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venerdì, ottobre 26, 2012

IL LIBRO DEI PIACERI Raoul Vaneigem


IL LIBRO DEI PIACERI


Raoul Vaneigem

Arcana editrice - anno di pubblicazione 1980


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· PREFAZIONE
Tabula rasa

CAPITOLO I
Il godimento implica la fine di tutte le forme di lavoro e di
coercizione

CAPITOLO II
Il godimento implica la fine dello scambio sotto tutte le
sue forme

CAPITOLO III
Il godimento implica la fine della funzione intellettuale e
dello stato

CAPITOLO IV
Il godimento implica la fine della colpevolezza e di ogni
società repressiva

CAPITOLO V
L'agonia del vecchio mondo rimanda all'infanzia dei
desideri

CAPITOLO VI
L'autogestione generalizzata vedrà la fine dei piaceri
rovesciati

CAPITOLO VII
L'emancipazione autonoma degli individui è la sola base
della società senza classi.
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Introduzione

TABULA RASA


All'aurora in cui spunta la vita, si
spegne la lunga notte della merce unica e
derisoria luce di una storia inumana. Non
basta che le passioni siano state piegate
sul filo dei secoli sotto lo sguardo obliquo
della morte, avvitati i desideri, in senso
contrario alla vita e fondata la maggior
parte dell'esistenza sulla ricerca
sanguinosa del profitto e del potere?
Non basta che le vostre rivoluzioni portino
sulla fronte una macchia intellettuale di sangue? Anche la violenza
cambia di base.
La sopravvivenza svenduta oggi nella disfatta del mercato di scambio,
è la produzione della miseria quotidiana, una specie di industria
totalitaria se lo e’, e soccombe a sua volta a quella che voi chiamate la
crisi, e che è solo il crollo della vostra civilizzazione mortifera.
La società mercantile non ha plasmato niente di umano, all'infuori dello
stampo parodistico che è servito ad estenderla dappertutto. La
parcellizzazione che il valore di scambio impone al vivente non tollera
che dei frammenti di uomini, degli embrioni pazientemente disseccati
nella provetta sociale della redditività, degli esseri condannati a non
appartenersi ma perché appartengono a una potenza,prima spogliata
del mantello divino e poi denudata della sua carne ideologica fino a
rivelare il meccanismo scheletrico della sua astrazione: l’Economia.
Tutto si e’ giocato su di essa, in un destino che doveva da allora
giocare contro di noi.
E’ forse vero che la vita trae il suo senso dalla morte, che l'energia
individuale è necessariamente votata al lavoro, che nessuno sfugge al
giudizio degli dei, degli uomini, della storia, che tutto si paga presto o
tardi, che ragione e sragione guidano il corpo, che una esistenza vale
per la sua assenza - per il suo sacrificio, la sua utilità, la sua immagine
di riguardo -, e che l'autorità e il denaro vincono, in fin dei conti,
sull'amplesso amoroso, sul sorso di vino fresco, il sogno, il profumo del
timo delle Alpilles, perché ne regolano il prezzo? Se le cose stanno
così, si tratta delle verità di un mondo alla rovescia, con cui non ho
niente a che fare.

La vera vita non è ancora venuta alla luce. Essa spunta fra i passi
degli ultimi uomini incompiuti, fra i nostri passi. Poiché abbiamo
imparato bene a stancarci di tutto ci stanchiamo ora di morire sotto le
apparenze del vivente.
Alla fine della disperazione, la strada si ferma o risale. Alla vostra
società, dove la volontà diventa stupro e lo slancio vitale riflesso di
morte, sarò irrimediabilmente solo a opporle il godimento che non si
mercanteggia, a opporre il desiderio irriducibile all'economia, la

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gratuità del piacere strappato alle leggi del dare-avere? Anche lo
scoraggiamento e la mancanza di fiducia istillatami dall'infanzia hanno
perso il potere di persuadermene.
Se il progresso dell'umano nella merce ha potuto un tempo dissimulare
il progresso della merce nell'umano, non fatevi ingannare, il
comportamento individuale verificato sullo stato dei conti e del bilancio
quotidiani non resisterà di più all'irruzione della vita nella storia. Sulla
supremazia economica al declino si alza la clava collettiva della volontà
di vivere.

La noia crescente per i piaceri della
sopravvivenza -che sono i piaceri del
mondo alla rovescia- reclama la scoperta e
l'emancipazione dei piaceri della vita che vi
si trovano inghiottiti. La loro creazione
implica la distruzione di un sistema
dominante che essi non riusciranno a
distruggere senza prima avere avviato
immediatamente la loro realizzazione. La
rivoluzione non è più nel rifiuto della
sopravvivenza. Ma in un godimento_di_sé
che tutto congiura a interdire, a cominciare
dai sostenitori del rifiuto .Contro la
proletarizzazione del corpo e dei desideri,la
sola arma alla portata di tutti e’ il piacere senza partita.

Vivere controcorrente la vita, questa è stata la norma. Pertanto il
rovesciamento di prospettiva si opera oggi sotto i nostri occhi
scombussolando gli architetti dell'inversione. Esso segna la fine dell'era
economica alla soglia dell'autogestione generalizzata. Tiene occupato il
cuore di tutti e sta al centro delle condizioni storiche. E
Fonda sulla gratuità dei godimenti il sabotaggio del circuito mercantile
che paralizza i muscoli e spezza i nervi per inibire il desiderio in nome
del lavoro, del dovere, della costrizione, dello scambio,del senso di
colpa, del controllo intellettuale, della volontà di potenza. In esso, ciò
che mi uccide con le migliori delle ragioni, si separa da quello che mi
spinge a vivere senza ragioni. In esso, il rifiuto della sopravvivenza è
vinto dall'affermazione della vita insaziabile.

La gente è così abituata ad avere paura, a uccidere, a disprezzare
e odiare che tende ad annientare chiunque le dica che forse si sbaglia
e che il suo atteggiamento e’ solo odio della propria vita. Essa
preferisce le droghe che sopprimono la disperazione, e l'illusione di
averla guarita la entusiasma, ma il male è sempre là che la divora

L'emancipazione non ha peggiore nemico di chi pretende di
cambiare la società e non smette di dissimulare, esorcizzandolo, il
vecchio mondo che si porta dentro. Procuratori della rivoluzione,


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sniffatori di radicalità, bottegai del merito e del demerito, questi sono
gli avversari corazzati di nevrosi contro cui va a urtare, con incredibile
violenza, tutto quello che comincia a muoversi al ritmo di una vita
senza coercizioni
Gli uomini del rifiuto, io li conosco, essendo stato uno di essi per
diverse ragioni. Sotto le vesti del loro eccesso di critica si agita il
braccio secolare delle peggiori inquisizioni.
Che disprezzo di sé c'è in chi si traveste facendosi lustro di quello che
proietta in negativo sugli altri!
In un sistema che prolifera distruggendo i suoi produttori, e dunque,
distruggendosi, come non diventare alleati della merce quando,
celebrando il godimento con le grida della impossibilità a godere, si
rinuncia a emancipare i propri desideri dall'impresa economica
Che li capovolge?

I suicidi hanno un bel vituperare il mondo dominante, essi vi si
comportano da servi spingendo lo zelo fino a rinnovare il letamaio
sociale lasciandosi marcire dentro. A forza di patire perché niente
cambia, si sono adattati ad andare d’accordo nel non cambiare niente.
Il tramonto del vecchio mondo, loro l'hanno fatto così bene da
mescolare al suo de profundis la propria orazione funebre. « Vivere dicono
- significa consumarsi alle evocazioni dell'amore e dell'amicizia
senza riscaldarsi ». Queste storie invecchiate puzzano di chiuso. E per
questo che le si rispettano, di più, sia che vengano da uno junker
moribondo che da un burocrate incallito. Anche la putrefazione rende
nobili.
Lavoratori dell'ordine e del disordine, della rimozione e della
disinibizione, il processo autodistruttore della merce programma la
vostra constatazione d'inesistenza. La morte vi coglierà come siete
usciti dalla vita con la malinconia del contabile che fa i suoi bilanci
quotidiani della miseria, o con il pennacchio dell’ambulante che si
esalta allo spettacolo critico della sua fine esemplare. Voi avete
appreso dal potere, esecrato e venerato a un tempo,l'altezzosità del
rifiuto che autorizza a tutte le bassezze, ma la vita si prende gioco
dell'ipocrisia dei migliori nel bicchier d'acqua della teoria. Dai piaceri
nascerà l'audacia, e il riso che ignora gli ordini, le leggi, la misura,
abbatterà, con l'innocenza del bambino, tutto quello che giudica,
reprime, calcola, e governa ancora.
Mentre l'intellettuale si dà da fare per passare dal buco della serratura,
a chi preme un mondo dei desideri spalanca la porta, volgarità
imperdonabile per chi attende l’avvento del pensiero, là dove la vita
soltanto può raggiungere il
compimento. L'astrazione progressiva del processo mercantile ha fatto
della testa il rifugio del vivente, ma non rimane, per regnare su una
parvenza di corpo, che un'ombra di potere in una torre di crani. Le
ferite dell'invecchiamento, fonte di tante nostalgie, sono la rinuncia di
se’, la scarificazione del piacere segnato nel vivo dalla rabbia della
parvenza, il biso-gno di dominare, la volontà di potenza.

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La maggior parte delle vostre verità non hanno per esse che la forza
del disprezzo che le ha versate. Esse s'impongono con durezza, da
quando delle generazioni hanno appreso ad ammettere le cose a forza
di schiaffi e di mortificazioni. Il primo argomento che arriva soggioga
d'autorità lo spirito, dal momento che lo viola, in modo che lo spirito
possa violarlo a sua volta. Cos'è un sapere fondato sul tacito postulato
che non si è mai così bene serviti come da se stessi?

L'uomo influente si accorge presto che,
mentre agisce su di loro, è un fantasma
nella testa degli altri. Se spera di salvare
questo fantasma di sé « per il bene dei
suoi simili » si perde e si sbaglia con loro.
E’ per questo che non ho l'intenzione di
convincervi. Non mi preoccupo affatto di
aggiungere disprezzo al disprezzo che già
portate per interposte persone. Per quanto
scrupolosi siate a prestare orecchio ai
messaggeri della vostra autodistruzione,
orecchio che vi sarà restituito con l'interesse, preferisco, con
disinvoltura, attendere che il piacere vi renda sordi prima o poi a tutto
quello che non viene ad accrescerlo
Noi ci siamo troppo battuti per mancanza, non abbastanza per
abbondanza. Che i morti seppelliscano i loro morti! La mia felicità non
si nutre di virtù, soprattutto non di virtù rivoluzionarie. Prendo il mio
piacere da ciò che vive. Chi rinuncia al suoi desideri muore avvelenato
dalle verità morte.
La buona terra sa vedere in tutte le cose, in tutti gli eventi e in tutti gli
uomini una semenza, una pioggia, un raggio di sole benvenuti. Si
arricchisce di quello che prende come di quello che offre.
Cos'è un libro che non conduce al di là di tutti i libri? Le cose che
rimandano a se stessi si scrivono con il gusto della pienezza e non
sotto la sferza degli imperativi.
Sicuramente il libro dei piaceri non sfugge alla menzogna della
intellettualità, del pensiero separato che regna sul corpo e lo reprime,
ma è la menzogna che ciascuno porta in sé e che il godimento
accettato senza riserve ha la facoltà di dissolvere. Le tracce che ne
rimangono qui, ebbene, che i vostri desideri le cancellino nello stesso
momento che cancellano il grande inquisitore della vostra cerebralità!
In ogni essere, in ogni creazione, io non prendo che quello che mi
piace e lascio il resto.
Alla larga, giudici integri! -Questo non è per voi. Perché dovrei essere
tollerato da uno che non sopporta se stesso? Quello che pensate del
libro, non m’interessa, quello che ne farete riguarda solo voi. Non ho
niente da scambiare. Se voi sapeste queste cose e di migliori, non le
fareste sapere?
Chi impara ad amarsi, al di là dei sensi di colpa e della paura di gioire,
sa che a dispetto dei miei errori non retrocedo di un pollice dalla mia


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volontà di creare, con la sovversione totale di una società che la
inverte una società fondata sulla volontà di vivere individuale. E non
ignoro che il suo desiderio è uguale al mio.
Cogliere il più gran piacere a essere quel che sono, ho mai cercato un
presente diverso? Rallegrarmi così che la mia gioia non si sciupi più nel
malessere limaccioso degli altri. Se sapessero questi bravi cittadini che
razza di dinamite si portano dietro! Gli stracci dell'umiltà e gli orpelli
della megalomania li hanno così bene convinti di non valere niente,
perché sono vestiti di niente, che i loro occhi sono spenti a ciò che
resiste di vivo sotto il blocco affettivo e le sue disinibizioni
compensatorie. Chi spezzerà la pietra millenaria posta sopra
l'autonomia individuale? E’ da troppo tempo che imparare a vivere
significa imparare a morire.
« Quando faccio una ruota - dice il carradore - se la faccio con
dolcezza, sarà molle e poco solida, se la faccio con durezza, sarà
solida, ma rozza. Se non faccio uso né di troppa dolcezza, né di troppa
durezza, ma come va spontaneamente la mano, essa sarà costruita
secondo le mie intenzioni. Non si può spiegare a parole ». Come le
parole cominciano qui dove tace la mia esperienza vissuta, così
l'esperienza di ciascuno nel prenderle « nel loro verso » mi offre la
possibilità di raggiungerla e di avanzare con essa. Solo la volontà di
vivere individuale farà del libro dei piaceri ciò che è per me, un
impulso a godere non imposto dall'esterno.
Mi piace ridere con l'umorista viennese che dichiarava: « molti sperano
di farmi fuori, molti di passare un'oretta di conversazione in mia
compagnia. Sono generalmente gli stessi ». Cercarmi o rifiutarmi, che
derisione! Ma non posso difendermi, di contro, dal sentimento che
chiunque si reprime, si rifiuta e si volge verso la morte aggiunge alla
mia emancipazione un ostacolo di cui farei ben a meno.
La chiave è in ciascuno. Non ci sono istruzioni per l'uso. Quando avrete
scelto di non riferirvi che a voi stessi, riderete del riferimento a un
nome - il mio, il vostro - a un giudizio, a una categoria, cesserete di
imparentarvi a quella gente a cui il rimpianto astioso per non aver
partecipato a un movimento della storia impedisce ancora di inventarsi
una vita per se stessi.

Dipende solo da noi diventare
gl'inventori della nostra vita. Quanta
energia gettata in questa vera fatica che è
vivere in virtù degli altri, quando sarebbe
sufficiente applicarla per amore di sé, al
compimento dell'essere incompiuto.

Voglio darmi all'anonimato dei desideri,
lasciarmi sommergere dalla mia propria
abbondanza.
A forza di snaturare ciò che pareva ancora
naturale, la storia della merce tocca il punto

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dove bisogna deperire con essa, o ricreare una natura, una umanità
totali. Sotto l'inversione dove il morto mangia il vivo, il soprassalto
dell'autenticità abbozza una società dove il piacere va da sé.
A ogni momento, il mio io si scopre intimamente mescolato ai residui
di ciò che l'ha represso e un dialogo appassionato incomincia a
sciogliere il nodo per liberare questo impulso sessuale globale, questo
soffio vivificante che niente dovrebbe soffocare. Il mio godimento
implica Così la fine del lavoro, della costrizione, dello -scambio,
dell’intellettualità, del senso di colpa, della volontà di potenza.
Non vedo alcuna giustificazione –se non economica- alla sofferenza
alla separazione, agli imperativi, ai rimproveri, al potere. Nella mia
lotta per l'autonomia, c’e’ la lotta dei proletari contro la loro
proletarizzazione crescente, la lotta degli individui contro la dittatura
onnipresente della merce. L'irruzione della vita ha aperto la breccia
nella vostra civilizzazione di morte.
Voi incriminate la mia soggettività? Come vi pare, ma fate attenzione
che la vostra non vi batta un giorno o l'altro sulla spalla e vi ricordi la
vita che state penosamente perdendo. La mia ingenuità ha sul vostro
candore un vantaggio incomparabile, essa trabocca di piacevoli mostri,
mentre voi chiamate chiaroveggenza l'ingenuità che vi abitua a vivere
da millenni nel disprezzo del godimento.
La rinascita degli individui io l'anticipo in me con una gioia che è come
l'emanazione della primavera dalla terra. E anche se fossi solo a
sentirla, mi resterebbe la piacevole follia d'aver voluto vincere la morte
liberando i desideri dal suo ascendente. « 0 mia volontà, tregua di ogni
miseria, che sei in me e sopra di me, volontà di vivere che chiamo
destino, preservami dalla vittoria e dalle sue disfatte, riservami per
insaziabili godimenti».

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CAPITOLO I


Il Godimento implica la fine di tutte le
forme di lavoro e di coercizione

1 - Il mondo della merce è un mondo alla
rovescia, non si fonda sulla vita, ma sulla
trasformazione della vita in lavoro.

La fabbrica ha invaso il territorio della. vita
quotidiana. Luogo privilegiato dell’alienazione,
essa ha per lungo tempo delimitato con le sue
mura le prigioni del proletariato e lo spalto
delle libertà borghesi. Quelli che riuscivano a
sfuggire la notte incombente sapevano
ravvivare nelle feste effimere dell'alcool e


dell'amore una vitalità che la costrizione
giornaliera del lavoro non riusciva a esaurire. Dieci ore di rumore, di
fatica, di umiliazioni, non avevano ancora la meglio su questi corpi
pieni di una energia che solo la maledizione sociale obbligava a
sposare i ritmi e l'usura delle macchine. Nessun imperativo di
redditività, nessuna frusta dello sfruttamento inaridiva alla base
l'impulso dei desideri e l'esuberanza sessuale della vita in sé e per sé.
La crisi dell’economia, vissuta ancora come crisi economica, spingeva il
proletariato a impadronirsi dei mezzi per accedere ai piaceri di cui la
borghesia si riservava l'uso. Lo sguardo della fame ignorava che una
vita assicurata al prezzo del potere e della ricchezza non è, in fin dei
conti, che una vita ridotta all'economia. Il diritto al piacere ha preso
l’andamento di una conquista, dal momento che i piaceri erano già
stati conquistati dalla merce.

La tolleranza guadagna i piaceri proibiti solo quando sono stati
guadagnati alla produttività.
Il bisogno di espansione del capitalismo ha trasformato il mondo in un
immenso mercato. Riducendo un po' alla volta le più diverse
manifestazioni della vita a dell’attività mercantili, non cessa di crescere
e di scavarsi la fossa a misura che deperiscono gli uomini che lo
producono.
Si sa quanto l'aristocrazia disprezzasse il lavoro che le garantiva la
sopravvivenza. Della materia economica, che la feudalità voleva
vedere solo come escremento degli dei, la borghesia ha fatto il suo
nutrimento e ha dimostrato, con la forza delle cose, quale fosse la vera
escrezione, della religione o dell'economia. La borghesia fa uscire dal
discredito questo lavoro grazie al quale si è impadronita del potere. Ma
il diritto che si arroga, sul proletariato, di subordinare il lavoro
manuale al lavoro intellettuale riproduce a suo profitto il rituale della
gerarchia. Il suo sapere fonda un nuovo tempio del potere.
I piaceri che, avendo trasgredito i divieti, si pagavano un tempo con
penitenze, messe e mortificazioni, la borghesia per prima propone di

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riscattarli con il lavoro. Essa desacralizza baldanzosamente il peccato,
monetizzandolo e identificandolo con il diritto del profitto.
Neanche il crimine dell’ozio ne è salvo dal momento che incita al
consumo. Il vecchio antidoto al lavoro, eccolo trasformato a sua volta
in lavoro. Favorire l’entrata in fabbrica dei piaceri ben dosati, cosa c’è
di più efficace per rientrare in fabbrica gli operai? L'apertura
democratica verso i piaceri coincide, non a caso, con la conquista di
nuovi mercati, dove il godimento si chiama comfort e la felicità
appropriazione. Così, neanche la borghesia svela l'unico peccato che
rimanga inespiabile, quello di non pagare. Il godimento senza
contropartita è il crimine economico assoluto.

La liberazione apparente dei piaceri esprime nei fatti la loro
proletarizzazione reale.

Come il pane guadagnato con il lavoro ha il sapore acre del sudore e
del salario, i piaceri mercanteggiati sono peggio della noia che li
produce. L’impostura dei piaceri della sopravvivenza si ricongiunge alla
menzogna delle libertà astratte. La storia che ci ha trascinato ad ogni
giro di ruota del progresso non è quella dei nostri desideri. E’ la storia
di una civilizzazione moribonda, oggi sul punto di seppellirci sotto il
peso della sua assenza di vita.
Perché i piaceri sono sempre esistiti per la loro mancanza. Le norme
del profitto, dopo aver cacciato nell'oscurità della notte, dell'alcova, del
sogno, dell'interiorità quello che non apparteneva al giorno e alla
chiarezza ordinata del tempo di lavoro, hanno finito per proiettare sul
mondo segreto dei piaceri il fascio di luce interessato della loro
scienza. L'impossibilità di distruggerli ha addestrato la necessità
economica a trarne almeno un uso proficuo. La trasformazione, in
coercizione e in lavoro, dei gesti e dei comportamenti rimasti per lungo
tempo fuori dell’impresa immediata dell’economia mostra bene che il
processo mercantile si sviluppa solo appropriandosi della vita,che
scopre solo quello che può sfruttare e che niente di umano gli
sfuggirà,se l’umanità continua a diventare sempre più estranea a se
stessa.
Al fondo raggiunto oggi dalla miseria della sopravvivenza, c'è la realtà
del mondo rovesciato. L'uomo è il solo animale capace di realizzare i
suoi desideri cambiando il mondo, e fino ad oggi non ha realizzato che
lo scambio della sua forza vitale con l’appropriazione e l’accumulazione
della merce. Da millenni il sistema che ha governato la storia ha
funzionato sulla necessità sociale di trasformare il nostro potenziale
sessuale in forza-lavoro. La vampirizzazione di sangue fresco nelle
vene ghiacciate dell'economia e del potere è antica come l'apparizione
dei preti e dei re, variabile come le disuguaglianze di classe,
progressiva come la storia della merce.
Come sembra, la pressione di un ambiente naturale ostile ha di
necessità orientato l'umanità nascente, verso lo scambio, la divisione
del lavoro, la società, la civiltà mercantile. Bell’affare! Per noi, la
strada si ferma qui, e l’assenza di passioni spinge l'ironia fino ad

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ucciderci al

centro di un'abbondanza capace di nutrire tutti i nostri desideri di vita.
In un mondo che proibisce assolutamente solo la gratuità, tutto è
lecito fuorché il Godimento. Agli occhi delle religioni, ogni piacere era
peccato. Così, traducevano nel cielo della merce, lo sguardo castratore
della necessità di produrre. Ma tanto va il profitto che ormai i piaceri si
emancipano dal peccato: si riacquistano comprandoli, e la loro
apparente libertà è un assoggettamento ancora più grande
all’economia resa alla sua verità terrena. Come il salariato, essi hanno
il prezzo di costo di una vita di proletario.
Non ci sarà emancipazione del proletariato senza emancipazione reale
dei piaceri.

L'economia regna castrando il corpo della sua
totalità sessuale.

Questo racconta la leggenda degli dei e della loro
castrazione. Osiride, Zagreo, Díoniso, Cristo,
Huitzilopotchli incarnano la rimozione della potenza
sessuale da parte dell'economia che, diventando un
potere autonomo, ripercuote dovunque il primato
del lavoro e della sua divisione. Il vecchio mito
religioso non parla forse di figure divine che «
muoiono nella carne e resuscitano nello spirito »?
In questo senso è esso stesso la rappresentazione
dell'economia come modello assoluto del mondo
alla rovescia.
Se bisogna credere ai racconti fiabeschi del potere,
Giove e Gesù hanno conosciuto impalpabili accoppiamenti sull'Olimpo e
sul Golgota, e la pura astrazione dei loro godimenti celesti ci consola di
non avere, quaggiù, nella valle, che le lacrime di un piacere tagliato
netto dalla preoccupazione del rendimento.
Non è forse l'intrusione del lavoro alienato nella vita primitiva che ha
frantumato il mondo sessuale e fatto volare in pezzi l'unità che gli
individui vivevano fra di loro e dentro di loro nell'era in cui
raccoglievano bacche, prima che la caccia e l'agricoltura non
producessero la schiavitù e la società di classe?
Poco m'importa, a dire il vero, che sia esistito uno stato sociale
anteriore alla società mercantile, un'era vegetale segnata dalla
femminilità e miticamente identificata all'Età dell'Oro. Noi non ci
ritorneremo mai. Il cambiamento d' èra è qui, all'ultimo gradino
dell'invivibile a cui ci ha costretto, con la nostalgia compensatoria del
passato, una storia inseparabile dalla degradazione della volontà di
vivere.
Se è vero che la sessualità non è tutto, è ahimè, perché essa è
presente dappertutto nelle sue forme congelate, totalitarie, rovesciate.
Angeliche preoccupazioni come la politica, la numismatica, gli affari e
la pesca si preoccupano di scacciarla? Essa ritorna al galoppo del
negativo, carica di disprezzo, di rancore, di odio. Perché tanta ferocia


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nella rivalità concorrenziale dei trusts, dei bottegai e delle loro nazioni,
se non fosse perché la sessualità scacciata dalla porta rientra dalla
finestra, al contrario, portatrice di morte e non di vita? E come
spiegare diversamente la peste emozionale e sanguinosa che distrugge
le lotte del proletariato per la sua emancipazione?
La sessualità strangolata si rivolta contro se stessa con la rabbia di
distruggere quello che non può creare. Ciò che è vissuto all'ombra
delle religioni porta in modo uniforme il segno nero del sole sessuale
rovesciato. Ancora oggi, gli ardori erotici si celebrano nel letto delle
illusioni funebri, bisogna pensare che il veleno degli dei morti non ha
finito di avvelenarci.
Contro i fanatici dei piaceri mescolati di angoscia, contro quelli che
sinistramente godono di un orgasmo ritualmente battezzato « piccola
morte », gli anni reichiani hanno felicemente salutato la soddisfazione
genitale come una fonte di vita e di fioritura sessuale. Tuttavia,
identificare la genitalità con la sessualità globale, di cui era solo un
frammento, significava una volta di più puntare sui cavalli
dell'emancipazione parziale e raccogliere alla fine della corsa il
meritato premio di una alienazione più grande.
In un certo senso, i tabù e i divieti religiosi e morali avevano protetto
l'orgasmo dal rischio di un recupero mercantile. Una volta rivelata dalla
liberazione parziale che la borghesia introduceva nella società e nel
corpo degli individui, la genitalità finiva nelle mani degli specialisti
dell'economia sessuale. Tagliata fuori dalla lotta per la gratuità della
vita, isolata dal rovesciamento di prospettiva essa cadeva in potere di
un sistema di oppressione che persegue la conquista della sessualità
fatta a pezzi e qui s'impadronisce delle ultime sacche di resistenza.
Sotto la copertura della liberazione, la genitalità accede alla redditività.
Come la maggior parte delle passioni, come la parte ogni giorno più
grande della vita, fa la sua entrée gioiosa nella fabbrica universale: va
a lavorare. La castrazione, è forse altro?
Al museo la castrazione del maschio, l'incubo che ossessionava il
potere patriarcale con le sue immagini di virilità, di fallo arboreo, di
colonna Vendóme e di ultima cartuccia! E che non si provino a
rimpiazzarcela con la stasi orgiastica, con il malaugurato discorso sulla
genitalità femminile, maschile, infantile! Al termine di una evoluzione
in cui l'economia soffoca il vivente che tiene stretto, non c'è altra
castrazione che la separazione concretamente vissuta fra gli individui e
la loro volontà di vivere.

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2 - Il mondo alla rovescia tocca il suo punto
di possibile rovesciamento quando la
proletarizzazione attraverso il lavoro e la
costrizione non ha altra via d'uscita che la
morte o il sopravvento dei godimenti di
creare.

Al centro dei piaceri mercantili non c'è che
l'impossibilità di godere.
Con la coscienza della sua crescente astenia, la
vita contempla la storia del suo disseccamento e
si scopre all'incrocio di una scelta immediata: o
la consolazione della morte, o il rovesciamento
globale del mondo alla rovescia.
E’ finito il tempo di quando la consolazione sosteneva l'illusione del
mondo, quando la corsa allo sterminio si dava l'alibi del bene pubblico
e della felicità.
Quando considero con quale perseveranza la razza umana ha messo in
opera per annientarsi così notevoli mezzi, come le guerre, la schiavitù,
la tortura, il disprezzo, i massacri, le epidemie, i soldi, il potere, il
lavoro, quello che non è ancora morto oggi mi appare come il fremito
dell'irriducibile. Su quest'ultimo sprazzo di vita, che niente più riesce a
dissimulare e che tutto può estinguere, voglio fondare una società
radicalmente nuova.
Non c'è mistica della vita, non c'è mistica che in sua assenza. Non ci
sono ragioni per la vita, ma solo la ragione dell'imperialismo
mercantile che la circonda e che ne precisa a ogni incontro il carattere
irriducibile. La parola « vita » perde in effetti, la sua ambiguità quando
traspare la struttura mercantile dei presunti rapporti umani. La sua
realtà non si accorda con questi amori, dai quali acquistate la libertà al
dettaglio, e che vanno in fabbrica come andavano ieri al bordello, al
peccato, al convento, alla famiglia. Essa non si nutre di questi desideri
che il rilancio concorrenziale rode fino all'osso della produttività e del
rendimento. Non si lascia ridurre a non so quale spasmo della vagina,
del fallo, dell'ano, dello stomaco,della cervice o della clitoride. Non ha
niente a che vedere con una economia sessuale, gastronomica,
politica, sociale,intellettuale, linguistica o rivoluzionaria, perché essa
sfugge a ogni regola di produzione. Non rimpiazza i vecchi divieti con
la necessità di trasgredirli. Non ha scopo, né finalità. Essa è ciò che
sfugge all'economia e la distrugge della sua gratuità.
Con la sua intrusione nella storia, con lo scaturire alla confluenza di
una società moribonda e di una autonomia nascente negli individui, la
vita e' nella sua stessa estraneità, una realtà nuova. Che importa se la
sua scoperta la espone alla fragilità, ai vagabondaggi della coscienza
individuale, alla scelta lacerata dalle confusioni delle sue apatie e dei
suoi rifiuti. I brancolamenti dell'emancipazione portano in sé
meraviglie che la civiltà mercantile non ha. mai sognato fra terra e
cielo.

