Antisemitismo e nazionalsocialismo
Moishe Postone (1986)
Qual è la relazione tra
antisemitismo e nazionalsocialismo? Nella Repubblica Federale, a livello
pubblico, il dibattito riguardo a questa problematica ha assunto il carattere
di una dicotomia tra liberali e conservatori da una parte, e la sinistra
dall'altra. I liberali e i conservatori hanno tendenzialmente enfatizzato la
discontinuità tra il passato nazista e il presente. Per quanto riguarda il passato,
hanno concentrato l'attenzione sulla persecuzione e lo sterminio degli ebrei e,
tendenzialmente, hanno rimosso l'enfasi su altri aspetti centrali del nazismo.
Sottolineando quello che è stato considerato il carattere di totale rottura tra
Terzo Reich e Repubblica Federale, questa sorta di enfasi sull'antisemitismo ha
aiutato paradossalmente ad evitare un confronto fondamentale con la realtà
sociale e strutturale del nazionalsocialismo. Tale realtà sociale non è di
certo scomparsa del tutto nel 1945. In altre parole, la condanna
dell'antisemitismo nazista è servita anche come ideologia per legittimare il
sistema attuale. Questa strumentalizzazione è stata possibile soltanto perché
l'antisemitismo è stato trattato principalmente come una forma di pregiudizio,
un'ideologia del capro espiatorio, celando, in tal modo, la relazione
intrinseca tra antisemitismo e altri aspetti del nazionalsocialismo.
D'altra
parte, la sinistra, tendenzialmente si è concentrata sulla funzione svolta dal
nazionalsocialismo per il capitalismo, dando enfasi alla distruzione delle
organizzazioni della classe operaia, alle politiche sociali ed economiche dei
nazisti, al riarmo, all'espansionismo e ai meccanismi burocratici per il
dominio di stato e di partito. Sono stati sottolineati gli elementi di
continuità tra Terzo Reich e Repubblica Federale. Ovviamente, lo sterminio
degli ebrei non è stato ignorato. Ciò nonostante, è stato velocemente
incorporato nelle categorie più generali di pregiudizio, discriminazione e
persecuzione. Nel valutare l'antisemitismo come
elemento periferico, invece che centrale, del nazionalsocialismo, la sinistra
ha anche offuscato la relazione intrinseca tra i due.
Entrambe queste posizioni
spiegano l'antisemitismo moderno come un pregiudizio anti-giudaico, come un
esempio particolare di generico razzismo. L'accento che pongono sulla natura della
psicologia di massa dell'antisemitismo isola le considerazioni sull'olocausto
dalle indagini socioeconomiche e sociostoriche del nazionalsocialismo. Ad ogni
modo, l'olocausto non può essere compreso finché l'antisemitismo verrà visto
come un esempio di razzismo generico e fintantoché il nazismo verrà concepito
solo in termini di grande capitale e come stato di polizia terroristico e
burocratico. Auschwitz, Belzec, Chelmno, Maidanek, Sobibor, e Treblinka non dovrebbero
essere considerati al di fuori del quadro teorico di analisi del
nazionalsocialismo. Essi rappresentano una delle sue conclusioni logiche, non
semplicemente il suo epifenomeno più terribile. Nessuna analisi del
nazionalsocialismo che non tenga conto dello sterminio degli ebrei europei è
pienamente adeguata.
In questo saggio tenterò un approccio alla comprensione
dello sterminio degli ebrei europei, delineando un'interpretazione del moderno
antisemitismo. Non è nelle mie intenzioni spiegare perché il nazismo e il
moderno antisemitismo abbiano fatto breccia e siano divenuti fenomeni egemonici
in Germania. Un tale tentativo presupporrebbe un'analisi delle specificità
dello sviluppo storico tedesco, un argomento su cui si è scritto tanto. Invece,
questo saggio tenta di determinare più da vicino cos'è che ha permesso questa
breccia, suggerendo un'analisi del moderno antisemitismo che indichi la sua
intrinseca connessione con il nazionalsocialismo. Tale disamina è un presupposto
necessario a qualsiasi analisi sostanziale del perché il nazionalsocialismo
abbia avuto successo in Germania.
