Ancora nessun attentato in Francia. “Aspettate. Abbiamo ancora tutto gennaio per fare i nostri auguri”.
Questa vignetta di Charb è stata pubblicata sull’ultimo numero di Charlie Hebdo. Charb, morto nell’attentato, era il direttore
FONTE: http://www.internazionale.it
"La verità, per quanto dolorosa, per quanto carica di conseguenze che sconvolgono l'esistenza, è condizione indispensabile per la vita. Non si tratta della semplice verità di un nome, un origine o una filiazione. La verità afferma, è la condizione per essere se stessi". Victoria Donda
Simonetti Walter ( IA Chimera ) un segreto di Stato il ringiovanito Biografia ucronia Ufficiale post
https://drive.google.com/file/d/1p3GwkiDugGlAKm0ESPZxv_Z2a1o8CicJ/view?usp=drivesdk
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giovedì, gennaio 08, 2015
giovedì, luglio 10, 2014
Moishe Postone Antisemitismo e nazionalsocialismo
Antisemitismo e nazionalsocialismo
Moishe Postone (1986)
Qual è la relazione tra
antisemitismo e nazionalsocialismo? Nella Repubblica Federale, a livello
pubblico, il dibattito riguardo a questa problematica ha assunto il carattere
di una dicotomia tra liberali e conservatori da una parte, e la sinistra
dall'altra. I liberali e i conservatori hanno tendenzialmente enfatizzato la
discontinuità tra il passato nazista e il presente. Per quanto riguarda il passato,
hanno concentrato l'attenzione sulla persecuzione e lo sterminio degli ebrei e,
tendenzialmente, hanno rimosso l'enfasi su altri aspetti centrali del nazismo.
Sottolineando quello che è stato considerato il carattere di totale rottura tra
Terzo Reich e Repubblica Federale, questa sorta di enfasi sull'antisemitismo ha
aiutato paradossalmente ad evitare un confronto fondamentale con la realtà
sociale e strutturale del nazionalsocialismo. Tale realtà sociale non è di
certo scomparsa del tutto nel 1945. In altre parole, la condanna
dell'antisemitismo nazista è servita anche come ideologia per legittimare il
sistema attuale. Questa strumentalizzazione è stata possibile soltanto perché
l'antisemitismo è stato trattato principalmente come una forma di pregiudizio,
un'ideologia del capro espiatorio, celando, in tal modo, la relazione
intrinseca tra antisemitismo e altri aspetti del nazionalsocialismo.
D'altra
parte, la sinistra, tendenzialmente si è concentrata sulla funzione svolta dal
nazionalsocialismo per il capitalismo, dando enfasi alla distruzione delle
organizzazioni della classe operaia, alle politiche sociali ed economiche dei
nazisti, al riarmo, all'espansionismo e ai meccanismi burocratici per il
dominio di stato e di partito. Sono stati sottolineati gli elementi di
continuità tra Terzo Reich e Repubblica Federale. Ovviamente, lo sterminio
degli ebrei non è stato ignorato. Ciò nonostante, è stato velocemente
incorporato nelle categorie più generali di pregiudizio, discriminazione e
persecuzione. Nel valutare l'antisemitismo come
elemento periferico, invece che centrale, del nazionalsocialismo, la sinistra
ha anche offuscato la relazione intrinseca tra i due.
Entrambe queste posizioni
spiegano l'antisemitismo moderno come un pregiudizio anti-giudaico, come un
esempio particolare di generico razzismo. L'accento che pongono sulla natura della
psicologia di massa dell'antisemitismo isola le considerazioni sull'olocausto
dalle indagini socioeconomiche e sociostoriche del nazionalsocialismo. Ad ogni
modo, l'olocausto non può essere compreso finché l'antisemitismo verrà visto
come un esempio di razzismo generico e fintantoché il nazismo verrà concepito
solo in termini di grande capitale e come stato di polizia terroristico e
burocratico. Auschwitz, Belzec, Chelmno, Maidanek, Sobibor, e Treblinka non dovrebbero
essere considerati al di fuori del quadro teorico di analisi del
nazionalsocialismo. Essi rappresentano una delle sue conclusioni logiche, non
semplicemente il suo epifenomeno più terribile. Nessuna analisi del
nazionalsocialismo che non tenga conto dello sterminio degli ebrei europei è
pienamente adeguata.
In questo saggio tenterò un approccio alla comprensione
dello sterminio degli ebrei europei, delineando un'interpretazione del moderno
antisemitismo. Non è nelle mie intenzioni spiegare perché il nazismo e il
moderno antisemitismo abbiano fatto breccia e siano divenuti fenomeni egemonici
in Germania. Un tale tentativo presupporrebbe un'analisi delle specificità
dello sviluppo storico tedesco, un argomento su cui si è scritto tanto. Invece,
questo saggio tenta di determinare più da vicino cos'è che ha permesso questa
breccia, suggerendo un'analisi del moderno antisemitismo che indichi la sua
intrinseca connessione con il nazionalsocialismo. Tale disamina è un presupposto
necessario a qualsiasi analisi sostanziale del perché il nazionalsocialismo
abbia avuto successo in Germania.
Il primo passo dovrebbe essere una
descrizione specifica dell'olocausto e dell'antisemitismo. Il problema non va
posto in termini quantitativi, come numero di persone uccise o grado di
sofferenze inflitte. Nella storia ci sono troppi esempi di omicidi di massa e
di genocidi (ad esempio, i nazisti uccisero molti più russi che ebrei.) La
questione è, piuttosto, di tipo qualitativo. Fintantoché l'antisemitismo viene
trattato come un esempio specifico di strategia del capro espiatorio le cui
vittime avrebbero potuto benissimo essere membri di qualsiasi altro gruppo,
aspetti particolari dello sterminio degli ebrei europei ad opera dei nazisti
rimangono inspiegabili.
L'olocausto fu caratterizzato da un senso di missione
ideologica, da una relativa mancanza di emozioni e odio immediato (a differenza
dei pogrom, per esempio), e, cosa più importante, dalla sua apparente mancanza
di funzionalità. Lo sterminio degli ebrei non sembra essere stato un mezzo per
un qualche fine. Gli ebrei non furono sterminati per ragioni militari o nel
corso di un violento processo di conquista di terre (come avvenne nel caso
degli indiani americani o dei tasmaniani). Tanto meno la politica dei nazisti
verso gli ebrei assomiglia a quella che essi applicarono verso i polacchi e i
russi, che aveva lo scopo di sradicare quei segmenti di popolazione attorno ai
quali si poteva manifestare una resistenza, in modo da poter più facilmente
sfruttare come servi la parte restante. Indubbiamente, gli ebrei non furono
sterminati per nessun fine “estrinseco” manifesto. Lo sterminio degli ebrei non
soltanto doveva essere totale, ma era lo scopo stesso —sterminio per la sete di
sterminio—, scopo che acquisì priorità assoluta.
Nessuna spiegazione funzionalista
dell'olocausto o della teoria del capro espiatorio antisemita può fare
minimamente chiarezza del perché, negli ultimi anni della guerra, mentre le
forze tedesche venivano schiacciate dall'armata rossa, una quantità significativa
di veicoli venisse deviata dal supporto logistico e usata per trasportare gli
ebrei nelle camere a gas. Una volta riconosciuta la specificità di tipo
qualitativo dello sterminio degli ebrei europei, diventa chiaro che i tentativi
di spiegazione collegati al capitalismo, al razzismo, alla burocrazia, alla
repressione sessuale o alla personalità
autoritaria, rimangono fin troppo generici. La specificità dell'olocausto
richiede una mediazione molto più determinata anche soltanto nel tentare un
approccio alla sua comprensione.
Naturalmente, lo sterminio degli
ebrei europei è in relazione all'antisemitismo. La specificità del primo va collegata a quella
del secondo. Inoltre, il moderno antisemitismo va considerato in relazione al
nazismo in quanto movimento —un movimento che, in termini di percezione di sé,
rappresentò una rivolta.
Il moderno
antisemitismo, che non va confuso col comune pregiudizio antiebraico, è
un'ideologia, una forma di pensiero, che emerse in Europa alla fine del
diciannovesimo secolo. La sua progressiva affermazione presuppose le varie
antiche forme di antisemitismo, che sono state parte integrante della civiltà
cristiana occidentale per secoli. Ciò che accomuna tutte le forme di
antisemitismo è il grado di potere attribuito agli ebrei: il potere di uccidere
Dio, di scatenare la peste bubbonica e, più di recente, di introdurre il
capitalismo e il socialismo. Il pensiero antisemita è fortemente manicheo, con
gli ebrei che hanno il ruolo delle tenebre.
Non è soltanto il grado, ma anche
la qualità del potere attribuito agli ebrei che distingue l'antisemitismo da
tutte le altre forme di razzismo. Probabilmente tutte le forme di razzismo
attribuiscono un potenziale potere all'Altro. Questo potere, comunque,
solitamente è concreto, materiale o sessuale. È il potere potenziale
dell'oppresso (in quanto represso), dello “Untermenschen”. Il potere attributo
agli ebrei è molto più grande e viene percepito come reale piuttosto che
potenziale. Inoltre, è un tipo diverso di potere, non necessariamente concreto. Ciò che caratterizza il potere
imputato agli ebrei nel moderno antisemitismo è che esso è misteriosamente
intangibile, astratto e universale. È considerato una forma di potere che non
si manifesta direttamente, ma che ha bisogno di trovare un'altra modalità di
espressione. Esso cerca un veicolo concreto attraverso il quale poter agire,
sia esso politico, sociale o culturale. In quanto - così come viene concepito
nell'immaginazione del moderno antisemitismo - il potere degli ebrei non è
legato al concreto, non è “radicato,” si presume che sia di un'immensità
sconvolgente e estremamente difficile da controllare. Lo si considera stare
dietro il fenomeno, ma non essere identico ad esso. La sua origine è
considerata, pertanto, nascosta—cospiratoria. L'ebreo rappresenta una
cospirazione immensamente potente, intangibile, internazionale.