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I pensieri di morte sono i pensieri del mondo dominante.

Più la vita deperisce e più il mercato, puntando sulla penuria dei
godimenti,moltiplica l'offerta dei piaceri della sopravvivenza, la cui
vendita e acquisto si rovesciano subito in costrizione e lavoro.
E neanche il loro rifiuto fa a meno di rientrare di rientrare nella bilancia
dei pagamenti.
Con quale faccia denunciate la classe burocratico-borghese, i
mangiatori di carogne della conquista mercantile, l'apparato funebre di
una società che si distrugge nella corsa al profitto e al potere!
Riconoscete almeno, a questi signori, la sincerità del loro deperimento.
Essi si eccitano al prezzo delle cose, accettano la loro miseria come
una fatalità del denaro, rivendicano la loro bassezza, il loro odio per
quello che vive, la loro, giustizia, la loro polizia, la loro libertà di
uccidere, la loro civilizzazione.
Ma voi che vi pensate del campo opposto, voi che puntate sulla
sconfitta della merce, sulla fine dello Stato, sull'avvento di una società
senza classi, voi che intonate, fra un boccone e l'altro, i canti di
vendetta nei quali si sente. già il rumore degli stivali, in cosa sareste
diversi dai vostri nemici, in cosa fareste sentire meno il puzzo della
morte?
Non raccontatemi che state esultando in anticipo degli ultimi giorni del
vecchio mondo. Attendere con pazienza o con impazienza l'ultimo
sussulto di una società che ci ghermisce e ci trascina nel turbine della
sua agonia, è un passatempo da cadaveri. Vi siete tanto promessi la
festa di cui morite dalla voglia, che non vi resta che la voglia di morire.
Passate a profetizzare l'apocalisse nello stesso tempo che un burocrate
impiega a programmare le sue future promozioni. Come lui, il mercato
della noia è riuscito a interessarvi.
Disprezzatori e laudatori del vecchio mondo, le vostre parole variano,
ma l'aria resta la stessa. Le vostre chiese politiche, le vostre riunioni di
famiglia, i vostri tavoli d'osteria, risuonano di un unico coro, eroico e
imbecille, l'inno dei suicidi.
Il campo della rivoluzione ufficiale è la corte dei miracoli della
burocrazia. I
Teologi della Grande Sera vi separano sottilmente il territorio degli
angeli e dei demoni, gli sciancati dell'insurrezione a venire sciolgono la
matassa delle linee da seguire, i puritani finalmente decisi ad
approfittare della vita, poiché non ci sono che i piaceri che costano, si
frequentano con i procuratori inchinandosi alle virtù della
trasgressione, predicando i doveri del rifiuto, assegnando etichette di
radicalità e denunciando la miseria dell'ambiente. Ai giudici replicano
gli avvocati del quotidiano e, il disprezzo si aggiunge al disprezzo,
mentre sale da queste comuni assemblee un odore che assomiglia a
quello dei comitati centrali, degli stati maggiori e dei servizi di polizia.
Da qui escono i rassegnati gloriosi della miseria e i falliti dell'alba
terrorista. Perché il colpo di dadi col quale si rischia la pelle pagandosi
quella di un magistrato o di qualche altro che dà fastidio non è che il

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segno premonitore della grande svalutazione finale quando la morte
sarà per niente. La più miserabile delle sopravvivenze trae dalla falsa
gratuità del niente e dal suo semplice spettacolo un aumento inatteso
del suo prezzo. Tutte le morti sono pagate in anticipo al tasso di usura.

Nessuno rovescerà il mondo alla rovescia con la parte d'inversione che
si porta dentro.
Abbiamo troppo combattuto l'economia con un comportamento
economicista dove il rifiuto ci serviva da alibi. Non si lotta
coscientemente la proletarizzazione, proletarizzandosi inconsciamente.
I progressi dell'intellettualità, inerenti all'avanzata della merce,
impegnano volentieri ciascuno a proiettare sulla critica del vecchio
mondo la lucidità che egli trascura di applicare al proprio destino
individuale. Tale è l'ironia del mondo alla rovescia che i migliori cani da
guardia della teoria rivoluzionaria diventano, senza cessare di abbaiare
sullo stesso tono, i migliori cani da guardia del Potere.
Siamo vissuti nel divenire della merce, in una dialettica della morte
che non è altro che la storia dell’economia che si nutre di materia
umana, la storia di un impero che cresce e deperisce
simultaneamente, nella misura in cui gli uomini che ne producono e ne
subiscono il potere si riducono poco a poco a puro valore di scambio.
Eccoci, allo stadio del suo estremo e ultimo sviluppo, prendere posto
sui gradini per assistere alla sua fine, ma condannati a morire con
esso, perlomeno se restiamo intrappolati dal riflesso mercantile, se
lasciamo scappare la possibilità, oggi evidente, di fondare una
dialettica della vita, una evoluzione dove l’umano sfugge totalmente
all'economia.
La morte tira così di netto le linee di prospettiva del potere che il
sentimento di una prospettiva radicalmente altra comincia ad
appassionare chiunque non abbia rinunciato a vivere. Essa parte da
individui particolari, dalla irriducibile soggettività, da questo vissuto sul
quale s'infrangono l'incitamento al lavoro e alla sottomissione.
Da queste fisse e ridicole pedine che noi siamo in punti diversi sulla
scacchiera del potere e del profitto, la vita emerge a colpi. Qui si radica
il rovesciamento del mondo all'incontrario: la creazione di una società
fondata sul godimento individuale e la distruzione di ciò che lo
impedisce. Qui si abbozza il regno della gratuità con l'annientamento
della merce, nel nostro presente immediato. Esso non appartiene alle
fantasie della creatura oppressa. Non annuncia nessuna età dell'oro,
né alcun paradiso perduto. E’ un mondo in divenire, dove ogni
elemento è presto o tardi il suo contrario, muore e rinasce. Ma questo
divenire non vuole avere niente in comune con la civiltà della merce.
Che una volta per tutte sia chiaro come gli esseri e le cose non si
trasformano, allo stesso modo, in una società che riduce la vita a una
produzione di cose morte, e in una società dove la storia è
l'emanazione della volontà di vivere individuale.

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3. La storia sul punto di rovesciarsi passa
per il punto di rovesciamento della storia
individuale.
La fine del proletariato implica la fine della
proletarizzazione del corpo.
Sotto la miseria della classe lavoratrice,i filosofi
del XIX secolo avevano intravisto la gestazione
dell'uomo totale e la nascita di un’ èra di libertà
coincidenti con la fine della società di classe.
Oggi, solo questi moderni filosofi che sono i
burocrati ignorano ancora che il proletariato è una
astrazione finché la sua lotta per la società senza
classi non si fondi sulla lotta di ciascun proletario
contro la proletarizzazione del suo corpo.
Spogliato dai suoi miti e denunciata attraverso la
miseria del suo spettacolo, l'economia non è più che la malattia del
voler-vivere, il cancro del vivente. Spingendo sempre più in là i suoi
insediamenti in un corpo sempre più a pezzi, essa inventa una
economia gastro-intestinale, genitale,oculare, cervicale, una economia
degli organi, delle funzioni dei riflessi che, modellata sul mondo
dominante, impone le sue norme di rendimento, di profitto, di
risparmio, di spreco, di volontà di potenza, di scambio.
E mentre la sua mostruosa astrazione s'impadronisce dei gesti dei
muscoli, dei comportamenti, ciò che non riesce ad afferrare la tiene in
scacco. Non c'è malessere del corpo, una soddisfazione, un movimento
che non traduca il conflitto permanente fra il desiderio di godere di
tutto e la frammentazione corporale in zone di produttività.
La lotta di classe è inseparabile nella piazza e dentro di me.

Il meglio, ottenuto con la costrizione. diventa il peggio.

Sotto le virtuose proteste del rifiuto, la maggior parte lavora a
proletarizzarsi. Mai l'appetito di libertà si e’ così nutrito di imperativi.
Libertari felici, che m'intimate di essere autonomo, voi vituperate
l'autorità, ma non cessate di costringervi, celebrate l'ozio e vi
vergognate di non fare niente per la rivoluzione. Il vostro odio della
merce nasconde un odio più profondo, quello che vi assale, quando
nello specchio della vita assente, vi vedete sempre più simili a ciò che
combattete. Quello che vi interessa nella lotta finale, è di farla finita
con voi stessi.
Il rifiuto della società dominante è diventato noioso e coercitivo quanto
la sua accettazione, l'uno e l'altra obbediscono allo stesso padrone.
Sacerdoti del negativo, eroi della purezza radicale, il vecchio mondo se
ne va ormai per suo conto. Poiché la merce progredisce negandosi,
essa s'ingrasserà ancor meglio con le vostre critiche per il fatto che
discendono il più delle volte dai vostri riflessi economici: coercizione di
voler apparire, lavoro della volontà di potenza, senso di colpa per il
saldo dei conti, disinibizione della carenza di vivere.

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Nessuna lezione è quella buona, perché tenta di imporsi. L'ordine da
impartire mi assimila al lavoratore intellettuale, l'ordine accettato al
lavoratore manuale, e io non voglio essere né l'uno né l'altro. Dove c'è
costrizione, c'è lavoro; dove c'è lavoro, non c'è piacere.
Quello che m’impedisce di godere senza contropartita appartiene al
mondo
Alla rovescia, fosse anche i rifiuto di un tale mondo.

Piacere costretto, piacere perduto.

L'idea che bisogna godere a tutti i costi sta lavorando ad un
rifacimento dei vecchi divieti con le stesse conseguenze. Essa apporta,
con molto destro, il suo sostegno a quelli per cui la rivoluzione è un
dovere, la radicalità una prova, la vita uno spettacolo.
Mentre le vecchie talpe della critica lavorano all'affossamento del
vecchio mondo, i liberatori dell'amore si operano per il miglioramento
dell'economia sessuale. Il piacere obbligatorio rimpiazza il piacere
proibito.
Il godimento si affronta come un esame, con una bocciatura o una
riuscita. Bere, mangiare, dedicarsi all'amore fanno parte ormai degli
ornamenti della buona reputazione. Per il brevetto di radicalità,
segnate qui la media oraria dei vostri orgasmi!
E’ finita con i peccati dell'ozio da quando i piaceri vengono assunti alla
fabbrica quotidiana. Trasgredire i tabù, così comanda il progresso
economico! L'emancipazione obbligatoria, cosa di meglio per
riaffermare il divieto fondamentale, l'esclusione di ogni godimento che
voglia sfuggire alla costrizione, al lavoro, allo scambio?
Dove il godimento non distrugge l'economia, c'è solo una
emancipazione economizzata, ogni libertà nasconde una repressione ogni
repressione si mostra come libertà.
Gli asceti della buona vita hanno raggiunto i burocrati della società
senza classi, quelli che godono della miseria si alleano a quelli che
disprezzano la sopravvivenza. Attorno ai piaceri la concorrenza si
scatena. Il ritorno al passato tenta di indorare di nostalgia ciò che non
ha più niente per restare in piedi salvo il suo prezzo. A ragione che il
sesso si è appena liberato dalla necessità della riproduzione esso cade
nelle catene dei records dell'orgasmo; bisogna allora celebrare l'amore
cortese, lo scherzo, la timidezza platonica, la fedeltà e non so quale
altra castità desueta? L'inversione degli antichi piaceri non è minore
dei volgari passatempi moderni. Non c'è bastato vedere gruppi
risolutamente ostili alla famiglia e allo Stato rifarsi alla morale del clan
e resuscitare la mistica della solidarietà, della rottura e dell’onore.
Gli artisti della regressione e i modernisti del recupero appartengono a
un solo ambiente, quello degli affari Che me ne importa delle vostre
distinzioni di medici legali e delle vostre scatole etichettate:
eterosessualità ,omosessualità, perversione ,sadismo, coprolalia
,normalità, anormalità. E tutti quanti.Il godimento non ha frontiere,e io
intendo premunirmi contro tutto ciò che tenta di imitarlo.
Quando il desiderabile cede al necessario, io lo fuggo come un lavoro.

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Non ho alcun piacere del riflesso di morte, di cui del resto, vedo si fa
solo commercio. Che gli affetti dalla rogna del potere si sfreghino fra di
loro il prurito di dominare e di essere dominati, di frustrare e di essere
frustrati, di soffrire e di far soffrire. Io voglio ignorare le voluttà della
proletarizzazione. Ciò che si accanisce a distruggermi mi indica assai
bene che non c'è piacere all'infuori dell'affermazione della vita.

Il lavoro è l'inversione della creatività.

Mentre i comportamenti umani tendono a modellarsi
sui meccanismi mercantili, la storia non ha cessato
d'immiserire la parte ufficiale lasciata ai creatori.
Inaridito dalla industrializzazione, la fine
dell'artigianato, il mercato della cultura, la
concrezione mercantile, tutto quello che ancora si
richiamava alla passione di creare, artista, artigiano,
mago, poeta, compositore, visionario, finisce col
seccarsi definitivamente sotto i lustrini ideologici dei
burocrati.
La creatività passa per il laminatoio del lavoro come
qualsiasi manifestazione della vita. Riconquistata dal
sistema mercantile fino al punto da servire ormai
direttamente i suoi interessi, lascia vedere bene che
è stata tollerata dalla concorrenza solo al prezzo di
una rimozione e di una inversione. Essa non è mai esistita
interamente, nel senso della vita.
Che la nostalgia del passato non ci nasconda la miseria e la ricchezza
del presente! Per quanto commoventi mi risultino le opere di alcuni
musicisti, pittori, incisori, scrittori o costruttori, sento fin troppo bene
in esse il marchio di una appassionante sconfitta e di una involontaria
rinuncia. Esse sono gli scoppi residui di una esplosione di energia dove
né la corazza intellettuale, né i bisogni della sopravvivenza, né il
denaro, né la volontà di potenza, avrebbero dovuto ostacolare. Ciò che
mi colma di gioia, è la forza sessuale che continua a irradiarsi al loro
incontro, è il desiderio di andare oltre, di rovesciare il mondo della
creazione invertita.

Cos'è il genio, il demone familiare, il soffio dell'ispirazione? Apparenze
a cui l'organizzazione del lavoro ha lasciato una libertà marginale, una
falsa gratuità che parodia la gratuità della vita. Forse, una creatività
primitiva è esistita,
in epoche preagricole, una pratica del corpo nella sua totalità,
individuale e sociale, depistante le forze naturali, e di cui la magia,
l'alchimia, l'arte, e la follia inventiva, evocano il ricordo. Ciò che è
certo è che la necessità di produrre rimuove la creatività,la frantuma e
la piega verso quella negazione. E l'aborto che la pratica alchemica
tenta di rianimare misticamente, è la pratica sensuale condannata a
esiliarsi nella testa mentre il lavoro intellettuale si separa dal lavoro
manuale, è l'inspiegabile da dove l’inconscio scientifico tira fuori le sue


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trovate e che l’economia recupera.
La fine della creatività tollerata - la fine di tutte le forme d'arte identifica
ormai la passione di creare con il godimento gratuito della
vita. Su questa pietra del divieto fondamentale, la società mercantile
non ha finito di costruire le sue chiese di libertà. Un mercato del
bricolage punta sul disgusto per il lavoro forzato e la seduzione del
creativo per fare di ognuno il suo proprio imprenditore. L'arte di
dipingere su vetro, di cucinare, di distillare, di comporre un vaso di
fiori, di raccontare, di cantare, di rilassarsi, di sognare, dà lavoro ai
piaceri del creare che la necessità del produrre aveva condannato alla
disoccupazione.
L'idea che bisogna creare per sfuggire al male della sopravvivenza
finisce col fare il vuoto in nome di ciò che potrebbe annullarlo.. Se è
vero che una scontentezza dissimulata rode la gente, anche quelli che
si dicono contenti,
se è oramai chiaro che il malessere deriva dall'assenza di una
creatività globale, io comprendo la costruzione della vita a partire dai
desideri, allora saremo appagati, perché questo e’ il tempo dove
ciascuno sarà messo nelle condizioni di produrre la sua felicità.
Aprendo i sentieri dell’arrangiarsi,il gauschismo ha inaugurato i
controviali del lavoro. Tuttavia, all’origine l’arrangiarsi poteva passare
per una autodifesa del godimento. Insegnava a lavorare il meno
possibile, a prendere i soldi che occorrevano senza affaticarsi, ad
aggirare gli ordini, a ridicolizzare i capi, a fregare lo Stato. Lo
slabbramento del mercato del lavoro non ha tardato a trasformarlo in
lavoro parallelo. Esso è diventato un modo di togliersi dagli affari
senza cessare di farli. La maionese dell'autonomia abbellisce una realtà
dove ciascuno vuol essere il suo proprio padrone, sfruttandosi senza
intermediari.
Che la legge dell'arrangiarsi regni necessariamente nelle prigioni, nelle
fabbriche, nelle caserme, nei paesi dell'Est dona la misura analogica
del nostro universo carcerario. E non ha maggior alleato
dell'oppressione che la giustifica.
Questa è la miseria del comportamento economicista,che considera
godimento il lavoro risparmiato; per non parlare di quanto si spinge
fino al ridicolo di sprecare, ricorrendo agli espedienti,più fatica che un
normale lavoro.
Tutte catene sono sinistre. Non fatemi scegliere tra quella dove si
stringono bulloni e quella che vi spinge dal dovere alla convenienza,
dalle promesse al contratto, dalla paura degli altri al loro dominio
Non voglio lottare contro la merce con quello che mi toglie di vita, ma
con quello che la vita le riprende, spezzandola. Non c'è altra creatività.

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CAPITOLO II



Il godimento implica la fine dello
scambio sotto tutte le sue forme.

1 - Nella civilizzazione mercantile,
ogni cambiamento diventa
scambio.

La storia degli uomini civilizzati non è
che la storia delle merci che essi
producono e che si distruggono, distruggendosi.
L’uso del baratto ne marca l'origine, essa si organizza con l'economia
agraria e attua il suo compimento nell’ èra industriale. L'economia
tocca allora il suo punto più alto di espansione e di deperimento,
rarefacendo la vita sulla terra e nei cuori a mano a mano che la vita
presta un volto umano ai rapporti mercantili. Questo volto umano è
oggi quello che aspira a darsi il socialismo!
Quando agli individui, non resta che la miserabile produzione della
miseria crescente, si trova sempre un progressismo che suggerisce
loro di rivendicare l'autogestione.
Questa volta, l'ultimo sopruso svela i soprusi che l’hanno preceduto.
Se ogni tappa dello sviluppo economico trasuda del sangue versato in
affrancamenti finiti con la modernizzazione della schiavitù, ciò significa
chiaramente che tutte le lotte per l'emancipazione obbediscono alla
necessità dell'espansione mercantile. Le conquiste sociali hanno
semplicemente ratificato un risultato già acquisito. Le loro vittorie sono
sempre state quelle della merce. Si credeva di lottare per la giustizia,
l'eguaglianza, la libertà, ma nei fatti si lottava per l’imperialismo
economico, per il parto doloroso l’ l’insediamento di un sistema
arcaico, per la libera circolazione dei beni, per la produzione
industriale, per l’obbligo al consumo.
Qui, i cambiamenti aprono delle nuove porte su un mondo
definitivamente chiuso. Come potrebbe un'organizzazione fondata sullo
scambio permanente della forza vitale in forza lavoro tollerare un
cambiamento della vita che non sia anche un cambiamento del lavoro?

Senza emancipazione individuale, la lotta di classe è il motore
dell’autodistruzione mercantile.
La classe burocratico-borghese e il proletariato sono le due astrazioni
oggettive della stessa alienazione vissuta diversamente. Essi rivelano
nel diciannovesimo secolo il movimento contraddittorio con cui i
processi mercantili si rafforzano e si indeboliscono.
La classe dominante è l'agente dell'espansione mercantile. Il
proletariato, che aspira a liquidare la borghesia e a sparire come
classe, è l'elemento distruttore della merce.
Ma lavorando all'espansione mercantile anche la classe dominante
lavora al suo deperimento. Essa funziona come una classe condannata

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a impoverire tutto quello che esiste di umano in essa. Non ha altra via
d'uscita che la morte e, in quanto tale, obbedisce perfettamente al
divenire del sistema economico.
Il proletariato, invece, non è fatalmente condannato all'astrazione che
svuota. lentamente i borghesi e i burocrati della loro sostanza umana.
Ma se i proletari rinunciano a distruggere l’economia, perché
rinunciano a creare una società fondata sulla volontà di vivere, essi si
imprigionano con le loro stesse mani in questo negativo della merce, in
questo proletariato che li astrae da se stessi. Diventano gli agenti
dell'autodistruzione mercantile, lavorano al rinnovamento della merce,
al deperimento della vita, alla proletarizzazione generale.
Esiste, in questo senso, una lotta suicida del proletariato, e il suo
progetto di società senza classi sembra un cimitero. I migliori difensori
del proletariato non ne sono estranei.
Nel diciannovesimo secolo la mentalità industriale e industriosa
assorbe, dopo avervi sputato sopra, la mentalità militare dell'ancien
regime, impastato di cadaveri e di servi.
Essa se ne nutre con l'inappetenza che il progresso della merce ha
imposto alla volontà di vivere (non è significativo che ogni tappa
decisiva nell'espansione mercantile si traduca nella malinconia sociale,
nel gusto funebre, nell'ardore suicida di assurde ecatombi?). Essa
perdura oggi, trattando l'umano come una cosa che ha un prezzo,
come un capitale; sebbene che, a differenza della prodigalità feudale o
dispotica, sia a un prezzo più basso. Essa ha conquistato i suoi allori
democratici con quest’arte politica oggi ridotta all’arte del governare e
di cui si dice comunemente che si occupa di voi se voi non vi occupate
di essa.
Non vi è politica che non sia quella giacobina, leninista, autoritaria.
Come potrebbe essere diversamente? Esa non e’ che l’intelligenza
economica degli affari umani,la pratica del potere passata
dall’apparato feudale alla macchina dello Stato. Essa ha per lungo
tempo seminato la confusione identificando il proletariato cosciente
con il proletariato politicizzato. Ha alienato gli individui dalla loro lotta
per la vita e ne ha fatto delle pedine sulla scacchiera dell'imperialismo
economico. E’ per causa sua, per il comportamento economicista che
diffonde con il nome di lucidità che sono abortiti i Timidi tentativi di
autogestione anarchica in Spagna e che la volontà di vivere non è mai
stata il centro della presa di coscienza.
Noi non abbiamo conosciuto che degli scambi della sopravvivenza e il
peggio arriva oggi sotto la copertura politica di cambiare la vita.

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2 - Il mondo alla rovescia tocca il suo punto di rovesciamento
possibile quando la proletarizzazione attraverso lo scambio non
ha altra via d'uscita che la morte o la supremazia del
godimento come gratuità.

Lo scambio è il percorso più breve da una trappola a un'altra.

Si vedono nella giungla urbana, lunghe file di gabbie d'acciaio dove si
dondolano tristi silhouettes. La loro immobilità offre l'immagine del
cambiamento nella continuità, fino a quando, improvvisamente, per
una emozione o uno choc fortuito, la bestia esce dal suo stato di
ebetudine indaffarata, manda grida laceranti gesticola e si comporta
con una violenza che nessuno sospettava in essa. L'automobilista è, al
naturale, il ritratto- robot dell'individuo incatenato alla merce tanto da
fare corpo unico con essa. In ognuno di noi, l’umano si pietrifica
lentamente. Il cuore diventa un motore, la pelle una carrozzeria, i
gesti acquistano le caratteristiche di un meccanismo. Poi, tutto a un
tratto, come uno che sta annegando, il primo che incontri, si dibatte,
picchia a caso, e affonda verso la morte cercando di trascinarsi dietro
quelli che gli capitano a tiro.

Lo scambio paralizza il vivente. La sensazione di essere preso in
trappola come un topo non basta a scatenare questi accessi di
rabbiosa impotenza, questi spasmi di libertà da cui si è trafitti, questa
peste emotiva che è cieca a tutto quello che non è l'oscurità della
morte? Rari sono i momenti in cui non si senta su di noi la fredda
mano della merce, o si provi lo scorrere della vita fuori dai solchi del
profitto e del potere. Botole si aprono ad ogni passo. Chi sfugge alla
famiglia inciampa nella coppia, chi sfugge alla solitudine finisce nel
gruppo. Si salta dalla scuola alla fabbrica, dalla caserma al partito,
dalla società al cimitero. Sì passa di ruolo in funzione, di età in età, di
sacrificio in rinuncia, e il primo passo costa lo stesso prezzo dell’ultimo.
Non c’è malessere in me che non provenga immancabilmente da un
rapporto mercantile. Voi dite che la gente cambia, si trasforma, si
rinnega, migliora, tradisce, si supera, delude. In realtà non fa che
dibattersi. Tutti scappano da una trappola per cadere in un'altra, si
girano e rigirano nei panni che li consuma, si cercano nel rifiuto di
trovarsi, e maledicono i vagabondaggi dell’esilio senza smettere di
esiliarsi dalla vita.

L'autodistruzione della società mercantile progredisce per
rimozioni e disinibizioni.

Il militare, il burocrate, il proprietario d'autorità, tutto questo genere di
persone sanno come i muscoli del corpo vanno bloccati, impedendo ai
desideri di uscire fuori.
Non ignorano come la necessità di dare l’esempio, di stare al proprio
posto, d'imporsi, chiuda al catenaccio del diaframma la grande porta
della volontà di vivere, e dell'abbandono libidinale.
Ogni volta che la costrizione sociale - questa razionalità delle

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convenienze che l'economia imprime ad ogni comunità - ci tiene per la
punta dell'orecchio, in noi si desta un poliziotto, un militare, un prete,
e se bisogna giudicare dal comportamento ordinario della gente, la
sentinella del vecchio mondo non è meno vigile e attenta presso quelli
che gridano più forte il loro disprezzo per i capi.
Quando il corpo, impacciato nella sua corazza di virtù, acquista
l’impassibilità degli oggetti, una danza di morte s’impadronisce dei
nostri gesti, il movimento dei piaceri si spezza in frammenti di odio, in
tic di frustrazione, in pruriti di disprezzo. Ma dall’istante stesso che ne
prende coscienza, il corpo proletarizzato sa che esiste una rimozione
fondamentale da dove sono sorte tutte le altre e da dove procedono
tutte le disinibizioni regolatrici del riflusso. Siamo così arrivati alla fase
finale di una storia dove le variazioni della merce attraverso il tempo
hanno raggiunto una chiarezza e una materialità che svela
l'oppressione permanente della vita da parte dell'economia.
Il mistero in cui gli psicanalisti trovarono avvolto l'organismo umano,
quando la merce non era ancora giunta al termine della sua
materializzazione, eccolo in eredità, rivelare in un ridicolo crescente la
macchina per fabbricare il mondo alla rovescia, il movimento perpetuo
dello scambio, la pompa aspirante e premente che attinge dall'energia
sessuale del corpo la forza-lavoro che la schiaccerà.

Ciò che è rimosso è invertito e si disinibisce
comunque.

Costretta a proliferare e a rinnovarsi senza
tregua, la merce si sbarazza in ogni istante delle
forme che impediscono il suo sviluppo. Da una
di queste mute, che vanno, a seconda della loro
importanza, dal salto rivoluzionario alle
contorsioni della moda, è nata la psicanalisi.
Essa scopre la complessità del conflitto
individuale tra la volontà di vivere e il riflesso di
morte, fra il « principio di piacere » e la
necessità sociale, ma essa maschera la
semplicità dello scambio, dissimula la nuova
oppressione nata dal rigetto dell'antica. Infatti,
se denuncia la morbosità del rimosso è per incoraggiare una
disinibizione doppiamente proficua alla società dominante, come
sollievo compensatorio dalle tensioni, come reinserimento nella « vita
» sociale normale.
La varietà delle disinibizioni non è eguagliata che dalla varietà delle
frustrazioni; ma nel loro bizantinismo, le scienze psicanalitiche
concordano almeno su questa verità elementare: vanno pagate in soldi
e in potere. Sia che concludano sapientemente sul sadismo rimosso del
rimosso, della madre di famiglia, del poliziotto e dell'assassino, sia che
vedano nel sadismo anche uno degli aspetti del godimento invertito,
come potrebbero ammettere senza contraddirsi, che la rimozione
fondamentale è l'inversione della vita operata dalla necessità di


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produrre profitto e prestigio.

La nostra barbarie non e’ minore di quella delle orde mongole, è solo
più burocratizzata, meglio ripartita democraticamente, più vicina alla
morte consentita come laboriosa liberazione. La vita invertita ha perso
il suo eccesso.
L'alternarsi di rimozioni e disinformazioni rivela in ogni caso una
capacità autoregolativa della società, ma si tratta di una società
spossata e moribonda. I vecchi divieti continuano a riprodursi e a
lasciarsi violare, ma l'incontinenza verbale è ormai, più che sufficiente.
L'indignazione davanti ai crimini dello Stato si placa alla notizia di
qualche poliziotto ammazzato l'alternarsi nutre la nostra impotenza a
lasciar scoppiar la volontà di vivere fuori dalla secca programmatale
contro.

La peste delle emozioni è il movimento perpetuo del non
superamento.