Il primo passo dovrebbe essere una
descrizione specifica dell'olocausto e dell'antisemitismo. Il problema non va
posto in termini quantitativi, come numero di persone uccise o grado di
sofferenze inflitte. Nella storia ci sono troppi esempi di omicidi di massa e
di genocidi (ad esempio, i nazisti uccisero molti più russi che ebrei.) La
questione è, piuttosto, di tipo qualitativo. Fintantoché l'antisemitismo viene
trattato come un esempio specifico di strategia del capro espiatorio le cui
vittime avrebbero potuto benissimo essere membri di qualsiasi altro gruppo,
aspetti particolari dello sterminio degli ebrei europei ad opera dei nazisti
rimangono inspiegabili.
L'olocausto fu caratterizzato da un senso di missione
ideologica, da una relativa mancanza di emozioni e odio immediato (a differenza
dei pogrom, per esempio), e, cosa più importante, dalla sua apparente mancanza
di funzionalità. Lo sterminio degli ebrei non sembra essere stato un mezzo per
un qualche fine. Gli ebrei non furono sterminati per ragioni militari o nel
corso di un violento processo di conquista di terre (come avvenne nel caso
degli indiani americani o dei tasmaniani). Tanto meno la politica dei nazisti
verso gli ebrei assomiglia a quella che essi applicarono verso i polacchi e i
russi, che aveva lo scopo di sradicare quei segmenti di popolazione attorno ai
quali si poteva manifestare una resistenza, in modo da poter più facilmente
sfruttare come servi la parte restante. Indubbiamente, gli ebrei non furono
sterminati per nessun fine “estrinseco” manifesto. Lo sterminio degli ebrei non
soltanto doveva essere totale, ma era lo scopo stesso —sterminio per la sete di
sterminio—, scopo che acquisì priorità assoluta.
Nessuna spiegazione funzionalista
dell'olocausto o della teoria del capro espiatorio antisemita può fare
minimamente chiarezza del perché, negli ultimi anni della guerra, mentre le
forze tedesche venivano schiacciate dall'armata rossa, una quantità significativa
di veicoli venisse deviata dal supporto logistico e usata per trasportare gli
ebrei nelle camere a gas. Una volta riconosciuta la specificità di tipo
qualitativo dello sterminio degli ebrei europei, diventa chiaro che i tentativi
di spiegazione collegati al capitalismo, al razzismo, alla burocrazia, alla
repressione sessuale o alla personalità
autoritaria, rimangono fin troppo generici. La specificità dell'olocausto
richiede una mediazione molto più determinata anche soltanto nel tentare un
approccio alla sua comprensione.
Naturalmente, lo sterminio degli
ebrei europei è in relazione all'antisemitismo. La specificità del primo va collegata a quella
del secondo. Inoltre, il moderno antisemitismo va considerato in relazione al
nazismo in quanto movimento —un movimento che, in termini di percezione di sé,
rappresentò una rivolta.
Il moderno
antisemitismo, che non va confuso col comune pregiudizio antiebraico, è
un'ideologia, una forma di pensiero, che emerse in Europa alla fine del
diciannovesimo secolo. La sua progressiva affermazione presuppose le varie
antiche forme di antisemitismo, che sono state parte integrante della civiltà
cristiana occidentale per secoli. Ciò che accomuna tutte le forme di
antisemitismo è il grado di potere attribuito agli ebrei: il potere di uccidere
Dio, di scatenare la peste bubbonica e, più di recente, di introdurre il
capitalismo e il socialismo. Il pensiero antisemita è fortemente manicheo, con
gli ebrei che hanno il ruolo delle tenebre.
Non è soltanto il grado, ma anche
la qualità del potere attribuito agli ebrei che distingue l'antisemitismo da
tutte le altre forme di razzismo. Probabilmente tutte le forme di razzismo
attribuiscono un potenziale potere all'Altro. Questo potere, comunque,
solitamente è concreto, materiale o sessuale. È il potere potenziale
dell'oppresso (in quanto represso), dello “Untermenschen”. Il potere attributo
agli ebrei è molto più grande e viene percepito come reale piuttosto che
potenziale. Inoltre, è un tipo diverso di potere, non necessariamente concreto. Ciò che caratterizza il potere
imputato agli ebrei nel moderno antisemitismo è che esso è misteriosamente
intangibile, astratto e universale. È considerato una forma di potere che non
si manifesta direttamente, ma che ha bisogno di trovare un'altra modalità di
espressione. Esso cerca un veicolo concreto attraverso il quale poter agire,
sia esso politico, sociale o culturale. In quanto - così come viene concepito
nell'immaginazione del moderno antisemitismo - il potere degli ebrei non è
legato al concreto, non è “radicato,” si presume che sia di un'immensità
sconvolgente e estremamente difficile da controllare. Lo si considera stare
dietro il fenomeno, ma non essere identico ad esso. La sua origine è
considerata, pertanto, nascosta—cospiratoria. L'ebreo rappresenta una
cospirazione immensamente potente, intangibile, internazionale.
