signor Grave, qualora egli volesse convincerci od
obbligarci ad entrare, nella sua « organizzazione » (1S).
Nel
capitolo intitolato alle minoranze rivoluzionarie, assegna a queste ultime il
compito di spingere la rivoluzione più avanti che è possibile, senza
pretendere però mai di digerirla dall’ alto ; e dimostra che se le situazioni
rivoluzionarie sono dei fenomeni generali che colpiscono tutta la società,
il loro sviluppo e il loro risolversi sono opera di minoranze, di singoli
talvolta, che costituiscono come una minoranza più piccola in seno ad una
più grande. Questo concetto essenzialmente aristocratico del dominio
rivoluzionario negativo, degli elementi più risoluti sulle maggioranze più
apatiche, ritorna continuo in tutte le opere storiche di Kropotkin,
circonfuso talora di eroica poesia. Nella Grande Revolution, constata
ripetutamente come il popolo parigino rivoluzionario fosse
|
(13) Il
signor Grave risponderà certo che non obbligherà nessuno; ma chi scrive sa
per esperienza come la «tirannide collettiva » della maggioranza dei compagni
sugli eterodossi, sia una dura ed innegabile realtà. E in ogni caso, se. non
si obbliga nessuno, a che serve proclamare la necessità del- 1’ « organizzazione anarchica », se a tale necessità non
si vuol dare alcuna sanzione pratica?
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154
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ANARCHISMO ED ANARCHIA
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un’
oasi in mezzo ad un deserto di Vandea sorda o militante, che copriva il sud,
il sud-ovest, 1’ ovest e persino
il nord della Francia. E sempre nelle Parole d’un Ribelle, ricorda la frase
di Desmoulin che i repubblicani francesi
non erano una dozzina prima della rivoluzione » — ; e spingendo all’ estremo
logico la tesi delle minoranze d’ azione, a pag. 225 parla delle violenze
individuali, non già come d’incidenti deplorevoli da « scusare » perché «
dovuti alla reazione », ma come affermazioni che richiamano 1’ attenzione
collettiva sui problemi più urgenti, e che chiariscono la situazione generale
proprio quando la rivoluzione non è ancora scoppiata, e le classi dirigenti son troppo decrepite per tentare
una franca reazione.
Frattanto,,
a pagg. 79-80, vi è l’inno al disordine, molto più rivoluzionario della
proclamazione de 1’ ordine anarchico fatta da Gori in un suo opuscolo : perché
— dice Kropotkin — « il disordine è la rivolta del pensiero... è 1’
abolizione della schiavitù antica, è l’insurrezione dei comuni, 1’ abolizione
del servaggio.... l’insorgere dei contadini contro i preti e i nobili,
bruciando i castelli... Il disordine.... sono le epoche durante le quali il
genio popolare si sviluppa liberamente e fa in pochi anni dei passi giganteschi
». Il filosofo russo non considera, evidentemente, la rivoluzione come un
taglio al nodo gordiano del- 1’ evoluzione, che si può ed è meglio evitare se
il nodo non si forma. Non è soltanto il momento del passaggio da una società
costituita ad un altra già preparata, vincendo « F ultima resistenza » della
prima. Il semplicismo dell’ ovo che
si forma dentro la gallina del presente, 11011
entra nella teoria rivoluzionaria kropotkiniana, ben diversa
dalle elucubrazioni scientitìciste degli Enrichetti Ferri de F anarchismo
riformato. Per Kropotkin la
rivoluzione è un interregno, più o meno lungo, tra una società che non
c’ è più ed un’ altra che non c’ è ancora, per obbligare gii uomini a vivere
e dirigersi da sè, affrontando l’ignoto (14). È un qualche cosa di
profondamente etico -—
(14) Ricordo un pensiero quasi identico
del Kautsky pubblicato sull’ antica Avanguardia
Socialista di Milano. Se la
rivoluzione francese, scriveva egli - fosse durata meno e meno
|
1,’ ANARCHISMO CRITICO
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155
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come la teoria del Sorel e del Labriola che
interpretano h' rivoluzioni come lavacri in cui 1’ umanità deve guardarsi
nella propria anima lasciando la neghittosa indifferenza abituale. E anzi
una concezione così realisticamente morale — concernente l’interno valore
degli individui e delle folle, e non 1’ esteriorità dei loro atti — che
gl’idealisti puri ed ignoranti di storia, non possono comprenderla. Essi
non conoscono il senso tragico : e la rivoluzione in mano ad essi diventa o
una miseria piccina o una brutalità immane e selvaggia, ma non può cingersi
mai di un’aureola di solennità drammatica e di poesia.