La sensazione di essere paralizzati paralizza a sua volta, la fuga dalla
trappola riproduce la trappola, la corsa al cambiamento garantisce che
nulla cambierà. L’angoscia, lo stress, la paura, la vergogna, il
disprezzo, l'aggressività, la volontà di potenza nascono da una volontà
di vivere già repressa e che questi continuano a reprimere. La
sensazione d'essere in ogni istante presi nella trappola delle
convenienze, dei ruoli, delle funzioni, delle circostanze soffoca la
possibilità di un superamento, di un cambiamento reale. Queste
vampate emozionali che avvolgono tutti come in un vapore malsano:
c'è stato un tempo in cui i tribuni, gli oratori, gli avventori di potere le
sapevano sfruttare sapientemente. Il loro sciamanismo da bottegai vi
attingeva l'illusione di un rovesciamento imminente, di un regno dei
giusti. La collera che risvegliavano nelle folle non era affatto quella
della vita zampillante, ma il soprassalto della bestia prigioniera, il
regolamento di conti all'insegna del tipo che va per suonarle ed
suonato, la liberazione dove ci si ripaga al ribasso del disprezzo
tollerato a prezzo intero. Imprigionando il corpo in queste false
emancipazioni, distrugge le vecchie prigioni per costruirne delle nuove.
E’ finita con le grandi epidemie emozionali. L'isteria auto distruttiva del
fascismo e dello stalinismo ha segnato la fine delle illusioni di
cambiamento fondate sull'impossibilità di godere. La materialità degli
scambi tende a ridurre alla noia alla gamma di emozioni fondate sul
rifiuto di sé. Il patetico, la vibrazione della voce, la tonalità emotiva
dell'agitatore e del politico suscitano solo il riso da quando la miseria
dello spettacolo sociale ha perso il mantello delle sue grandi ideologie
nazionali e internazionali. Il culto degli eroi e dei capi conosce una
grande penuria di mistici e di tamburini. La certezza che ogni istante
assomiglia all'altro, che tutti i posti sono uguali, che un'avventura si
ripete instancabilmente, che a tutte le latitudini ci si bagna alla stessa
acqua del profitto, sotto lo stesso sole della merce, ecco ciò che basta
per fare della noia la coscienza dello scambio e, della peste

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emozionale, una variante del gusto suicida, la sensazione che si muore
più in fretta se ci si dibatte e che non c'è alcun cambiamento da
aspettare. Non restano più alibi alla morte. Come andare avanti nella
disperazione, e nella sopravvivenza? Bisogna morire con il mondo o
rinascere a se stessi ricreandolo. Mai il partito preso della vita si è
trovato in condizioni più favorevoli per rompere gli ultimi specchi
dell'apparenza e passare dall'altra parte del rovescio delle cose. E’
finito il tempo dei pesatori d'anime. E’ arrivata l’èra dei danzatori, il
balletto dell'arte di fottere, sbattendo a terra il vecchio mondo. Dieci
anni fa la storia ha dimostrato che esisteva per rovesciare la società
mercantile un unico punto d'appoggio, il suo ultimo stadio di
autodistruzione. Oggi affermo che una sola leva ci riuscirà,
l'emancipazione dei godimenti individuali e collettivi.

3. La storia sul punto di rovesciarsi passa per il punto di
rovesciamento della storia individuale.
Non ci sono per niente e per nessuno.

Che potrei fare nella galera dei rapporti mercantili? Voi scherzate sul
conflitti assurdi, le lotte etniche ,le guerre di religione, le cause
politiche, le rivalità mondane, le vendette familiari, ma voi stessi alzate
la voce, la testa, il pugno per affermare un briciolo d'autorità, per
imporre l'immagine di marca alla quale vi siete sacrificati.
Mi divertono queste relazioni, questi gruppi, comunità in pericolo dove
si stringono i gomiti della fraternità ficcandoli nello stomaco del vicino,
dove le dimostrazioni di amicizia firmano trattati e il mutuo impegno, o
i piaceri di bere, scopare, parlare, mangiare si pagano secondo le
regole dell'apparenza, dove niente si dà per niente, dove le simpatie e
le antipatie si vergognerebbero di non poggiare su una teoria radicale,
dove le ragioni del migliore e del peggiore hanno in comune la
preoccupazione di non ricordare che sono le ragioni del mondo alla
rovescia.
Non aspettatevi da me un impegno, non aspettatevi niente. Non sono
una regola di condotta, una misura di buona o cattiva coscienza, un
piano di fallimento o di riuscita tracciato sulle chimere. Io non sono
niente nei vostri calcoli, non contante su di me, né con me..
Non ho la presunzione di scappare a tutte le trappole della merce. Non
di meno, se le vostre leggi, i vostri giudici, i vostri servizi d’ordine, di
giustificazione e di pagamento,i vostri ordini, i vostri ruoli, le vostre
convenienze mi costringono,per il momento, a stare alle spalle dei miei
desideri, io so ascoltare e non sentire niente, so guardare e non
vedere niente, parlare e non dire niente, agire e non fare niente,
essere presente e non esistere per nessuno.
State attenti a non confondere il rifiuto dello scambio, lo scarto dalle
trappole con chissà quale torre d'avorio. Il giardino che voglio coltivare
è quello dei miei piaceri della vita, e io non posso coltivarlo che
allungandolo alla terra tutta.
Del resto, non sono le virtù del rifiuto che mi tengono lontano dalla

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feccia delle vostre polemiche, dai vostri riflessi concorrenziali, dai
vostri crimini e dai vostri piaceri a pagamento. Aspiro solo alla
gratuità, a questa inutilità dei miei godimenti senza contropartita.
Attingo alla volontà di espandersi dei miei desideri di vita, qualunque
esse siano, dal più futile al più appassionato, una autodifesa spontanea
contro la proletarizzazione determinata dallo scambio.
L’appropriazione delle persone e delle cose non mi ripugna in quanto
ingiustizia o fondamento della società di classe.
E’ sufficiente che essa limiti i miei desideri, li imprigioni, li terrorizzi, li
cambi in avere. Gli uomini del rifiuto sono i guardiani dell’ assenza
vita. Condannano il razzismo, la gelosia, l'avarizia, la proprietà, la
gerarchia, ma non si tratta in fin dei conti che di esorcismi per placare
la loro incapacità di esistere per se stessi, quando si fanno dei
confronti, senza il giudizio degli altri. Chi sa prestare attenzione al
godimento ignora patria e confini, padroni e schiavi, guadagni e
perdite. L’esuberanza sessuale basta, porta a se stessa nel suo spazio
e nel suo tempo il movimento che frantuma chi le si oppone.

L'esaurimento degli scambi conduce al cambiamento globale.

I piaceri della sopravvivenza lavorano alla sopravvivenza del sistema
che li produce. La loro miseria esprime l'insopportabile noia a cui arriva
lo scambio generalizzato,l'onnipresenza della merce, l'incancrenimento
della vita a causa dell'economia.
All'epoca in cui la merce cominciava appena a emergere sotto
l'occultamento della religione, il viaggio e l'avventura s'inscrivevano
nell'arte di costruirsi un destino con o a dispetto degli dei. Piaceri e
prove disseminavano la vita fino alla sua ineluttabile fine, verso questa
morte che gli uomini cercavano per sfida e sfuggivano per astuzia . I
cozzi dell'esistenza saldavano la tassa per il diritto di passaggio dalla
valle di lacrime a un altro mondo, paradiso o inferno, avere
rappresentazioni mitiche dei nostri piaceri di sopravvivenza oggi
demistificate.
La morte non vigila più alla finestra dell'aldilà. Essa dà tono all'assenza
di vita che irrigidisce il corpo allo stato di merce. Perché abbandonare
il proprio letto? Sotto tutti i cieli regnano gli stessi godimenti interdetti
e capovolti. Tuttavia il bisogno di movimento sussiste, pur circondato
da un numero crescente di illusioni perdute. Quelli che la domenica
vanno ad ammirare la foresta tra due tendine di cemento, o
attraversano gli oceani per consolarsi, presso qualche pigmeo, con il
baratto e l'ospitalità, dell'inumanità delle tribù industrializzate,
finiscono per provare la sensazione di aver vissuto mille volte le stesse
cose sulla pellicola di un medesimo film, tanto che non gli resta altro
se non la voglia di cambiare tutto. Qui e ora.

Perché scappare fino ai confini del tempo, della geografia, delle
ridondanze sociali, quando è qui, intorno a noi che si delinea la volontà
di creare una società in cui la vita cambia con le passioni? La mobilità
dei desideri comporterà delle sue strane mutazioni, la varietà degli

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amori, si rivela già in mezzo alle promesse che non si scambiano,
l’architettura individuale non tarderà a edificarsi sopra le rovine di ciò
che fu costruito Pagando. Conosceremo la gioia di possedere una casa
per tutte le fantasie, per tutti i
Sogni, per tutti i ricordi dell’infanzia.

Il gusto della metamorfosi nasce
dal disgusto dei ruoli.

La moda, le convenienze, il prezzo, il
marchio del nuovo e dell'usato, la
singolarità e la banalità hanno sempre
imposto all'arte dell'abbigliamento un
codice di rappresentazioni poco
compatibile con la voglia fantastica di
trasformarsi. Allo squallore passato di
portare un'uniforme secondo i gradi
della gerarchia si aggiunge oggi un tale impoverimento dello spettacolo
che l'abito subisce il livellamento dei ruoli ridotti a funzioni di un
organigramma social-burocratico.
Un blu da lavoro veste egualmente bene un direttore, una donna di
lettere, un operaio. Le lezioni sulla fungibilità delle cose insegnano che
ognuno ha il suo prezzo, buono o cattivo, sul mercato del quotidiano.
Alla borsa, dove la vita si perde, la caduta dei prezzi vale quanto il loro
rialzo. Se il denaro fa la felicità o l'infelicità è unicamente quella della
merce.
La redditività trasforma la nudità del re in un abito nuovo. Perché le
maschere? Le conserviamo per dissimulare delle minuscole libertà, una
trasgressione fatta di straforo un pizzico di dissolutezza che è ormai di
prammatica esibire. Tutti i ruoli sono consumati. La loro apparenza
umana, troppo spesso rappezzata, lascia intravedere l'ossatura delle
funzioni, il meccanismo del corpo riproducente i meccanismi
economici, umanizzati di ritorno.
Ci fu un tempo in cui il poliziotto che si toglieva la uniforme aveva la
possibilità di ritrovare un residuo di umanità.. Ma quando l’uniforme fa
tutt'uno con la corazza muscolare, quando la funzione , di schiavo di
vedette appartiene alla proletarizzazione del corpo, quando lo scambio
del vivente, in forme sociali è operato direttamente nell’osmosi delle
sensazioni e di ciò che le congela nel loro contrario, quale
emancipazione aspettarsi oltre uno scatenamento immediato della
volontà di vivere, fuori della molteplicità dei desideri pazientemente
restituiti alla vita?
Accusate i bambini di incostanza e inconsistenza per che tardano a
prendere la consistenza epidermica della lotta che a voi serve da
imballaggio e vi adatta al modello delle articolazioni sociali. Questa
specie di corazza arrugginita, che vi assicura un po' di gloria a spese
della vita, non avete una gran voglia di strapparvela di dosso? Non
volete scoprire nel bambino che eravate quello che avreste voluto
essere, quello che è veramente possibile essere una volta abolita la


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Forma sociale che ci riduce alla sua funzione fondamentale di

produrre? Ciò che definisce è necessariamente odioso. Avete provato
spesso a infilzarmi sulle vostre tavolette. Voi vorreste acchiapparmi
per qualche lembo, non importa quale, un nome, una matricola, una
professione, una nazionalità, un salario, una reputazione, un accidente
qualsiasi per farmi girare sulla vostra scacchiera. Ma l'autonomia
fondata sulla emancipazione dei piaceri si prende gioco delle
classificazioni e dell’indifferenza confusionale che vi corrisponde. Si
eccita all’evocazione delle mille sfaccettature che fanno l’irriducibile
singolarità di un individuo, dei suoi desideri e delle sue passioni,
quando sarà determinato a viverli senza averne paura. I ruoli sono
stati l'ultima inversione mercantile delle metamorfosi future.

Abbiamo puntato troppo sulla mancanza e troppo poco
sull'abbondanza.

Se l'amore è cieco, significa che non vede niente con l’occhio del
potere. Non sperate che giudici e governi, perché esso ignora i rapporti
di scambio. E’ sufficiente per se stesso. Cornucopia della sessualità,
esso esprime, nel mondo della castrazione,meglio di tutto volontà di
vivere e la sua selvaggia superbia.
Se anche due amanti che ieri si adoravano si lasciano bruscamente
nell'odio e nel disprezzo, il motivo non sta in qualche legge eterna
della fine dei rapporti, o in qualche fatalità della stanchezza. Essa
procede dalla trafila degli scambi, che invecchia le passioni, consuma
gli slanci affettivi, fa sparire gli impulsi, sminuisce l'amore e lascia
dormire il desiderio sul cuscino delle abitudini.
Basta una fatica passeggera, una caduta della volontà di vivere, il cui
ritmo sinusoidale varia a seconda degli individui. Ma dal sonno
dell'amore, dal suo silenzio, è sempre ancora la passione che spunta
per chi sa conservarne il desiderio. Invece di salvare la voglia di tutto
fin dentro il cuore della sazietà, ecco che gli amanti si rifanno al
dovere, esigono delle prove, cercano un rendimento per l'affetto.
S'instaurano delle regole che devono essere scrupolosamente
rispettate, non si ammettono più le dimenticanze, la goffaggine,
l'incongruità, la fantasia, tutto diventa un pretesto di rimproveri e
sanzioni. Per non voler creare il cambiamento che li farebbe ritrovare,
esse si appoggiano alle stampelle della società che li mutila della loro
generosità. La fredda ragione scaccia la follia dell’ abbondanza e viene
a fare la spartizione delle cose.
E’ giunto il tempo insidioso dei conti resi e reclamati, dei doveri pagati
con i dovuti interessi, dei diritti accordati, di questo far l'amore
contrattato che preannunciano i colpi su colpi del prestigio in rovina.
Possedendosi nello scambio e misurando l’affetto reciproco, ciascuno
finisce per convincersi che gli si stanno “ aprendo gli occhi”, che le
qualità offerte sono state solo prestate, che la generosità è mal
ricompensata, che l'attrazione non era per niente giustificata. L'amore
si lamenta di esser stato speso a fondo perduto, il rimpianto prepara
un verbale di bancarotta, la passione diventa bassezza, l'affetto merce,

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l’ amicizia delazione. Affare fatto, affare chiuso, affare di famiglia,
affare di coppia, di scambio. Come resistere in un mondo dove tutto si
paga? Le poche gioie che vi restavano da regalare e da regalarvi, voi
incominciate a valutarle, a calcolarle, a pesarle sulla bilancia dei
rapporti di forza.
Per finirla con la meschineria delle abitudini borghesi, si sono visti di
quelli che pretendono fare la rivoluzione, celebrare le antiche forme
dello scambio, come se non fossero altrettanto ripugnanti. Dov'è la
bella gratuità del potlatch, quando il donatore recupera in potere, in
gratitudine, in prestigio, quei doni che ha elargito con tanta
prodigalità! E la fraternità fondata sul sangue, sull'aiuto reciproco,
sull’ideologia solidaristica, non si tratta sempre del dono ridotto a
sacrificio, il prestito ad interesse sotto cui la religione ha soffocato la
gratuità?
Anche la soddisfazione di fregare lo Stato, un padrone, un
commerciante non ricompensa che miseramente l’interdizione generale
della gratuità.
Quando capiremo che tutto ci appartiene, quando ammetteremo che
non esiste alcun motivo - se non economico - per essere sottratti alla
fruizione dei piaceri della vita?
Non voglio più soddisfazioni che consolino della vita assente. Ciò che si
fa per mancanza è mancato in partenza, perché non esiste miseria che
non si lasci comprare o vendere.
Il prezzo uccide la vita. Una cosa ti piace? Perché non distruggi quello
che si frappone alla sua gratuità? Bottegai di tutte le specie, non
sentite riecheggiare per le strade l’avvertimento “ chi paga
rompe”?sta!
Bere di una sete insaziabile alla « coppa della vita » è la certezza
migliore che la coppa non si svuoti mai. Lo sanno i bambini che
prendono tutto per offrirlo a caso. L'esuberanza sensuale anima il loro
mondo, prima che l’imperativo economico incominci il suo conto alla
rovescia del vissuto; prima che imparino il senso della dualità, e non
siano stati iniziati a meritare un dono, ad esigere il dovuto, a
ricompensare un guadagno, a disprezzare la moneta spicciola, a
ringraziare chi gli toglie una per una le bellezze della vita senza
contropartita.
Così vanno gli appassionati, queste creature rinate a se stesse. Gli
amanti prendono e danno tutto: senza aspettarsi niente di riserva.

E’ il gioco di chi offre di più senza aspettarsi niente di ritorno. E
l'amore non smette di rafforzarsi, attingendo nuovi godimenti dai suoi
stessi languori e struggimenti. Senza misura e senza prezzo, senza
pari è la sua intensità. Sazia di non saziare mai gli assetati di piaceri.
Se la casualità degli incontri mi offre il tuo amore e ti offre il mio, non
ridurre a uno scambio solo attraverso falsi accorgimenti. Per amare ho
bisogno di essere amato? Ho imparato dunque così bene ad amare così
poco?
Chi non è ricolmo dei propri desideri non ha niente da offrire. Chi si

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comporta secondo un dare e un avere va lentamente verso la noia, la
fatica, la morte.
Io posso tutto nell’istante in cui non mi aspetto niente e non devo
niente.
Qualsiasi cosa tu mi chiedi rischi di trovarti a mani vuote. Ho più da
offrire a chi non si aspetta nulla da me.
Prendere tutto, finalmente, e dare tutto senza mezze misure, senza
scale di valori, senza paragoni, senza una bilancia sulla quale pesare i
pro e i contro, i diritti e i doveri, le verità e gli errori. Mettiti nella
condizione di offrire e mai di chiedere.
Neanche mille ragioni riusciranno a convincermi che devo rinunciare ai
desideri apparentemente irrealizzabili. Voglio conservare in me viva e
presente ogni passione. Essa scoprirà un giorno le strade della
realizzazione, invece, la rinuncia distrugge tutto quello che tocca. Dire
si alla vita non è più il sogno che una notte millenaria ha tenuto
prigioniera in un sonno eterno. Le priorità dell'economia soccombono
al primato dei desideri della vita. Lentamente si tesse intorno a me,
intorno ad ogni individuo in cerca dell'autonomia, la forza collettiva
della vita che sarà il sudario del vecchio mondo.
E se nel frattempo arriva la morte? Che importa, non voglio saperlo.

4 - La gratuità individuale aspetta al
varco l’occasione per passare alla
gratuità generalizzata.
La felicità non si paga, si strappa alla
società che la vende.

Siamo abituati ad aspettare, anche nei
piaceri più dolci, il giro di manovella, lo
scatto della ruota della fortuna, il conto da
pagare che il risultato infelice di ogni
sovversione è già incluso nell'avventura.
Pertanto, lo spirito di sconfitta e di
disperazione è sempre sul punto di
mordersi la coda come il cerchio vizioso


della merce. La passione della distruzione ha cessato di essere una
passione creatrice, ne e un semplice surrogato.
In fondo alla disperazione dove ci hanno trascinato le società
industriali, la gratuità comincia a farsi strada. Quando uno sciopero
delle cassiere libera i clienti del loro ruolo e li aiuta a prendere e a dare
senza contropartita, quando gli operai si mettono a distribuire le merci
dei magazzini, quando la gente rifiuta di pagare l'affitto, la luce, i
trasporti, quando l'esproprio abbandona la rabbia della disinibizione
per giocare alla distribuzione festosa dell'abbondanza, possiamo
domandarci se la proletarizzazione, attraverso lo scambio permanente,
non trascini con sé anche la sua radicale liquidazione.
Del resto, il lasciarsi andare alla gratuità appartiene alla tradizione
operaia. Se potessi tracciare una mappa geografica e storica della
volontà di vivere, per quello che concerne la mia vita e l'evoluzione

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sociale, segnerei, accanto alle trappole dove son caduto, i momenti di
intensità vissuta, gli angoli protetti dalle irradiazioni della merce, i
luoghi dove per il tempo di un piacere, sono riuscito ad annichilire
l'idra dell'economia. Ci metterei le città del Prat Llobregat che
bruciarono i soldi un mattino del 1932, le collettività della Catalogna e
dell’Aragona che sperimentarono l'autogestione generalizzata fin dal
1936, il rifiuto di pagare, che una nuova spontaneità oggi propaga. Vi
segnerei anche, infossate, le vittorie della burocrazia, le zone occupate
dalla classe dominante, i covi dei banchieri e dei poliziotti, le aree di
proletarizzazíone crescente. Si riuscirebbe a vedere come la gratuità si
organizza poco a poco intorno alle esigenze del godimento individuale '
come l'un l'altro si eccitino in un incredibile movimento di vita contro le
ombre mortali del potere e del profitto.

L'incendio di commissariati, caserme, prigioni, uffici delle imposte,
banche, soldi, fabbriche, mi rallegra meno per il risultato che per il
cambiamento di senso che si profila in simili azioni: mandare a pezzi
quello che impedisce di godere, non sopportare nessun ostacolo al
piacere. La distruzione per liberarsi ha fatto il suo tempo, non è più
che un omaggio di suicidi ad una società di morte, l'elemosina della pia
dama di carità di sinistra ai suoi poveri. L'emancipazione dei godimenti
porta in sé la gratuità, universale di cui perirà la civiltà Mercantile. I
rossi mattini m’importano meno della scintilla che li accende.

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CAPITOLO III



Il godimento implica la fine della
funzione intellettuale e dello stato.
L'intellettualizzazione è l'ultimo stadio
dell'espansione mercantile.
1 - I progressi dell'intellettualità
esprimono il progresso
dell'organizzazione come bisogno
prioritario dell'economia.

Dal diciannovesimo secolo alla prima metà del
ventesimo l'imperialismo mercantile si fonda
su due preoccupazioni dominanti: lo sviluppo
della tecnica e la conquista di mercati. Con l'apparizione del
capitalismo di Stato ciò che passa in primo piano e la necessità di una
organizzazione economica onnipresente. La merce investe il suo potere
in una amministrazione delle sue risorse dove essa tende a a prodursi
e ad allargarsi secondo un circolo chiuso. Condannata a realizzare fino
in fondo la sua propria astrazione, essa stessa esegue la sentenza
pianificando e burocratizzando la sua morte e la morte delle società
che la produce. La burocrazia è la forma concreta di questa astrazione
che svuota gli individui e loro sostanza umana e li riduce ad essere
nient'altro che l'ombra della merce. Essa è il rapporto pratico che lo
Stato intrattiene con se stesso cioè, con la parte di vita che annette,
controlla, governa. Gli ingranaggi dello Stato descrivono volentieri la
burocrazia come un'escrescenza assurda, un'ernia operabile con un
trattamento appropriato, un apparato grottesco che impedirebbe
un'organizzazione migliore delle cose. Ma essa è la realizzazione
perfetta dello Stato come pensiero come separato dal vivente, e niente
altro. Cos'è il pensiero così separato se non il prodotto del lavoro che
ciascuno è costretto a fornire socialmente e a spese della propria vita?
Dopo che la merce ha finito di espandersi, essenzialmente attraverso
le guerre e la colonizzazione, essa ha incominciato la conquista delle
province del vivente con un'arroganza accresciuta dalle procedure di
sfruttamento. Più si concretizza il suo bisogno di astrazione, più
diventa tangibile la sua astrazione. Il progresso dell'umano attraverso
la merce accorda a tutti la libertà di pensare, mentre il simultaneo
progresso della merce attraverso l'umano non accorda che la libertà di
agire secondo un pensiero separato. Il lavoro del pensiero è il pensiero
che fa lavorare. Ecco su cosa si fondano le nostre libertà! Attingendo
dalla vita una forza lavoro che poco a poco la esaurisce ognuno arriva
a svuotarsi della sua presenza viva, a perdere il suo corpo, a non
essere che un'immagine proiettata, sullo schermo del pensiero morto,

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dal film fantastico che gli presta le forme del vissuto. E molti stanno
ancora a battersi per la liberalizzazione delle immagini.
L'emancipazione intellettualizzata non è che un altro balzo nella
proletarizzazione. Il totalitarismo della merce si propaga attraverso la
testa.

Il partito intellettuale costituisce l'esercito di riserva della
burocrazia.

Con il pretesto e il privilegio di non lavorare l'aristocrazia esercitava
un'autorità che era in fondo un lavoro intellettuale. Al contrario, la
borghesia, vede nel diritto - acquistato a caro prezzo - di governare, la
vittoria dell'intelligenza sulla materia, la superiorità dell'intellettuale sul
manuale. La sua funzione dirigente non porta più il sigillo del divino,
ma si vuole « natura » pensante. Più il potere cibernetico assorbe il
lavoro manuale, come l'industria ha inghiottito l'artigianato, più vada
sé, che il lavoro generalizzato, all'insieme dei comportamenti, prende
la forma di un lavoro intellettuale. La funzione intellettuale è l'arma del
padrone. Lo schiavo che se ne impadronisce è catturato. La stessa
ragione che lo libera riproduce la schiavitù. Essa ha giustificato tutti i
crimini dello Stato: gli dei, la gerarchia, la morale le appartengono,
come tutto quello che perpetua il servaggio. Ma da essa sono nati
anche i miti insurrezionali di Prometeo e di Lucifero. Essa ha saputo
ridicolizzare convenientemente gli dei, lavorare al fallimento del sacro,
scalzare dal potere i signori, i padroni, i burocrati, è stata in tutte le
rivolte, ha risposto a tutti gli appelli della libertà. Non merita questo
ordine di cose che definisce la prospettiva del potere la sua
reputazione di essere allo stesso tempo la migliore e la peggiore?
Tuttavia, essa perde ogni ambiguità quando rivela la sua
partecipazione allo sviluppo contraddittorio della merce. Religiosa e
antireligiosa, nelle società agrarie, diventa ideologica e anti-ideologica
quando l'astrazione tangibile del denaro e del potere si allarga a tutte
le attività umane. Essa non cessa di attaccare e di consolidare il
sistema mercantile, di cui sposa il movimento di autodistruzione e di
rafforzamento. Alla fine dei conti, la classe burocratico-borghese ci
guadagna tanto a reprimere le idee sovversive che a tollerarle - finché
esse stanno separate dalla volontà di vivere. Il pensiero «
rivoluzionario » serve alla liberazione della condizione oppressiva che il
pensiero mantiene nel rapporto con il potere. Più chiaramente, la sua
natura di lavoro intellettuale ne fa la più astuta e la più moderna delle
repressioni, quella che si esercita in nome dell'emancipazione. Voi che
puntate sul progresso dell'intellettualità per accelerare la presa di
coscienza delle masse, proponete, nei fatti, al proletariato da sempre
condannato al lavoro manuale, di migliorare il suo destino diventando
lavoratore intellettuale. Eccovi qui a fare, senza saperlo l'elogio
dell'automazione, della cibernetica, dello spettacolo, dell'alienazione
autoamministrata. La peggiore intellettualità è quella che si rifiuta, che

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prende le parti del corpo contro la testa, oppone le forze oscure e
oscurantiste dell'io ai lumi della ragione, preferisce il lavoro manuale a
quello intellettuale come se non si trattasse di due momenti della
stessa dittatura del lavoro. Quelli che si aspettano dalla muscolatura
proletaria la verifica della radicalità del loro pensiero non sono molto
diversi dagli ufficiali che fan fare le battaglie alla soldatesca. Il loro
disprezzo dell'intellettuale esorcizza cinicamente il disprezzo che hanno
per se stessi. Essi si sacrificano nella migliore della tradizione stalinista
e fascista, al culto ambiguo del lavoro manuale e del lavoro
intellettuale, questa divinità cornuta che si insinua, fino alla
chiaroveggenza radicale, sotto il nome di teoria e di pratica. Il partito
intellettuale non finisce di crescere all'interno del proletariato. Esso
costituisce l'esercito di riserva della burocrazia. La canaglia spirituale
rimpiazza opportunamente la canaglia in sottana. Ha le sue ortodossie
e le sue eresie, le sue scomuniche e i suoi ecumenismi. Il lodare e
vituperare alternativamente la nullità studente riconvertita in critica-
critica e le teorie rivoluzionarie che un gruppetto dí pensatori fa
pascolare nel libero campo degli affari tenta invano di dissimulare che
la funzione intellettuale opera in ciascuno di noi e che ella ci
proletarizza e ci ficca nella testa il cuneo progressista del deperimento
mercantile. Accettare la funzione intellettuale come l'unica forma di
intelligenza, significa lavorare alla rimozione dei desideri della vita, a
reprimersi di più. L'illusione nata dai colpi inferti in passato al
capitalismo non è più all'altezza dei tempi. Ora, è essa stessa a darci
dei colpi più gravi ancora, perché ci spinge a separarci da noi stessi,
realizzando praticamente il progetto di autodistruzione mercantile.
Essa fa dell'emancipazione il misero approdo di una miserabile
rimozione. Pertanto, se la funzione intellettuale è l'arma essenziale
della classe dominante, essa arriva al proletariato, classe senza un
potere riconosciuto, come una intrusione dall'esterno; lo spirito che
governa questo lavoro manuale attraverso cui si definiscono, all'inizio
della loro storia, i proletari. Solo quando il proletario tenta di prendere
il potere invece di distruggerlo essa si trasforma in un'astratta
coscienza di classe, la cui interpretazione è riservata ai burocrati e ai
timonieri della liberazione proletaria. Ma come l'emancipazione si
rinnega passando per la filiera intellettuale, così, il sussulto della
volontà di vivere individuale, contro la proletarizzazione incombente,
offre a ciascuno un'arma radicalmente diversa per sbarazzarsi delle
attività separate dal godimento.

2. Il mondo alla rovescia raggiunge il suo
punto di rovesciamento possibile quando la
proletarizzazione per riflesso intellettuale
non ha altra via d'uscita che la morte o la
superiorità dell'intelligenza sensuale.
L'intellettualità cresce a spese della volontà
di vivere.