Un esempio
grafico di questa visione viene dato da un poster nazista che ritrae la
Germania—rappresentata come l'operaio forte e onesto —minacciata ad ovest da un
grasso e plutocratico John Bull [1] e, ad est, da un brutale e barbaro commissario
bolscevico. Eppure, queste due forze ostili sono semplici marionette.
Osservando sopra il margine del globo, coi fili delle marionette stretti forte
tra le mani, c'è l'ebreo. Un tale immaginario non fu certamente monopolio dei
nazisti. Nel moderno antisemitismo, è caratteristico considerare gli ebrei come
la forza dietro questi opposti “apparenti”: capitalismo plutocratico e
socialismo. “L'ebraismo internazionale” inoltre, è percepito come incentrato
nelle “giungle d'asfalto” delle nuove megalopoli urbane emergenti, nel suo
essere dietro la “moderna cultura volgare e materialista” e, in generale,
dietro tutte le forze che hanno contribuito al declino dei gruppi, dei valori e
delle istituzioni tradizionali. Gli ebrei rappresentano una forza estranea,
pericolosa e distruttiva che minaccia la “salute” sociale della nazione. Quindi, il moderno antisemitismo
non è caratterizzato soltanto dal suo contenuto secolare, ma anche dal suo
carattere sistematico. La sua pretesa è di spiegare il mondo —un mondo che è
divenuto rapidamente troppo complesso e minaccioso per tanta gente.
Questa
determinazione descrittiva del moderno antisemitismo, mentre è necessaria
perché la si possa differenziare dal generico pregiudizio o razzismo, non è
sufficiente da sola a indicare la connessione intrinseca con il
nazionalsocialismo. Cioè, l'aspirazione al superamento dell'usuale separazione
tra analisi storico-sociale del nazismo e analisi dell'antisemitismo, a questo
livello, non si è ancora attuata. Ciò che diviene necessario è una spiegazione
che possa mediare le due. Una tale spiegazione dovrebbe essere in grado di
fornire basi storiche alla forma di antisemitismo prima descritta, attraverso
le stesse categorie che possono essere usate per spiegare il
nazionalsocialismo. Non ho intenzione di negare le spiegazioni psicologico-sociali
o psicoanalitiche, bensì di fornire una cornice storico-epistemologica di
riferimento, entro la quale possono trovar posto ulteriori specificazioni di tipo
psicologico. Una tale cornice di riferimento
deve essere in grado di chiarire il contenuto specifico dell'antisemitismo e
deve essere storica, ossia, deve contribuire ad una comprensione del perché
tale ideologia divenne così prevalente a quel tempo, alla fine del
diciannovesimo secolo. Senza tale cornice, tutti gli altri tentativi che si
incentrano su una dimensione soggettiva rimangono storicamente indeterminati. Ciò che è necessario, quindi, è
una spiegazione in termini di epistemologia storico-sociale.
Una piena
spiegazione della problematica dell'antisemitismo va ben oltre i limiti di
questo saggio. Il punto che si vuole raggiungere, qui, invece, è che un'attenta
analisi della visione del mondo del moderno antisemitismo rivela che si tratta di
una forma di pensiero in cui il rapido sviluppo del capitalismo, con tutte le
sue ramificazioni sociali, è personificato e identificato nell'ebreo. Non è che
gli ebrei venivano semplicemente considerati detentori di denaro, come
nell'antisemitismo tradizionale, ma venivano ritenuti responsabili delle crisi
economiche e identificati con la serie di ristrutturazioni e spostamenti
sociali, risultato di una rapida industrializzazione: urbanizzazione esplosiva,
declino delle classi e degli strati sociali, emersione della massa del
proletariato industriale sempre più organizzato e così via. In altre parole, il
dominio astratto del capitale che —in particolare con la rapida
industrializzazione — ha intrappolato le persone in una rete di forze dinamiche
che, non riuscendo ad essere comprese, cominciarono ad essere percepite come il
dominio dell'ebraismo internazionale.