Su
Kropotkin non si ò detto però ancora tutto. Tra parentesi, sempre nel citato
libro, a pag. 174, si accusa la legge « d’immobilità che sostituisce lo
sviluppo continuo del genere umano » : Kropotkin non ò dunque del1’ avviso
di Grave sulla instabilità del regime presente e la stabilità di quello
futuro. Ma sembra pure che il filosofo russo non tenga troppo all’
eguaglianza, e eh’ egli se la prenda solo con le disuguaglianze artificiali
create dalla legge, poiché, a pag. 179, confessa che « finché le sole
ineguaglianze tra gli uomini erano naturali — non ancora accresciute e ingigantite
dall’ accentramento delle ricchezze e del potere — non c’era alcun bisogno
della legge ». Nemmeno la pace gli dev’ essere di eccessivo favore : poiché
nella conferenza sullo Stato
(l5) egli detesta le lotte eh’ ebbero per scopo di sottoporre
tutto il mondo al giogo unico d’ uno Stato, ma esalta quelle contro lo Stato
medesimo e dei Comuni fra loro.
« Vi sono delle lotte che uccidono, ve ne sono di quelle che mandano innanzi
l’umanità ». Concorda in tal guisa con Bakunin,
disordinata e sanguinosa, sarebbe stata certamente
più « civile », ed avrebbe risparmiato la tempesta napoleonica per imporsi
all’Europa: ma il prestigio dinastico e i diritti feudali esisterebbero
ancora in Francia, invece di essere aboliti nell’Europa intera!
(15) Raccolta in opuscolo dall’Università
Popolare, Milano.
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156
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ANARCHISMO ED ANARCHIA
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che,
in Dio e Stato,
preferisce la civiltà greca fatta di varietà e di battaglie, a quella romana
che seppelliva tutto sotto 1’ uniformità della civitas unica ed ufficiale.
Chiudiamo
la parentesi, ed arriviamo ad un altro punto capitale del pensiero di
Kropotkin. Nonostante la sua metafisica delle leggi naturali, quando si trova
in contatto colla realtà, egli proclama che 1’ azione è superiore all’ idea.
« Dai pacifici ragionamenti all’ insurrezione vi è un abisso » — vi è il
capitombolo che Luigi Fabbri non ha visto, tra 1’ Enciclopedia e la
rivoluzione francese. « Come mai questo abisso è stato colmato ? » — « Col-
l’azione continua, ripetuta, incessante, delle minoranze. Il coraggio.... è
contagioso quanto la paura. Quali forme prende quest’ azione ? Le forme più
varie, volute dalle circostanze, dai mezzi, dai temperamenti ». Il che vuol
dire che è semplicemente inutile ed idiota il prestabilirne una, come tentano
gli anarchici organizzatori. Ma il più bello è che quei « pacifici
ragionamenti » di cui parla Kropotkin più sopra, non sono altro che le
.espressioni verbali di malcontento sorgenti naturali dal popolo stesso (Parole d’un Ribelle, pag.
223). Dunque, 1’ azione delle minoranze tende a dar corpo ed attuazione alle
idee negative sorte fra
la popolazione, non a proporre un piano positivo di riorganizzazione
sociale.
Se
vi fosse bisogno d’ una conferma a tutto ciò, si potrebbe trovarla a pag. 227
e seguenti. L’indirizzo che prenderà la rivoluzione può essere previsto —
secondo 1’ autore — sapendo qual’ è il partito sovversivo più potente, ma
Kropotkin dichiara che le probabilità di successo non sono per « il tal
partito che avrà meglio elaborato le teorie e il programma, e li avrà molto
propagati con la parola e con lo scritto, se non ha affermato le sue
aspirazioni alla luce meridiana sulla piazza, con realizzazione del suo
pensiero ». Giova notare che Kropotkin è contrarissimo al riformismo, ed ha
scritto un opuscolo (Anarchismo
e Comunismo) contro i tentativi di colonie comuniste. Dunque, s’ egli
non crede nemmeno all’ attuazione sui generis del programma,
gradatamente e riformisticamente, non rimane che 1’azione : è dessa che
importa. Quel partito « che non avrà avuto l’audacia di affermarsi
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l’ ANARCHISMO CRITICO
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157
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con degli atti rivoluzionari nel periodo preparatorio....
avrà pochissima possibilità di realizzare la
benché minima parte del suo programma : sarà sopraffatto dai partiti
d’azione
».