Un esempio
grafico di questa visione viene dato da un poster nazista che ritrae la
Germania—rappresentata come l'operaio forte e onesto —minacciata ad ovest da un
grasso e plutocratico John Bull [1] e, ad est, da un brutale e barbaro commissario
bolscevico. Eppure, queste due forze ostili sono semplici marionette.
Osservando sopra il margine del globo, coi fili delle marionette stretti forte
tra le mani, c'è l'ebreo. Un tale immaginario non fu certamente monopolio dei
nazisti. Nel moderno antisemitismo, è caratteristico considerare gli ebrei come
la forza dietro questi opposti “apparenti”: capitalismo plutocratico e
socialismo. “L'ebraismo internazionale” inoltre, è percepito come incentrato
nelle “giungle d'asfalto” delle nuove megalopoli urbane emergenti, nel suo
essere dietro la “moderna cultura volgare e materialista” e, in generale,
dietro tutte le forze che hanno contribuito al declino dei gruppi, dei valori e
delle istituzioni tradizionali. Gli ebrei rappresentano una forza estranea,
pericolosa e distruttiva che minaccia la “salute” sociale della nazione. Quindi, il moderno antisemitismo
non è caratterizzato soltanto dal suo contenuto secolare, ma anche dal suo
carattere sistematico. La sua pretesa è di spiegare il mondo —un mondo che è
divenuto rapidamente troppo complesso e minaccioso per tanta gente.
Questa
determinazione descrittiva del moderno antisemitismo, mentre è necessaria
perché la si possa differenziare dal generico pregiudizio o razzismo, non è
sufficiente da sola a indicare la connessione intrinseca con il
nazionalsocialismo. Cioè, l'aspirazione al superamento dell'usuale separazione
tra analisi storico-sociale del nazismo e analisi dell'antisemitismo, a questo
livello, non si è ancora attuata. Ciò che diviene necessario è una spiegazione
che possa mediare le due. Una tale spiegazione dovrebbe essere in grado di
fornire basi storiche alla forma di antisemitismo prima descritta, attraverso
le stesse categorie che possono essere usate per spiegare il
nazionalsocialismo. Non ho intenzione di negare le spiegazioni psicologico-sociali
o psicoanalitiche, bensì di fornire una cornice storico-epistemologica di
riferimento, entro la quale possono trovar posto ulteriori specificazioni di tipo
psicologico. Una tale cornice di riferimento
deve essere in grado di chiarire il contenuto specifico dell'antisemitismo e
deve essere storica, ossia, deve contribuire ad una comprensione del perché
tale ideologia divenne così prevalente a quel tempo, alla fine del
diciannovesimo secolo. Senza tale cornice, tutti gli altri tentativi che si
incentrano su una dimensione soggettiva rimangono storicamente indeterminati. Ciò che è necessario, quindi, è
una spiegazione in termini di epistemologia storico-sociale.
Una piena
spiegazione della problematica dell'antisemitismo va ben oltre i limiti di
questo saggio. Il punto che si vuole raggiungere, qui, invece, è che un'attenta
analisi della visione del mondo del moderno antisemitismo rivela che si tratta di
una forma di pensiero in cui il rapido sviluppo del capitalismo, con tutte le
sue ramificazioni sociali, è personificato e identificato nell'ebreo. Non è che
gli ebrei venivano semplicemente considerati detentori di denaro, come
nell'antisemitismo tradizionale, ma venivano ritenuti responsabili delle crisi
economiche e identificati con la serie di ristrutturazioni e spostamenti
sociali, risultato di una rapida industrializzazione: urbanizzazione esplosiva,
declino delle classi e degli strati sociali, emersione della massa del
proletariato industriale sempre più organizzato e così via. In altre parole, il
dominio astratto del capitale che —in particolare con la rapida
industrializzazione — ha intrappolato le persone in una rete di forze dinamiche
che, non riuscendo ad essere comprese, cominciarono ad essere percepite come il
dominio dell'ebraismo internazionale.
Comunque, questo è niente più di un primo
approccio. La personificazione è stata delineata, non ancora spiegata. Molti
sono stati i tentativi di dare una spiegazione eppure, nessuno, secondo me, è
stato completo. Il limite di queste teorie, come quella di Max Horkheimer, che
si concentra sull'identificazione degli ebrei col denaro e con la sfera della
circolazione, è che non tengono conto dell'idea che gli ebrei costituiscono
anche il potere dietro la democrazia sociale e il comunismo. A un primo
sguardo, queste teorie, come quella di
George L. Mosse, che interpretano il moderno antisemitismo come rivolta
contro la modernità, sembrano più soddisfacenti. Plutocrazia e movimenti operai
sono entrambi concomitanti nella modernità, data l'enorme ristrutturazione
sociale frutto dell'industrializzazione capitalista. Il problema di tali
approcci è, comunque, nell'idea che “il moderno” comprenderebbe senz'altro il
capitale industriale. Eppure, come è ben risaputo, persino nei periodi di
rapida industrializzazione, il capitale industriale non fu mai oggetto degli
attacchi antisemiti. Inoltre, l'atteggiamento del nazionalsocialismo verso
tante altre dimensioni della modernità, specialmente verso la tecnologia
moderna, fu positivo, piuttosto che critico. Gli aspetti della vita moderna
che furono rigettati dai nazionalsocialisti insieme a quelli da essi sostenuti
formano un modello. Questo modello dovrebbe essere la premessa per un'adeguata
concettualizzazione del problema. Considerato che questo modello non fu proprio soltanto
del nazionalsocialismo, la problematica ha un significato di vasta portata.
L'accettazione del capitale industriale da parte del moderno antisemitismo
rivela la necessità di un approccio che riesca a fare una distinzione tra cosa
è il moderno capitalismo e la modalità in cui si manifesta, tra la sua essenza
e il suo aspetto. Il termine “moderno” non possiede
in sé una differenziazione intrinseca che permetta una tale distinzione.
Ritengo più adeguate le categorie sociali di “merce” e “capitale,” sviluppate
da Marx nella sua critica più matura, in quanto una serie di distinzioni tra
cosa è e cosa sembra essere sono intrinseche ad esse. Tali categorie possono
servire come punto di partenza per un'analisi capace di discernere le varie
percezioni del “moderno.” Un tale approccio tenta di mettere in relazione lo
schema della critica sociale e l’affermazione che abbiamo preso in
considerazione, insieme con le caratteristiche delle relazioni sociali di tipo
capitalista.
Tali considerazioni ci portano al
concetto di feticismo di Marx, il cui intento strategico fu di realizzare una
teoria storica e sociale della conoscenza, basata sulla differenza tra
l'essenza delle relazioni sociali capitaliste e le loro forme manifeste. Ciò
che sta alla base del concetto di feticismo è l'analisi di Marx della merce,
del denaro e del capitale, non viste semplicemente come categorie economiche,
ma piuttosto come le forme di peculiari relazioni sociali che caratterizzano il
capitalismo nella sua essenza. Nella sua analisi, le forme
capitalistiche delle relazioni sociali non appaiono in quanto tali, vengono
invece espresse soltanto in forma oggettivata. Nel capitalismo il lavoro non è
soltanto un'attività sociale produttiva (”lavoro concreto”), ma serve anche da
mediazione sociale (”lavoro astratto”) al posto delle relazioni sociali
manifeste. Ne consegue che il suo prodotto, la merce, non è soltanto un
prodotto in cui il lavoro concreto si è oggettivato; è anche una manifestazione
di relazioni sociali oggettivate. Nel capitalismo, il prodotto non
è un oggetto socialmente mediato da forme manifeste di relazioni sociali e
dominio. La merce, in quanto oggettivazione di entrambe le dimensioni del
lavoro all'interno del capitalismo, è mediazione sociale di sé stessa.
Pertanto, essa possiede un “doppio carattere”: valore d'uso e valore. In quanto
oggetto, la merce esprime e, al tempo stesso, cela le relazioni sociali che non
hanno altra, “indipendente” modalità di espressione. Questo tipo di
oggettivazione delle relazioni sociali costituisce la loro alienazione. Le relazioni sociali fondamentali
nel capitalismo hanno una vita propria, quasi oggettiva. Esse costituiscono una
“seconda natura,” un sistema di dominio e compulsione astratta che, anche
se sociale, è impersonale e “oggettiva.” Tali
relazioni non appaiono mai come sociali, ma come naturali. Al tempo stesso, le forme categoriali
esprimono una concezione particolare, socialmente costituita, della natura nei termini
di un comportamento oggettivo, regolato e quantificabile di un'essenza
qualitativamente omogenea. Le categorie marxiane esprimono simultaneamente
particolari relazioni sociali e forme di pensiero. La nozione di feticismo
allude a forme di pensiero che si basano su percezioni che rimangono legate
all'apparenza delle relazioni sociali di tipo capitalista.