Comunque, questo è niente più di un primo
approccio. La personificazione è stata delineata, non ancora spiegata. Molti
sono stati i tentativi di dare una spiegazione eppure, nessuno, secondo me, è
stato completo. Il limite di queste teorie, come quella di Max Horkheimer, che
si concentra sull'identificazione degli ebrei col denaro e con la sfera della
circolazione, è che non tengono conto dell'idea che gli ebrei costituiscono
anche il potere dietro la democrazia sociale e il comunismo. A un primo
sguardo, queste teorie, come quella di
George L. Mosse, che interpretano il moderno antisemitismo come rivolta
contro la modernità, sembrano più soddisfacenti. Plutocrazia e movimenti operai
sono entrambi concomitanti nella modernità, data l'enorme ristrutturazione
sociale frutto dell'industrializzazione capitalista. Il problema di tali
approcci è, comunque, nell'idea che “il moderno” comprenderebbe senz'altro il
capitale industriale. Eppure, come è ben risaputo, persino nei periodi di
rapida industrializzazione, il capitale industriale non fu mai oggetto degli
attacchi antisemiti. Inoltre, l'atteggiamento del nazionalsocialismo verso
tante altre dimensioni della modernità, specialmente verso la tecnologia
moderna, fu positivo, piuttosto che critico. Gli aspetti della vita moderna
che furono rigettati dai nazionalsocialisti insieme a quelli da essi sostenuti
formano un modello. Questo modello dovrebbe essere la premessa per un'adeguata
concettualizzazione del problema. Considerato che questo modello non fu proprio soltanto
del nazionalsocialismo, la problematica ha un significato di vasta portata.
L'accettazione del capitale industriale da parte del moderno antisemitismo
rivela la necessità di un approccio che riesca a fare una distinzione tra cosa
è il moderno capitalismo e la modalità in cui si manifesta, tra la sua essenza
e il suo aspetto. Il termine “moderno” non possiede
in sé una differenziazione intrinseca che permetta una tale distinzione.
Ritengo più adeguate le categorie sociali di “merce” e “capitale,” sviluppate
da Marx nella sua critica più matura, in quanto una serie di distinzioni tra
cosa è e cosa sembra essere sono intrinseche ad esse. Tali categorie possono
servire come punto di partenza per un'analisi capace di discernere le varie
percezioni del “moderno.” Un tale approccio tenta di mettere in relazione lo
schema della critica sociale e l’affermazione che abbiamo preso in
considerazione, insieme con le caratteristiche delle relazioni sociali di tipo
capitalista.
Tali considerazioni ci portano al
concetto di feticismo di Marx, il cui intento strategico fu di realizzare una
teoria storica e sociale della conoscenza, basata sulla differenza tra
l'essenza delle relazioni sociali capitaliste e le loro forme manifeste. Ciò
che sta alla base del concetto di feticismo è l'analisi di Marx della merce,
del denaro e del capitale, non viste semplicemente come categorie economiche,
ma piuttosto come le forme di peculiari relazioni sociali che caratterizzano il
capitalismo nella sua essenza. Nella sua analisi, le forme
capitalistiche delle relazioni sociali non appaiono in quanto tali, vengono
invece espresse soltanto in forma oggettivata. Nel capitalismo il lavoro non è
soltanto un'attività sociale produttiva (”lavoro concreto”), ma serve anche da
mediazione sociale (”lavoro astratto”) al posto delle relazioni sociali
manifeste. Ne consegue che il suo prodotto, la merce, non è soltanto un
prodotto in cui il lavoro concreto si è oggettivato; è anche una manifestazione
di relazioni sociali oggettivate. Nel capitalismo, il prodotto non
è un oggetto socialmente mediato da forme manifeste di relazioni sociali e
dominio. La merce, in quanto oggettivazione di entrambe le dimensioni del
lavoro all'interno del capitalismo, è mediazione sociale di sé stessa.