Poiché la divisione del lavoro si riproduce nella

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divisione del corpo, la separazione in schiavi e padroni ha fatto della
testa il ricettacolo del pensiero separato. L'apparire di una classe
intellettuale e di una classe manuale ne hanno fatto diventare il luogo
del potere che controlla e ricaccia la sessualità nel resto del corpo. A
giudicare dal culto delle teste tagliate, sacerdoti e capi, fin dalle origini,
sembrano aver vissuto concretamente questa separazione dal corpo.
Non so cosa sia la morte naturale, ma la morte che noi conosciamo
nasce nella culla del potere gerarchico, con la castrazione economica.
Per molto tempo è durato il costume di decapitare i condannati
appartenenti alla classe superiore, mentre i colpevoli provenienti dalle
classi inferiori - questi bassifondi libidinali che costituiscono il « corpo
laborioso » dello Stato - sono pubblicamente appesi per il collo e
subiscono lo strattone fino a svuotarsi, con una specie di orgasmo,
della vergognosa materia che li compone, sperma, urina, escrementi.
A questi sistemi rozzi si avvicinano, ancora i torturatori in camice
bianco, gli psichiatri, gli educatori,quelli che usano gli elettrodi;è con
più finezza, ormai, che l'astrazione crescente che ci guida ci prende
per la testa e ci svuota della nostra sostanza umana. La razionalità
nevrotica e le sue crisi di disinibizione «bestiale» e assurda sigillano la
nostra epoca di gulag umanista con il marchio della lacerazione finale
del corpo.

Il sistema cervicale si è modellato sul sistema mercantile.

Esso traduce in meccanismo di potere l'organizzazione astratta
dell'economia, catalizza la reazione di scambio in cui la vita si
trasforma in lavoro. La testa diventa così il luogo del corpo estraniato
da se stesso. Più bisogno di comandare si identifica apertamente con
un lavoro, più la testa porta la parola dello Stato fino ai confini dei
territori non ancora controllati della vita. La società si riduce al
mercato, i piaceri diventano un lavoro, il lavoro tende a
intellettualizzarsi, e la corazza muscolare, reprimendo gli impulsi
sessuali, mantiene la testa fuori dalla mischia e gli affida il
mantenimento dell'ordine. Come la normalità di un tale mondo non
potrebbe confondersi con una accolita di pazzi?
Stretta fra la testa che comanda, controlla, organizza, e il resto del
corpo che esegue gli ordini e blocca l'uscita dei desideri, la « lotta di
classe » riesce difficilmente a sfuggire la trappola dello scambio, essa
si dibatte nell'immobilità costitutiva del mondo dominato
dall'economia. E' l'equilibrio nel terrore dove ogni parte reclama per sé
il diritto all'insurrezione e alla repressione. Succede che il corpo
scoppia, esige i suoi divertimenti, le sue licenze esige il suo carnevale,
le sue sommosse. Cosa importa se continua a restare rigido, a
reprimere i suoi desideri, a filtrarne l'energia a vantaggio del lavoro.
Anche la testa sa prendersi le sue libertà, perdersi nelle stravaganze,
sprofondare, delirare, identificarsi al corpo con lo zelo dell'intellettuale
populista. Ciò che non sparisce mai è la separazione. Sia che vegli
sulla bestia apocalittica che dorme in noi o la liberi in un'orgia di
sfrenatezza e di sangue, la funzione intellettuale continua a riprodurre

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l'evoluzione della merce che si distrugge distruggendo la vita, una vita
che essa identifica scientificamente con la malattia da cui vuole
assolutamente guarirci. Le nevrosi del potere non possono volere che
dei nevrotici a potere. Più risputiamo le medicine che teste rozze e
meno rozze son d'accordo a farci ingoiare, più si raffinano i sistemi per
farcele ingurgitare. Appena l'aspirazione al godimento minaccia di
espandersi, ecco arriva l'ideologia psicosomatica ad affermare che
«l'organico e lo psichico costituiscono una unità i cui termini sono
indissociabili», ma per farci ignorare meglio l'origine della separazione
e i mezzi per combatterla. Lo stesso vale per il culto della sensazione
che si allarga quanto più si riduce a una astrazione a una immagine
mentale. Mentre la vita si ritira fino ad essere una forma vuota, il
sensualismo fiorisce sulla sua dove il piccolo uomo avido di guadagni
viene a celebrare l'odore del fieno tagliato e della frutta matura. Piu il
godimento è una questione dì testa, più si parla di culo.

L'emancipazione che parte dalla testa si porta dietro la sua
propria putrefazione

Chiamo intellettuale non l'individuo che usa la testa più delle mani, ma
chiunque lavori a rimuovere i suoi desideri dalla vita. L'intellettualità
non si misura con il grado di sapere, di erudizione, di scienza, di
discernimento d'intelligenza. Essa non traccia un confine fra, da una
parte, il pensatore, l'artista, l'ideologo, il critico, l'organizzatore, il
burocrate, il capo, e dall'altra, l'operaio, il manovale, il pugile,
l'ignorante, il contadino, il macellaio, il bruto, il militare. E' presente in
ciascuno, perché traduce l'ancoraggio dell'economia nell'individuo,
come la cultura, in senso lato, lo impone alla società. La funzione
intellettuale appartiene ai meccanismi di rimozione e di disinibizione.
Porta fatalmente il marchio della trappola, del non-superamento, della
peste delle emozioni, del cambiamento nell'immobilità. Il godimento
essa lo vede solo a rovescio, con lo sguardo dell'impossibilità a godere,
non vi scorge che un'illusione destinata a mascherare la vera
mancanza di vita. L'intellettuale è l'individuo proletarizzato
dall'inflazione cerebrale della merce, dal lavoro che produce il pensiero
diviso dalla vita. Egli arriva alla comprensione degli esseri e delle cose
attraverso un gioco di tramoggie funzionanti per compulsione ed
espulsione, e questo genere di comprensione è tipico del mondo
dominante, della merce che si nega e si rafforza. Non capisce niente se
non per necessità, costrizione, ragione esterna; perché è vero, perché
bisogna, perché questo è l'ordine perentorio venuto dal cielo delle idee
che insieme venera e maledice.

Partire dalla funzione intellettuale, vuol dire prendere la direzione
opposta dei desideri, reprimere la volontà di vivere per la volontà di
potenza, che ne è l'inversione. Il proletariato, che subisce la parte più
faticosa del lavoro, è meglio attrezzato per farla finita con
l'intellettualità della classe dominante che l'ha organizzata e imposta.
La condizione proletaria gode del privilegio di poter rifiutare i capi, ma

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questo rifiuto riproduce il principio che la comanda e serve solo a
lubrificare gli ingranaggi della burocrazia, visto che non deriva
immediatamente dalla volontà di vivere di ciascuno.


Il linguaggio dominante è la riduzione
economica applicato al linguaggio del
corpo.

L'economia ha prodotto il suo linguaggio
producendo il lavoro senza il quale non potrebbe
esistere e sul quale si è modellata lentamente la
società. La trasformazione della vita in forza di
produzione si esprime necessariamente secondo
le forme astratte che ci svuotano della nostra
umanità. La comunicazione ufficiale è fondata
sull'inversione dei desideri e perpetua la nostra
alienazione radicale. Esiste, tuttavia, un infralinguaggio
che l'economia deve recuperare
giacché ha bisogno di conquistare le zone non
ancora controllate della vita. Intorno ai vuoti
oscuri del linguaggio del dominio, danzano affannosamente le parole
del potere. Quello che non possono definire, afferrare, nominare,
tentano di trasformarlo in "gratuità", vale a dire in assurdità, tentativi
maldestri, arretratezza, aldilà leggendario, sconvenienza. L'abisso da
dove salgono le pericolose pulsioni sessuali, l'antico potere patriarcale,
l'ha immediatamente equiparato alla bocca della donna, per la quale il
godimento è ancora un canto, un inno panico di cui la musica e la
poesia conservano il lontano ricordo. La saliva del linguaggio sensuale,
del linguaggio del corpo, si secca lungo la storia. La donna è, all'inizio,
il vaso malefico dove il potere tenta di imprigionare l'incomprensibile.
Le favole, la letteratura, la religione non la descrivono forse come
quella che parla troppo e parla per non dire niente? Essa non scambia
le parole, le getta a piacere. Chiacchierona, petulante, confidente,
indiscreta e infedele, simbolizza la parte oscura dell'umanità,
recalcitrante alle ragioni dell'intelletto, che rifiuta l'economia del
linguaggio in cui l'economia si esprime. Parola selvaggia, recuperata al
sacro soprattutto negli antichi riti: seduta su un treppiede, il sesso
aperto al di sopra del suolo mentre dalle crepe escono vapori sulfurei,
la profetessa lancia dalla bocca parole e grida giaculatorie che i
sacerdoti traducono ai loro clienti. Anche le streghe danzeranno nude
sotto la luna, bocche del cielo, fino al trance orgiastico nel quale
profetizzano. Più tardi, gli uomini, nella loro infinita accondiscendenza,
accrediteranno le donne di una qualità che si compiaceranno di non
avere, l'intuizione, un orecchio misterioso che capta le vibrazioni
occulte delle cose, una comunicazione che i criteri del linguaggio
economico giudicano naturalmente sottosviluppata.

Le donne hanno per lungo tempo diviso con gli artisti,i bambini e i folli,
il privilegio di gridare, cantare, piangere, gesticolare, dire qualsiasi

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cosa, tradire quello che non va detto. Dopo che l'industrializzazione le
ha emancipate all'inestimabile diritto di lavorare in fabbrica,
guadagnare un salario, dirigere un'impresa e comandare una divisione
aereo-navale - mentre gli artisti entrano nel funzionariato della
promozione culturale - non restano che i bambini e i cosiddetti malati
di mente ad esprimere confusamente le pieghe del linguaggio sfuggito
all'influsso della merce. L'intellettualità compie il filtraggio del
linguaggio con l'economia. Dal discorso quotidiano, fino ai gesti
impacciati nella peste delle emozioni, l'espressione e la comunicazione
si trasformano a loro volta in lavoro, un modo costrittivo di esistenza,
una astrazione del vissuto. L'aspetto critico e negatore della funzione
intellettuale ha così bene dimostrato la menzogna del linguaggio
dominante che ha finito per imporsi come verità. Ma la verità svelata
attraverso l'intellettualità non è forse la confessione spontanea
dell'autodistruzione mercantile? Che valore ha una verità intellettuale
che è d'accordo nel dissimulare la menzogna che la fonda, la sua
natura di lavoro, di separazione, di castrazione? Non è che la macchia
di sangue del mondo alla rovescia dei desideri di morte. La parola che
si « ammutoliva » per il suo silenzio e le sue falsità si modernizza
diventando la parola del consenso. L'inconscio è rivelato, ma a profitto
di una nuova oppressione, i gesti interpretati e commentati forniscono
i materiali per le altre requisitorie. Ognuno si fa trasparente per essere
meglio giudicato. Non bisogna ingannarsi sulle persone! Bisogna dire
tutto! Via dunque! L'era della franchezza e della trasparenza arriverà a
far rimpiangere la vecchia lingua biforcuta, l'ipocrisia del puritano e del
burocrate rivoluzionario. Là, la separazione era evidente, ora, invece,
la verità intellettuale ricostruisce l'unità della vita nella sua perfetta
astrazione. La dittatura delle parole su tutti gli aspetti del vissuto è
peggiore di quella del silenzio, perché la vita non ha niente in comune
con il linguaggio che le è imposto. Che approvi o no il mondo
dominante, il linguaggio ridotto all'intellettualità è sempre e solo lavoro
e, il suo rifiuto, lavoro di rifiuto. Per quanto radicale si creda, non si
dissocia dalla concrezione mercantile che ci distrugge. Tuttavia,
enuncia questo godimento che porta in sé la fine dell'intellettualità, sia
quando tenta di dissimulare la sua funzione repressiva, sia quando
cerca di definire ciò per cui mancano le parole. La lingua qui impiegata
non nasconde il suo intrinseco discredito. La critica che si rivolge
contro di sé non riesce ad evitare, sapendolo, il processo mercantile.
Del resto, non può distruggersi all'interno del suo stesso movimento.
E' alla soglia della vita, dove necessariamente si ferma, che aspetta
dalla vita, la sua distruzione. E' dall'esuberanza sensuale di ciascuno,
dalla realizzazione individuale dei desideri che aspetta la sua
sparizione. Ed è la sola possibilità che abbiamo di farla finita con le
parole e con i segni che governano il corpo e la società. Quando l'unità
del sentire l'avrà vinta sul pensiero separato, più niente sarà nominato
che non distrugga allo stesso tempo il nome.

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L'intellettualità parla la lingua della
castrazione.

E' sufficiente ascoltare la maggior parte delle
conversazioni: ordini dati o suggeriti,rapporti
di polizia, requisitorie da procuratori,
panegirici da avvocati. Nello sferragliamento
verbale del prestigio e dell'interesse, avere
l'ultima parola non nasconde più che si ha
l'ultima delle vite. La ferocia scaturita dalla repressione dei desideri si
libera in urla, polemiche, colpi di spillo e botte che non hanno altra
ragione di quella dell'economia che distrugge l'umano. Il linguaggio è
così compenetrato di una tale fatalità da paralizzare subito ogni
fondamentale rimessa in discussione del sistema mercantile. Più
lascerete che il linguaggio della volontà di potenza blocchi l'impulso
alla vita nella corazza muscolare, più vi distruggerete nel flusso di
emozioni negative, più subirete l'usura spregevole dello scambio che
emana da ogni incontro. Parlate di un film, di un amico, di una
avventura, di un avversario, di una futilità? Non sono che constatazioni
di elogio o di svalutazione nati dalle vostre rinunce; compensazioni
ambiziose o mortificate cercano di riempire bene o male il vaso rotto
delle vostre frustrazioni. A che pro fustigare i politicanti malati di virtù,
i giornalisti bugiardi, le vedettes radicali dello spettacolo
rivoluzionario? In lotta contro di essi con il loro stesso linguaggio, voi
vi associate con loro nei fatti, una comune castrazione dei desideri vi
unisce nel bene e nel male. A parlare per gli altri, mentre altri parlano
per me, come non perdere il senso della vita a vantaggio del
linguaggio che mi altera, come fare a tenere il filo dei desideri nel
groviglio inestricabile della loro inversione? Le chiacchiere pedagogiche
che cullano l'infanzia salmodiano la lezione delle tenebre e del terrore.
I racconti di morte, di malattie, di incidenti, di cataclismi, di miseria
quotidiana danno il tono su cui si modulano gli appelli alla rivolta e gli
inviti alla rassegnazione, la colpevolezza e i suoi esorcismi. Il
terrorismo del linguaggio familiare regna sulla vita intera. Questa
peste delle emozioni, questo mormorio patetico, questa ironia
congelata che ossessiona i discorsi, le frasi dette a tavola, le dispute,
le rotture e le riconciliazioni, tutto questo linguaggio della testa dove la
sessualità è investita in una mostruosa inversione ha,sotto la varietà
delle sue intonazioni, dei gesti e delle espressioni, un solo significato:
la castrazione iniziale. Ora, bisogna bene che il linguaggio che astrae
l'individuo da sé stesso, lo appende per il collo, lo confronta, lo misura,
lo scambia ad arbitrio della sintassi al potere, colpito dalla sua stessa
miseria, sveli il suo di qua e il suo di là, la volontà di vivere che, unica,
manca di un linguaggio riconosciuto. Questa funzione intellettuale che
ci trascina per la testa, noi la stiamo spingendo verso le sue ultime
difese, togliendole l'alibi della sua autocritica e piegandola davanti alle
porte dell'indicibile per farle gridare « chi vive? ». E' da questo grido
che verrà la sua distruzione. Chi vuole veramente essere innamorato
di sé in un mondo innamorato di lui perde a poco a poco la sua

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esistenza intellettuale, non esiste più niente nell'ordine del linguaggio,
perché godendo, egli cessa di lavorare. Una persona gelosa,
autoritaria, avara può ben capire e rimproverarsi questi odiosi
atteggiamenti, tuttavia, non cambierà, ma vi si attaccherà attraverso i
tormenti masochisti della cattiva coscienza e l'astuzia sadica della
menzogna. Quando l'autoanalisi gli riveli, sotto l'angoscia e le voluttà
che prova, i piaceri della vita che lì si nascondono rovesciati, eccolo
giunto al rovesciamento di prospettiva. Qui si arresta l'autodistruzione
della funzione intellettuale, qui si arresta il Libro dei piaceri. Qui,
ciascuno è libero di accontentarsi della sua preveggenza e morirne, o
di accordare all'impulso dei suoi desideri l'energia abitualmente usata
a vessarli. L'ultima pratica dell'intellettualità è d'indicare quello che
non può raggiungere, la vita intorno alla quale essa si stringe e che
nondimeno la distruggerà.

3 - La storia sul punto di rovesciarsi passa per il punto di


rovesciamento della storia individuale.
La funzione intellettuale è l'intelligenza strappata ai piaceri
della vita e rivoltata contro di essi.


Dietro i vostri discorsi e i vostri gesticolamenti
sta seduta la vita che ride di tanto sforzo.
Mentre la voce declama e i muscoli ne
puntualizzano gli effetti, i desideri repressi si
vendicano, come un auditorio che s'accorga
improvvisamente di essere preso in giro. Il
viso che arrossisce è la parodia dell'erezione,
le dita che girano e rigirano l'anello dicono
che un piccolo abbraccio vale più di un grande
proposito, i piedi s'incrociano e si sciolgono
approvando la suggestione delle dita, mentre
il ventre mescola ironici gorgoglii alle urla della volontà di potenza.
Ascoltate, di un interlocutore, anche l'eco lontana che parla contro di
lui. Il mondo dell'apparenza è un teatro di nevrosi, le labbra atteggiate
al disprezzo, i tics del prestigio, il portamento del corpo, l'occhio
autoritario, i tratti induriti, la voce impostata, tante porte sbattute sui
desideri della vita, tanti nodi scorsoi stretti attorno al godimento, tante
future decompressioni in inchini di umiliazioni, apatia, stanchezza,
rabbia autodistruttiva. Ridicole nebbie, non basterebbe un solo istante
di vera felicità per dissiparvi?

Siamo andati così lontano nella disperazione che davanti a noi non
abbiamo che la vita da risalire. Non sentite come i piaceri incominciano
ad agitarsi sempre più frequentemente contro la dittatura del denaro e
della testa? Da tempo la sessualità strizza l'occhio dietro i giochi di
parole, le fantasie dello sguardo, le risonanze e le omofonie. Fiabe,
paesaggi, segni e messaggi indescrivibili infilano le perle di un
erotismo rimosso. Non c'è niente che non si accoppia e non si
accarezzi, ma lo schermo della rimozione non lascia vedere che


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l'allusività lasciva del puritano, la miserabile salacia dell'amore
frustrato. Mi piace pensare che un tempo l'intelligenza sia stata la
mano e lo strumento dei desideri, la chiarezza del loro soddisfacimento
confusamente ricercato. Sui sentieri della chiaroveggenza sensuale si
sono sovrapposte, fino a cancellarli, le vie del commercio tracciate dal
lavoro e dal profitto. La pratica istintiva e rozza delle prime età
dell'uomo non ha forse subito con lo strumento prodotto dalla sua
creatività, una evoluzione parallela, la trasformazione degli uomini in
padroni e schiavi che va di pari passo con il recupero economico degli
oggetti inventati nel gioco dei desideri? Così, si vede la famiglia
castrare l'intelligenza sensibile del bambino per applicarla al lavoro,
all'educazione, alla produzione. Rifletti!, dice lo specchio della volontà
di potenza al bambino -sii ragionevole!, insegna la ragione economica.
Dove hai la testa?, chiede allarmato l'intelletto prendendo il controllo
del corpo? Strappata alla sessualità globale, la chiarezza sensuale, che
cresce con il risveglio dei primi desideri, passa al servizio dello scambio
generalizzato, diventa l'intellettualità che reprime, dirige, capovolge le
pulsioni della vita. Questa che voi definite intelligenza, questo prodotto
misurabile, testabile e giudicato per il suo rendimento, a me pare solo
rimozione delle passioni e allenamento alla produttività. La vera
intelligenza, quella che nasce dall'autosoddisfazione dei desideri, se ne
prende gioco. E se è davvero che ciascuno ha la stupidità delle
rimozioni - perché non c'è altra stupidità - allora, l'intellettualità è
davvero la stupidità dell'intelligenza sensibile, sensuale, sensitiva.

La supremazia del godimento innesca la fine del pensiero
separato.

La funzione intellettuale lavora, l'intelligenza dei desideri crea. Non
voglio altra lucidità che quella nata nella ricerca dei piaceri, affinandosi
dalla spina alla rosa, coltivando l'esuberanza sessuale nell'ordine delle
soddisfazioni senza numero. Che me ne importa dei vostri libri, delle
vostre dispute sapienti, delle vostre arti e delle vostre decorazioni dello
spirito? Che me ne importa della conoscenza, della curiosità, della
scienza, della coscienza se non riescono a completare i miei godimenti,
liberare le mie passioni, nutrire la mia volontà di vivere. Ogni volta che
dei gruppi si sono formati non sulla realizzazione e l'armonia dei
desideri individuali, ma su uno stesso modo di pensare, la società
mercantile non ha dovuto alzare neanche un dito per recuperare quello
che vi si elaborava. Per quanto a loro agio si trovino in tutte le teste, le
idee sono sempre nell'orbita del potere, e tutte si portano appresso la
loro putrescenza finché ignorano che solo il godimento può
distruggerle attraverso il loro superamento.

La funzione intellettuale deperisce ormai per ipertrofia. Nell'estrema
astrazione che si è impadronita dei desideri, il punto di rovesciamento
è raggiunto nell'istante in cui comincio a desiderare di non possedere
altro linguaggio che non abbia lo stesso sapore del godimento, come
accade per certi vini che si odorano e si commentano ancor prima di
gustarli. Io voglio, invertendo l'ordine delle priorità, soggiogare il

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lavoro del pensiero a quello che per lungo tempo esso ha considerato
futilità, piccole cose. Un sogno, un ricordo fuggente, un'impressione,
una gioia fugace, una carezza piena di emozione, ecco cosa voglio
cogliere in tutta la loro lucida trasparenza. Continuo a rimanere bene
al centro della mia storia individuale, e ho coscienza di preparare
l'eliminazione, oggi storicamente possibile, dello Stato e del suo
pensiero separato onnipresente. Esiste un'alchimia da cui ciascuno si
sente misteriosamente attratto, e che la scienza ha nascosto sotto i
suoi imperativi. Essa cerca una irradiazione irriducibile alle radiazioni
mortifere della merce, l'irradiazione della vita. Come intendere ragione
quando il piacere è là? L'antenna dei desideri non capta che ciò che
vuole ardentemente. La volontà di godere di tutto mi appassiona
troppo perché mi possano fermare le parole che tentano di fissarmi,
definirmi, giudicarmi, farmi più grande o più piccolo a seconda della
illuminazione variabile del potere dominante e dei suoi poteri di
ricambio.

Chi va per la sua strada in cerca di tutte le soddisfazioni senza prezzo
impara presto ad evitare le trappole, e si libera senza fatica di questi
«tu devi », « tu non puoi » che ci feriscono tutti i giorni in mille tagli
velenosi. Quello che porta avanti un simile gioco non è il volontarismo
del rifiuto, ma la sensibilità epidermica del « io voglio », « amo », « mi
piace », « non mi piace », « ho una gran voglia », la musica della
profusione dell'io, la pulsione a voler vivere, il turbinio dei desideri
dove son trascinate le parole vuote, la misura, il giudizio, il confronto,
la svalutazione, lo scambio.

Le rare società dove sussiste un primitivismo della merce hanno
conservato una impronta più vivace dell'intelligenza sessuale. Succede
che le mani guariscano, che uno sguardo incanti, che una parola
sussurrata oltrepassi i fiumi, che un desiderio rovesci leggi ritenute
immutabili, che dei segni riescano ad ammaliare piante e animali. Chi
parla di poteri sovrannaturali? Si tratta solo di un incontro con la
natura, ma un incontro che la « seduce » senza ridurla, come fanno le
mentalità industriali, ad oggetto di lavoro. Il corpo civilizzato agonizza
in una galvanizzazione che lo riduce a una fabbrica di muscoli, nervi,
sforzi, sport, rendimento, di asetticità, di estetica, di vergogna,
tortura, nevrosi, di esperienza sado-medica. Tuttavia, il suo doppio
linguaggio non smette mai di diffondere i messaggi contraddittori della
vita e della morte. Sotto il peso dell'angoscia, della paura, della
repressione, la gabbia toracica si rinchiude, e il cuore, che è il suo
uccello, si dibatte contro le sbarre e cessa di fremere. Al contrario, nel
respiro della felicità, nello slancio della passione, il cuore dispone di
tutto il corpo per spassarsela e il suo battito risuona dappertutto. Il
cuore imprigionato è auscultato, appartiene al medico. Il cuore
appassionato riempie lo spazio vissuto ed echeggia come l'organo di
una fantasia che si moltiplica in una eco. Così sarà di tutti gli organi
del corpo. Sappiamo che la mano che lenisce un dolore, crea, carezza,
gioca, incita a godere vincerà presto la mano ridotta alla merce che
manipola; che l'intelligenza cesserà d'identificarsi alla funzione

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intellettuale. Se è vero che il cervello lavora a un terzo delle sue
capacità,non è proprio perché lavora,perché è stato tagliato da corpo e
irregimentato nella testa? Lasciate che si pieghi all'avanzata dei piaceri
e si unisca all'impulso sessuale,e avrete la sensazione che stiamo
cercando l'intelligenza superiore della nostra animalità.

4 - La fine dello Stato e la fine dell'intellettualità sono
inseparabili.

L'intelligenza sensuale creerà la società
senza classi.

Come potremo eliminare i capi se non ci
sbarazziamo della funzione intellettuale, se non
scacciamo il rappresentante permanente del
lavoro che si muove nella testa di ciascuno? Il
rifiuto che non proviene dalla volontà di vivere è
un nuovo rifiuto di vivere. Abbiamo troppo a
lungo preso gli uomini e le cose dalla parte
sbagliata, cioè proprio nella direzione in cui
abitualmente ci aspetta o per colpirci, per
ammazzarci. Solo il vivo mi appassiona, non


l'astrazione che lo uccide.

Il rovesciamento di prospettiva improvvisamente rivela all'incontro dei
miei desideri il grazioso movimento di una piccola pietra, di un viso, di
un'atmosfera, di un paesaggio, di un libro, di una sonata o di una salsa
sbattuta. Perché continuare a trattare sotto forme disincarnate, ostili,
indifferenti, un mondo che il fascino dei godimenti possibili ha il
privilegio di liberare dalle tare della merce? Contro la produttività delle
cose e delle persone, contro la falsa gratuità contemplativa che ne è il
completamento, lentamente la prospettiva del potere ha obliato nel
cuore delle pietre, degli alberi e degli uomini. Nel suo irrompere
imprevisto spariranno l'economia e gli Stati, mentre emergerà la
società dove la ricchezza tecnica è al servizio della ricchezza dei
desideri individuali. Questa è la lotta collettiva che la merce e i suoi
storpi si rifiutano di veder montare contro di loro.

La nuova sensibilità annuncia un mondo nuovo. L'intelligenza sensuale
dà forma alla fine definitiva del lavoro e delle sue separazioni. La vera
spontaneità è propria solo dei desideri alla ricerca dell'emancipazione.
Essa dissolverà l'incubo millenario dell'economia, la civilizzazione
mercantile con le sue banche, le sue prigioni, caserme, fabbriche, la
sua noia mortale. Presto costruiremo le nostre case, le nostre strade
riscaldate, i nostri percorsi labirintici in una natura riconciliata con la
mano dell'uomo. Avremo delle regioni fetali, dei posti d'avventura,
dimore ispirate e fluttuanti, altri tempi, dove l'età non avrà più senso e
il reale non avrà limiti. Inventeremo dei microclimi varianti secondo gli
umori, e dimenticheremo l'epoca in cui, la burocrazia scientifica,
perfezionando le armi della distruzione meteorologica, ci trattava da
utopisti. Perché la spontaneità ha l'innocenza di cancellare questo

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passato terribilmente presente dove niente di ciò che uccide è
impossibile, e dove tutto ciò che incita a vivere è tacciato di follia.

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CAPITOLO IV


Il godimento implica la fine della
colpevolezza e di ogni società repressiva

1 - La vita è il crimine inespiabile di cui la

società mercantile perpetua il castigo.
Ciò che è legato alla costrizione è
necessariamente colpevole.

Come potrebbe essere esente dal rimprovero ciò
che si scambia? Come potrebbe una società
fondata sulla reificazione del vivente non
considerare colpa il semplice fatto di essere
umani? La colpevolezza appartiene


all'organizzazione economica della vita come un
debito pubblico insolvibile per la bilancia dei pagamenti. Della vecchia
credenza dei castighi divini è rimasto solo il suggestivo meccanismo.
Se il lavoro intellettuale è avanzato nella lenta erosione di un aldilà
mitico, di cui la merce non approvava più l'utilità, ha conservato, come
ultimo accessorio del teatro ideologico, lo schermo e l'apparecchio da
proiezione di cui i preti si servivano per soggiogare le folle.
L'intellettualità porta in sé la sua propria lusinga e la sua colpa di baro
impenitente. La nascita è il peccato che solo la morte può espiare.
Questa colpa originaria che fu il nodo centrale di tutte le religioni, la
rapina graduale dell'imperialismo economico ce la mostra ormai nella
sua nudità di carne cruda: è proprio la vita che il potere non riesce a
mandar giù, il godimento che non ha contropartite. Essa totalizza
l'energia che gli uomini sono costretti a contabilizzare in forza lavoro e
che rimborseranno fino alla fine dei tempi economici, quando la loro
sparizione estinguerà l'atto all'incasso. Mentre l'autodistruzione
mercantile si erige a progresso contro la barbarie del suo passato, la
severità delle pene, come la tortura e la pena di morte, diventano
derrate di contrabbando, ma la legge democratica che le condanna in
nome dei diritti dell'uomo è la stessa che ne approfitta facendole
opportunamente pagare. L'antica colpa collettiva dei miti religiosi e
delle grandi ideologie si è così ben sbriciolata al ritmo dello
sbriciolamento sociale da lasciare oggi gli individui a tu per tu con il
sentimento personalizzato della loro colpa. L'autocolpevolezza è la
persuasione clandestina di un mondo dove tutto si paga, dove ci si
offre a chi ci tortura e ci uccide. Essa abita in noi, nel modo peggiore,
come funzione intellettuale, come dovere di scambio incessante, come
la tara interiorizzata dell'economia. Le sue lezioni reiterate insegnano a
scavare quotidianamente la tomba dei rimpianti con i piaceri repressi
dal profitto e dal potere. Ignorarla, distruggerla parzialmente,
esorcizzarla non fanno altro che darle nuova sostanza.