Quando si esaminano le
caratteristiche specifiche del potere attribuito agli ebrei da parte del
moderno antisemitismo —astrattezza, intangibilità, universalità,
mobilità—colpisce il fatto che sono tutte qualità proprie della dimensione del
valore delle forme sociali analizzate da Marx. Per di più, questa dimensione,
come il presunto potere degli ebrei, non appare come tale, ma sempre sotto la
forma del suo veicolo materiale, la merce.
A questo punto inizierò una breve
analisi del modo in cui si presentano le relazioni sociali capitalistiche. In
tal modo tenterò di spiegare la personificazione sopra descritta e di chiarire
il problema del perché il moderno antisemitismo, che inveisce contro così tanti
aspetti del “moderno,” sia stato così vistosamente silenzioso, oppure affermativo,
nei confronti della tecnologia industriale capitalistica e moderna.
Inizierò
con l'esempio della forma merce. La tensione dialettica tra valore
e valore d'uso nella forma merce, richiede che questo “doppio carattere” venga
materialmente esternato. Esso appare “raddoppiato” in quanto denaro (la forma
manifesta del valore) e in quanto merce (la forma manifesta del valore d'uso).
Anche se la merce è una forma sociale che esprime sia il valore che il valore
d'uso, l'effetto di questa esternazione
è che la merce appare solo nella sua dimensione di valore d'uso, come
puramente materiale e “in quanto cosa.” Il denaro, d'altro lato, appare quindi
come il solo depositario del valore, come manifestazione del puramente
astratto, piuttosto che come forma manifesta ed esteriorizzata della merce
stessa. L'espressione delle relazioni
sociali materializzate, specifica del capitalismo, appare a questo livello
d'analisi come l'opposizione tra denaro, in quanto astratto, e natura “nel suo
essere cosa”.
Un aspetto del feticismo, quindi, sta nel fatto che le relazioni
sociali capitalistiche non appaiono in quanto tali e, inoltre, si presentano in
maniera antinomica, come opposizione tra astratto e concreto. In aggiunta,
poiché entrambe le parti dell'antinomia vengono oggettivate, ciascuna appare
come seminaturale. La dimensione astratta appare sotto forma di leggi naturali
astratte, universali, “oggettive,”; la dimensione concreta appare come natura
pura “nel suo essere cosa”. La struttura delle relazioni
sociali alienate che caratterizza il capitalismo si esprime in un’antinomia quasi-naturale,
in cui il sociale e lo storico non appaiono. Questa
antinomia viene riepilogata come opposizione tra forme di pensiero positiviste
e romantiche. La maggior parte delle
analisi critiche del pensiero feticista si concentra su quella corrente
dell'antinomia che ipostatizza l'astratto come trans-storico — il cosiddetto
pensiero positivista borghese - e quindi maschera il carattere sociale e
storico delle relazioni esistenti. In questo saggio verrà messa in rilievo
l'altra corrente — quella che include le forme di romanticismo e rivolta che si
autopercepiscono come antiborghesi, ma che nei fatti ipostatizzano il concreto
e quindi rimangono confinate nell'antinomia prodotta dalle relazioni sociali
capitalistiche.
Le forme di pensiero
anticapitalistiche che rimangono vincolate all'immediatezza di questa antinomia
tendono a percepire il capitalismo e tutto ciò che è specifico a tale forma
sociale, solo in termini di manifestazioni della dimensione astratta dell'antinomia;
così, per esempio, il denaro è considerato la “causa di tutti i mali.” L’esistenza
della dimensione concreta viene poi positivamente opposta a quella astratta in
quanto “naturale” o ontologicamente umana, che presumibilmente risiede al di
fuori della specificità della società capitalistica. Perciò, come in Proudhon,
ad esempio, il lavoro concreto viene percepito come un momento anticapitalista,
opposto all'astrazione del denaro. Il fatto che il lavoro concreto incorpori le
relazioni sociali capitalistiche e che sia da esse materialmente formato non
viene compreso.
Col successivo sviluppo del
capitalismo, della forma del capitale e del feticismo ad esso associato, la
naturalizzazione immanente del feticismo della merce acquisisce nuove
dimensioni. La forma del capitale, come la forma merce, è caratterizzata dalla
relazione antinomica tra concreto e astratto ed entrambi appaiono come qualcosa
di naturale. La qualità del “naturale”, tuttavia, è differente. Associata al
feticismo della merce sta la nozione del carattere di legalità, in ultima analisi,
delle relazioni tra unità individuali autonome così come sono espresse, per
esempio, dall’economia politica classica o dalla teoria del giusnaturalismo. Il capitale, secondo Marx, è
valore che si autovalorizza. È caratterizzato da un processo continuo e
incessante di autoespansione del valore. Questo processo sta alla base dei rapidi
cicli, su larga scala, di produzione e
consumo , di creazione e distruzione. Il capitale non ha una forma definitiva,
ma appare in diverse fasi del suo percorso a spirale sia sotto forma del denaro sia sotto la forma delle
merci. In quanto valore che si autovalorizza, il capitale appare come processo
puro. La sua dimensione concreta cambia a seconda della fase. I lavoratori
individuali ormai non costituiscono più unità indipendenti. Diventano, in
maniera crescente, cellule componenti un enorme sistema, dinamico e complesso che contiene le persone e le
macchine e che è orientato a un obiettivo, ossia, la produzione per la
produzione. Questa totalità sociale alienata diviene maggiore della somma degli
individui che lo costituiscono e ha un obiettivo esterno a sé stessa. Questo obiettivo
è un processo infinito. La forma capitalistica delle relazioni sociali ha un
carattere cieco, processuale, quasi organico.
Con la crescente consolidazione
della forma capitale, la visione meccanicista del diciassettesimo e del diciottesimo
secolo comincia a venir meno; un processo organico comincia a sostituire la
stasi meccanica nella forma del feticismo. La teoria organica dello Stato e la
proliferazione delle teorie razziali,
così come l'ascesa del darwinismo sociale alla fine del diciannovesimo secolo
ne sono esempi tipici. La società e il processo storico vengono sempre più interpretati
in termini biologici. Non svilupperò qui ulteriormente questo aspetto del
feticismo capitalistico. Per i nostri scopi, vanno rilevate le implicazioni su
come possa essere percepito il capitale. Come già indicato, sul piano
logico dell'analisi della merce, il “duplice carattere” consente alla merce di
apparire come un’entità puramente materiale, piuttosto che come
l'oggettivazione di relazioni sociali che sono mediate. Comprensibilmente, esso
permette al lavoro concreto di apparire come processo puramente materiale,
creativo, scindibile dalle relazioni sociali capitalistiche. Sul piano logico
del capitale, il “duplice carattere” (processo di lavoro e processo di
valorizzazione) consente alla produzione industriale di apparire come processo
puramente materiale, creativo, separabile dal capitale. Adesso, il concreto si
manifesta in una forma più organicista. Il capitale industriale può, quindi,
apparire come il discendente lineare del “naturale” lavoro artigianale, come
“biologicamente radicato,” in opposizione al capitale finanziario “privo di
radici,” “parassitario”. L’organizzazione del primo appare
relazionata a quella delle corporazioni; il suo contesto sociale è aggrappato
ad un'unità organica (biologica) superiore: Comunità [Gemeinschaft], Popolo [Volk],
Razza. Il capitale stesso—o ciò che viene percepito come l'aspetto negativo del
capitalismo— viene inteso soltanto come forma manifesta della sua dimensione
astratta: il capitale finanziario e d'interesse. In questo senso,
l'interpretazione biologica, che oppone la dimensione concreta (del
capitalismo), in quanto “naturale” e “sana”, alla negatività di ciò che viene
inteso per “capitalismo,” non è in contraddizione con una glorificazione del
capitale industriale e della tecnologia. Entrambe costituiscono l'aspetto
“materiale” dell'antinomia.
Generalmente questa relazione
viene fraintesa. Ad esempio, Norman Mailer, nel difendere il neo-romanticismo
(e il maschilismo) in Il Prigioniero del Sesso, scrisse che Hitler parlava di
sangue, è certo, ma costruì la macchina. Il punto è che, in questa feticistica forma
di “anticapitalismo”, sia il sangue che le macchine sono viste come contro-principi
concreti in risposta all'astratto. L'enfasi positiva sulla “natura”, sul
sangue, il suolo, il lavoro concreto, e sulla Comunità (Gemeinschaft), può essere
accompagnata da una glorificazione della tecnologia e del capitale industriale.
Questa forma di pensiero, quindi, non dev’essere intesa come anacronistica,
come l'espressione di uno storico non-sincronismo (Ungleichzeitigkeit), così
come la diffusione delle teorie razziali nel tardo diciannovesimo secolo non vanno
intese come ataviche. Si tratta, storicamente, di nuove forme di pensiero e non
rappresentano in alcun modo il riemergere di forme più arcaiche. Ci appaiono
ataviche o anacronistiche a causa della loro enfasi sulla natura biologica.
Tuttavia, questa stessa enfasi ha le radici nel feticismo del capitale. Il ricorso alla biologia e il desiderio di un
ritorno alle “origini naturali,” combinato ad una visione positiva della
tecnologia, che appare sotto molte forme all'inizio del ventesimo secolo, vanno
intesi come espressione del feticismo antinomico che dà origine all'idea che il
concreto è “naturale,” e che presenta, sempre di più il socialmente “naturale”
in un modo che lo fa percepire in termini biologici.