L’interesse della citazione non è nel
compito che il partito dovrebbe avere; è piuttosto, per noi, nel rapporto di
efficacia fra idea ed azione. I concetti suesposti possono peraltro
ritorcersi in parte anche contro il Kropotkin. Non si comprende più che cosa
siano la solidarietà e 1’ armonia dato che esistano le ineguaglianze naturali
— ad eccezione che 1’ armonia comprenda
i contrasti, le lotte
e i domini
morali ed intellettuali
fra i produttori, ed anche econo-
mici
contro i parassiti eventuali. Sarebbe, non più una uguaglianza di libertà —-
ma un gioco di libero e reciproco dominio, come intende Bakunin (l6).
Se esistono delle lotte che mandano innanzi 1’ umanità — (e Kropotkin, in
riguardo ai Comuni medioevali parla pure di lotte economiche) — queste lotte
è bene che continuino, ad esempio fra i popoli più civili e quelli più
barbari, che guadagnano sempre dal contatto coi primi, anche se il contatto
avviene colla violenza(17). Se 1’azione supera l’idea, è
comprensibile che si abbia uno scopo momentaneo o una tendenza materiata in
un gruppo o in una classe, ma non un punto d’ arrivo che 1’ azione potrebbe
superare. Preparare un piano quando si sa che i mezzi non esistono per
attuarlo, o si prevede che il mezzo supererà il fine reagendo su quest’
ultimo, è perfettamente inutile e coutrad-
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(1S) Dio e
Stato, pagg. 47 49. - La
differenza fra lo spirito del realismo bakuniniano e 1’ utopismo anarchico è
tutta qui : il primo ammette come feconda la volontà del dominio, e cerca nell’ abolizione del privilegio
economico e politico V impossibilità per essa di tradursi in autorità legale e stabile; il secondo si
affida ad una ipotetica rinunzia generale che nemmeno chi la predica è capace di
attuare.
(n) A prevenire malignità meschine, circa
il mio atteggiamento di fronte alla guerra di Tripoli, avverto che questo fu
scritto in giugno-luglio 1911, quando l’impresa era ancora ignota. Di più il
medesimo concetto si trova nei due primi capitoli della mia Tragedia
di Barcellona, scritta nel 1910.
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158
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ANARCHISMO ED ANARCHIA
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ditorio.
E tale contraddizione balza evidente da un pensiero di Kropotkin nella Grande Revolution (18).
Parlando
della rivoluzione francese egli dice precisa- mente che i germi dei principi
comunisti sono sorti spontaneamente dall’azione popolare. « E’ sopratutto
studiando questo modo di agire
del popolo, e non scervellandosi allo studio dell’ opera legislativa dell’
assemblea, che si comprende il genio della grande rivoluzione ». Benissimo :
la parola agire è
sottolineata dall’autore. Ma poi aggiunge: « il genio, in fondo, di tutte le
rivoluzioni passate ed avvenire ». Qui Kropotkin si lascia trascinare
nuovamente dalla metafisica. Anzitutto, la rivoluzione francese è un qualche
cosa di unico nella storia — ed il suo esempio non può essere elevato al
grado di legge. I principi comunisti — o le tendenze comuniste — (che
esamineremo fra poco) — non si fecero strada nella rivoluzione inglese. Però,
lasciamo Kropotkin completare il suo pensiero. Nella conclusione egli dice
che « ogni rivoluzione lascia, in eredità al periodo evolutivo che segue,
dei principi, che detto periodo potrà affinare e sviluppare, e che serviranno
di base alla prossima rivoluzione ». Affermazione gratuita cotesta, poiché
il periodo evolutivo può modificare radicalmente, ed anche invertire 1’
eredità ideologica della rivoluzione, appunto perché le idee nascono dalla
realtà e non viceversa. Ora, la realtà della classe operaia, in certi
riguardi, può essere non la continuazione, ma l’antitesi della realtà
borghese, e le teorie non mancherebbero di risentirlo. Così lo spirito del
marxismo — ed anche di Bakunin — è 1’ antitesi di quello di Rousseau. Il
periodo evolutivo può creare delle cose che la rivoluzione precedente non
prevedeva : esempio, i sindacati di mestiere. Pure, ammettiamo che i principi
d’una rivoluzione giungano intatti alla seguente. Se la prima ha generato
delle idee, la seconda farà altrettanto. Se le creazioni della prima erano
imprevedibili, appunto perché erano creazioni, si deve dire altrettanto della
seconda ; altrimenti bisognerebbe affermare che nella prima 1’ azione
produsse l’idea, e nella seconda l’idea produrrà 1’ azione. La rivoluzione
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(l8) La
Grande Révolution, P. V. Stock, Parigi, pag. 142.