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L'educazione si fonda sulla paura di godere.

La necessità di produrre, di essere redditizio, di servire a
qualcosa,cosa ha di meglio per gettare una proibizione sul godimento
di sé? Fuori da l'esperienza sensuale dove ciascuno si istruisce da sé,
quale altro sapere conoscete voi che non abbia inculcato il tono
minatorio, l'obbligo, il ricatto al merito, all'interesse, al futuro, al
prestigio? Quanti testi imparati a memoria, regole ripetute
faticosamente, cronologie e teoremi impregnati di dissimulate
incitazioni all'obbedienza, al comando, al rispetto e al disprezzo! Che
bel sapere e che bello spirito pagati al prezzo di amare chi ben castiga.
Quello che mi è stato insegnato con le minacce mi resterà sempre
ostile. Il desiderio represso s'irradia di terrore, ha l'espressione dello
sgomento davanti alla vita che si fa più serena, allo slancio della
voluttà, alla passione che sorge dal ventre come dalle profondità della
terra, del mare, delle foreste. L'odioso lavoro copre di malefici i
desideri che ricaccia nella notte e nei suoi sogni. Quello che si
dovrebbe amare diventa odioso. Il peccato di vivere istilla ovunque le
sue penose disinibizioni, libera l'immaginazione in preda ai mostri
dell'invidia inconfessata, il veleno del serpente fallico avvelena i suoi
cespugli di sogni vuoti, dal limbo materno nascono spettri, vampiri,
demoni vaginali e dragoni castratori che montano la guardia davanti
all'inferno del sesso da quando la menzogna del mondo alla rovescia
gli ha dato i colori della morte. Lo spavento è il sogno ordinario
dell'economia. Esso avviluppa la sessualità e non la rivela al giorno che
coperta di tutte le maledizioni della notte. Così, alla seduzione della
vita si mescola l'angoscia di sentire all'improvviso questa vita volgere
lo sguardo verso la morte. Come l'invidia, la gelosia, il risentimento, lo
spirito di vendetta riuscirebbero tranquillamente a usurpare le doti del
piacere. L'educazione ai godimenti invertiti va contata fra i maggiori
benefici della famiglia e della scuola. Essa garantisce la servitù dei
popoli meglio di una legione di assassini col passamontagna. Sotto
l'uniforme militare esiste alle volte una piccola scintilla di vita capace di
illuminare il robot, ma il brivido della paura è peggio della morte, è il
rifluire della vita che si svuota. Ovunque avanzi il potere, agisca il
prestigio, si affermi l'autorità, si spande il tanto di decomposizione dei
piaceri angosciati e della felicità colpevole. Voi conoscete questo tanfo
delle budella che si torcono e si rilasciano, questi sudori di odio, di
disprezzo, di esami, di malattia, di ufficio di direzione, di
commissariato, di chiesa e di prigione. E'l'odore dell'agonia, l'odore
della sopravvivenza. Una società fondata sullo sfruttamento della vita
trae le sue risorse dal timore che le è immanente. La paura si prepara
oggi a ripartirsi democraticamente fino a questo stadio di
burocratizzazione "spontanea", quando essa busserà al cuore di tutti
come un fremito di vita.

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Il dolore è il prodotto della colpa.

Il mito ebraico che racconta come Adamo ed Eva per avere goduto del
gioco della mela e del serpente avrebbero condannato l'umanità a
partorire con dolore e a lavorare con sudore ha divertito generazioni di
spiriti forti prima di diventare una realtà che non fa più ridere nessuno,
diventare una tirannia economica che tutte le mattine tira fuori gli
uomini dal letto per castrarli alla catena. Nessun ciarpame leggendario
dissimula più ai nostri occhi la ferita inflitta alla vita; quel che
tocchiamo è sporco del suo sangue. Non c'è sofferenza che non
provenga da questa aggressione primordiale, presentata con gran
cinismo come l'effetto della nostra colpa. L'educazione non ha altro
scopo che ravvivarne la memoria nel bambino e, siccome ormai
l'educazione è permanente, l'antica rassegnazione alla fatalità della
morte lascerà presto il posto alla tranquilla coscienza del suicidio
meritato, per il più gran profitto dello Stato burocratico. Che appaia
finalmente una società radicalmente nuova, distrugga l'economia, e
armonizzi i desideri, e io dico che sparirà l'unica vera sofferenza, la
sofferenza dell'autodistruzione, la sofferenza della morte consentita.
Invece dei tormenti dell'angoscia, delle torture, dell'abbandono
esistenziale, le braccia rotte, le coliche nefritiche, l'asma, il cancro,
dovremo ciascuno provare le assenze capricciose del piacere, le
malinconie inattese, i passi falsi della fatica che accompagnano nei loro
giri il percorso sinuoso dei desideri, le contraddizioni, insomma, che
solo le compulsioni del dominio confondono con l'euforia suicida, la
felicità nelle torture e nelle feste funebri, dove la morte regola, per
saldare tutti i conti, il prezzo pagato all'inversione della vita. La
credenza imbecille che vede nella sofferenza e nella prova una tara
eterna non è che la credenza nell'eternità della civilizzazione
mercantile. Voi continuate a vivere con essa, a imporvi le economie
che il sistema impone alla vita, a subire un'esistenza meschina e vuota
dove, in una miseria crescente, si alternano i ruoli quotidiani
dell'onore, della dignità, della virtù, del sacrificio, del merito, e i loro
contrari. Il suo riflesso inibitorio è così fortemente abituato a snervare
il desiderio che non esiste felicità senza la paura di un rovescio, non un
successo senza l'inquietudine di un insuccesso di ritorno, non una gioia
senza pena, come se la pioggia dovesse pagare l'assicurazione del bel
tempo!

La colpevolezza è legata al non rispetto fondamentale dello
scambio: non rinunci mai abbastanza a te.

E' la ragione per cui, sempre e ovunque, tu sei colpevole. Colpevole di
non lavorare, di lavorare, di essere ricco e di essere povero, di godere,
di non godere, di non far godere, di riuscire, di fallire, di vivere, di
morire. Le circostanze, l'età, la moda, il per cosa, il per chi, tutto
quello che ti strappa alla volontà di vivere per allinearti nella
prospettiva del potere, ti scaglia da un posto all'altro, dalla condanna

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all'assoluzione. Il livello di repressione libidinale di un'epoca ha potuto
misurarsi ai disastri della peste, ai progressi del cancro, all'isteria del
suicidio collettivo che spalancava le braccia di entusiasmo davanti alla
guerra, ai massacri, alle crociate, alle ideologie nazionalistiche,
fasciste, staliniane. Adesso che la disgregazione dei grandi sistemi
funebri del pensiero impedisce ai popoli di darsi ancora in olocausto ad
un potere identificato alla loro volontà di morte, lo slancio suicida si è
interiorizzato in un uso particolare del lavoro e della noia. Lo stringersi
progressivo della garrota economica lascia in bocca un sapore di morte
che è il sapore dei piaceri della sopravvivenza, del godimento forzato,
della festa obbligatoria, della felicità a cottimo, così come si vendono
porta a porta sotto l'etichetta « divertitevi da morire ». La coscienza
colpevole ossessiona la miseria individuale come una vergogna mai
sazia del piacere amaro di distruggersi. Ogni destino porta in sé la
punizione per non essere abbastanza scambiato;di non rinunciare alla
gratuità dei desideri. All'angoscia permanente di non pagare il dovuto,
e di non essere pagata della sua pena, la morte aggiunge l'evento
finale, l'orgasmo congelato nel corpo finalmente ridotto alla pura
putrescenza della merce. Morte e colpa sono lo sguardo dello scambio
obbligatorio, il colpo d'occhio pietrificante che l'economia getta sulla
vita che non le apparterrà mai. Come stupirsi se lo sviluppo della
medicina coincide con quello della borghesia. Essa lenisce e trattiene il
valore punitivo della malattia, come i preti trattenevano e alleviavano
la colpa collettiva. Solo i rituali del sacrificio sono cambiati.
Se i torturatori hanno con medici la meritata fama di essere i migliori
conoscitori del corpo umano, è perché, a dispetto degli scopi
apparentemente diversi, essi praticano insieme al disprezzo del corpo
il disprezzo dei piaceri che gli appartengono. Il loro culto glorifica il
meccanismo vitale come macchina economica. Il corpo adatto al
rendimento è la vittima eletta di
un dio-profitto la cui dottrina sostiene che non si serve senza dolore.
Ora, mentre i piaceri rovesciati in lavoro finiscono di spegnere il
vivente a beneficio del pensiero, la fine dei medici si annuncia sicura
come quella dei preti, perché partecipa al progresso dell'economia,
della realizzazione della merce. A che servono dei mediatori dal
momento che ognuno ha imparato da solo a coltivare i suoi ruoli e le
sue nevrosi e a comportarsi in «autonomia », come insegna il potere e
la coscienza di sé, da medico, torturatore, economista del proprio
corpo?
L'agonia comincia con la riduzione progressiva dell'umano al processo
mercantile, con l'anemia graduale della volontà di vivere. Gli avvoltoi
della colpa non son mai volati così in basso, né la sinfonia funebre che
vi ricorda la rimozione pederasta del gregoriano e l'impotenza
amorosa della musica romantica - è mai stata suonata così
funereamente sulla voglia di
farla finita una volta per tutte. E tuttavia, un altro canto si innalza, che
farà dimenticare l'aria della colpa e dei suoi maestri cantori.
L'innocenza è come la vita, non s'impara che fra le braccia del piacere.

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2. Il mondo alla rovescia tocca il suo punto
di rovesciamento possibile quando la
proletarizzazione attraverso la colpa non
ha altra via d'uscita che la morte o la
supremazia della nuova innocenza.
Non si lotta contro la colpa
colpevolizzando. Quello che non si fonda
sulla realizzazione della vita si fonda sulla
realizzazione della colpa.

Lo scambio implica, nella stessa misura, il
dovere di giudicare e il diritto di essere
giudicato. Voi incriminate la giustizia di classe
come se ogni giustizia non implicasse una
società di classe. Appellandosi all'equità, cosa di
meglio che
rivendicare una migliore distribuzione delle
repressioni e delle liberazioni, sottomettersi alla decisione di un lavoro
intellettuale, abbandonarsi alla saggezza di una funzione dirigente? La
vostra giustizia non è che un equilibrio di colpe, conosce solo colpevoli
e non colpevoli, interscambiabili a seconda dei tempi. Che bell'affare
scambiare una condanna contro un non-luogo a procedere, di pesare
da una parte o dall'altra della bilancia, quando la spada della giustizia
obbedisce al braccio del potere. Bisogna pagare, ecco il principio
universale che regge lo scambio. Pagare di più, pagare di meno,
importa poco. Non ne voglio sapere di stime sottili, di torti reciproci, di
positivo e di negativo, di meriti e di demeriti che non fanno altro che
tradurre il deperimento dell'uomo nel deperimento della merce.
Giudici e giudicati a che punto siete? All'interdizione del furto, del fare
l'amore, dell'emancipazione, del godere è subentrato l'obbligo
contrario. Colpevoli ieri di trasgredire il proibito, eccovi oggi colpevoli
di non trasgredirlo con sufficiente energia e coerenza. Un nugolo di
burocrati popolari ci circonda con la presunzione di voler rifiutare il
valore di scambio, ma ci fanno pagare, in contanti o a credito, i loro
odi e i loro amori la loro generosità e la loro meschinità, la loro
intelligenza e la loro stupidità.
Il discorso radicale ha proprio bisogno di compensare la miseria
vissuta. Sotto i proclami rivoluzionari, i processi alle intenzioni, le
minacce ridicole, e le lezioni di virtù, quanta impotenza di vivere, e che
fretta a rimproverarla agli altri per esserne assolti! Pettegolezzi da
portinaie, propositi da cattiva compagnia, lamentele della teoria
indignata, sputacchiamenti di filosofi dello spettacolo, tutto diventa
farina avariata nella macina della colpevolezza. Buon gioco a chi
prenderà su di sé le colpe più vergognose per purificarsi sopra
l'infamia generale. Una folla di procuratori senza mestiere non attende
che colpevoli d'occasione per procurarsene uno qualunque.
I treni, le strade, i caffè rigurgitano di magistrati in cerca di colpevoli e
di colpevoli in cerca di magistrati. Per questa gente che si macera

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dall'infanzia in una colpevolezza fecale, la grande arte consiste nel
restare a galla affondando quelli che passano vicino. Ecco l'umanità
della civiltà mercantile. Il miglior carnefice non è mai lontano.
All'occorrenza c'è un amico che ti fa la festa. Così insegna la giustizia
dello scambio. Quello che grida accanto a te alla fine dello Stato,
domani ti accuserà di non aver gridato abbastanza forte, e quello che
si dibatte nella sopravvivenza ti rimprovererà un giorno di essere un
sopravvissuto, anche tu. E' nell'ordine delle cose. Sbarazzarsi del
senso di colpa? Certo, esiste un rifiuto della colpa che appartiene alla
coscienza tranquilla e cinica del potere, alla sicumera della volontà di
potenza. E l'arbitrio del tiranno, il diritto del « più forte » a violare le
leggi, la pretesa de giudice di giudicare senza essere giudicati. E
proprio la caratteristica della pura merce quella di essere pagata senza
appagare a sua volta, d'essere valore di scambio senza valore d'uso. I
non-colpevoli per definizione mi danno la nausea. Le verità che hanno
sempre ragione non esprimono che le ragioni dell'economia. Il segreto
di una qualsiasi autorità è legato al rigore inflessibile con cui essa
persuade la gente di essere colpevole. Colpevole di non saper capire
un testo, una parola, una espressione, un'allusione, la strizzatina
d'occhio dello spirito fine. Merda! lo so di cosa parlo, sono stato
coinvolto talvolta in questo gioco imbecille, conosco la seduzione del
disprezzo ben dosato. Non è difficile prendere a schiaffi chi sente il
bisogno di scappare e di misurarsi agli altri. Se di nuovo cadessi nella
trappola delle vostre mancanze, dei vostri errori, delle vostre rinunce,
vedrei ancora una volta, questa, chiudersi sull'inutile scalpiccio che vi
porta dall'ignoranza servile, al sapere insolente, dall'umiltà del
discepolo alla tracotanza dell'iniziato, dal disprezzo di sé al disprezzo
degli altri, dalla dedizione d'imparare all'odio di quello che si è
imparato, perché non c'è niente che vi rende più ringhiosi dell'aver
capito fino a che punto detestate godere.
Chi ha esercitato il terrore deve restargli attaccato, oppure, esporsi,
per debolezza, ad accettare che gli si rivoltino contro quelli che l'hanno
subito senza batter ciglio, quando egli li trattava dall'alto. Quale
ridicolo nell'uno e nell'altro caso! Che tristezza nel piccolo uomo della
volontà di potenza: quello che non tollera negli altri è semplicemente
sé stesso. In lui il morto parla più forte del vivo, i muscoli induriti dalla
megalomania hanno la rigidità del cadavere. Egli si dà da fare, ora,
con la forza dell'inautentico, a non fallire la sua morte, a mettersi in
posa per la storia, e ha un orrore cosi grande per la pattumiera che si
è inventato come inferno, che passa il suo tempo a condannarvi gli
altri.
Un tale comportamento non mi è stato sempre estraneo, nel passato.
So ora di essere arrivato in fondo alla mia proletarizzazione nonostante
la rifiutassi con veemenza denunciandola in me e negli altri.
Colpevolezza e colpevolizzazione mi nauseano come tutto quello che si
paga e si scambia. I biasimi e gli elogi toccano solo chi non è capace di
vivere per se stesso e ha bisogno, per esistere, della stima e del
disprezzo degli altri. Non ho più niente a che veder con le messe sotto

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accusa, con le assoluzioni, insomma, con ogni genere di processo. Non
me ne frega niente se qualcuno sa ancora essere
giudice integro con me. Nego da subito ogni potere, ogni autorità che
voi vorreste accreditarmi per chiedermene ragione dopo. L'innocenza
non esiste? Sia pure, noi pure l'inventeremo. La riconoscerete al
passaggio dalla violenza naturale della gratuità.

3 - La storia ad punto di rovesciarsi passa
per il punto di rovesciamento della storia
individuale.

Esiste qualcosa di peggio del peggiore degli
errori, è il rimprovero che vi si
accompagna.

Gli elettrodi della merce sono in tutte le teste,
ma basta saperlo per staccarli ? Non mi fido
assolutamente dei nuovi elettrodi introdotti dal
rifiuto. Io non vedo, per farla finita con i riflessi
della paura, che il godimento senza
contropartita, l'espansione della volontà di
vivere. E' passato il tempo in cui trasferivo la mia colpevolezza sugli
altri. Avevo allora un registro dei miei odi e dei regolamenti di conti a
venire, non lasciavo indietro niente, conservavo ogni particolare nella
memoria per rifarmi, un giorno o l'altro, di quello che mi era costato.
Avevo pazientemente riposto la vendetta nel frigorifero delle mie
frustrazioni come vuole l'antica tradizione. Fino a capire che nessuno si
salva da un così miserabile progetto, che nessuno esce vivo dallo
scambio. Si acquisiscono riflessi da notaio, manie da giustiziere,
abitudini da poliziotto, si sguazza tanto nell'odioso da trarne una
specie di godimento. Così piace al potere.
Non voglio saperne di quest'ordine. Mi piace accarezzare un gatto
senza pensare al colpo d'unghia. Ho finito con la legge del taglione,
con i risarcimenti della mancanza di vita, con il comportamento
economicista. Mi diverto di questi pretesi rapporti umani, fondati
sull'oscenità dell'offesa e del perdono. Fottere gli stessi avvocati della
difesa che ripetono a gara che tutti possono sbagliare e avere diritto ai
loro errori. Ne ho abbastanza di un presente da
vivere per correggervi inopinatamente il passato. Se non mi preoccupo
assolutamente più di misurare, comparare, giudicare, non è per paura
di essere misurato, comparato, giudicato, come ama suggerire
l'intelletto con la sua traccia indelebile di colpevolezza. M'interessa solo
di abolire una società per la quale gli individui, colpevoli a priori di
voler vivere, sono condannati al peccato di godimento e assolti con il
lavoro che li riscatta e li uccide.
L'inclinazione per i piaceri mi preserva dai calcoli della convenienza,
dallo sguazzare nel disprezzo e le sue servitù.
Un po’ di vita basta a rigettare dal mio quotidiano il tribunale del


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merito reciproco e dei rispettivi torti. Il mio piacere non ha bisogno di
giustificazioni, autocritiche o rimproveri, grazie.

La nuova innocenza è l'autodifesa della volontà di vivere.

Non abbiamo conosciuto altra violenza che non fosse quella dello
scambio. Quella dell'intellettualità, della colpa, della separazione, della
rimozione e della disinibizione. Nel mesto movimento in cui la vita si
consuma, passando dall'aggressività alla frustrazione, la paura è
sempre stata l'elemento motore. Quale movente insensato ci obbliga a
pagare i beni prodotti da tutti per tutti, se non la paura di essere
sorpresi con le mani nel sacco e vedersi ghermire dalle vostre leggi,
dai vostri castighi, dalle vostre prigioni? La paura dei poliziotto é il
primo passo verso la bassezza.
La falsa gratuità della merce rubata si regola sul conto corrente
dell'angoscia e della disinibizione. Questa specie di piacere che si ha
non è che il sospiro della frustrazione, la vendetta tranquillizzante che
rende il sistema dominante un po' meno insopportabile. Lo Stato ci
guadagna quasi altrettanto con il favore di queste moderne olimpiadi
dove il terrorista lo sfida legalmente con questo cartello, « Ti farò
pagare cara la tua esistenza, perché son pronto a pagarla con la mia
pelle ». Ora, è da molto tempo che un tale mercato e un tale scambio
permettono alla merce di sopravvivere, precisamente cambiando pelle.
Adesso che, al colmo del ridicolo, la colpa si attacca al fatto di sentirsi
colpevole e di non scongiurare per principio ogni idea di colpa, l'unica
paura che ci abbia mai ossessionato sembra, in ultima analisi, la paura
fondamentale di godere. L'economia condanna così bene la felicità alla
ruota delle fortune incostanti che, vinca o perda, la distrugge
comunque. Ad ogni colpo di dadi dello scambio, si perde. Ciò che non
si fonda sulla emancipazione del godimento, sulla realizzazione di tutti
i desideri, ora o più tardi, ricade nel terrore che si agglutina al piacere
come il marchio indelebile del suo prezzo.
Non ci si abitua più facilmente alla paura che alla morte. Nessuna vita
può coabitare con una tale abiezione. E' per questo che mi guardo
bene dal buttarvi addosso l'angoscia che voi buttate addosso a me. Ma
non ingannatevi! Non penso a una rivoluzione pacifica. La mia
passione è per la violenza del superamento, per la violenza di una vita
che non rinuncia a niente, non a questa, che straripa per essere stata
troppo a lungo contenuta, si ripiega su se stessa e si morde la coda
con la rabbia di un cane legato alla catena. Se oggi mi assicuro che né
il risentimento, né la vendetta armino la mia mano è nella tranquilla
certezza che essa colpirà con più sicurezza all'appello dei piaceri. Il
fuoco dei desideri brucia meglio della torcia della rabbia e della
disperazione.
La violenza della gratuità non si economizza. Se uno mi dà uno
schiaffo sulla guancia sinistra, gli spaccherò la faccia prima di tendergli
la mano destra. Chiunque mi costringa, mi minacci, mi colpevolizzi,
non è forse mio nemico? Io voglio vivere la mia specificità, vivere fuori
dalla misura ordinaria, senza essere in agguato di ciò che mi aspetta

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all'angolo della via.
Se uccido chi mi reprime, sarà stato per una svista, in un impeto
gioioso, senza voltarmi.
Vi è più superba selvatichezza nell'essere mai appagato che in quello
che si sente frustrato da tutto e abbaia contro i piaceri degli altri. Il
primo conosce la furia del superamento mentre la rabbia impotente del
secondo perpetua l'impotenza di un mondo dove niente cambia. Al
contrario della disinibizione, che è l'omaggio del suicida a ciò che lo
uccide noi
distruggeremo il vecchio mondo senza dargli nessuna contropartita.
Nessuna barriera resisterà alla serena violenza dell'inarrestabile
gratuità. Alla violenza delle leggi che ci violano si sostituisce un po' alla
volta una innocenza pratica dove ogni legalità è subito considerata
nulla e non avvenuta. Sono vicini i tempi in cui nessuno sarà obbligato
a conoscere nessuna legge. Siamo andati fino in fondo alla
disperazione perché abbiamo esaurito, ai confini della vita, tutte le
risorse della società che ci esaurisce oggi. Tutto comincia più in là.
Sappiamo che nessun imperativo porrà fine alla colpa senza
colpevolizzare a sua volta. Nel rovesciamento di prospettiva,
l'emancipazione dei godimenti non ha riferimento alcuno, non si lascia
misurare, giudicare, comparare, intrappolare. Intanto che obbedisce al
suo solo bisogno di espansione,
le paure svaniscono lentamente, il sorriso prende il posto del timore.
Burocrati e poliziotti cadranno prima per gli scoppi di risa che per lo
scoppio di bombe. Non credo più allo choc di ritorno, alla minaccia
chiusa nella felicità, alla necessità di versare all'amore e
all'insurrezione la caparra dello scacco. Tento di vivere secondo i miei
desideri, senza comandare, senza essere comandato. Ciò che è
intensamente voluto arriva sempre. Perché reprimere un desiderio
apparentemente irrealizzabile, rinunciarvi, soffocarlo per
compensazione? Il dono finirà per distruggere lo scambio. Questa è la
nuova innocenza. A prendere e a elargire a piene braccia, come non
riuscire ad infilzare il
vecchio mondo dalla parte della sua stessa inversione? I calcoli della
repressione saranno di giorno in giorno sempre più falsi perché la forza
dei desideri individuali non ha volto, può colpire come e quando vuole,
ha sul colpo dopo colpo il privilegio di essere assolutamente
imprevedibile. Questa società mercantile che si è servita di ogni specie
di terrorismo e
rivoluzione intellettuale, sono convinto che non resisterà ai guerriglieri
del piacere a oltranza, alle creature della nuova innocenza, a quelli che
non vogliono neanche sapere che esiste una morte contro cui non
siano premuniti con la violenza della vita.

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4 - La nuova innocenza assicura il passaggio
dell'emancipazione individuale all'emancipazione collettiva.

La fiammata del godimento brucerà le rivoluzioni intellettuali e la loro
colpevolezza. Le varianti del giacobinismo, del leninismo, del nazionalsocialismo
non hanno fatto altro che esprimere il processo terrorista
dell'autodistruzione mercantile. Lo stesso processo è sopravvissuto allo
scoppio delle ideologie collettive fin dentro il terrorismo
individualizzato che tenta sempre meno e di trovarsi delle
giustificazioni, tanto diventa trasparente che, la merce giustifica tutto.
Quelli che con un paradosso si chiamano « uomini di Stato », e che
non sono che dei semplici ingranaggi inumani, sembrano destinati a
cadere sotto i colpi di un assassino che possiede la loro stessa logica.
Per quanto possano esserci simpatici i loro assassini non si tratta che
del rovescio delle teste statali. Sicuramente, il potere conta meno
nemici fra quelli che perpetuano la loro propria impotenza lottando
contro di esso che quelli decisi a godere senza riserve. Sotto tutti i
colori il terrorismo è un momento del deperimento dello Stato nel
deperimento generale dell'umano.
Come la direzione intellettuale di una rivoluzione si è sempre espressa
intermini militari e, quindi, secondo un metodo per portare gli uomini a
un'efficacia che sfuggiva loro, così anche il terrorismo conserva una
mentalità da caserma. Non è un caso che il fallimento della guerriglia
urbana coincida con la stanchezza che molti provano a indossare ogni
giorno la corazza colpevolizzante che li immobilizza in permanenza
contro sé stessi.
La vita ha tutti i diritti, a cominciare da quello di poter distruggere
tutto quello che la minaccia.
Chi ama non punisce e annienta ogni società punitiva. Penché tollerare
un mondo dove la dialettica della merce esige che il piacere diventi
dolore, la carezza stupro, e la libertà costrizione? Si diffonde un vento
di innocenza che insidiosamente sussurra di lasciare il lavoro per l'ozio,
di defenestrare un capo per scherzo, di distribuire le merci per amore
di gratuità. Non ci vuole altro perché termini la decadenza oppressiva
che chiama osceno non il magistrato, il poliziotto, il militare,
l'assassino, ma la vita esuberante di desideri. Non ci saranno più
tribunali, celle, prigioni del popolo, procuratori della rivoluzione, di
radicalità modello, di esempi da seguire, quando il sentimento
collettivo di impunità avrà espresso l'attrazione che milioni di uomini
sentono in fondo a sé stessi per una società senza punizioni da
temere, senza conti da rendere, senza piaceri da pagare, senza potere,
frustrazioni, sottomissioni, castrazioni.

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CAPITOLO V



L'agonia del vecchio mondo rimanda all'infanzia dei desideri.

1 - L'economia s'impadronisce degli individui impadronendosi
due volte della loro infanzia, negli anni della giovinezza e nella
rimozione dell'adulto.

Se c'è stato verso la fine del paleolitico
un colpo d'arresto lentamente portato
allo sviluppo sociale dei desideri della
vita, all'espansione di una sessualità
creatrice di condizioni storiche
favorevoli al suo progetto, non posso
sottrarmi all'impressione che lo stesso
colpo d'arresto si riproduce in noi fin
dalla nascita. Al di là delle modificazioni
genetiche, i bisogni primari del cibo e del movimento non hanno
cessato di esprimere nel bambino, e fino ad oggi, la ricerca di un
godimento globale, un cammino, sicuro e incerto allo stesso tempo,
verso il primato di ogni soddisfazione. E' qui soprattutto che la mano
della famiglia fa cadere il colpo di mannaia dell'economia, è qui che
taglia quanto e come vuole perché il bambino sia trascinato, più in
fretta dal deperimento dei desideri, all'invecchiamento precoce che si
chiama età adulta.
L'infanzia è una scoperta involontaria della borghesia, come
l'individualità. Lo sgretolamento della comunità sociale, inerente al
modo di produzione capitalistico, ha avvicinato gli uomini alla loro
realtà concreta intanto che li confronta con la vecchia astrazione
dell'uomo universale che li domina ancora. Come potrebbero, delle
generazioni assimilate massivamente a una serie di immagini rifratte
dal divenire della merce, non finire al termine del percorso per
recuperare un po' di chiarezza sull'alienazione e il mondo alla rovescia?
Considerato progressivamente come una Creatura degli dei, un Uomo,
un Cittadino borghese o proletario, un individuo, chi fra noi non è
tentato di rivendicare la sua irriducibile singolarità di voler vivere in
partenza quello che è?
L'ultima fase della storia subita collettivamente riaccende in tutti la
lotta dei primi anni dell'esistenza contro la repressione economica. «
Chi sei? », domandano quelli che detengono le risposte, i fabbricanti di
categorie, i professori in classificazioni. Una sola risposta esclude ogni
altra domanda: « Sono quello che voglio vivere, e io voglio vivere i
miei desideri nell'unità di tutto ciò che vive ».
Lo sfruttamento crescente della materia umana da parte dell'economia
scopre finalmente il godimento celato il sotto le menzogne successive
della verità mercantile. Il filo d'Arianna dei desideri si trova sempre
nell'infanzia.
L'interesse risvegliato nella borghesia, dal diciottesimo secolo, per il
bambino come oggetto di educazione contiene già l'interesse più

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materiale che essa dimostra nei suoi confronti come oggetto di
mercato e di commercio. Il cinico sfruttamento raggiunto oggi del
bimbo appena nato rischiara simultaneamente il lavoro della merce e
la funzione familiare esercitata sui nostri anni di giovinezza.
Avviene come se il bambino improvvisamente riscoperto in fondo
all'adulto, denunciasse a lui solo la condizione di una civilizzazione che
conosce, sotto il nome di uomo, degli embrioni prematuramente
invecchiati. L'assenza di una vera vita mi porta al centro di un
labirinto, a quello che ancora sussiste in me di vivo, una volta dissipata
l'amarezza del lavoro, del dovere, della compensazione, della colpa,
della volontà di potenza. Mi accompagna un bambino, salvato dalle
acque tumultuose del passato. La sua rinascita è la rinascita della mia
volontà di vivere.