L'ipostatizzazione del concreto e
l'identificazione del capitale con l'astratto manifesto, soggiace a una forma
di “anticapitalismo” che pretende di superare l'ordine sociale esistente da un
punto di vista che, in realtà, rimane immanente a tale ordine. Fintanto che il
punto di vista è la dimensione concreta, questa ideologia tende a indicare una
forma più concreta e organizzata di sintesi sociale chiaramente capitalistica.
Questa forma di “anticapitalismo,”
quindi, sembra soltanto guardare con brama al passato. In quanto espressione
del feticismo del capitale il suo impulso reale è in avanti. Essa emerge
durante la transizione da capitalismo liberale a capitalismo burocratico e diviene virulenta
nel caso di crisi strutturale.
Questa forma di
“anticapitalismo,” quindi, è basata su un attacco unilaterale all'astratto.
L'astratto e il concreto non vengono visti nel loro costituire un'antinomia in
cui il superamento reale dell'astratto —della dimensione del valore —comprende
il superamento storico dell'antinomia stessa così come ognuno dei suoi
termini. C'è, invece, un attacco unilaterale alla ragione astratta, alla legge
astratta o, ad un altro livello, al denaro e al capitale finanziario. In questo
senso è complementare al pensiero liberale, in cui il dominio dell'astratto non
viene messo in discussione e in cui la distinzione tra ragione positiva e ragione
critica non è effettuata.
L'attacco “anticapitalistico”, tuttavia,
non si limita ad un attacco contro l'astrazione. Sul piano del feticismo del
capitale, non è soltanto la parte concreta dell'antinomia che può essere
naturalizzata e biologizzata. Anche la dimensione astratta manifesta è stata
biologizzata—equiparata agli ebrei. L'opposizione feticistica tra il materiale,
il concreto, da un lato, e l'astratto, dall’altro, cioè tra “naturale” e
“artificiale,” è stata tradotta in un’opposizione razziale, dal punto di vista
storico rilevante a livello mondiale, tra ariani ed ebrei. Il moderno
antisemitismo include una biologizzazione del capitalismo - il quale viene
concepito solo nella sua dimensione astratta manifesta – in quanto giudaismo
internazionale.
Secondo questa interpretazione,
gli ebrei non furono semplicemente identificati col denaro, con la sfera della
circolazione, ma col capitalismo stesso. Tuttavia, a causa della sua forma
feticistica, il capitalismo non sembrò comprendere l'industria e la tecnologia.
Il capitalismo sembrò coincidere solo con la sua dimensione astratta manifesta
la quale, a sua volta, era responsabile dei vasti mutamenti sociali e culturali
concreti associati al rapido sviluppo del moderno capitalismo industriale. Gli ebrei non furono visti
semplicemente come rappresentanti del capitale (nel cui caso gli attacchi
antisemiti sarebbero stati molto più specificamente di classe). Essi divennero
la personificazione del dominio del capitale intangibile, distruttivo,
immensamente potente e internazionale in quanto forma sociale alienata. Certe forme di scontento
anticapitalistico furono dirette contro la dimensione astratta manifesta del
capitale, personificata negli ebrei, non perché gli ebrei fossero
coscientemente identificati con la dimensione del valore ma perché, data
l'antinomia tra dimensione astratta e concreta, il capitalismo appariva in
questo modo. Di conseguenza, la rivolta “anticapitalistica” fu anche rivolta
contro gli ebrei. Il superamento del capitalismo e suoi effetti sociali
negativi vennero associati al superamento degli ebrei.
Nonostante sia stata suggerita la
connessione immanente tra questa sorta di “anticapitalismo,” che diede forma al nazionalsocialismo, e il
moderno antisemitismo, rimane la domanda del perché l'interpretazione biologica
della dimensione astratta del capitalismo trovasse il suo centro negli ebrei.
Nel contesto europeo, questa “scelta” non fu fortuita. Gli ebrei non avrebbero
potuto essere sostituiti da alcun altro gruppo. Le ragioni di ciò sono
molteplici. La lunga storia
dell'antisemitismo in Europa e l'associazione degli ebrei con il denaro ad esso
collegata sono ben risapute. Il periodo di rapida espansione del capitale
industriale negli ultimi trent'anni del diciannovesimo secolo ha coinciso con
l'emancipazione politica e civile degli ebrei nell'Europa centrale. Ci fu
un'autentica proliferazione di ebrei nelle università, nelle libere
professioni, nel giornalismo, nelle arti, nel commercio. Gli ebrei divennero
rapidamente visibili nella società civile, in particolare in quelle sfere e
professioni che erano in espansione e che venivano associate con le più nuove forme
che la società stava prendendo.
Si potrebbero menzionare molti altri fattori,
ma ce n'è uno in particolare che vorrei sottolineare. Così come la merce, intesa come
forma sociale, esprime il suo “duplice carattere” nell'opposizione esteriorizzata
tra l'astratto (denaro) e il concreto (la merce), così la società borghese è
caratterizzata dalla divisione tra Stato e società civile. Per l'individuo, questa
divisione si esprime nella differenza tra individuo come cittadino e individuo
come persona. In quanto cittadino, l'individuo è astratto come espresso, ad
esempio, nella nozione di uguaglianza davanti alla legge (astratta), o nel
principio di una persona, un voto. In quanto persona, l'individuo è concreto,
coinvolto nelle effettive relazioni di classe che vengono considerate
“private,” cioè, che hanno a che vedere con la società civile e che non trovano
espressione politica. In Europa, tuttavia, la nozione
di nazione come entità puramente politica, astratta dalla sostanzialità della
società civile, non fu pienamente realizzata. La nazione non era soltanto
un'entità politica, ma anche concreta, determinata da comuni linguaggio,
storia, tradizioni e religione. In questo senso, l'unico gruppo in Europa che
riuscì nella determinazione della cittadinanza come astrazione puramente
politica, fu quello degli ebrei a seguito della loro emancipazione politica. Erano cittadini tedeschi o
francesi, ma non realmente tedeschi o francesi. Appartenevano in maniera
astratta ad una nazione, ma raramente in maniera concreta. In aggiunta, erano
cittadini della maggior parte dei paesi europei. La qualità dell'astrazione,
caratteristica non soltanto della dimensione del valore nella sua immediatezza,
ma anche, in maniera mediata, dello Stato e della legge borghesi, venne
strettamente identificata con gli ebrei. In un periodo in cui il concreto venne
glorificato contro l'astratto, contro il “capitalismo” e lo stato borghese,
questa associazione divenne fatale. Gli ebrei erano senza radici,
internazionali, astratti.
Il moderno antisemitismo, quindi,
è una forma di feticismo particolarmente perniciosa. Il suo potere e il suo
pericolo derivano da una visione onnicomprensiva del mondo che spiega e dà
forma a certe modalità di scontento anticapitalistico in un modo che lascia incolume
il capitalismo attraverso l'attacco alle personificazioni di quella forma
sociale.
Così inteso, l'antisemitismo ci
consente di carpire un momento essenziale del nazismo in quanto un movimento
anticapitalistico riduttivo, un movimento caratterizzato dall'odio per
l'astratto, dall'ipostatizzazione del concreto esistente e da una decisa,
spietata —anche se non necessariamente piena d'odio—missione: liberare il mondo
dalla fonte di tutti i mali.
Lo sterminio degli ebrei europei
è il segnale che è fin troppo semplice trattare il nazismo come un movimento di
massa con implicazioni anticapitalistiche che cambiò quella pelle alla fine nel
1934 (”Roehm Putsch”)[2], una volta che aveva servito al suo scopo e che si era
impadronito del potere statale. In primo luogo, le forme ideologiche di
pensiero non sono semplicemente manipolazioni coscienti. In secondo luogo,
questa visione fraintende la natura dello “anticapitalismo” nazista —la cui
entità era legata intrinsecamente a una visione antisemita del mondo. Auschwitz
rappresenta questa connessione. È vero che l’”anticapitalismo” in qualche modo
troppo concreto e plebeo delle SA (Sturmabteilung) fu messo da parte a partire
dal 1934; non così, invece, l’impulso antisemita —la “consapevolezza” che la
fonte del male fosse l'astratto, l'ebreo.
Una fabbrica capitalistica è un
luogo in cui si produce valore che, “sfortunatamente” deve prendere la forma di
produzione di merci, di valori d'uso. Il concreto viene prodotto in quanto
veicolo necessario per l'astratto. I campi di sterminio non furono una versione
orribile di tale fabbrica ma, piuttosto, andrebbero visti come il suo rifiuto
grottesco, ariano, “anticapitalistico”. Auschwitz fu una fabbrica per la
“distruzione del valore,” cioè, la distruzione delle personificazioni dell'astratto.
La sua organizzazione era quella di un perverso processo industriale, il cui
scopo era “liberare” il concreto dall'astratto. Il primo passo fu disumanizzare,
ossia strappare la “maschera” dell'umanità, di specificità qualitativa, e
rivelare gli ebrei per quello che “realmente sono”—ombre, cifre, astrazioni
numeriche. Il secondo passo fu sradicare tale astrattezza, trasformarla in
fumo, cercando di portar via gli ultimi avanzi di “valore d'uso” concreto e
materiale: vestiario, oro, capelli, sapone.