Pertanto, essa possiede un “doppio carattere”: valore d'uso e valore. In quanto
oggetto, la merce esprime e, al tempo stesso, cela le relazioni sociali che non
hanno altra, “indipendente” modalità di espressione. Questo tipo di
oggettivazione delle relazioni sociali costituisce la loro alienazione. Le relazioni sociali fondamentali
nel capitalismo hanno una vita propria, quasi oggettiva. Esse costituiscono una
“seconda natura,” un sistema di dominio e compulsione astratta che, anche
se sociale, è impersonale e “oggettiva.” Tali
relazioni non appaiono mai come sociali, ma come naturali. Al tempo stesso, le forme categoriali
esprimono una concezione particolare, socialmente costituita, della natura nei termini
di un comportamento oggettivo, regolato e quantificabile di un'essenza
qualitativamente omogenea. Le categorie marxiane esprimono simultaneamente
particolari relazioni sociali e forme di pensiero. La nozione di feticismo
allude a forme di pensiero che si basano su percezioni che rimangono legate
all'apparenza delle relazioni sociali di tipo capitalista.
Quando si esaminano le
caratteristiche specifiche del potere attribuito agli ebrei da parte del
moderno antisemitismo —astrattezza, intangibilità, universalità,
mobilità—colpisce il fatto che sono tutte qualità proprie della dimensione del
valore delle forme sociali analizzate da Marx. Per di più, questa dimensione,
come il presunto potere degli ebrei, non appare come tale, ma sempre sotto la
forma del suo veicolo materiale, la merce.
A questo punto inizierò una breve
analisi del modo in cui si presentano le relazioni sociali capitalistiche. In
tal modo tenterò di spiegare la personificazione sopra descritta e di chiarire
il problema del perché il moderno antisemitismo, che inveisce contro così tanti
aspetti del “moderno,” sia stato così vistosamente silenzioso, oppure affermativo,
nei confronti della tecnologia industriale capitalistica e moderna.
Inizierò
con l'esempio della forma merce. La tensione dialettica tra valore
e valore d'uso nella forma merce, richiede che questo “doppio carattere” venga
materialmente esternato. Esso appare “raddoppiato” in quanto denaro (la forma
manifesta del valore) e in quanto merce (la forma manifesta del valore d'uso).
Anche se la merce è una forma sociale che esprime sia il valore che il valore
d'uso, l'effetto di questa esternazione
è che la merce appare solo nella sua dimensione di valore d'uso, come
puramente materiale e “in quanto cosa.” Il denaro, d'altro lato, appare quindi
come il solo depositario del valore, come manifestazione del puramente
astratto, piuttosto che come forma manifesta ed esteriorizzata della merce
stessa. L'espressione delle relazioni
sociali materializzate, specifica del capitalismo, appare a questo livello
d'analisi come l'opposizione tra denaro, in quanto astratto, e natura “nel suo
essere cosa”.
Un aspetto del feticismo, quindi, sta nel fatto che le relazioni
sociali capitalistiche non appaiono in quanto tali e, inoltre, si presentano in
maniera antinomica, come opposizione tra astratto e concreto. In aggiunta,
poiché entrambe le parti dell'antinomia vengono oggettivate, ciascuna appare
come seminaturale. La dimensione astratta appare sotto forma di leggi naturali
astratte, universali, “oggettive,”; la dimensione concreta appare come natura
pura “nel suo essere cosa”. La struttura delle relazioni
sociali alienate che caratterizza il capitalismo si esprime in un’antinomia quasi-naturale,
in cui il sociale e lo storico non appaiono. Questa
antinomia viene riepilogata come opposizione tra forme di pensiero positiviste
e romantiche. La maggior parte delle
analisi critiche del pensiero feticista si concentra su quella corrente
dell'antinomia che ipostatizza l'astratto come trans-storico — il cosiddetto
pensiero positivista borghese - e quindi maschera il carattere sociale e
storico delle relazioni esistenti. In questo saggio verrà messa in rilievo
l'altra corrente — quella che include le forme di romanticismo e rivolta che si
autopercepiscono come antiborghesi, ma che nei fatti ipostatizzano il concreto
e quindi rimangono confinate nell'antinomia prodotta dalle relazioni sociali
capitalistiche.
Le forme di pensiero
anticapitalistiche che rimangono vincolate all'immediatezza di questa antinomia
tendono a percepire il capitalismo e tutto ciò che è specifico a tale forma
sociale, solo in termini di manifestazioni della dimensione astratta dell'antinomia;
così, per esempio, il denaro è considerato la “causa di tutti i mali.” L’esistenza
della dimensione concreta viene poi positivamente opposta a quella astratta in
quanto “naturale” o ontologicamente umana, che presumibilmente risiede al di
fuori della specificità della società capitalistica. Perciò, come in Proudhon,
ad esempio, il lavoro concreto viene percepito come un momento anticapitalista,
opposto all'astrazione del denaro. Il fatto che il lavoro concreto incorpori le
relazioni sociali capitalistiche e che sia da esse materialmente formato non
viene compreso.