2. La proletarizzazione dei desideri è il vero invecchiamento.
Il mondo alla rovescia tocca il suo punto di rovesciamento
possibile quando non c'è altra via d'uscita che la morte o la
rinascita del bambino in ciascuno di noi.

La necessità economica restituisce al vivente represso le
caratteristiche dell'infanzia. Come adattarsi ad un mondo dove ci si dà
la pena di nascere invece di coglierne il piacere? Perché nella misura in
cui sparisce l'idea di un parto necessariamente doloroso, si allarga la
convinzione che, al contrario della leggenda della donna, punita là
dove ha peccato, partorire potrebbe essere legato al piacere di
svuotarsi, di scaricarsi in un parossismo dei sensi. Perché il godimento
dovrebbe essere escluso quando il bimbo realmente desiderato e
colmo di desideri da soddisfare balza fuori dal ventre?
Perché il bimbo è raramente desiderato, e i suoi desideri glieli fanno
ingoiare uno per uno. Perché l'ingresso alla vita passa dalla porta del
profitto e del potere. Perché la famiglia lo condiziona al riflesso di
produttività, cominciando dalla madre che lo porta in grembo.
Se le civilizzazioni mercantili, senza eccezione alcuna, consacrano
l'impurità della nascita, non è forse perché la coppia
fondamentalmente incestuosa formata dalla madre e dal bambino
appena nato introduce la bestia infernale dei godimenti gratuiti nella
stalla del valore di scambio universale? Non è forse a causa della legge
economica, che si accanisce a maledire il piacere che nasce dal piacere
della nascita, a rovesciarlo alla base, a colpirlo in qualche modo nel
suo fondamento?

La storia individuale di ciascuno
comincia con la donna che lo mette al
mondo. A questa donna in cui sorge il
ricordo del bambino che fu - del
bambino che ella è sempre nell'istante
del piacere - la civilizzazione mercantile
sostituisce la madre, vero funzionario
dello Stato incaricata d'integrare alla


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società il suo prodotto carnale ancora grezzo.
La madre uccide la donna e il bambino. Uccide la donna bambino che
vive in lei. E' la copertura mercantile che il potere trae a se e sotto cui
si perpetua da secoli un'ipocrita infanticidio. Così, attraverso un ruolo
eminentemente sociale, l'atto di partorire si trasforma in lavoro. Una
volta ridotta la nascita a un'attività produttiva, chi si stupirebbe di
vedere il godimento iniziale, così prontamente rimosso, cambiato in
dolore, rovesciato in maledizione?

Lavoro e piacere si affrontano fin dalla nascita.

Dal momento in cui l'ideologia materna copre la donna incinta, la
gogna millenaria delle religioni e delle culture si stringe. Le vecchie
nozioni di colpa, tentazione, piacere proibito, di caduta s'infiltrano fin
dentro i muscoli del ventre, delle cosce, dell'utero, che si contraggono,
si induriscono, sistemano la corazza e impediscono al godimento e al
bambino di balzar fuori tutte e due insieme. Tutto concorre nel corpo a
sbarrare la strada alla gratuità che la nascita del bambino minaccia di
espandere nell'universo economico. Ma nello stesso tempo, l'estrema
materialità e l'estrema astrazione della merce rivelano che accanto al
parto-produzione, rovesciando la nascita in un divenire che è quello
della merce, esiste nella donna un piacere che si annuncia, si
ripercuote nel bambino che deve nascere e celebra la-loro mutazione
comune, come se rinascesse, con la nascita dell'uno, l'essere dei
desideri che non è mai sbocciato completamente nell'altro.
Il ruolo di madre riscatta la licenza della donna. Bisogna che la donna
paghi il suo compromesso naturale con il peccato, che riscatti il
disordine che la sua bocca d'ombra ha sputato sul mondo, razionale e
igienico dello scambio. Poiché ella sfugge più che gli uomini alla
produttività del lavoro e obbedisce meno servilmente agli dei
dell'economia, la donna è stata il simbolo agli occhi del sistema
mercantile della vita sessuale sbrigliata, della lascivia, dell'infedeltà,
dell'astuzia. La repressione sociale s'ingegna a velare la sua
esuberanza sensuale con una nebbia di morte, dipinge l'incanto del suo
sesso con i colori di orribili caverne e abissi insondabili da dove sale
una prolificazione di serpenti che eroi e santi devono troncare. I miti e
le leggende nei secoli, necessariamente irradiati dall'economia, non
contano più le rappresentazioni malefiche della donna. Eva, Lilith,
Pandora, Melusina, serpente ctonico, Medusa, strega, tentacolo
satanico, altrettante inversioni della vita che la liberazione di inibizioni
parziali oggi valorizza nella derisione dello spettacolo.
Come il vivente scava la sua tomba con la merce che produce, così la
madre piazza, sotto il segno della morte, i suoi piaceri e quelli che
affiorano nel bambino. Ciò che non appartiene alla luce del giorno vale
a dire alla ragione economica e al tempo del lavoro - il suo
comportamento economicista lo respinge nella notte del sesso, nelle
profondità dell'io dove i mostri della liberazione finiscono di separare in
elementi differenti l'uomo, il bambino, la donna, tre realtà che. sono
nei fatti tre momenti dell'individuo per accedere all'unità del

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godimento. Quando il bambino appare rompe il cerchio della famiglia
con i suoi desideri nascenti, ciascuno s'industria sul modo migliore ne
per domarlo. Un tempo se ne impossessavano i preti e lo
battezzavano,lavandolo dalle sue impurità. Il costume di lavarlo è
resistito nell'educazione familiare che veglia a purgare il bambino dalla
sua propensione ai piaceri gratuiti. Il cibo gli sarà dato a ore fisse
affinché l'economia del tempo gli entri nella testa con i gesti senza
senso dando la soddisfazione significa spensieratezza: che impari i
gesti che pagano, i movimenti che si adattano alle cose e procurano un
guadagno. Si devono eliminare le grida e i cicalecci per il linguaggio
funzionale dell'offerta e della domanda. Vuoi bere? Frigna, gemi, urla,
niente ti sarà dato per gentilezza, per paura di « viziarti », di lasciarti
credere che è possibile godere senza controlli . Pur godendo da poco
tempo di una sessualità che la psicanalisi gli riconosce, come la Chiesa
aveva un tempo riconosciuto un'anima alla donna di cui non sapeva
cosa farsene, il bambino continua a non essere niente per se stesso.
Nessuna specificità per chi non esiste se non nell'ordine della famiglia,
ma che usi e che rappresentazioni. Segno di ricchezza, promessa di
una rendita futura, attestata di virilità e di fecondità, saracinesca degli
odi degli e amori coniugali, cemento e calcina dell'abitudine, sostituto
della creatività,
oggetto di appropriazione, animale domestico, sofferenza - dolore,
bambola, pagliaccio. Valore di scambio sempre.
Cos'è un bambino? Nessuno lo sa, perché nessuno ha ancora
un'immagine dell'uomo partorito dallo sviluppo di una società fondata
sull'emancipazione e la realizzazione dei desideri, sul compimento che
ogni individuo porta in sé .

La nascita è, in un mondo che non tollera alcun
cambiamento, il cambiamento che racchiude tutti gli
altri.

I genitori sono là, con l'amarezza di non essere mai nati
per se stessi, a spiare quello che succederà. Fra le cosce
della madre, la civilizzazione aspetta come il cesto di
vimini di una lenta ghigliottina. Infine, passato per il
laminatoio dei muscoli contratti, strappato con il forcipe,
gettato nel freddo e nella luce, schiaffeggiato perché
respiri meglio l'aria della libertà, il bambino fa il suo
gioioso ingresso nel mondo.
Io non mi auguro che si affievolisca o sparisca la parte di
rischio, di capovolgimento, di violenza, di dispiacere
passeggero inerente al cambiamento radicale. Io insorgo
soltanto nel vedere come l'accoglienza alla vita scelga
tradizionalmente di punire il cambiamento, di ostacolare il
processo umano e interrompa la reazione a catena dei
piaceri nascenti. A che servono le tecniche del parto
indolore se l'ambiente intorno respira la nascosta speranza
del vecchio? Che i giovani abbiano in eredità almeno la


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loro parte di sofferenza. Tagliandoti il cordone ombelicale, si arrogano
il diritto di tagliarti anche le ali e i coglioni, i viveri e la clitoride. E' per
il tuo bene. Fin nei piccoli gesti la madre arriva ad applicare le norme
della castrazione previste dal sistema economico. Ella non funziona
come un essere particolare,ma come uno strumento di potere statuale

o tribale. Del resto il suo ruolo si trasferisce senza incidenti a chi
educhi il bambino, al padre, all'amante, al bambino stesso,
condannato, per nascondere la sua crescente miseria di umanità, ad
identificarsi alle immagini di cui lo satura la società come di tanti
specchi deformanti.
Appena uscito dall'utero, mentre la nascita gli promette
l'emancipazione, eccolo compresso in una serie di matrici di cui
nessuna offre neanche minimamente i risultati della prima. Non
conoscerà mai più la gratuità dello stadio fetale.
Sbattuto dalla famiglia alla scuola, dalla fabbrica allo Stato, dal gruppo
al partito, di trappola in trappola., egli entrerà nella carriera dell'ordine
dominante o dell'ordine dei dominati varierà in meglio o in peggio nella
scala mobile delle promozioni sociali, finanziarie, ideologiche, morali.
Prenderà per libertà il diritto di pronunciarsi per un'identificazione
contro un'altra, scavalcando, di fatto, l'una e l'altra per allontanarsi
sempre più da sé. L'universo immutabile dello scambio gli insegnerà a
sopravvivere fino a morirne. L' agonia comincia presto. Nei primi giorni
di vita, quando l'amore, la conoscenza, l'arte di cambiare il mondo gli
sono venduti al prezzo una sottomissione assoluta. Il ricatto e senza
ambiguità: vuoi partire da solo e svilupparti da solo? Lascia ogni
speranza di aiuto e di protezione! Hai bisogno di tenerezza e di
sapere? Rinuncia alla tua idea di indipendenza!
Acquistando i mezzi per modificare le circostanze, il bambino
guadagna solo l'impotenza a trasformarli nel senso dei piaceri. La
società mercantile non può tollerare che in lui i piaceri rompano gli
argini progredendo di appagamento in appagamento e inventando una
vita che neanche i nostri sogni riescono ad immaginare. Il bambino
subisce dunque l'inumano travasamento della forza vitale in forza
lavoro, la legge dello scambio permanente, l'impossibilità pratica di
crescere e moltiplicare i suoi desideri. Si deve ricreare la nascita
insieme alla società.
Educare, significa introdurre la
separazione intellettuale nel corpo.

Lo Stato domestico che noi chiamiamo
famiglia fa del bambino un piccolo
angelo con la testa rivolta verso il cielo,
i vertici, l'élite, il pensiero il potere,
mentre il resto del corpo, con il suo
occhio anale da ciclope, è costretto a
guardare per terra, i luoghi bassi, il
mondo represso dove tutto si trascina, striscia e si nasconde.
Ogni volta che la donna si volta alla madre e s'impenna per resistere


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alle carezze del bambino e al suo proprio desiderio incestuoso, essa
insegna al corpo come diventare insensibile, come opporre ostacoli agli
affetti e indurirsi in corazza. Il pensiero s’impone allora come una
entità separata, investito di un potere di decisione sul corpo, che
riproduce la separazione sociale tra lavoro manuale e lavoro
intellettuale. Così, il bambino è iniziato simultaneamente alla
maledizione del sesso e alla ragione economica. Il corpo diventa per lui
ciò che deve essere dominato, costretto, domato, civilizzato secondo le
leggi dell'Ordine regnante sul fecale. La testa ha la costanza
d'insegnare l'inautentico, la vergogna del desiderio, la paura di godere,
l'esilio da sé a profitto dell'apparenza.
Sotto i progressi intellettuali del giovane prodigio che voi fabbricate a
vostra immagine, che modellate sulla parte di merce chiusa in voi,
come non percepire un'Atlantide sommersa, le rovine di una
intelligenza sensuale rimossa nel passato? Il discernimento che lodate
nel bambino non è, il più delle volte, che il suo servile adattamento al
libero scambio della ricompensa e della punizione, della promozione e
del decadimento del potere e della sottomissione. Ah la bella
intelligenza che si aguzza a discolpare, vendicare, colpevolizzare,
colpire , parare i colpi, e trae la sua perfezione da un' espiazione
comune in cui gli individui si rifiutano come esseri del desiderio per
liberarsi come esseri del pensiero!
Sulle stesse frontiere dove la merce non ce la fa più a perseguire la
sua appropriazione della vita, essa circonda e e rivela ciò che la nega:
oggi sappiamo che le gesticolazioni fetali esprimono già dei desideri
che esse si preparano a soddisfare. Lungi dall'essere cieche,
risvegliano una specie di sguardo oscuro, un'intelligenza di ciò che le
mette in tumulto nella relazione organica con la madre.
Non appena che la nascita precipita il bambino in un dilagare di
rumori, di toccamenti, di luci, non incomincia il corpo ad esplorare il
terreno sconosciuto? Il tatto, l'odorato, l'udito, la vista non si formano
forse distinguendo per contrazione ed espansione i luoghi e i momenti
ostili o piacevoli? Ogni volta che il bambino evita il freddo, la noia,
l'isolamento, la mano brutale e cerca il grembo dove nascono le
carezze, l'intelligenza si sviluppa, progredisce assieme al corpo la cui
crescita si confonde con l'affinamento dei sensi sul cammino del
godimento. A dispetto di quel poco di chiaroveggenza che la ragione
economica gli consente, il bambino possiede un sapere capace di
creare un ambiente favorevole alla soddisfazione dei suoi desideri. Si
sono mai preoccupati gli adulti di perfezionare questo sapere? Al
contrario, lo hanno rovesciato separandolo dall'impulso sessuale,
l'hanno trasformato in un pensiero estraneo al desiderio, che rende il
piacere estraneo alla vita.
L'ipertrofia intellettuale è la testa marcia dell'evoluzione mercantile.
Essa mostra, per effetto contrario, che ogni chiarezza nasce nella
vampata della volontà di vivere, si affina di piacere in piacere e,
muore, per astrazione, se si cambia in rimozione, costrizione,
separazione, colpevolezza. In ognuno di noi, l'infanzia repressa

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reclama una nuova intelligenza, l'intelligenza del suo superamento e
della sua realizzazione.
Com'è certo che il potere economico produce l'intellettualità, privando i
desideri del loro sentire e rivoltandoli contro se stessi, così,
l'autogestione generalizzata spingerà l'intellettualità in fondo al suo
processo di autodistruzione, al di là delle sue sclerosi senili e
disinibizioni puerili, fino alla sua dissoluzione sotto l'emergere della
sensualità globale.

La nascita è una colpa che si paga rinunciando alla vita.

Il bambino è il più non avente diritto degli innocenti. Il suo romanzo
individuale ha un titolo da vecchio feuilleton, è il figlio del peccato. La
teologia non si è sbagliata quando descriveva la nascita come un
inferno nevrotico in cui la creatura umana nasce tra l'urina e la merda,
mentre il dio dell'intelletto guadagna in purezza quello che esprime in
disgusto del corpo.
Tuttavia, nessuno nega, anche se talvolta lo nasconde agli altri, con
quanta soddisfazione caghi e pisci ogni giorno. Ma ecco che la
vergogna di mettere al mondo il bambino, svuotandosi delle urine e
degli escrementi, suscita nella donna partoriente una repulsione che fa
diventare incubo il possibile piacere della nascita. La vergogna di sé fa,
del lasciarsi andare ai piaceri, una libertà che bisogna pagare con una
vergogna più grande ancora. Questa è la lezione impartita al bambino
dalla prima ora.
Responsabile dei dolori del concepimento, delle fatiche della
gravidanza, del piacere incestuoso rimosso dalla madre, della cattiva
coscienza dei genitori, dei risucchi nell'acqua sporca della coppia, come
potrebbe il bambino non essere educato nella colpevolezza e dalla
colpevolezza? L'igiene della ragione economica esige che sia punito se
grida, sputa, s'imbratta. Cade, e la madre lo rimprovera, « ecco cosa ti
capita quando mi lasci », mentre la famiglia spazia a squarciagola sul
tema, « è colpa tua! ». Il bambino impara a odiare e a odiarsi quando
la madre gli disimpara l'amore. Il tabù dell'incesto tra la madre e il
figlio, sempre e ovunque, proibisce al godimento dello stadio fetale di
continuare dopo la nascita in una gratuità affettiva. La fonte di ogni
carezza è nella relazione incestuosa iniziale, e la sua rimozione ne fa la
fonte della crudeltà, del soffocamento,dell'appropriazione, della colpa.
Più la maternità funzionale reprime la donna-amante, più il bambino
diventa l'oggetto del suo risentimento. Lo stringe al cuore come un
vecchio rancore. Se lui le risveglia il desiderio mordendole i seni, essa
si appella al pretesto economico, si pone da madre nutrice, separa in
due atti distinti mangiare ed accarezzare, e distrugge allegramente con
la legge del lavoro la stessa unità di godimento.
Eccita il bambino lavandolo, fino a provare lei stessa i primi segni di un
godimento comune? Immediatamente la mano allontana la tentazione
amorosa e termina il suo lavoro d'igiene con una secchezza meccanica.
Tuttavia, il piacere non è affatto sparito sotto il gesto funzionale,
sussiste nella sua forma contraria, ha cambiato di senso, si è caricato

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d'angoscia, di colpa, di aggressività. La voglia di carezzare diventa
voglia di graffiare, di colpire, di ferire.
Quando la ragione economica si impadronisce del corpo, essa lo
funzionalizza, separando quello che appartiene alla macchina nutritiva
ed educativa e ciò che, non rispondendo ad alcuna redditività merita di
essere represso. Preso in questa altalena traumatizzante dell'effusione
amorosa e della freddezza carica d'odio, il bambino continua a provare
la dolcezza delle carezze accompagnata dagli sbalzi nevrotici della
repressione. Si sveglia alla sessualità globale in ciò che la spezza, la
frantuma e la capovolge. Ogni volta che i rimproveri succedono agli
occhi dolci, che amare significa castigare, il bambino impara che la
testa è il rifugio del corpo colpevole e comincia a tenerla all'altezza del
saluto ossequioso e del disprezzo che lo compensa. La padronanza di
sé è la sottomissione servile a tutte le alienazioni. Per questo ognuno
di noi, sia uomo o donna, è costretto, prima o poi, a comportarsi da
madre, madre di figli reali o immaginari, madre di oscenità
compensatorie, madre di reggimenti e di partiti, madre di riscatto,
madre che riproduce - quasi sempre, sotto la ridicola maschera del
Padre - la stessa e ignobile famiglia, la famiglia sentimentale, la
famiglia tribale, la famiglia nazionale, quella politica, erotica,
ideologica, rivoluzionaria. La fine della funzione materna non è che una
delle trasformazioni della fine del lavoro, della costrizione, della
intellettualità, della colpevolezza.

3. La storia sul punto di rovesciarsi passo
per il punto di rovesciamento della storia
individuale.
L'autoanalisi sta alla psicanalisi, come la
realizzazione degli individui sta alla loro
integrazione mercantile.
Mi occupo dell'infanzia solo in riferimento a
quella che io ho vissuto e che continua a vivere
in me. Perché invecchiare prende oggi il senso
preciso di una integrazione progressiva al vecchio
mondo, e il ritorno all'infanzia significa il rifiuto
della proletarizzazione crescente. L'oppressione
esercitata sul bambino non si congiunge forse
con lo sfruttamento del proletario nel punto di confluenza della storia
individuale con quella collettiva? La confusione, per tanto tempo
mantenuta, tra l'ideologia dell'infanzia e il millenarismo di destra e di
sinistra, è ormai cancellata dall'arroganza impudente dell'economia. La
materialità nuda della merce schiude, di fatto, tutti gli occhi, la sua
meccanica rudimentale funziona in piena luce, ciascuno dei suoi
movimenti libera una parte di umanità che essa pregusta di recuperare
nella tappa successiva, nella progressione contraddittoria e
permanente della sua autodistruzione.
Se, nel diciannovesimo secolo, occorrevano trent'anni ad un
rivoluzionario per capire che i suoi progetti di libertà erano peggio


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dell'antica oppressione, tre anni bastano all'uomo senza qualità, nostro
contemporaneo, considerato che ogni giorno gli mostra a sufficienza
come ciò che manca all'emancipazione globale dei desideri lavori al
rinnovamento della merce. Il ritorno al bambino appare nel solco di
due ideologie moribonde: il femminismo e la psicanalisi, due
rivendicazioni parziali, nate anch'esse all'ombra della emancipazione
proletaria e la cui sola presenza denuncia il carattere altrettanto
parziale del movimento anarchico e dei consigli operai. Al centro
occulto dell'esigenza femminista, c'è l'affrancamento della donna-
amante. Ecco cosa soffocano in partenza, sia il progetto matriarcale,
che le amazzoni lanciate alla conquista concorrenziale del potere
economico accaparrato dai maschi. Condividendo con i produttori il
disprezzo per il debole rendimento del bambino, rimane alle
femministe l'avvenire glorioso di aspirare all'eguaglianza attraverso il
lavoro, di allargare all'insieme delle attività sociali la loro autorità
domestica di « madri » (con o senza bambini), di essere un giorno, per
intiero, padrone, sterratore, poliziotto, militante e militare. Che
bell'oggetto! Movimento operaio, femminismo, psicanalisi sono
caratterizzati dalla stessa tara intellettuale. Tutti e tre rispondono
inizialmente ad un desiderio di autenticità, al partito preso della vita
contro le sue forme falsificate, e ognuno si separa e s'inverte in una
nuova oppressione, che è la vecchia modernizzata secondo la loro
misura. Così, la psicanalisi parte alla ricerca del bambino rimosso
nell'adulto, ma invece di attribuire all'economia la causa di questa
rimozione, fa di tutto per gettargli in pasto quello che essa ripesca di
vivo sotto il ghiaccio del profitto e del potere. La psicanalisi diffonde e
riproduce tutti i tics della passata alienazione. Quand'anche
dimostrasse che il pensiero esercita una censura sull'espressione dei
desideri, cesserebbe per questo di essere un pensiero separato, una
controcensura che dissimula la rottura tra il corpo e la « testa »,
un'emancipazione imprigionata nei rapporti servo-padrone, una
liberazione presa nella trappola dell'iniziatore e di chi vuole essere
iniziato?
Grazie ad essa, la trasformazione dell'intelligenza sensuale in funzione
intellettuale tocca il suo punto di inconscia perfezione. Insegna a
cambiare di nevrosi, ad adattare alle norme sociali della sopravvivenza
generale l'insopportabile disagio della sopravvivenza individuale. Cosa
conta sapere che odi tuo. padre, se continui a lavorare per un
padrone!
E' molto tempo che delle valvole di sfogo equilibrano, bene o male, la
pressione delle rimozioni e delle disinibizioni,
ma ciò non toglie che un certo modo di alleviare le tensioni, per mezzo
di un transfert positivo o negativo, diventa impraticabile a misura che
la merce si umanizza impadronendosi dell'umano. Le società ad alta
penetrazione mercantile
non permettono più di compensare l'assenza di vita con il linciaggio, il
massacro delle minoranze, il razzismo ufficiale, la glorificazione e
l'esecrazione di un capo.

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Il comportamento economico preferisce oggi le confraternite
dell'autodistruzione, i clubs di spregiatori-spregiati, le società di mutuo
giudizio. La psicanalisi è la lisciva che viene pretesa da fornitori di
panni sporchi in famiglia. Essa individualizza il sistema dello scambio
vendendo direttamente al paziente la buona coscienza delle sue turbe
(e la vende al giusto prezzo della sua integrazione alla società
mercantile). La sua dottrina della salvezza, fondata sull'ambiguità dei
desideri accettati e respinti, riproduce nei fatti il rapporto morboso
della madre e del bambino. Una piroetta ben adattata all'ordine delle
cose chiude alla fine dei conti il bilancio delle turbe e dei rimedi: il
bambino schiavo uccide il padrone madre, l'uccide simbolicamente
saldando l'onorario della consultazione! Ite missa est. La scelta è oggi
chiaramente quella di superare l'infanzia o di lasciarla marcire dentro
di noi, di vivere la sua fioritura o di marciare su di essa fino al suo
rimbambimento, quando essa si vendica in extremis, e questa è la
forma perfetta dell'uomo incompiuto. La funzione intellettuale, la cui
ombra ha sempre offuscato la coscienza della storia individuale, si
vede costretta a lasciarla esprimere contro di essa. Ciò che mi era
ostile va a trasformarsi in transfuga verso la mia forza di vita. Non è
ancora chiaro, a me come a molti altri, che esiste una alchimia il cui
elemento fondamentale è in noi?

I miei desideri, i miei capricci, le mie passioni, i miei umori, i
miei fantasmi, i miei sogni, le mie nevrosi, le mie malattie, i
miei progetti, le mie ubbie, la mia stupidità, i miei errori, il mio
genio, la mia specificità, non sono questi precisamente la
sorgente da cui mi aspetto che scaturisca il fiume inarrestabile
del mio destino?

L'autoanalisi appare nelle tracce dell'autonomia, porta il segno della
sua soluzione e delle sue incertezze. Più la proletarizzazione stringe e
accerchia la vita da vicino, più essa attizza il fuoco dell'esuberanza
sensuale, sotto il ciarpame del riflesso economico. Il piacere
autenticamente vissuto non viene meno finché non avrà liberato
dall'incrostazione mercantile ogni godimento che vi sta intrappolato. La
chiarezza appartiene al desiderio come il desiderio appartiene alla
specificità individuale. Ci sono fin troppi stranieri nel mio territorio
perché io ne lasci entrare ancora un altro che pretenda di scacciarli al
posto mio. L'autoanalisi, che non è altro che un'analisi senza
psicanalista, non farebbe che rieditare la tradizionale lettura poliziesca
dell'io. Rimettersi all'esame degli altri, mordere l'esca della spiegazione
obiettiva, cercarsi con lo sguardo degli altri (con tutto quello che
implica di disinibizione, rapporto di forza, regolamento di conti), non è
in fondo rinunciare alla chiarezza dei desideri senza padrone? Come
potrebbe aprirsi alle confortanti pulsioni del voler-vivere chi si analizza
sotto la costrizione, nel terrore di trovarsi, con l'angoscia dei colpevole
accanito a giustificarsi?

Mi rifiuto di dissimulare la parte di vecchio mondo che sussiste dentro

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di me e mi governa per inerzia. Al contrario, pretendo di liberare da
questo conglomerato di falsi desideri, inibiti e rovesciati, il demone
meraviglioso che vi è incatenato. Il mondo dominato dal godimento è
dentro di me come il bambino che ero e che inseparabilmente sono.
Ciò che tento di nascondere rispunta dappertutto dove ho voluto
soffocarlo. Il braccialetto accarezzato, l'emicrania da « cattivi »
pensieri, i sospiri per l'inadempiuto, la tachicardia da rimozione,
parlano il linguaggio del corpo ambiguo, lacerato tra il desiderio e i
suoi divieti, tirato dalle pulsioni di vita e 'espressione letterale delle
formule dall'ammaliante banalità: « avere lo stomaco rovesciato, aver
mal di cuore, averne i coglioni pieni, stare in mezzo ai piedi, rompersi i
denti... ». Ciò che mi ripugna, mi terrorizza , mi umilia, mi fa soffrire
contiene nella sua forma capovolta, ciò che amo e desidero. Ho meno
riserve ad esplorarmi da me che a confidarmi ad altri. Più la mia
curiosità incontra della resistenza, meglio mi convinco ad insistere.
Dove il blocco cresce s'innalza il muro della rimozione. Dove la
repressione è ancorata mi piace tornare alla carica, curiosare, scavare
per associazioni, analogie, immagini fuggitive, fantasmi onirici. Perché
non dovrei andare fino in fondo, accontentarmi di spiegazioni
sommarie, di transferts, di alibi? Non sono solo a scoprire le mie verità
nascoste

Voglio imparare a cacciare, con il soffio
creatore del godimento, il prete e il
poliziotto rannicchiati in un cantuccio
della testa. Mi pare che l'arma della
rivoluzione appartenga a chi non ignora
più come si capovolge in lui il
movimento per cui la volontà di vivere si
converte in riflesso di morte.