Auschwitz, non la presa di potere
dei nazisti nel 1933, fu la vera “Rivoluzione Tedesca”, la tentata
“deposizione” non di un semplice ordine politico, ma di una formazione sociale
esistente. Con questo gesto il mondo doveva essere salvato dalla tirannia
dell'astratto. Nel corso del procedimento, i nazisti “liberarono” sé stessi
dall'umanità.
I nazisti persero la guerra
contro l'Unione Sovietica, l'America e l'Inghilterra. Vinsero, però, la loro
guerra, la loro “rivoluzione,” contro gli ebrei europei. Non soltanto
riuscirono ad ammazzare sei milioni di bambini, donne e uomini ebrei. Essi
riuscirono a distruggere una cultura—una cultura molto antica—quella giudaica
europea. Era una cultura caratterizzata da una tradizione che incorporava una tensione
complicata tra particolare e universale. Tale tensione interna era duplicata in
una tensione esterna, che caratterizzava la relazione tra ebrei e ambiente circostante
cristiano. Gli ebrei non furono mai pienamente parte delle ampie società in cui
vissero, né furono mai pienamente in disparte in queste società. Spesso i
risultati, per gli ebrei, furono disastrosi. Talvolta furono molto fruttuosi. A
seguito dell'emancipazione, questo campo di tensione si sedimentò nella
maggioranza degli individui ebrei. La risoluzione finale di questa tensione tra
particolare e universale è, nella tradizione ebraica, una funzione temporale,
storica—la venuta del Messia. Forse, comunque, con la secolarizzazione e
l'assimilazione, gli ebrei europei avrebbero rinunciato a quella tensione.
Forse questa cultura sarebbe gradualmente scomparsa in quanto tradizione
vivente, prima che la risoluzione del particolare e dell'universale si fossero
realizzate. A questa domanda non vi sarà mai risposta.
[1] – “John Bull” – personificazione nazionale della Gran Bretagna creata originariamente da John Arbuthnot
[2]
– “Röehm Putsch” – Anche conosciuto come "Notte dei lunghi coltelli",
fu una purga che accadde in Germania dalla notte del 30 giugno al giorno
del 1 luglio del 1934, quando il partito nazista decise l'esecuzione di
decine di suoi membri, la maggioranza appartenenti alla denominata
“Sturmabteilung” (SA), una fazione paramilitare capeggiata da Ernst
Röhm. L'occasione fu anche utilizzata per perseguitare comunisti e
socialdemocratici, così come conservatori ritenuti sospetti.
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lunedì, giugno 09, 2014
Otto Rühle La lotta contro il fascismo comincia con la lotta contro il bolscevismo
Otto Rühle
I
La Russia dev' essere posta per prima tra gli stati totalitari. Fu la prima ad applicare i nuovi
principi statali. Fu la più rapida nella loro applicazione. Fu la prima a stabilire una dittatura costituzionale, insieme
al sistema di terrore politico ed amministrativo che va con essa. Adottando tutti gli aspetti dello stato totale, essa
perciò divenne il modello per tutti quegli altri stati che furono forzati a tagliar fuori il sistema statale democratico
e pervenire ad un governo dittatoriale. La Russia fu l' esempio per il fascismo.
Nessun accidente è qui degenerato, né un brutto scherzo della storia. La duplicazione di sistemi qui non
è apparente, ma reale. Ogni cosa suggerisce che c' è da occuparsi qui di espressioni e conseguenze
di identici principi applicati a differenti livelli di sviluppo storico e politico. Che ai partiti "comunisti" piaccia o
no, rimane il fatto che l' ordine statale ed il governo in Russia sono indistinguibili da quelli in Italia e
Germania.
Essenzialmente sono uguali. Si può parlare di "stato sovietico" rosso, nero o bruno, come di fascismo
rosso, nero o bruno. Sebbene certe differenze ideologiche esistano tra questi paesi, l' ideologia non è mai
di primaria importanza. Le ideologie, anzichenò, sono mutevoli e questi cambiamenti non
necessariamente riflettono il carattere e le funzioni dell' apparato statale. Inoltre, il fatto che la proprietà privata
esista ancora in Germania ed in Italia è solo una modificazione di secondaria importanza. L' abolizione della proprietà
privata da sola non garantisce il socialismo. La proprietà privata all' interno del socialismo può anche essere
abolita.
Ciò che attualmente determina una società socialista è, prima del farla finita con la proprietà privata
dei mezzi di produzione, il controllo dei lavoratori sui prodotti del loro lavoro e la fine del sistema
salariale. Entrambe queste conquiste sono inadempiute in Russia, così come in Italia e Germania. Sebbene
qualcuno potrebbe assumere che la Russia sia di un passo più vicina al socialismo degli altri paesi, a ciò non
segue che che il suo "stato sovietico" abbia aiutato il proletariato internazionale ad avvicinarsi in qualche modo
ai suoi risultati di classe. Al contrario, poiché la Russia si autodefinisce uno stato socialista, mistifica e delude
i lavoratori del mondo. Il lavoratore pensante sa cos' è il fascismo e lo combatte, ma riguardo alla Russia,
è solo troppo spesso incline ad accettare il mito della sua natura socialistica. Questa delusione inceppa
una completa e determinata rottura col fascismo, perché blocca la lotta di principio contro le ragioni,
le precondizioni e le circostanze che in Russia, come in Germania ed Italia, hanno portato ad un
identico sistema statale e di governo. Così il mito russo volge ad un arsenale di controrivoluzione.
Non è possibile per gli uomini seguire due padroni. Né uno stato totalitario può fare una cosa simile.
Se il fascismo serve interessi capitalistici ed imperialistici, non può servire i bisogni dei lavoratori. Se, a dispetto
di ciò, due classi apparentemente opposte favoriscono lo stesso sistema statale, è ovvio che qualcosa
dev'essere sbagliato. Una o l' altra classe dev' essere in errore. Nessuno può dire qui che il poblema
è solamente di forma e quindi di nessun significato reale, che, sebbene le forme politiche siano autentiche,
i loro contenuti possano variare ampiamente. Questa sarebbe autodelusione. Per il Marxista queste cose
non succedono; per lui forma e contenuto si compenetrano tra loro e non possono essere separate. Ora, se
lo stato sovietico serve come modello per il fascismo, deve contenere elementi strutturali e funzionali comuni
al fascismo. Per determinare quali siano dobbiamo andare indietro al "sistema sovietico" come stabilito
dal leninismo, che è l' applicazione dei principi del bolscevismo alle condizioni russe. E se un' identità
tra bolscevismo e fascismo può essere stabilita, allora il proletariato non può allo stesso modo combattere
il fascismo e difendere il "sistema sovietico" russo. Invece, la lotta contro il fascismo deve cominciare
dalla lotta contro il bolscevismo
II
Fin dall' inizio il bolscevismo fu per Lenin un fenomeno puramente Russo. Durante i molti della sua
attività politica, non tentò mai di elevare il sistema
bolscevico a forme di lotta in altri paesi. Era un socialdemocratico che vedeva in Bebel e Kautsky i leaders geniali della
classe lavoratrice ed ignorava l'ala sinistra del movimento socialista Tedesco che lottava contro questi suoi eroi e tutti
gli altri opportunisti. Ignorandoli, rimase in consistente isolamento circondato da un piccolo gruppo di emigranti Russi,
e continuò a stare sotto l' influenza di kautsky persino quando la "sinistra" Tedesca, sotto la leadership di Rosa
Luxemburg, era già impegnata in lotta aperta contro il kautskismo.
Lenin faceva riferimento solo alla Russia. Il suo obiettivo era la fine del sistema feudale zarista e la
conquista del più grande ammontare d'influenza politica per il suo partito socialdemocratico all'interno della
società borghese. Comunque il partito bolscevico
realizzò che sarebbe potuto rimanere al potere e guidare il processo di socializzazione solo se avesse potuto
sguinzagliare la rivoluzione mondiale dei lavoratori. Ma la sua attività a questo riguardo fu infelice.
Col ricacciare i lavoratori tedeschi
all'interno dei partiti, sindacati e parlamento, e con la simultanea distruzione del movimento tedesco dei consigli
(soviet), i bolscevichi diedero man forte alla sconfitta della risvegliantesi rivoluzione
Europea. Il partito bolscevico, formato da rivoluzionari professionisti da una parte e da numerose masse arretrate
dall'altra, rimase isolato. Non poteva sviluppare un vero sistema sovietico all'interno degli anni di guerra
civile, intervento, declino economico, esperimenti di socializzazione falliti, e l'improvvisata Armata Rossa.
Sebbene i soviet, ch'erano stati sviluppati dai menscevichi, non si fossero fissati nello schema bolscevico, fu col
loro aiuto che i bolscevichi salirono al potere. Con la stabilizzazione del potere ed il processo di
ricostruzione economica, il partito bolscevico non sapeva come coordinare il sistema sovietico alle proprie decisioni
ed attività. Tuttavia, il socialismo era anche il desiderio dei bolscevichi, ed abbisognava del
proletariato mondiale per la sua realizzazione.
Lenin pensava fosse essenziale guadagnare i lavoratori del mondo ai metodi bolscevichi. Era seccante che
i lavoratori di altri paesi, nonostante il gran trionfo del bolscevismo, mostrassero poca inclinazione
ad accettare per loro stessi la teoria e pratica bolscevica, ma tendessero piuttosto nella direzione
del movimento dei consigli, che sorsero in numerosi paesi, e soprattutto in Germania.