Col successivo sviluppo del
capitalismo, della forma del capitale e del feticismo ad esso associato, la
naturalizzazione immanente del feticismo della merce acquisisce nuove
dimensioni. La forma del capitale, come la forma merce, è caratterizzata dalla
relazione antinomica tra concreto e astratto ed entrambi appaiono come qualcosa
di naturale. La qualità del “naturale”, tuttavia, è differente. Associata al
feticismo della merce sta la nozione del carattere di legalità, in ultima analisi,
delle relazioni tra unità individuali autonome così come sono espresse, per
esempio, dall’economia politica classica o dalla teoria del giusnaturalismo. Il capitale, secondo Marx, è
valore che si autovalorizza. È caratterizzato da un processo continuo e
incessante di autoespansione del valore. Questo processo sta alla base dei rapidi
cicli, su larga scala, di produzione e
consumo , di creazione e distruzione. Il capitale non ha una forma definitiva,
ma appare in diverse fasi del suo percorso a spirale sia sotto forma del denaro sia sotto la forma delle
merci. In quanto valore che si autovalorizza, il capitale appare come processo
puro. La sua dimensione concreta cambia a seconda della fase. I lavoratori
individuali ormai non costituiscono più unità indipendenti. Diventano, in
maniera crescente, cellule componenti un enorme sistema, dinamico e complesso che contiene le persone e le
macchine e che è orientato a un obiettivo, ossia, la produzione per la
produzione. Questa totalità sociale alienata diviene maggiore della somma degli
individui che lo costituiscono e ha un obiettivo esterno a sé stessa. Questo obiettivo
è un processo infinito. La forma capitalistica delle relazioni sociali ha un
carattere cieco, processuale, quasi organico.
Con la crescente consolidazione
della forma capitale, la visione meccanicista del diciassettesimo e del diciottesimo
secolo comincia a venir meno; un processo organico comincia a sostituire la
stasi meccanica nella forma del feticismo. La teoria organica dello Stato e la
proliferazione delle teorie razziali,
così come l'ascesa del darwinismo sociale alla fine del diciannovesimo secolo
ne sono esempi tipici. La società e il processo storico vengono sempre più interpretati
in termini biologici. Non svilupperò qui ulteriormente questo aspetto del
feticismo capitalistico. Per i nostri scopi, vanno rilevate le implicazioni su
come possa essere percepito il capitale. Come già indicato, sul piano
logico dell'analisi della merce, il “duplice carattere” consente alla merce di
apparire come un’entità puramente materiale, piuttosto che come
l'oggettivazione di relazioni sociali che sono mediate. Comprensibilmente, esso
permette al lavoro concreto di apparire come processo puramente materiale,
creativo, scindibile dalle relazioni sociali capitalistiche. Sul piano logico
del capitale, il “duplice carattere” (processo di lavoro e processo di
valorizzazione) consente alla produzione industriale di apparire come processo
puramente materiale, creativo, separabile dal capitale. Adesso, il concreto si
manifesta in una forma più organicista. Il capitale industriale può, quindi,
apparire come il discendente lineare del “naturale” lavoro artigianale, come
“biologicamente radicato,” in opposizione al capitale finanziario “privo di
radici,” “parassitario”. L’organizzazione del primo appare
relazionata a quella delle corporazioni; il suo contesto sociale è aggrappato
ad un'unità organica (biologica) superiore: Comunità [Gemeinschaft], Popolo [Volk],
Razza. Il capitale stesso—o ciò che viene percepito come l'aspetto negativo del
capitalismo— viene inteso soltanto come forma manifesta della sua dimensione
astratta: il capitale finanziario e d'interesse. In questo senso,
l'interpretazione biologica, che oppone la dimensione concreta (del
capitalismo), in quanto “naturale” e “sana”, alla negatività di ciò che viene
inteso per “capitalismo,” non è in contraddizione con una glorificazione del
capitale industriale e della tecnologia. Entrambe costituiscono l'aspetto
“materiale” dell'antinomia.