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l’ anarchismo
critico
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159
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francese
sconvolse tutte le idee positive di organizzazione sociale che la precedevano
: sconvolse in parte persino il Contratto Sociale, e dimostrò poi fallace la
parte realizzata di esso. La prossima rivoluzione potrebbe dunque smentire
anche le idee comuniste, o dimostrarle cattive dopo hi loro eventuale
realizzazione.
Il contrasto
fra rivoluzione e società futura, ritorna così ad affermarsi, dopo un
semplice esame logico. Noi abbiamo visto come i socialisti-anarchici lo
risolvano a favore del secondo termine. Kropotkin, invece — ad onore del suo
spirito rivoluzionario e del senso di realtà che non gli manca, allorché
scende dalle nebbie scientifìciste —
lo risolve in senso contrario.
In
nn articolo pubblicato sul Pensiero
del 16 settembre 1910 (Insurrezioni
e rivoluzione) egli si pone infatti risolutamente il problema, e
riafferma la teoria che si potrebbe chiamare classica della rivoluzione: « Ci
vogliono delle insurrezioni locali, perché un giorno la Rivoluzione diventi
possibile. Fa d’uopo anzi eh’ esse siano numerose. Ci vogliono pure delle
città e delle regioni agricole che abbiano la tradizione delle insurrezioni
». E lo scopo ? domanderanno molti sovversivi timorati. Kropotkin risponde
con un’ amara ritorsione : « Chi mai più di noi anarchici, ha contribuito a
diffondere fra i lavoratori la coscienza netta, ragionata, concreta dello
scopo comunista- anarchico che bisogna porre dinanzi alla prossima rivoluzione
? » Il che sembra dire che se la rivoluzione si fa senza scopo, non è colpa
sua; ma che non è una ragione per non farla. Egli protesta quindi « contro 1’
abuso gesuitico della parola incosciente
applicata alle insurrezioni ». Avviso a coloro che trattano a priori da briganti i ribelli se non
sono comunisti. Egli tenta di riaffermare che la rivoluzione conduce al
comuniSmo, per quanto « non in un giorno », ma frattanto proclama che ogni
rivoluzione è un bene di per sè stessa, e che gli anarchici debbono sempre
prendervi parte. « In ogni caso, se dovessimo aspettare che la Rivoluzione
tino dalle sue prime insurrezioni, abbia un carattere francamente comunista,
od anche collettivista, sarebbe come abbandonare per sempre l’idea della
Rivoluzione e sopratutto lo svolgimento stesso
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160
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ANARCHISMO ED ANARCHIA
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della
rivoluzione che può condurre le masse al comuniSmo, come ve le ha condotte
nel 1789 ». Giovanni Grave è così rassicurato de’ suoi timori sulla panacea
della rivoluzione.
Il lettore
avrà notato che « la rivoluzione può condurre al comunismo »,
nell’ ultimo periodo citato. Non criticheremo ora il concetto che la
rivoluzione possa da sola demolire e riedificare; non entra in questo
capitolo. Ma la morale dell’ atteggiamento, documentato più sopra, del- P
anarchico russo, è che la rivoluzione è più importante del comunismo. Si
potrà dissentire dall’ illusione secondo cui la prima genererà il secondo ;
ma il metodo di far dipendere il domani dall’ oggi rivoluzionario, ed il
punto d’ arrivo dallo svolgersi degli avvenimenti, è giusto. Quindi la società futura è il prodotto
subordinato allo sviluppo della rivoluzione, e non già la rivoluzione uno
strumento subordinato alla società futura. L’anarchismo consiste più
nell’epopea rivoluzionaria che nello scopo — a posteriori, e non a priori della rivoluzione.
Noi
siamo riusciti, attraverso 1’ esame dei principali teorici dell’ anarchismo a
stabilire qualche massima che è l’antitesi di quanto scrivono qua e là i
monopolisti del- l’anarchismo pseudo-tradizionale. Abbiamo visto la conclusione
di Kropotkin : quella di Bakunin era che i fatti superano le idee. Reclus e
Tscherkesoff riducono a nulla o ben poco la madonna dell’ evoluzione
graduale, naturale ed economica. Proudhon afferma che la classe vai meglio
degl’ ideali umanitari. Henry trova nell’ interno morale degl’ individui, non
nei sogni futuri, la spinta alla rivolta. Conclusione delle conclusioni : la
realtà è più importante delle idee.
Tale
punto di vista è dunque perfettamente anarchico, nel senso tradizionale della
parola. Abbiamo così formate le basi, e raccolti i germi dell’anarchismo
critico e realistico. Cerchiamo ora di coordinarli brevemente e chiaramente,
per intelligenza di tutti, prima di procedere oltre.
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