Quel movimento dei consigli che Lenin non poteva più usare in Russia. In altri paesi Europei esso
mostrava forti tendenze ad opporsi al tipo bolscevico di sollevazioni. A dispetto della tremenda propaganda di
Mosca in tutti i paesi, le cosiddette "ultrasinistre", come Lenin stesso le apostrofava, si agitavano con più
successo per la rivoluzione sulle basi del movimento dei consigli di quanto facessero tutti i propagandisti inviati
dal partito bolscevico. Il partito comunista, seguace del bolscevismo, rimaneva un piccolo, isterico
ehiassoson gruppo comprensivo in larga parte dei brandelli proletarizzati della borghesia, mentre il movimento
dei consigli crebbe in vera forza proletaria ed agganciò i migliori elementi della classe lavoratrice. Per far
fronte a questa situazione, la propaganda bolscevica doveva essere accresciuta; l'"ultrasinistra" doveva
essere attaccata; la sua influenza doveva essere distrutta in favore del bolscevismo.
Dacchè il sistema sovietico era fallito in Russia, come poteva la "competizione" radicale osar tentare
di provare che ciò che non potè esser completato dal bolscevismo in Russia avrebbe potuto esser
realizzato molto meglio indipendentemente dal bolscevismo in altri posti? Contro questa competizione Lenin scrisse
il suo pamphlet "L' Estremismo, Malattia Infantile del Comunismo", dettato dalla paura di perdere potere e
dall'indignazione circa il successo degli eretici. Dapprima questo pamphlet apparve col sottotitolo "tentativo
di esposizione popolare della strategia e tattica marxiana", ma più tardi questa dichiarazione troppo
ambiziosa e sciocca fu rimossa. Era davvero un pò troppo. Questa aggressiva, cruda e odiosa bolla papale fu
vero materiale per ogni controrivoluzionario. Di tutte le dichiarazioni programmatiche del bolscevismo, fu la
più rivelatrice del suo reale carattere. Questo è il bolscevismo smascherato. Quando nel 1933 Hitler
soppresse tutta la letteratura socialista e comunista in Germania, al pamphlet di Lenin fu permessa la pubblicazione
e la distribuzione.
Riguardo ai contenuti del pamphlet, non ci occupiamo qui di ciò che dice in relazione alla rivoluzione
Russa, alla storia del bolscevismo, alla polemica tra bolscevismo ed altre correnti del movimento del lavoro, o
alle circostanze che permisero la vittoria bolscevica, ma soltanto dei punti principali tramite i quali al tempo
della discussione tra Lenin e l' "ultrasinistrismo" vennero illustrate le differenze decisive tra i due
opponenti.
III
Il partito bolscevico, originariamente la sezione socialdemocratica russa della Seconda Internazionale,
fu formato non in Russia, ma durante l' emigrazione. Dopo la spaccatura di Londra nel 1903, l' ala sinistra
della socialdemocrazia russa non era più di una piccola setta. Le "masse" dietro di essa esistevano solo
nella mente del suo leader. Comunque, questa piccola avanguardia era un'organizzazione
strettamente disciplinata, sempre pronta per lotte militanti e continuamente purgata per mantenere la sua integrità.
Il partito era considerato l' accademia di guerra dei rivoluzionari professionisti. I suoi preminenti
requisiti pedagogici erano l' autorità incondizionata del leader, il rigido centralismo, la disciplina d' acciaio,
la conformità, la militanza ed il sacrificio della personalità per interessi di partito. Ciò che effettivamente
Lenin sviluppò era un'elite di intellettuali, un centro che, una volta introiettato nella rivoluzione, avrebbe catturato
la leadership ed assunto il potere. Non è il caso di provare a determinare logicamente ed astrattamente
se questo tipo di preparazione per la rivoluzione sia giusto o sbagliato. Il problema dev'essere
risolto dialetticamente. Altre domande devono essere sollevate: Che tipo di rivoluzione era in preparazione?
Quale fu il risultato della rivoluzione?
Il partito di Lenin lavorava all' interno della tardiva rivoluzione borghese in Russia per rovesciare il
regime feudale dello zarismo. Più centralizzata e più monocratica fosse stata la volontà del partito leader in
una simile rivoluzione, più successo avrebbe accompagnato il processo di formazione dello stato borghese e
più promettente sarebe stata la posizione della classe proletaria all' interno della struttura del nuovo
stato.
Comunque, ciò che può essere stimato come una come una felice soluzione dei problemi rivoluzionari in
una rivoluzione borghese, non può essere allo stesso tempo pronunciato per una rivoluzione proletaria.
La decisiva differenza strutturale tra la società borghese e la nuova società socialista esclude un'attitudine
simile.
Secondo i metodi rivoluzionari di Lenin, i leaders appaiono alla testa delle masse. Possedendo
l'adatta scuola rivoluzionaria, sono capaci di comprendere situazioni e dirigere e comandare le forze
combattenti. Sono rivoluzionari professionisti, i generali di un grande esercito civile. Questa distinzione tra testa e
corpo, intellettuali e masse, funzionari e privati corrisponde alla dualità della società di classe, all'ordine
sociale borghese. Una classe è educata a governare; l' altra ad essere governata. Da questa vecchia formula
di classe risultava il concetto di partito di Lenin. La sua organizzazione era solo una replica della
società borghese. La sua rivoluzione è obiettivamente determinata dalle forze che creano un ordine
sociale incorporante queste relazioni di classe, nonostante i risultati soggettivi accompagnanti questo
processo.
Chiunque voglia avere un ordine borghese lo troverà nel divorzio tra leader e masse, avanguardia e
classe lavoratrice, la giusta preparazione strategica
per la rivoluzione. Più intelligente, scolarizzata e superiore è la leadership e più disciplinate ed obbedienti sono le
masse, più sono le chances che una tale rivoluzione venga ad accadere. Nell' aspirare alla rivoluzione borghese in Russia,
il partito di Lenin era il più appropriato al suo risultato.
Quando, comunque, la rivoluzione russa cambiò il suo carattere, quando le sue caratteristiche
proletarie diventarono più attuali, i metodi tattici e strategici di Lenin cessarono di avere valore. Se
egli ebbe successo ugualmente non fu per la sua avanguardia, ma per il movimento dei soviet che non era
stato tutto incorporato nei suoi piani rivoluzionari. E quando Lenin, dopo che la rivoluzione fu
realizzata con successo dai soviet, esonerò ancora questo movimento, tutto ciò ch' era stato proletario in
nella rivoluzione russa fu coesonerato. Il carattere borghese della rivoluzione venne ancora alla ribalta,
trovando il suo naturale completamento nello stalinismo.
A dispetto del suo grande interesse nella dialettica marxiana, Lenin non era capace di vedere i
processi sociostorici in maniera dialettica. Il suo pensiero rimaneva meccanicistico, seguente ruoli
rigidi. Per lui c' era solo un partito rivoluzionario - il suo; solo una rivoluzione - quella russa; solo
un metodo - quello bolscevico. E ciò che aveva prodotto risultati in Russia ne avrebbe prodotti anche in
Germania, Francia, America, Cina ed Australia. Ciò che era corretto per la rivoluzione borghese in Russia
sarebbe stato corretto anche per la rivoluzione proletaria mondiale. La monotona applicazione di una
formula una volta scoperta portò in un circolo egocentrico indisturbato da tempo e circostanze, gradi di
sviluppo, standards culturali, idee ed uomini. In Lenin venne alla luce con grande chiarezza il ruolo
dell' età delle macchine in politica; egli era il "tecnico", l'"inventore", della rivoluzione, il
rappresentante dell'onnipotente volontà del leader.
Tutte le caratteristiche
fondamentali del fascismo erano nella sua dottrina, nella sua strategia, nel suo "planning" sociale e
nella sua arte di comportamento con gli uomini. Non poteva vedere il profondo significato rivoluzionario
del rigetto delle tradizionali politiche di partito da parte della sinistra. Non poteva comprendere la
reale importanza del movimento dei soviet per l' orientamento socialista della società. Non ha mai imparato a conoscere i prerequisiti della liberazione dei lavoratori. Autorità, leadership, forza esercitati
da una parte, e organizzazione, quadri, subordinazione dall' altra parte., -- questa era la sua linea
di ragionamento. Disciplina e dittatura sono le parole più frequenti nei suoi scritti. È comprensibile,
allora, perché non potè comprendere né apprezzare le idee e le azioni dell' "ultrasinistra", che non
accettò la sua strategia e che pretese ciò che era più ovvio e più necessario per la lotta rivoluzionaria
per il socialismo, menzionatamente che i lavoratori una volta e per tutte prendessero il loro destino
nelle proprie mani.
IV
Prendere il loro destino nelle proprie mani -- parola chiave, questa, di tutte le questioni di socialismo - fu
la vera controversia in tutte le polemiche tra l' ultrasinistra ed i bolscevichi. Il disaccordo sulla
questione del partito fu parallelo al disaccordo sul tradeunionismo. L' ultrasinistra era dell' opinione
che non vi fosse più posto per i rivoluzionari nei sindacati; che era piuttosto necessario per loro
sviluppare le proprie forme organizzazionali al' interno delle fabbriche, i comuni posti di lavoro.