Come a suo tempo fu decifrato il libro
sociale, non esiste più nessuno oggi che non
si senta confrontato alla sua propria
decifrazione per il gusto dell'emancipazione
immediata. E il dolore, analizzato fino a fargli
sputare il pus della sua colpa, non sta poco a poco scomparendo,
svelando l'impulso cicatrizzante dei tessuti, rilassando i muscoli della
corazza, liberando il desiderio la cui repressione fu la causa della
sofferenza? Abbiamo accettato fino ad oggi di curarci con rimedi
peggiori del male, perché avevamo scelto come base non la volontà di
vivere ma quello che l'affievolisce. Abituati ben presto a capire il gioco
dei nostri organi, arriveremo ad evitargli le inibizioni, a liberarli
dall'economia, a restituirli all'espansione dei godimenti. Applicheremo
con sempre maggior precisione la formula « il destino, sei tu che ti
arrivi a te stesso » affinché sciogliendo la parte di vita dalla parte di
morte che viene da noi e viene verso di noi, non ci sia del fortuito che
nella varietà dei piaceri. Il rovesciamento del mondo alla rovescia
passa per il cammino più corto da una felicità a un'altra.


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4. La rinascita dei nostri desideri annuncia la nascita di una
società finalmente umana.
Mancava ai desideri risvegliati nell'infanzia i mezzi per cambiare il
mondo a loro favore. Questi mezzi ce li offre ora la storia
contemporanea, ma rivoltati contro di noi. Basta rinascere a noi stessi
per rivoltarli contro di essa.
La creazione delle relazioni sensuali incomincia con moto irreversibile
dalla creazione di una società radicalmente altra. Quelli che si esaltano
a brandire contro la loro proletarizzazione le armi dell'infanzia
riscoperta in essi sono assai più numerosi di quanto non credono i
suicidi del vecchio mondo, così pronti, per altro, a tacciare come
rivendicazione puerile e follia collettiva la nuova innocenza che
comincia ad annientare, con sistemi differenti dai loro, il mondo della
noia.
Aspro all'incontro dove il bambino non è più oggetto di conoscenza ma
soggetto di passioni amorose. L'avventura erotica con i bambini è
inseparabile dall'amore di sé, dall'amore della vita. Non dubitate, essa
si espanderà a disprezzo delle vostre leggi, lordure concepite solo
attraverso l'infanticidio. La ricerca dei nostri desideri non è
un'archeologia del passato ma il richiamo del presente a vivere. La
magia, un tempo invertita nei racconti, sta rinascendo insieme
all’infanzia. Tutto è permesso, perché niente è vero delle verità
mercantili.

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CAPITOLO VI



L'autogestione generalizzata vedrà la fine dei piaceri rovesciati

1. Per lo più noi non viviamo dei piaceri che la loro mortale
inversione.
Tanto va il deperimento delle passioni che la vita repressa
perde fino alla volontà di distruggersi

I piaceri del passato risvegliavano più violenza dei
nostri perché la volontà di vivere, per quanto fosse
invertita, vi si dibatteva più tenacemente. Eccitata
dai miti del potere, trascinata dalle piene ideologiche
del capitalismo, la volontà di potenza ha per molto
tempo attinto nell'esuberanza sessuale la forza di
piegare la vita verso la morte e l'odio.
Oggi, la dissoluzione della gerarchia e le iniezioni
eccessive di merce finiscono con lo spossare, negli
individui e nella società, l'energia piena di
aggressività tipica di questi bruti dotati d'astuzia che
furono i re, i tribuni, i capi, i mestatori, i fulmini di
guerra, i lottatori all'ultimo spasimo della
concorrenza leale e sleale. Il fatto che la volontà di
potenza che si sta oggi spegnendo negli uffici, nelle
famiglie, nelle caserme, nei comitati centrali sarebbe motivo di gioia se
la deficienza del potere non fosse anche un potere di deficienti, una
astenia crescente della volontà di vivere. Se, al prossimo stadio della
società mercantile, gli uomini cesseranno di farsi la pelle, sarà perché
non ne avranno più la forza. Perché uccidersi se la morte è così vicina
e basta, come espediente, lasciarsi sopravvivere?
Il sogno di una apocalisse ossessiona il subconscio della società
mercantile. Solo l'idea di una rapida distruzione l'ha aiutata a
sopportarsi, a contemplare il suo riflesso progressivamente
incancrenito. La disperazione vendicativa dei millenaristi e dei
rivoluzionari suicidi è stata il suo specchio più fedele prima che la
sopravvivenza rivelasse la sua realtà d'agonia climatizzata, il suo
suicidio al rallentatore inutile da perseguire perché arriva per forza di
cose.
Mentre la criminalità, il terrorismo e i suoi edulcorati sostituti,
esprimono i sussulti di una volontà di potenza moribonda, cresce la
voglia di una festa funebre che inghiotte tutto il vecchio mondo in
un'attesa in cui i piaceri servono da passatempo. Alle nostalgie di una
vita capovolta che si ritrae e si soffoca nella violenza, succede una
morte più dolce, un epicureismo su misura dove ogni tappa affonda
l'umano sempre più profondamente nella glaciazione mercantile. Mi
rifiuto di scegliere tra due forme di morte. La mia sola stella è quella
della vita a oltranza.

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Arrivati all'ultima degradazione, quando gli stessi sensi subiscono la
riduzione dal biologico all'economico, i piaceri rivelano allo stesso
tempo sia la loro inversione millenaria che la parte di vita
assolutamente ribelle al recupero mercantile. L'ultimo ponte della
proletarizzazione è gettato su un nuovo sentire da dove
contempleremo il suo crollo finale. Una natura rinascerà poco a poco
dove il desiderio creerà l'organo.Il piacere di vivere non ha regole né
leggi. Ciò che lo definisce,lo circoscrive,lo specializza, e precisamente
ciò che lo nega e lo rovescia: il lavoro, la costrizione, lo scambio, la
separazione, la colpevolezza.

2. Dalla noia dei piaceri della sopravvivenza nasce il piacere del
rovesciamento di prospettiva.
L'occhio del potere distrugge la vita.

L'educazione gradua la vista secondo il collimatore dell'economia.
Acuito dal lavoro e dalla costrizione, lo sguardo sbroglia la matassa del
labirinto gerarchico, rispetta i segnali di proibito e di licenza e svela da
lontano le segnalazioni dell'autorità e del profitto. L'occhio è lo
specchio della merce. Il vedere rovescia il desiderio dell'attesa nel
godere rabbioso di afferrare per appropriarsene. Così come l'avere si
sostituisce al godimento, le leggi protettrici della proprietà privata
sostituiscono all'avere proibito l'immagine dell'appropriazione. Quello
che è così visto possiede per procura e nella cupidigia del furto e dello
stupro. L'oggetto cade finalmente tra le mani che lo desideravano, e lo
sguardo prova ancora l'amara impotenza a godere che paga le vittorie
della volontà di potenza.
Il doppio fuoco della repressione e della liberazione non vede altro
paesaggio di quello della vita capovolta. La voglia di prendere per
carezzare diventa gusto di catturare, uccidere, annientare. Quando ti
fai prendere dal gioco di mirare con un'arma immaginaria lo sparviero
alto nel cielo o il villaggio che spunta dalle brume, la preoccupazione di
distruggere ciò che vedi non traduce l'insopportabile mutazione del
desiderio di essere dappertutto nel bisogno di possedere tutto?
Il malocchio è su di noi dopo che esseri e cose mummificati in oggetti
morti, in proprietà, in merci, ci ricordano la nostra maledizione e ci
incitano ad annientarli e a raggiungerli in un nulla comune.
Non ci restano più che gli occhi della testa. La pulizia intellettuale fa
luce nei labirinti dell'inautentico. Secondo una vecchia leggenda il
bambino che contempla il sesso della madre diventa cieco. La didattica
dell'educazione moderna insegna di meglio, aprirgli bene gli occhi sul
volto per accecarlo meglio sull'uso che potrebbe farne. Lo sguardo del
pensiero sostituisce il vissuto.
Così, questo sguardo è ancora il riflesso della colpa. La maggior parte
della gente vive nel terrore di essere vista, di corrispondere a
un'immagine di prestigio. L'occhio inquisitore capta del vivente solo la
sua trasformazione in ruoli, in immagini,in carne morta gettata sulla

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bilancia dei criteri mercantili. Vittime credule e rassegnate ai sortilegi
del potere,
voi canzonate dall'alto del vostro sapere gli uomini cosiddetti primitivi,
che temono di vedere le loro foto e le loro effigi cadere in mani ostili!


Lo sguardo tattile del piacere vede
nelle persone e nelle cose solo ciò
che hanno di vivo.

Che me ne faccio del colpo d'occhio
prestato, reso, posato, pesato, venduto,
dell'occhio che misura, confronta,
disinibisce, e si scambia? La vista
appartiene come tutti i sensi, al sentire
globale che nasce col bambino, e che
l'economia taglia e fa a pezzi. La traiettoria del piacere represso non è
quella della vita.
La visione inquietante e profonda degli amanti, del sogno e dello
stupore (questo sole sdoppiato che vedemmo su un paesaggio
innevato) porta il segno indelebile del delirio sensuale in cui tutto si
darà un ordine un giorno.. Per quanto ridotto alla funzione economica,
capita che l'occhio rifiuti la guida immutabile della prospettiva
mercantile che confonda la geometria del potere, l'alto, il basso, la
destra, la sinistra,il vicino, il lontano, il tempo, il luogo. Quando si apre
all' esuberanza insaziabile del godimento, gli oculisti del rendimento
quotidiano parlano di sguardo vago, smarrito, perduto, di fatto, per
essi è veramente perduto,n vuole vederli, si sottrae al loro esame.
Non è la dissoluzione dell'io, né la droga, né l'illuminazione che
spalanca le pupille e le ciglia prensili del desiderio è, al contrario, la
chiarezza restituita alla gratuità dei sensi. La seta dello sguardo di
polpo avviluppa il mondo in una suzione che tenta di nutrirsi di vita
dissolvendo la morte. Questa é l'irradiazione che voglio perseguire
anche nel sonno, quando il corpo digerisce il paesaggio in mille sogni
che il risveglio apprende, da oggi - ne siete coscienti? - a prolungare
concretamente.
Le ossa dell'amarezza hanno bucato l'ultima pelle dell'estetica. Avete
giudicato il bello e il brutto solo per difetto. L'ombra della morte mi
ripugna,solo il vivente mi appassiona. Dall'amore mi viene una
chiarezza che confonde in una stessa opacità gli esseri e le cose
cariche di odio e di consumazione. Ciò che è visto al piacere finirà per
distruggere ciò che il profitto mi obbliga a vedere.
Il naso desessualizzato non è che un'appendice dei polmoni, forgia
fisiologica che presta al corpo non il fuoco della vita ma il potere di
rendimento. Nel suo disprezzo per il lavoro, il regime aristocratico
lasciava al corpo i suoi odori naturali, che il vigore delle passioni
accoppiava magnificamente a profumi selvaggi. Sotto il regno della
fabbrica, l'igiene raschia via dal corpo ogni materia vivente, la pulizia e
le sue ossessioni morbose deodorizzano l'aria,le ascelle,la


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cucina,mentre la polluzione corrode la terra,il mare e il cielo. Il corpo
non finisce mai di lavarsi nell'acqua sporca del profitto.
L'odorato impara la vergogna degli odori,disimpara a poco a poco la
differenza che, un'educazione repressiva, gli aveva insegnato fra odori
buoni e cattivi, fra odore di santità e odore di piaceri sensuali! La
colpevolezza che una volta colpiva solo gli odori erettili del desiderio
amoroso, intacca tutto quello che rischia di sporcare il lavoro
energetico dei polmoni. L'odorato si arresta a ciò che è semplice
funzione respiratoria. Meno la respirazione si apre al soffio del piacere,
meglio rinuncia alla sua pienezza, adotta il ritmo dello sforzo, si
trattiene a colpi, si economizza.
La famiglia insegna a impostare la gabbia toracica, a bloccare l'uscita
delle pulsioni che montano dal ventre. La padronanza di sé controlla il
portamento e gli affetti, la volontà di potenza consolida la corazza
muscolare. La respirazione diventa una respirazione di testa, un
elemento del sistema cerebrale. Essa impone al corpo la cadenza della
sopravvivenza di una bestia ridotta allo stremo, cosciente che la morte
la sta afferrando senza pena e senza piacere.
L'aria della merce soffoca. L'angoscia è l'espressione più semplice
dell'asfissia sociale. La gola si chiude ogni giorno di più, non lasciando
uscire l'esalazione libidinale che in folate di disinibizione. Le affezioni
della gola e del naso non insegneranno proprio niente al bambino, al
suo corpo in difesa, sull'atto di penetrazione del potere e del denaro,
che sta perpetrando su di lui la famiglia attraverso uno stupro legale?
Il vecchio mondo che ci pompa l'aria, evidentemente, è, nello stesso
tempo, quello delle altezze abissali e pure. Con una mano apre la gola
che garrota con l'altra. L'aspiratore polmonare è generosamente
messo in azione attraverso lo sport, il lavoro, la ginnastica, le cure, le
droghe, gli eccitanti, i tranquillanti, gli psichiatri, gli antipsichiatri, le
religioni, il relax, il turismo. All'oppressione delle città risponde
l'epopea dell'aria aperta, allo strangolamento sociale corrisponde
l'evasione, una doppia corda concessa all'impiccato. La campagna
ossigena il cuore prima di mandarlo a marcire nei letami
dell'urbanesimo e i deserti della noia. Ecologia e polluzione si
congiungono sotto lo stesso vestiario,dopo la prova, mescolando il
sudore gauchista alla formalina dei burocrati.
I tanfi della disinibizine, dell'odio, dei disprezzo, si confondono con la
polluzione mercantile. Le leggi di una società irrespirabile dispensano a
tutti un'equa consolazione :non potersi sentire. Come si moltiplicano i
piccoli uomini da fiuto!Il cane megalomane denuncia il compromesso e
fa l'asino radicale per avere la campanella della fama, la ranocchia
dell'acqua santiera rivoluzionaria si è gonfiata di bile che gioca a fare il
bue della teoria nel libero mondo degli affari. A respirare per il buco
del prestigio, si vive nell'aria del tempo burocratico. Naso dalla virtù
incorruttibile, la tua gloria è quella dei detriti e la tua ragione nella
storia fa il lavoro dello spazzino. Generale di un'armata di pattumiere,
non hai ancora finito di spandere, su quello che tocchi, l'odore di morte

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che hai dentro, l'odore della merce che ossessiona il cerchio di tutti gli
esorcismi artistici.

Sentirsi bene è sentire in sé la gratuità della vita.

Ciò che e' vivo ha sempre un buon odore. - lo sogno di una unità
sensuale ricreata, dove ogni organo scopre la sua incessante
evoluzione in consonanza con il movimento di ogni soddisfazione.
Come a contatto dell'aria i polmoni si eccitano, ne sono penetrati e la
emettono per il naso e la bocca in una specie di detumescenza dei
muscoli, così, su un modo sessuale che li sessualizza tutti, gli odori
s'impadroniscono e si staccano da me, come se le funzioni del corpo,
finalmente restituite al privilegio dei piaceri, cedessero al ritmo di
tensione e soddisfazioni che fanno progredire i piaceri della vita.
Tuttavia, qualcosa abbiamo ancora conservato della libertà nascente
che ha formato l'odorato, quel modo d'essere del bambino represso
nell'età dell'apprendimento che impara col naso all'altezza dello
sparato dei calzoni e del fondo delle mutandine ad annusare l'odore
degli impulsi segreti. Chi non si diverte a fiutare il suo dito passato sul
sesso, infilato nel buco dell'ano, o sfregato sotto le ascelle? La futilità
del gesto apre la porta alle sensazioni infantili accoccolate in fondo a
noi. E come aspiriamo alla rinascita di questo bambino nell'amante,
nell'adulto che scopre nel vivo della passione il fascino di queste
emanazioni dette naturali perché l'educazione ha messo in opera di
tutto per snaturarle!
Poca gente si respira per amore di sé. Nondimeno gl'innamorati danno
il tono, bevono la loro saliva, si leccano il sudore, e centellinano goccia
dopo goccia la ciprigna e lo sperma. E di buon cuore si liberano dalla
preoccupazione di essere per gli altri in odore di santità o di peccato.
Un nuovo sentire uscito da una pratica intellettuale non farebbe che
rinnovare la passata castrazione dei sensi. Alle spalle del mondo alla
rovescia, l'odorato traccia la carta delle nostre ricchezze sensuali
ritrovando la molteplicità delle esperienze olfattive represse o adottate.
Solo i desideri morti puzzano, ma non vi è alcuna repulsione da cui
non si possa tirar fuori un piacere bloccato. Contro i patti d'interesse e
i contratti del sentimento, quelli che sentono fondino le loro affinità e
le loro differenze. Non potersi sentire reciprocamente o sentirsi bene
l'uno con l'altro costruirà delle situazioni ambientali mobili fino alle
assemblee d'autogestione generalizzata, espressione sociale dei nostri
desideri.

Non c'è amore dove regna lo
scambio e la costrizione.

Ora che i due divieti più antichi della
nostra storia hanno svelato il loro
carattere economico, si potrà
finalmente ammettere che l'onanismo è
con l'incesto l'inizio di ogni amore
autentico. Le religioni maledivano la


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masturbazione per la priorità che dava al piacere, impedendo alla
donna di volgersi a madre e produrre la sua parte di peccatori e
peccatrici! Le ideologie burocratico-borghesi la denunciano come vizio
solitario che rovina la salute, rammollisce il cervello e rende sordi agli
imperativi. I procuratori della rivoluzione vengono a ruota, assimilando
l'onanismo alla mancanza, alla solitudine, all'incontro impossibile, alla
relazione povera perché non paga. Decisamente la vecchia talpa scava
di bene in meglio!
La miseria costituisce per voi la prova. Gridate contro la masturbazione
perché non riuscite a scorgervi altro che il movimento penoso della
solitudine. Voi non vedete nell'incesto nient'altro che il nucleo occulto
della famiglia, la tela dello stupro confessato e rimosso con cui
ciascuno fa il suo letto, l'ombra passionale attribuita all'economia
familiare che mischia alle più infami brodaglie comunitarie della
nazione, del gruppo, del partito, della fratellanza, il suo pimento di
tenerezza, il suo condimento di amore e di ferocia. La vostra verità è
sempre quella della merce. Domani proclamerete, con la stessa
persuasività, la necessità dell'onanismo e l'accoppiamento rituale con
la madre, così come non avete smesso di vantare i benefici dell'amore
sotto tutte le sue forme invertite.
La maggior parte dei diversi fatti che, dal futile al drammatico,
compongono la nostra esistenza quotidiana sono storie d'amore
vissute a rovescio. La tenerezza che non abbraccia soffoca con rabbia.
E' per caso che nelle società più repressive dal punto di vista sessuale
si abbia una preferenza per l'impiccagione come se l'anello del sesso
femminile fonte di vita passasse, per inversione, sul collo, e lo
stringesse fino a generare la morte? Quante carezze represse nella
serie monotona delle stanchezze, delle malinconie, degli scontri, dei
settarismi, dei disprezzi, degli odi, dei colpi, degli assassini. La
Pedofilia repressa dalla morale cosparge i campi abbandonati e le
famiglie di una spenta mietitura di bambini battuti e . stuprati. Il
piacere di abbracciare e di essere abbracciato si trasforma in
appropriazione dell'oggetto amato. La voluttà di penetrare e di essere
penetrato cade nel sacrificio sadomasochista, dove il coltello, la bitta, il
fucile, la seduzione e l'argomento senza replica liberano le
esasperazioni dell'impotenza a godere. La zoofilia fa ripiegare la gente,
che la disapprova, sulla caccia, la vivisezione, la gabbia,
l'addomesticamento e il militantismo che li contesta.
L'umanizzazione dei costumi traduce solo l'umanizzazione della merce.
Lontano dall'indicare una vittoria della vita le statistiche della
pacificazione contabilizzano i progressi dell'anemia, la caduta di
aggressività esprime una caduta della tensione nelle vene della volontà
di vivere, la passione di distruggere si mummifica lentamente nella
passione di godere, della quale fu sempre l'inversione.
Felice umanità, ben presto l'amore ce l'avrai solo in testa in mancanza
di averlo altrove. Felici amanti, giorno verrà che non rimborserete più
il debito tradizionale di gelosia, di possesso, di scambio, perché,
ahimè, non ci sarà più altro d'amoroso che i discorsi, le idee, le

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tecniche, le immagini che la società desessualizzata sostituirà alla
realtà del corpo.
Nondimeno, l'attuale agonia delle passioni non sveglierà in noi la
nostalgia delle antiche passioni. La violenza sta nascendo dalla gratuità
finalmente conquistata e non dai soprassalti della sopravvivenza
moribonda. Quando smetteremo di cercare nella penuria quello che va
cercato nell'abbondanza, il disprezzo del corpo come fonte di tutti i
piaceri sparirà al disprezzo diretto contro l'individuo in nome della
società.
L'amore degli altri comincia dall'amore di sé. Accarezzarsi e
accarezzare gli altri,non è forse l'inizio di una comunicazione
autentica. di ogni contatto veramente umano? La ragione dell'amore si
prende gioco della ragione della merce.
Il godimento scioglie la distanza,il dovere,lo scambio. Esso vuole un
mondo che crei la sua unità con le carezza,dal linguaggio
ai gesti,dalla musica ai profumi. Non presentite tutto questo ogni volta
che vi capita di amare senza contropartita,di non dovervi preoccupare
d'essere amati per amore?
Come potrei accarezzarti nell'attesa delle carezze reciproche? Le mani,
la pelle, le labbra, i sessi che carezzano non si accarezzano in una
confusione dei piaceri? Basta con il giacobinismo, con il terrorismo
delle convenienze, della coerenza, del bello, del brutto, basta con
questi ragionamenti strappati alla pena di godere! Mi piaci? Stiamo
insieme. Non ti piaccio? Altri si accorderanno ai miei piaceri. Perché
offendersi ed amareggiarsi di una mancata attrazione epidermica?
Perché uno che mi piace dovrebbe essere migliore o peggiore di
migliaia d'altri? Non garantisco per nessuno, né per quelli che amo, né
per quelli che ho amato, né per quelli che non amo. Una società che
non favorisce fino in fondo a una tale semplicità di base merita di
sfasciarsi sotto la complessità delle sue necrosi.
La fortuità degli incontri obbedisce alla freccia dei desideri:
spuntata,essa invita ai legami passeggeri,affilata,infilzerà il gioco del
grande amore. Dalla molteplicità delle avventure nascerà bene la
passione singolare che nutrirò tutte le altre, poiché basta solo volerla
senza sollecitarla. Per arrivare ai miei fini non rinuncerò a nessuna
facilità a partire dalla rivoluzione .

Il risparmio sulla vita ha inoculato al
piacere di mangiare, bere e sapere il
virus del prezzo.

La borghesia proclamava nel suo
puritanesimo economico che bisognava
mangiare per vivere e non vivere per
mangiare. La reazione libertina, a cui ci
conduce la disperazione confessata della
burocrazia, non cambia in niente rispetto
alla produttività quando, oggi, essa incita
a vivere per mangiare:adatta
semplicemente alle leggi del consumare


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ad ogni costo i passati incitamenti a produrre.
Il proletariato del diciannovesimo secolo ha così ben imparato a
lavorare per nutrirsi che i suoi eredi sono tranquillamente persuasi di
esorcizzare l'antica miseria con la bulimia di nuove miserie. Ingozzarsi
è diventato lavoro di compensazione e di rifiuto. La mancanza di vita si
libera in una corsa alla consumazione dove ingurgitare vino, musica,
sensazioni, immagini, scopate, polpettine in scatola, informazione,
droga, conoscenze, resta in fin dei conti un modo di vomitarsi.
Lo scambio putrefa ciò che tocca. Riempirsi il portafoglio bancario, e
quello dello stomaco, gonfiarsi d'importanza attraverso tutti gli orifizi,
questo è « l'essere insaziabile di assoluto » rivisto e corretto dalla
società della sopravvivenza. Il gusto della pienezza è diventato rabbia
di possedere, e la coscienza di possedere, sempre e solo delle cose,
instilla in ognuno il senso della vita assente. La paura del vuoto alza un
turbine ridicolo dove son trascinate le soddisfazioni quotidiane,polvere
miserabile delle antiche orge, delle feste quando una parte del
racconto veniva sprecato, consumato, bruciato, gettato in sacrificio alla
impossibile gratuità.
Noi abbiamo perduto l'eccesso degli antichi festini senza sbarazzarci
della loro inversione, senza abbandonare la tavola della volontà di
potenza, senza sputare l'osso della rivalità fra chi mangia e chi è
mangiato. Ditemi in che cosa, bere, fare l'amore, discutere per
dimostrate che si è uomini, donne, bambini, capi, si differenzia dal
lavorare per un padrone. A cogliere tutto in fallo,la malinconia non vi
ha lasciato che voglie da proprietari, della sazietà colpevoli, degli
sbandamenti da cristiani. Ingozzata di colpa, a forza di compensazioni
e di piaceri pagati, la maggior parte della gente considera una verità
indiscutibile che l'eccesso delle passioni porti alla consunzione e alla
morte. Merda! Non sono mai gli eccessi che uccidono consumare ma
ciò che li contraria. A cominciare dalla colpevolezza.
Sotto il « bon vivant » sbuffa il becchino. Il mangiatore del ventesimo
secolo va al ristorante come va al bordello, con i soldi per pagare di
che togliersi le preoccupazioni, di che dimenticare di nutrire i suoi odi.
Il piacere che rimane di un pranzo, dove il denaro impasticcia la salsa
e dà il gusto al vino, si diluisce in colesterolo, si inacidisce nella bile e
diventa terrore dell'infarto. Poveri ghiottoni, poveri buongustai a forza
di non stare mai bene finite col mangiare nella scodella della morte.
La malattia paga il prezzo della vostra angoscia di godere. I disturbi
dell'organismo non derivano da una vita esuberante, ma dal terrore
panico che essa risveglia malgrado la nostra vigilanza. La paura della
felicità supera quella della disperazione. Perché negarlo quando tutti
ne siamo determinati? A che serve esorcizzarlo con i versetti della
magia intellettuale, che è il ciarlatanismo ordinario dell'astrazione
mercantile? Cosa resta delle piccole gioie, quando ragazzi e ragazze si
ingrassavano di zuppe al lardo e di pesce, di cappone, di birra
schiumosa, di risate, di vino fresco, di abbracci e di canzoni?
Gastronomia, l'arte di sofisticare le ricette paesane, l'invenzione del
naturale attraverso l'economia, il ventre salariato attraverso le teste

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pensanti. Il lavoro gastronomico ha i suoi manuali e i suoi intellettuali.
I suoi abbonati della conserva e delle mangiatoie internazionali, i suoi
degustatori di banalità diventare rare e costose, quelli che se la
menano con tavole solenni e le tavole rustiche, le sue forchette meste
e critiche. L'arte desessualizzata del bere e del mangiare non è che
falso piacere e piacere del falso. Così è del sapere, l'ignoranza
intellettuale ha detronizzato l'ignoranza volgare. L'oscurantismo
cambia pelle sotto la bandiera del progresso. Conoscere sempre più
cose dispensa dal conoscere i propri desideri. L'integrazione «
intelligente » alla società, allo scambio, alle leggi della volontà di
potenza colma l'assenza incolmabile dell'io. La curiosità di sé non si
nutre che dell'inquisizione poliziesca. Visto che la merce non ha niente
di umano e tutto vuole conoscere dell'umano, per operare
immediatamente la sua riduzione, la scienza fa l'autopsia e lo scalpello
nulla scopre che non sia allo Stato di cadavere.

Ciò che è preso in abbondanza e gratuitamente è sempre un
bene.

Sopporteremo ancora a lungo questo marchio d'infamia che è il prezzo
imposto agli esseri e alle cose? La stessa inumanità fondamentale non
si esprime allo stesso modo nella necessità di pagare un'abbuffata di
tartufi freschi e nel rischio assurdo di pagarla un'altra volta con un
attacco di fegato? C'è troppa angoscia e disinibizione nel furto di
straforo che presiede alle nostre rimpinzate. Se l'amore della vita
comincia con il rifiuto di pagare, che sia finalmente nella universalità
del dono. Bisogna perlomeno liquidare lo Stato e annientare la merce,
e a me pare che ciò possa affrettarsi meno attraverso la rabbia degli
oppressi che non piuttosto attraverso una irresistibile volontà di
godimento, una inclinazione dei desideri a propagarsi senza riserve,
attraverso il sogno, all'occorrenza goloso, di strade organizzate in
cucine, di palazzi trasformati in cantine, cattedrali mutate in alberghi,
e di mappe di un territorio da decifrare come un menu.
Andiamo, lo scetticismo non è che il tradizionale nutrimento del
disprezzo di sé. Bevo alla gratuità, e v'invito a bruciare la panzana del
dubbio nell'alcol dell'esuberanza sessuale.
Quello che appassiona non è mai imparato per obbligo e con
parsimonia. Solo il desiderio insegna a vivere. Contro il discorso
comune che pesa le parole e le sospende perché se ne riconosca
l'autorità, esso sa, attraverso l'arte del silenzio, lasciare che ciascuno
faccia il suo cammino. Contro il dovere della trasparenza, l'autocritica
è questa verità in rappresentazione che è la peggiore delle menzogne,
perché dispensa senza ragione la chiarezza su di sé e sugli altri.
Vogliamo vivere da subito la gratuità delle conoscenze offerte ai
quattro venti, dai giornali murali per esempio, nell'abbondanza delle
proposte scritte, cantate, disegnate, mimate da una creazione
individuale finalmente libera e che finisca di distruggere l'educazione e
l'informazione sotto la fantasia inarrestabile dei suoi desideri e delle
sue affinità.

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Sostituisco il disprezzo di sé con l'espansione dell'io,l'appropriazione
con l'avidità e la sazietà con l'insaziabilità.

3 - Il piacere crea la vita.
Noi lasciamo lentamente la preistoria del desiderio!


L'alibi del piacere è stato l'ultima
preghiera funebre della nostra
alienazione, e il godimento suicida
l'ultima Bastiglia del mondo alla rovescia
Sapere che la prigione ci stringe da ogni
lato non nasconde più la facilità con la
quale possiamo dinamitarla dall'interno!
La grande muraglia della merce si
sgretola a misura che essa si distende a
perdita di vita. Ogni giorno, l'economia in
crisi moltiplica le brecce attraverso cui la
passione di godere si getta facendola
crollare definitivamente.


Non vogliamo più delle voluttà coatte, colpevoli, o gratuite per obbligo.
Non vogliamo più piaceri separati dalla sessualità globale, tagliati dal
corpo onnipresente della volontà di vivere. Perché la stretta amorosa,
testimonianza eterna del vivente, abolisce la distanza e il tempo,
perché i godimenti transumano lentamente attraverso ciò che li nega,
perché rimontiamo alla fonte comune, all'unità fondamentale della
vita, noi siamo assolutamente sicuri che il primato ella gratuità scioglie
per sempre dal governare ed essere governati, puniti ed essere puniti,
stuprare ed essere stuprati, giudicare ed essere giudicati. Il suo solo
movimento annienta.
Piaceri dell'ozio, della tenacia, dell’incontro, della solitudine, della
musica, della creazione, piacere di parlare, di tacere, di ridere, di
cacare, di sognare, di abbracciare, di piangere, di pisciare, di gridare,
di accarezzare, di eiaculare, di saltare, di rotolare, di gustare, di
annusare, di toccare, di congiungersi e di separarsi, non piaceri della
sopravvivenza, ma di vivere come vi piacerà, basterebbe a voi stessi,
perché partecipate del turbinio sensuale dove ciò che vive non pensa
più alla morte che non sia una morte finalmente naturale, così lontano
essa si trova come nel cuore di piante secolari, nell'oblio noncurante di
esistere.
La separazione ha ridotto la maggior parte dei piaceri a dei ruoli
d'intermediari, e ne ha fatto dei veicoli verso altre cose. Quando la
danza, invece di esprimere la gioia del corpo, serve a sedurre e ad
affascinare la preda,quando le carezze subordinano il loro gioco al
percorso programmato dell'accoppiamento,la diversità del vivente si
disgrega in prodotti registrati secondo le norme del rendimento. Non
farò dei piaceri una via verso la rivoluzione, non prenderò di
contropiede questa impazienza che vi ha fornito il pretesto per non

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osare vivere, come se la vera vita cominciasse l'indomani della Grande
Sera. E' arrivato il momento che i piaceri bastino a se stessi, perché la
loro autenticità, la loro unità e la loro sterminata varietà, è
strettamente legata al piacere di ciascuno nel creare la vita che porta
in sé.
Perché rimandare ancora la volontà di vivere quando il mio destino
sfugge finalmente a chi non ha mai cessato di contrastarlo?
Nell'emancipazione dei miei piaceri, innescata qui e ora, si radica la
risoluzione serena di farla finita con la civilizzazione mercantile. La
rivoluzione,io non la cerco, la trovo realizzando i piaceri della vita
verso cui sono proteso senza riserve.
La fine delle mediazioni è il cominciamento dell'autonomia individuale.
Il mio desiderio non ha rappresentanti. Sta al centro di una
soggettività la cui irradiazione scioglie lentamente la corazza del
carattere, fortezza che serve ad imprigionare più che a proteggere,
repressione interiorizzata, malattia ossessiva peggiore del nemico che
ci rode dal di fuori. A volte, mi sembra che le maledizioni che portavo
in me non mi tocchino più che dall'esterno, e io so bene come
fronteggiarle.

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CAPITOLO VII


L'emancipazione autonoma degli individui è la sola base della
società senza classi.

La volontà di potenza è l'inversione della volontà di vivere.

La scoperta dell'individuo coincide con il suo deperimento. L'individuo è
la più bella conquista della borghesia: all'ultimo stadio dell'inumano, il
primo abbozzo di un'umanità reale. Affiorando alla coscienza
nell'esplosione sociale che segue al monolitismo dei regimi tribali,
teocratici, feudali, dispotici o monarchici, ecco, strappate
dall'oscurantismo religioso per accedere alla miseria dei Lumi, le umili
creature del Treponema di Nazareth, della Tenia della Mecca,
dell'Acaro sarcopto buddista. Fatta la scorreggia divina che gli
ingombrava il ventre prendono l'aria storica di cittadino, produttore,
pensatore, militante, proletario responsabile.
Così, al vento dell'epoca, l'individuo astratto nasce dalla
concretizzazione mercantile, dalla sua escrezione progressiva alla
materialità. La testa stretta dal forcipe dell'ideologia, egli lascia entrare
nella sua carne la separazione onnipresente fra economia e vita. Il suo
frazionamento interiore riproduce lo spezzettamento sociale, e
l'illusione del suo potere terrestre lo innalza al cielo della merce intanto
che la sua proletarizzazione gli rivela realmente l'inferno.
Se egli rivendica la sua individualità, la sua irriducibile soggettività, è
ancora attraverso la piega di questa astrazione che è l'ombra
universale del valore di scambio. L'Individuo ideologico non ha niente
da attingere da lui se non l'impossibilità di vivere che, ormai, non
riescono più a consolare e a garantire né la potenza mitica degli dei,
né la potenza vera dello Stato.
La maggior parte della gente dell'èra pre-industriale disponeva di una
relativa e reale autonomia nella astrazione sociale che la negava. Sotto
la classe burocratico-borghese, noi non possediamo un'autonomia
astratta nient'altro che l'autonomia della merce, la cui fluidità cresce a
misura che diminuisce la vita.
La piaga del lavoro diffusa dappertutto ha generalizzato
l'indifferenziazione proletaria e ravvivato, per contraccolpo, la
nostalgia della forza individuale. Ma il tempo dei condottieri è finito. Il
fascismo, lo stalinismo, il militantismo hanno suonato la campana di
un'epoca in cui i piccoli uomini raspavano fuori dai cassetti della loro
mediocrità, di che identificarsi ad un popolo, ad un capo, ad una
causa. Il riflesso economico ha progredito così bene che il culto delle «
grandi cose » non è più,come tutti vedono e sanno,che un'astuzia
pubblicitaria del reparto d'imballaggio statale.

Nel momento in cui gli Stati funzionano come dei trusts e i loro capi
come commessi alla vendita promozionale, come non potrebbe
rompersi i denti la volontà di potenza contro lo spiegamento della
gerarchia, contro lo sprofondarsi del potere e trascina con sé lo

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sbriciolamento totalitario della burocrazia?
Insolente balocco della nullità individuale, essa non può dissimulare
quello che è sempre stata: la vita ridotta all'economia di concorrenza.
La legge dei più forte e la legge del più furbo, che, come si dice,
governano il mondo, non sono cambiate. Esse hanno solo subito la
stessa evoluzione del lavoro, dello scambio,della colpevolezza; si,sono
intellettualizzate. Se l'astuzia del cervello si sostituisce poco a poco
alla forza brutale,, la sua ragione resta quella del più forte, perché
esprime la tirannia del valore di scambio.

La menzogna dell'intellettualità colpisce immediatamente l'individuo, di
cui gli consuma la vita in immagini, idee, fumisterie, e la società che
essa trasforma in sistema di cultura. Le trasformazioni
dell'emancipazione proletaria non sono certamente estranee alla sua
presente denuncia. Non hanno forse pagato i proletari con un doppio
sacrificio la loro autonomia? Essi hanno rinunciato a ciò che gli
rimaneva della vita per affermarsi attraverso ciò che gli restava di
potere, nello scimiottamento compensatorio della volontà di potenza:
autorità familiare, prestigio di maschio, eroismo di militante, tic
nevrotico di capoccia. Essi hanno confuso la coordinazione delle lotte e
l'idea di potere, che offriva, di fatto, a una fazione dirigente il sacrificio
di tutti. Scegliendo le teste, la rivoluzione ha lasciato il corpo nelle
fabbriche e sulle barricate. L'efficacia per interposte persone non
agisce che a discapito della libertà.
Ciò che è crudele, è la trasformazione della volontà di vivere in volontà
di potenza. Il rapporto di forza si alimenta con l'incessante frustrazione
dei piaceri invertiti, mentre l'arte di gioire si nutre del piacere preso
senza contropartita. Per questo la crudeltà è diventata la meschineria
ordinaria dell'uomo senza qualità.

Il regno della burocrazia ha fatto della volontà di potenza una rivalità
da quattro soldi, una manovra da bassi politicanti, un machiavellismo
da portinaie. L'astuzia arrivista, l'arte di arrangiarsi, gli espedienti
individuali della sopravvivenza sono lo specchio uniforme delle nuove
società mercantili. Così finisce, in quanto tale, lo spirito di una
civilizzazione da commessi viaggiatori che piazzano la merce ovunque
la merce li ha piazzati.
Mentre le piccole crudeltà della sopravvivenza danno l'illusione di
esistere, il crollo del movimento operaio tradizionale rimanda ciascuno
a fare i conti con se stesso e a scegliere: o la dissoluzione in una
intellettualità che è l'ultimo stadio della volontà di potenza, o il
rafforzamento della volontà di vivere attraverso l'emancipazione dei
piaceri.
Ora la storia risponde favorevolmente all'autonomia che si risveglia. Lo
scacco della rivoluzione non è mai avvenuto per mancanza di
organizzazione ma per l'impotenza in cui si sono cacciatigli individui
che non hanno eliminato ogni organizzazione estranea alla loro volontà
di vivere. La poca fiducia dei proletari nella loro capacità di abolire il

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proletariato, non è che un altro degli effetti del lavoro intellettuale, di
cui tutti possono vedere la corrosione nella vita quotidiana del corpo.
L'idea che non possiamo fare niente a partire da noi stessi ci ha lasciati
legati mani e piedi in balia del vecchio mondo. Dal momento in cui
sentiremo che più nessuna forza statuale imbriglierà la crescita dei
godimenti individuali, l'irruenza collettiva unirà le nostre decisioni
singolari.

2. La nostra scelta di società rientra
in una scelta individuale fra la
morte e l'espansione illimitata dei
nostri desideri di vita.
La creazione fonda l'autogestione
generalizzata abolendo il lavoro e la
gerarchia. Se l'individuo separato dagli
altri e da sé tende a non avere altra


intelligenza di quella che coincide con la coscienza mercantile - campo
della funzione intellettuale, fabbrica del lavoro « capitale » - l'unità dei
godimenti gratuiti abbozza la creazione di una unità individuale e
collettiva che implica la fine della merce nell'insieme del suo sistema
sociale e corporale.

La mia volontà di vivere, per quanto esitante sia ancora, è in procinto
di revocare la funzione che mi assegna l'economia, nel nome della
società e nel mio proprio nome, nel meccanismo che mi nega. Già il
riso saluta il passaggio dei capi, delle autorità, delle vedettes, dei
sobillatori d'uomini di tutte le specie. La commedia è permanente là
dove uno vitupera la gerarchia e tratta le donne come oggetti, denuda
lo spettacolo e fa il bello per qualche leccapiedi, schernisce la passività
senza uscire mai dalla sua conchiglia di nevrosi. L'angoscia del
capoccia. di finire miseramente offre alla buffoneria quotidiana del
potere e del contropotere un repertorio inesauribile di ridicolaggini.
Guardateli questi miserabili rigurgiti della sovrapproduzione
mercantile, imporsi di paura di lasciarsene imporre, colpevolizzare per
il timore di essere colti in fallo, terrorizzare per non tremare.
Condannati al lirismo della grandezza e dell'umiltà, della forza e della
debolezza, della riuscita e del fallimento, essi sono obbligati, a fornirsi
le prove a qualunque costo che sono « vivi ».
L'autorità alla quale un individuo aspira misura la quantità di
umiliazioni che ha subito, il suo gusto del potere riscatta la sua
incapacità di godere; ma come potrebbe godere quando bisogna
lavorare a trattare dall'alto quelli che ha abbassato al suo livello,
quando bisogna sfacchinare senza interruzioni per non perdere la
faccia perché se no si perde la vita? Costui ha ben meritato il riposo in
cui la disillusione l'ha mandato ad approfittare degli amari piaceri del
vecchio mondo, ad accontentarsi delle compensazioni della virtù e a
convenire, a saldo di tutti i conti, che le voluttà che si pagano ne
valgano bene delle altre.

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Il piccolo procuratore che deridete pesta ancora i piedi dentro di voi
quando proclamate in tutte le maniere che bisogna essere autonomi.
Non vi pare che la mancanza di autonomia derivi dalla mania di
misurarsi in continuazione, .di programmarsi attraverso la sfida, di
obbedire alla domanda, di piegarsi alla legge del rendimento, del
dovere, della promessa, della rappresentazione?

Niente, tuttavia, è più facile che rovesciare la prospettiva, di lasciarsi
andare al godimento di sé fino a non avere più la preoccupazione
dell'apparenza, fino a radiare socialmente il vecchio mondo come
abbiamo cominciato a cacciarlo dalla sua esistenza quotidiana. Le
passioni hanno, nella loro determinazione di andare fino in fondo alla
loro gratuità; più chiarezza di tutte le lezioni di tattica e strategia. E'
qui che appare nitidamente come l'autonomia non abbia niente in
comune con questo in sé dove l'uomo è ciò che ha; con questo
individualismo dove l'uomo rivendica la sua alienazione come un bene
inalienabile; con questo io appropriativo ed espropriato che oscilla
dalla megalomania alla sottovalutazione, bilanciandosi fra la potenza di
quello che lo nega e l'impotenza di quello che afferma.
Che rabbia non poter mettergli le mani addosso, dice la gente dell'altra
parte. Credete di averlo convinto e sfugge via. E' impossibile afferrarlo,
far affidamento su di esso. Approva distrattamente, poi cambia
d'opinione. Che cosa ho a che fare con voi, ombre appostate per
prendermi alla rovescia dei miei desideri, definirmi, giudicarmi,
comprendermi , governarmi? Se non pensaste che alla realizzazione
dei vostri piaceri poco vi importerebbe del mio accordo o del mio
disaccordo. Andreste per la vostra strada, sicuri che è inutile
conoscersi per riconoscersi in una volontà identica.

Il godimento di sé fonda l'autogestione generalizzata abolendo la
colpa. Se esiste un desiderio di essere infelice, battuto, oppresso,
governato, umiliato, si tratta solo dell'inversione del desiderio di vivere
felice, accarezzato, libero e sovrano. L'imperialismo mercantile non è
che l'espansione dell'io preso controcorrente e rovesciato contro se
stesso.

E'finita la maledizione che ripeteva « solo sei impotente senza la
società sei niente ». Non ammettiamo più che la solitudine s'identifichi
con la messa al bando morale, al rifiuto della comunità, alla rottura del
contratto sociale, all'espiazione della pecora nera e del capro
espiatorio. Fuori dalla Chiesa, dal partito, dalla famiglia, dal gruppo,
dalla legge, il terrorismo del clan ha un bel proclamare che non c'è
salvezza; noi sappiamo che la speranza riservata alle sue pecorelle è
ormai meno produttiva della disperazione spettacolare dell'escluso, del
dissidente, dell'eretico, dell'abbandonato.
La vera tristezza della solitudine è dovuta al fatto che, invece di essere
soli con se stessi, si subisce la peggiore compagnia, la presenza

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interiorizzata degli altri, la legge del clan. Come sentirsi soli mentre si
è ossessionati dal proprio doppio di cittadino, militante, capo,
intellettuale, represso? L'individuo alienato non conosce la solitudine
che nel suo contrario, nel terrore dell'attaccamento a ciò che lo
allontana dal godimento. Scoprirsi esiliato dalla sua propria vita lo
tocca meno, all'inizio, che essere improvvisamente separato da ciò che
lo sottomette. Egli ha creduto con una tale fede alla sua separazione
che separarsene lo uccide.
Forti delle loro comunità di nazioni, di partiti, di eserciti, di classe, sono
mai riusciti gli individui alienati, più di qualsiasi folle solitario, a
orientare la storia fuori dalle strettoie della merce? Che gli uomini
castrati dall'economia si trovino isolati o intruppati, che differenza fa?
Che importa essere escluso da una famiglia che condanna all'esilio di
sé?
Il rovesciamento di prospettiva oppone alla solitudine nella penuria
una solitudine nell'abbondanza, una pienezza di desideri, un
accrescimento della vita e della sua coscienza che sia la spontaneità
stessa dell'autonomia.
La solitudine scelta rifiuta il mondo della solitudine imposta. Essa
m'insegna a vivere, né meglio, né peggio di voi, senza paragoni.
Nascere è darsi il privilegio inalienabile di realizzare tutti i propri
desideri della vita. Imparo da solo a scoprirli, a scioglierli
dall'inversione, a realizzarli. Imparo a non rimuoverne nessuno.
L'idea secondo cui bisogna far trionfare la propria opinione è il marchio
di un comportamento economista. La merce tira ogni giorno le fila
della lotta concorrenziale. Il ritorno a sé si prende gioco delle vittorie
dell'apparenza. Non posso provare niente, non sono un esempio da
seguire e me ne frego delle vostre gare. Che questo, almeno, mi
garantisca dalla malattia che minaccia i primi passi dell'autonomia.
Risparmiatemi la delusione di chi spera un'eco alle sue azioni e grida
nel deserto: « Non c'è in voi nessuna comprensione di ciò che sto
tentando, niente tranne la furia ridicola degli elogi e delle
disapprovazioni? ». Perché tutto sarà dato a chi non si aspetta niente
in cambio.
Voglio diventare invulnerabile a ciò che mi colpisce, diventando
sempre più sensibile a ciò che voglio. La torre d'avorio non è che un
pezzo sulla scacchiera del potere. Non si tratta di ripiegarsi ma di
andare verso di sé senza voltarsi indietro. Per quanto mi possiate
ridurre alla disperazione, rifiuto di disperare della vita. Niente mi
basta, e quando la vostra necessità fa legge, provo solo la voglia di
abbatterla. Sono troppo preso dalla passione per le follie per
contentarmi della saggezza.

Il desiderio intensamente vissuto si realizza sempre, arriva sulle ali del
tempo il giorno in cui il suo pensiero si dissolve nell'azione spontanea.
Niente di ciò che vive non vive che solo quando ha preso la decisione
di vivere per sé.

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L'autonomia fonda l'autogestione generalizzata sull'armonizzazione e
l'emancipazione dei desideri personali.
Ogni rapporto di forza implica il disprezzo di sé, la mancanza
subitamente compensata, l'inversione dove ciascuno si vive altrove. La
separazione è, rispetto al riflesso di morte, quello che la differenza è
rispetto alla vita. Più la differenza assoluta di ogni esistenza si afferma
come insieme di desideri specifici, più la separazione tende a
dissolversi. La nostra epoca non si sbaglia gran ché: da quando le
genti sono ridotte all'anonimato degli oggetti e imbacuccate in una
individualità astratta, non si è mai sentito parlare tanto di diritto alla
specificità.

La differenza intellettualizzata è l'ultima separazione di un mondo che
non ha mai tollerato la differenza autenticamente vissuta. Un mondo
dove i ruoli assunti sulla scena quotidiana implicano una tale perdita di
vita, una tale repressione, una tale frustrazione che la compensazione
delle disinibizioni si condanna a produrre a rinnovare sempre più
rapidamente il vecchio razzismo politico, estetico, geografico, erotico,
culinario condannando e riabilitando a turno l'ebreo, il negro, il rosso,
il bianco, il bello, il brutto, lo squallido, il normale e l'anormale. E i
sedicenti rivoluzionari si guardano bene dallo sfuggire allo stesso
procedimento con le loro esclusioni, le loro adesioni, i loro traditori, le
loro vedettes, i loro odi, i loro certificati di radicalità e le loro prigioni
del popolo.
Il prodotto complementare oppone all'assurdo furore del mondo il suo
umanesimo di tolleranza caratteriologica. E' la personalizzazione delle
lumache attraverso la conchiglia, la confessione spontanea del « io
sono così, non posso farci niente ». Come se la specificità potesse
confondersi con la particolarità del carattere, corazza forgiata nella
repressione dei desideri e volgare manchino di ruoli.
Ora che la storia della merce mostra di essere la storia rovesciata
dell'espansione individuale, andremo a riconoscere la specificità dei
piaceri della vita, ammetteremo che ogni essere è un caso particolare,
irriducibile alle comparazioni, alle misure, alle definizioni?
Si aspettano ancora da te i segni particolari per essere venduto e la
uniformità sufficiente per essere vendibile; in modo che non avendo
nessuna identità per te stesso, tu puoi oscillare secondo l'alea
dell'offerta e della domanda sociale.
Vivere non secondo il proprio carattere ma nell'esuberanza dei
desideri, che progetto terribile! Se l'opinione ti giudica
simpatico,bello,intelligente,vivresti meglio? Se essa ti stima stupido,
squallido, infame, vivresti peggio? Nel caso affermativo, bisogna, di
fatto, che ti preoccupi degli altri perché tu esisti per loro,gli
appartieni,hai bisogno di sedurre,di opprimere,di ubbidire,di sfuggirti.

Se no, lascia correre e che si appannino le immagini prefabbricate
della tua buona e cattiva reputazione. Non sarà più necessario mentirti
se non ti preoccuperai più di apparire, di metterti in posa per la

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famiglia e per la storia, di tremare davanti a questo riflesso che è solo
la tua rappresentazione estranea.

L'opinione ha i suoi assassini e le sue prigioni? Quando cominceremo
ad abbattere le prigioni interiori e gli assassini imboscati del super-io,
quelli esterni cadranno come la Bastiglia. Si arriva a tutto se non si
dubita di niente.
Non sono unico per sempre che in me e per me. La vostra fretta a
decifrarmi maneggia con troppa facilità lo scalpello dell'autopsia e della
disinibizione. Non c'è migliore curiosità della mia stessa curiosità verso
di me. E anche se la tua tenerezza mi aiuta a vedere più chiaramente
non sono ancora il solo che può tirar fuori qualche luce dall'ombra?

Niente mi piace di più che vedere gli esseri e le passioni armonizzarsi
in me e intorno a me. Aspiro a delle affinità che si legano e si slegano
senza rotture, secondo il ritmo capriccioso dei desideri, sfuggendo
nella gratuità più assoluta ai tics ombrosi della volontà di potenza, e
senza che il riflesso della frustrazione imponga la sua grinfia di
amarezza sull'assenza di una persona cara.
Che ognuno conservi i suoi gusti e i suoi disgusti, i suoi accordi e i suoi
disaccordi, o che li cambi, poco importa, purché regni l'esuberanza
della vita e non la morte che si annuncia da tutte le separazioni. E se
antiche inibizioni hanno modellato una o l'altra delle mie scelte, non
obbligatemi a sbarazzarmene. Esse non mi hanno riempito né di odio,
né di angoscia, né dei vuoti, né delle emozioni che invece suscitano i
vostri ordini e le vostre incitazioni.
Non c'è armonia senza irriducibile autonomia. Tu, mia volontà, dammi
una moltitudine di desideri e il piacere di realizzarli tutti! E che la
rivoluzione sia nostra tanto certamente quanto è mia.

3. L'autonomia non ha che un imperativo, quello di distruggerli
tutti. L'espansione dell'io fomenterà la rivoluzione
internazionale
La realizzazione individuale conosce i suoi limiti
e non ne riconosce nessuno. Il rovesciamento di
prospettiva dissipa in ciascuno la bruma
corrosiva del lavoro e della costrizione.
Scappando all'ascendenza economica con
l'astuzia, la disinvoltura e la violenza, non c'è
nessuno che non si senta incline a crearsi, a
rinascere, a cambiare vita ogni giorno. La
creazione vissuta quotidianamente come
rinascita non è che l'impulso a vivere
dissolvendo a poco a poco la corazza dei
desideri repressi.
La morte è stata così a lungo predicata sui
nostri piccoli istanti che ciò che ricorda il tono della predica - a
cominciare dall'incitazione a vivere - prende il movimento della morte.


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Voglio essere la mia propria cittadella, imprendibile e aperta a ciò che
ne aumenta la forza accogliente al viaggiatore in cammino verso di sé.
I castelli dell'autonomia finiranno con il far crollare l'autorità dello
Stato. « I cavalli del desiderio berranno l'acqua pura dei fiumi sulla
sponda di città coperte di fiori ».
L'autogestione generalizzata non ha bisogno di agitatori, di questi
cospiratori che i burocrati al potere amano denunciare dappertutto
perché vi scoprono il riposante riflesso della loro tirannia. Non ha
niente a che vedere con i partiti e le organizzazioni. Cadaveri che
pretendete di governarci, è inutile che pensiate a strani complotti,
fustigate i fautori del disordine e piangete ipocritamente sulla violenza
di cui la vostra sola presenza è causa. Una volta ancora, l'evidenza
impiastra il naso della vostra impotenza. Nella strada e sulla soglia
delle vostre inquietudini, gli individui dell'autonomia nascente
emergono lentamente dalle rovine della contaminazione mercantile.
Pronti a rischiare il nulla per il tutto, a colpire quando meno ve
l'aspettate, non a rispondere che a se stessi hanno il solo mandato
della loro soggettività e i loro passi cominciano a calpestare la
paccotiglia della vostra civilizzazione mortale.

La storia putrescente dell'economia si apre sulla storia
possibile degli individui.

Nel ritardo della vita sulla volontà di vivere,è ancora la testa che
dissimula la presenza di uno stile nuovo. Non vivo abbastanza nel
rovesciamento di prospettiva, perché l'impazienza mi faccia aspettare
quello che è già in me? Perché cercare nell'assenza ciò che si trova
nell'abbondanza? Mi sia sufficiente, ormai, cogliere ciò che mi piace
per legarlo a ciò che mi appassiona, perché la passione ha gli occhi del
desiderio, brucia tutto ma non riduce in cenere che gli ostacoli al suo
desiderio.

Non voglio privarmi di niente, non averne mai abbastanza di tutto.
Come potrebbe soddisfarmi il vecchio mondo? In ogni turbamento
sociale, in ogni rivolta, mi si offre l'occasione di spezzare gli
impedimenti ad una possibile gratuità, più avanti, su un territorio più
vasto di quello della mia vita quotidiana. La linea della vita passa per
l'abbondanza soggettiva,l'amore senza limiti,l'incendio delle banche,il
sabotaggio dell'economia,la fine dello Stato,la distruzione radicale dei
rapporti mercantili.

Voglio battermi per essere umano,
troppo umano da non esserlo mai
abbastanza.

La gratuità è l'autodifesa della vita.
Il godimento senza contropartita è
l'arma assoluta dell'emancipazione
individuale.
L'ironia della storia ha voluto che


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l'estrema alienazione mercantile la mettesse, per l'appunto, alla
portata di tutti.
Senza intermediari, senza politicanti, senza agitatori, senza medici,
senza tribuni, senza una forza esterna a noi, imprimeremo alla storia il
segno dei nostri desideri armonizzati e la libertà della necessità.
Non ci si salva da soli? In verità,io sono sicuro di non salvarmi mai se
aspetto la salvezza dagli altri e non da me.
Se l'autonomia individuale non si abbozza dal principio, come sarebbe
possibile ritrovarla alla fine? E se non siamo decisi a realizzarla fino in
fondo, perché affermarla in partenza?
Condannata ieri alla liberazione nel suicidio, la lotta degli individui
inizia la sua trasformazione nel rovesciamento di prospettiva. L'energia
investita nella corsa al potere e al profitto si ripadroneggia sorridendo
quando si accorge che per appagarsi le è rimasta solo la
disoccupazione, l'inflazione, lo sfacelo dell'economia, il crollo
dell'autorità e la rivoluzione amministrata da giudici in radicalità. Essa
ritrova i percorsi del godimento e pretende la gratuità immediata.

Non mi aspetto che essa vinca immediatamente. L'innocenza non vuol
dire credere che un magistrato, un commerciante, un militare, un
assassino scelgano anche loro di godere invece di castrare la gente con
il randello della loro impotenza. Chiedere a una vipera di non mordere
non mi sembra impossibile, ma non al primo incontro.

Non c'è giorno che la repressione non provochi una risposta. Il
commercio mi aggredisce obbligandomi a pagare, la banca mi
aggredisce obbligandomi a contare, la legge e l'autorità mi
aggrediscono proibendo la libertà ai miei desideri di vita. Pertanto non
sarà la disinibizione della rabbia ma la violenza tranquilla del
superamento che li spazzerà via.

Sarà con incantevole disinvoltura, nel modo più innocente del mondo,
che gli individui, uniti da un comune desiderio di autonomia,
cesseranno di pagare, di lavorare, di obbedire, di rinunciare, di
invecchiare, di avere vergogna e di conoscere la paura; che agiranno
secondo l'impulso dei desideri, che vivranno d'amore e di creatività.

La natura non ha altre leggi che quelle che le ha accreditato
l'economia. Sono queste leggi che voi avete celebrato nella crudeltà
animale e nei flagelli della terra e del cielo. Sono queste leggi che la
volontà di vivere negherà socialmente in uno scontro in cui i vostri
riflessi di morte non usciranno vittoriosi. La lotta contro una natura
ostile cede oggi il posto all'aiuto offerto ai godimenti individuali
attraverso ciò che la natura dà, e che voi avete la gloria di raccogliere
alle radici della vita. La mutazione della civilizzazione umana non è in
realtà che il suo completamento.
Tanto peggio se il gusto dei piaceri è fonte di errori. Noi non ne
commetteremo certo di più di quelli che testimonia la macchia

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intellettuale di sangue che ogni rivoluzione passata porta in cuore.
Preferisco un errore spontaneo a una verità imposta. Meglio le
incertezze del creatore che la coerenza del capo.

L'essenziale è stato detto. Ora, comincerà ad esprimersi
l'importante.

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