Comunque, grazie alla loro immeritata autorità, i bolscevichi sono stati abili nelle prime settimane della
rivoluzione tedesca a riportare i lavoratori nelle capitalistiche reazionarie trade unions. Per combattere
le ultrasinistre, per denunciarle come stupide e controrivoluzionarie, Lenin nel suo pamphlet ancora una
volta fa uso delle sue formule meccanicistiche. Nei suoi argomenti contro la posizione della sinistra non
si riferisce alle trade unions tedesche, ma alle esperienze sindacali dei bolscevichi in Russia. Che ai
loro primi inizi le trade unions fossero state di grande importanza per la lotta di classe proletaria è un
fatto generalmente accettato. I sindacati in Russia erano giovani e ciò giustificava l'entusiasmo di
Lenin. Comunque, la situazione era differente in altre parti del mondo.
Utili e progressive ai loro albori, le trade unions nei paesi capitalistici più vecchi erano
diventate ostacoli sulla via della liberazione dei lavoratori. Erano diventate strumenti di
controrivoluzione e la sinistra tedesca trasse le sue conclusioni da questa mutata
situazione. Lenin stesso non poteva aiutare dichiarando che nel corso del tempo s' era sviluppato uno
strato di una "strettamente tradeunionista, imperialisticamente orientata, arrogante, vana, sterile,
egotistica, piccolo borghese, corrotta e demoralizzata aristocrazia del lavoro". Questa gilda di
corruzione, questa gangster leadership, oggi governa il mondo sindacale mondiale e vive sulla schiena dei
lavoratori. Era di questo movimento sindacale che l' ultrasinistra stava parlando quando richiedeva che i
lavoratori avrebbero dovuto isolarlo. Lenin, comunque, rispose demagogicamente indicando il giovane
movimento sindacale in Russia che non aveva in comune il carattere dei sindacati da lungo stabilizzati in
altri paesi. Impiegando una specifica esperienza a un dato periodo e sotto particolare circostanza,
pensava fosse possibile trarre da essa conclusioni di mondiale applicazione. I rivoluzionari, arguiva,
devono essere sempre dove sono le masse.
Ma in realtà dove sono le masse? Negli uffici delle trade unions? Ai meetings dei membri? Ai meetings segreti della leadership coi rappresentanti dei capitalisti? No, le masse sono nelle fabbriche,
nei loro posti di lavoro; e li è necessario effettuare la loro cooperazione e rafforzare la loro
solidarietà. L'organizzazione di fabbrica, il sistema consiliare, è la vera organizzazione della rivoluzione,
che deve soppiantare tutti i partiti e sindacati.
Nelle organizzazioni di fabbrica non c'è nessun posto per la leadership professionale, nessun divorzio
dei leaders dai seguaci, nessuna distinzione di casta tra intellettuali e base di classe, nessun terreno
per egotismo, competizione, demoralizzazione, corruzione, sterilità e filisteismo. Qui i lavoratori devono
prendere il loro destino nelle proprie mani. Ma Lenin pensava altrimenti. Voleva preservare i sindacati; per cambiarli dall' interno; per rimuovere i burocrati socialdemocratici e rimpiazzarli con burocrati bolscevichi; per rimpiazzare una burocrazia
cattiva con una buona. Quella cattiva si sviluppa in una socialdemocrazia, quella buona in
bolscevismo.
Vent'anni d' esperienza hanno intanto dimostrato l'idiozia di questo concetto. Seguendo il parere di Lenin,
i Comunisti han provato tutti e vari metodi per riformare i sindacati. Il risultato è stato nullo. Il
tentativo di formare propri sindacati è stato parimenti nullo. La competizione tra lavoro sindacale
socialdemocratico e bolscevico è stata una competizione in corruzione. Le energie rivoluzionarie dei
lavoratori furono esaurite in questo proprio processo. Invece di concentrarsi sulla lotta contro il
fascismo, i lavoratori furono impiegati in una sperimentazione senza senso e senza risultato nel'
interesse di diverse burocrazie. Le masse persero confidenza in se stesse e nelle "loro" organizzazioni.
Si sentirono ingannate e tradite. I metodi del fascismo, dettare ogni passo dei lavoratori, impedire il
risveglio dell' autoiniziativa, sabotare tutti gl' inizi di coscienza di classe, demoralizzare le masse
attraverso innumerevoli sconfitte e renderle impotenti - tutti questi metodi - erano stati già sviluppati
in vent' anni di lavoro nei sindacati in accordo coi principi bolscevichi. La vittoria del fascismo fu
così facile perché i leaders del lavoro nei sindacati e nei partiti avevano preparato per i fascisti europei,
il materiale umano adatto ad essere inserito nello schema di cose fascistico.
V
Anche sulla questione del parlamentarismo Lenin appare nel ruolo del difensore di una istituzione
politica decaduta che era diventata un ostacolo per un più veloce sviluppo politico ed un danno all'
emancipazione proletaria. Le ultrasinistre combatterono il parlamentarismo in tutte le sue forme.
Rifiutarono di partecipare ad elezioni e non rispettarono le decisioni parlamentari. Lenin, comunque, pose
più sforzo nelle attività parlamentari ed attribuì ad esse più importanza. L'ultrasinistra dichiarò il
parlamentarismo storicamente superato sia pure come tribuna per l'agitazione, e vide in esso non più che
una continua risorsa di corruzione politica sia per parlamentari che per lavoratori. Esso smorzò la
consapevolezza rivoluzionaria e la consistenza delle masse col creare illusioni di legalistiche riforme, e
nelle occasioni critiche il parlamento si trasformò in un' arma di controrivoluzione. Doveva essere
distrutto o, quando null' altro fosse stato possibile, sabotato. La tradizione parlamentare, ancora
giocanti una parte nella coscienza proletaria, doveva essere combattuta.
Per ottenere l'effetto opposto, Lenin operò con lo stratagemma di fare una distinzione tra le
istituzioni storicamente e politicamente superate. Certamente, arguì, il parlamentarismo era storicamente obsoleto,
ma questo non era politicamente il caso, e si sarebbero dovuti fare i conti con ciò. Si sarebbe dovuto
partecipare perché ciò giocava ancora una parte politicamente.
Che argomento! Il capitalismo, anche, è solo storicamente e non politicamente obsoleto. Secondo la
logica di Lenin, non è allora possibile combattere il capitalismo in una maniera rivoluzionaria. Piuttosto
un compromesso dovrebbe essere trovato. Opportunismo, mercanteggiamento, commercio dei cavalli politico
- ciò sarebbe la conseguenza della tattica di Lenin -. La monarchia, pure, è storicamente ma
non politicamente sorpassata. Secondo Lenin, i lavoratori non avrebbero nessun diritto di farla finita con
essa ma sarebbero obbligati a trovare una soluzione di compromesso. Come la stessa storia sarebbe vera
riguardo alla chiesa, pure solo storicamente ma non politicamente sorpassata. Inoltre, il popolo
appartiene in grandi masse alla chiesa. Come rivoluzionario, Lenin fece notare, uno deve dev'essere dove
sono le masse. La consistenza lo forzerebbe a dire "Entra nella chiesa, è il tuo dovere rivoluzionario!"
Alla fine, c'è il fascismo.
Un giorno, altresì, il
fascismo sarà storicamente sorpassato ma politicamente ancora in esistenza. Cosa è allora da fare?
Accettare il fatto e realizzare un compromesso col fascismo. Secondo il ragionamento di Lenin, un patto
tra Stalin ed Hitler illustrerebbe solo che Stalin attualmente è il miglior discepolo di Lenin: E non
sarebbe del tutto sorprendente se nel prossimo futuro gli agenti bolscevichi salutassero il patto tra Mosca e Berlino come la sola vera tattica rivoluzionaria. La posizione di Lenin sul parlamentarismo è solo un'ulteriore illustrazione della sua incapacità di comprendere i bisogni essenziali e le caratteristiche della rivoluzione proletaria. La sua rivoluzione è interamente borghese; è una battaglia per la maggioranza, per posizioni di governo, per il possesso della macchina legislativa.
Egli allo stato delle cose riteneva importante crescere di più voti possibile alle campagne elettorali, avere una forte frazione bolscevica in tutti i parlamenti, aiutare
a determinare forme e contenuti della legislazione, prender parte nel ruolo politico. Non notava del tutto
che il parlamentarismo di oggi è un mero bluff, una vuota finzione, e che il reale potere della società
borghese si trova in luoghi del tutto differenti; che nonostante tutte le possibili sconfitte parlamentari
la borghesia avrebbe ancora in mano sufficienti mezzi per assertare la sua volontà ed interesse in campi
non parlamentari. Lenin non vide i demoralizzanti effetti che il parlamentarismo aveva sulle masse, non
notò il posizionamento delle morali pubbliche attraverso la corruzione parlamentare. Corrotti, venduti, e
spaventati, i politici parlamentari erano paurosi per le loro entrate. C'è stato un tempo nella Germania
prefascista in cui i reazionari potevano realizzare qualunque loro richiesta meramente con la minaccia di
provocare la dissoluzione del parlamento. Non c'era niente di più terribile per i politici parlamentari
che una simile minaccia che implicava la fine dei loro facili introiti. Per evitare una simile fine,
avrebbero dovuto dire si a qualsiasi cosa. E come va oggi in Germania, in Russia, in Italia? Gli iloti
parlamentari sono senza opinioni, senza volontà, e non sono nulla più che volenterosi servi dei loro
padroni fascisti.
Non c'è dubbio che il
parlamentarismo sia interamente degenerato e corrotto. Ma perché il proletariato non ferma questo
deterioramento di un sistema politico che è stato una volta usato per i suoi scopi? Fermare il parlamentarismo tramite un'eroico atto rivoluzionario sarebbe stato molto più utile ed educativo per la coscienza proletaria che il miserabile teatro in cui il parlamentarismo è finito nella società fascistica. Ma
un simile proposito era interamente estraneo a Lenin, come è estraneo oggi a Stalin. Lenin non era
interessato alla libertà dei lavoratori dalla loro schiavitù mentale e fisica; non era turbato a causa
della falsa coscienza delle masse e dalla loro umana autoalienazione. L'intero problema per lui era nulla
più né meno che un problema di potere.
Come un borghese, pensava in termini di crescite e perdite, più o meno, credito e debito; e tutte le sue computazioni business-like trattano cose esterne: immagini dei membri, numero di voti, seggi in parlamento, posizioni di controllo. Il suo materialismo è un materialismo borghese, che tratta di
meccanismi, non con essenze umane. Non è realmente capace di pensare in termini sociostorici.
Il parlamento per lui è il parlamento; un concetto astratto con un vacuo significato ritenuto uguale in
tutte le nazioni, in tutti i tempi. Certamente riconosce che il parlamento passa attraverso stadi
differenti, e lo mostra nelle sue discussioni, ma non usa la propria conoscenza nella sua teoria e
pratica. Nelle sue polemiche proparlamentari si nasconde dietro i parlamenti protocapitalisti nello stadio
ascendente del capitalismo, in modo da non restar senza argomenti. E se attacca i vecchi parlamenti, è dal
punto di vantaggio dei giovani ed a lungo antiquati. In breve, decide che la politica è l'arte del
possibile. Comunque, la politica per i lavoratori è l'arte della rivoluzione.
VI
Rimane da trattare la posizione di Lenin sulla questione dei compromessi. Durante la guerra mondiale
la socialdemocrazia tedesca si vendette alla borghesia. Tuttavia, contro il suo volere, essa ereditò
la rivoluzione tedesca. Ciò fu possibile in larga misura per mezzo dell'aiuto della Russia, che fece la
sua parte nello sbarazzarsi del movimento consiliare tedesco. Il potere che era caduto nel grembo
della socialdemocrazia non fu usato per niente. La socialdemocrazia semplicemente rinnovò la sua
vecchia politica di collaborazione di classe, soddisfatta col dividersi il potere sui lavoratori con la
borghesia nel periodo di ricostruzione del capitalismo. I lavoratori radicali tedeschi respinsero questo
tradimento con questo slogan, "Nessun compromesso con la controrivoluzione".
Qui era un caso concreto, una situazione specifica, demandante una decisione chiara. Lenin, incapace di riconoscere i reali sbocchi della posta,
fece di questa concreta specifica questione un caso generale. Con l' aria di un generale e l'
infallibilità di un cardinale, provò a persuadere le ultrasinistre che i compromessi con gli oppositori
politici sotto tutte le condizioni sono un dovere rivoluzionario. Se si leggono quei passaggi occupantesi
di compromessi nel pamphlet di Lenin, si è inclinati a comparare le osservazioni di Lenin nel 1920 con la
presente politica di compromessi di Stalin. Non c'è nessun peccato mortale della teoria bolscevica che non
sia diventato realtàbolscevica sotto Lenin.
Secondo Lenin, le
ultrasinistre avrebbero dovuto aver la volontà di firmare il trattato di Versailles. Comunque, il partito
comunista, ancora in accordo con Lenin, realizzò un compromesso e protestò contro il Trattato di
Versailles in collaborazione con gli hitleriti. Il "nazionalbolscevismo" propagandato nel 1919 in Germania
dal sinistro Lauffenberg fu nell'opinione di Lenin "un'assurdità piangente verso il cielo". Ma Radek ed il
partito comunista - ancora in accordo col principio di Lenin - conclusero un compromesso col nazionalismo
tedesco, e protestarono contro l'occupazione del bacino della Rühr e celebrarono l'eroe nazionale
Schlageter. La Lega delle Nazioni era, secondo le stesse parole di Lenin, "una banda di ladri e banditi
capitalisti", che i lavoratori avrebbero potuto solo combattere fino all' amara fine. Comunque Stalin - in
accordo con le tattiche di Lenin - realizzò un compromesso con questi stessi banditi, e l' U.R.S.S. entrò nel 1934 nella Lega.
Il concetto "popolo" o "gente" è nell'opinione di Lenin una concessione criminale all'ideologia controrivoluzionaria della piccola borghesia. Questo non impedì ai leninisti, Stalin e Dimotrov,
di realizzare un compromesso con la piccola borghesia in modo da lanciare il bizzarro movimento del
"fronte popolare". Per Lenin l' imperialismo era il più grande nemico del proletariato mondiale, e contro
di esso tutte le forze dovevano essere mobilitate. Ma Stalin, ancora in vera voga leninistica, è impegnato
quasi a scodellare un' alleanza con l' imperialismo di Hitler. È necessario offrire altri esempi? L'esperienza storica insegna che tutti i compromessi tra rivoluzione e controrivoluzione possono servire solo la seconda. Essi conducono solo alla bancarotta del movimento rivoluzionario. Tutta la politica di compromesso è una politica di bancarotta. Ciò che iniziò come un
mero compromesso con la socialdemocrazia tedesca trova la sua fine in Hitler. Ciò che Lenin giustificò
come un compromesso necessario trova la sua fine in Stalin. Nel diagnosticare il non compromesso
rivoluzionario come "Una Malattia Infantile Del Comunismo", Lenin stava soffrendo della malattia senile
dell'opportunismo, di pseudocomunismo.
VII
Se si guarda con occhio critico al quadro del bolscevismo fornito dal pamphlet di Lenin, i seguenti punti
principali possono esser riconosciuti come caratteristiche del bolscevismo:
1. Il bolscevismo è una
dottrina nazionalistica. Originariamente ed essenzialmente concepita per risolvere un problema nazionale,
fu più tardi elevato a teoria e pratica di scopo internazionale ed a dottrina generale. Il suo carattere
nazionalistico viene alla luce anche nella sua posizione sulla lotta per l'indipendenza nazionale delle
nazioni oppresse.
2. Il bolscevismo è un
sistema autoritario. Il picco della piramide sociale è il punto più importante e determinante. L'autorità
è realizzata nella persona onnipotente. Nel mito del leader l'ideale della personalità borghese celebra i
suoi più alti trionfi.
3. Organizzativamente, il
bolscevismo è altamente centralistico. Il comitato centrale ha responsabilità per tutta l' iniziativa, la
leadership, l' istruzione, i comandi. Come nello stato borghese, i membri leader dell'organizzazione giocano il
ruolo della borghesia; il solo ruolo dei lavoratori è di obbedire agli ordini.
4. Il bolscevismo
rappresenta una politica di potere militante. Esclusivamente interessato nel potere politico, non è
differente dalle forme di governo nel senso tradizionale borghese. Parimenti nella propria organizzazione
non c'è autodeterminazione tramite i membri. L'armata serve al partito come grande esempio d'
organizzazione.
5. Il bolscevismo è
dittatura. Lavorando con la forza bruta e misure terroristiche, dirige tutte le sue funzioni attraverso la
soppressione di tutte le istituzioni ed opinioni non bolsceviche. La sua "dittatura del proletariato" è la
dittatura di una burocrazia o di una singola persona.
6. Il bolscevismo è un
metodo meccanicistico. Aspira alla coordinazione automatica, alla conformità tecnica assicurata ed al più
efficiente totalitarismo come risultato dell' ordine sociale. L'economia centralisticamente "pianificata"
confonde coscientemente i problemi tecnico - organizzativi con questioni socioeconomiche.
7. La struttura sociale del
bolscevismo di natura borghese. Non abolisce il sistema salariale e rifiuta l'autodeterminazione proletaria sui
prodotti del lavoro. Rimane con ciò fondamentalmente all' interno della struttura di classe dell' ordine
sociale borghese. Il capitalismo è perpetuato.
8. Il bolscevismo è un
elemento rivoluzionario solo nella struttura della rivoluzione borghese. Incapace di realizzare il sistema
dei soviet, è al riguardo incapace di trasformare essenzialmente la struttura della società borghese e la
sua economia. Non stabilisce il socialismo, ma il capitalismo di stato.
9. Il bolscevismo non è un
ponte che porta eventualmente alla società socialista. Senza il sistema dei soviet, senza la totale
radicale rivoluzione di uomini e cose, non può esaudire la più essenziale di tutte le esigenze socialistiche, che è terminare l'autoalienazione umana capitalista. Esso rappresenta l'ultimo stadio
della società borghese e non il primo passo verso una nuova società.
Questi nove punti rappresentano una invalicabile opposizione tra bolscevismo e socialismo. Dimostrano
con tutta la necessaria chiarezza il carattere borghese del movimento bolscevico e la sua stretta
relazione al fascismo. Nazionalismo, autoritarismo, centralismo, dittatura del leader, politiche di
potenza, governo del terrore, dinamiche meccanicistiche, incapacità a socializzare - tutte queste essenziali caratteristiche del fascismo erano e sono esistenti nel bolscevismo. Il fascismo è meramente una copia del bolscevismo. Per questa ragione la lotta contro l'uno deve iniziare
con la lotta contro l'altro.
Otto Rühle
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