Generalmente questa relazione
viene fraintesa. Ad esempio, Norman Mailer, nel difendere il neo-romanticismo
(e il maschilismo) in Il Prigioniero del Sesso, scrisse che Hitler parlava di
sangue, è certo, ma costruì la macchina. Il punto è che, in questa feticistica forma
di “anticapitalismo”, sia il sangue che le macchine sono viste come contro-principi
concreti in risposta all'astratto. L'enfasi positiva sulla “natura”, sul
sangue, il suolo, il lavoro concreto, e sulla Comunità (Gemeinschaft), può essere
accompagnata da una glorificazione della tecnologia e del capitale industriale.
Questa forma di pensiero, quindi, non dev’essere intesa come anacronistica,
come l'espressione di uno storico non-sincronismo (Ungleichzeitigkeit), così
come la diffusione delle teorie razziali nel tardo diciannovesimo secolo non vanno
intese come ataviche. Si tratta, storicamente, di nuove forme di pensiero e non
rappresentano in alcun modo il riemergere di forme più arcaiche. Ci appaiono
ataviche o anacronistiche a causa della loro enfasi sulla natura biologica.
Tuttavia, questa stessa enfasi ha le radici nel feticismo del capitale. Il ricorso alla biologia e il desiderio di un
ritorno alle “origini naturali,” combinato ad una visione positiva della
tecnologia, che appare sotto molte forme all'inizio del ventesimo secolo, vanno
intesi come espressione del feticismo antinomico che dà origine all'idea che il
concreto è “naturale,” e che presenta, sempre di più il socialmente “naturale”
in un modo che lo fa percepire in termini biologici.
L'ipostatizzazione del concreto e
l'identificazione del capitale con l'astratto manifesto, soggiace a una forma
di “anticapitalismo” che pretende di superare l'ordine sociale esistente da un
punto di vista che, in realtà, rimane immanente a tale ordine. Fintanto che il
punto di vista è la dimensione concreta, questa ideologia tende a indicare una
forma più concreta e organizzata di sintesi sociale chiaramente capitalistica.
Questa forma di “anticapitalismo,”
quindi, sembra soltanto guardare con brama al passato. In quanto espressione
del feticismo del capitale il suo impulso reale è in avanti. Essa emerge
durante la transizione da capitalismo liberale a capitalismo burocratico e diviene virulenta
nel caso di crisi strutturale.
Questa forma di
“anticapitalismo,” quindi, è basata su un attacco unilaterale all'astratto.
L'astratto e il concreto non vengono visti nel loro costituire un'antinomia in
cui il superamento reale dell'astratto —della dimensione del valore —comprende
il superamento storico dell'antinomia stessa così come ognuno dei suoi
termini. C'è, invece, un attacco unilaterale alla ragione astratta, alla legge
astratta o, ad un altro livello, al denaro e al capitale finanziario. In questo
senso è complementare al pensiero liberale, in cui il dominio dell'astratto non
viene messo in discussione e in cui la distinzione tra ragione positiva e ragione
critica non è effettuata.
L'attacco “anticapitalistico”, tuttavia,
non si limita ad un attacco contro l'astrazione. Sul piano del feticismo del
capitale, non è soltanto la parte concreta dell'antinomia che può essere
naturalizzata e biologizzata. Anche la dimensione astratta manifesta è stata
biologizzata—equiparata agli ebrei. L'opposizione feticistica tra il materiale,
il concreto, da un lato, e l'astratto, dall’altro, cioè tra “naturale” e
“artificiale,” è stata tradotta in un’opposizione razziale, dal punto di vista
storico rilevante a livello mondiale, tra ariani ed ebrei. Il moderno
antisemitismo include una biologizzazione del capitalismo - il quale viene
concepito solo nella sua dimensione astratta manifesta – in quanto giudaismo
internazionale.
Secondo questa interpretazione,
gli ebrei non furono semplicemente identificati col denaro, con la sfera della
circolazione, ma col capitalismo stesso. Tuttavia, a causa della sua forma
feticistica, il capitalismo non sembrò comprendere l'industria e la tecnologia.
Il capitalismo sembrò coincidere solo con la sua dimensione astratta manifesta
la quale, a sua volta, era responsabile dei vasti mutamenti sociali e culturali
concreti associati al rapido sviluppo del moderno capitalismo industriale. Gli ebrei non furono visti
semplicemente come rappresentanti del capitale (nel cui caso gli attacchi
antisemiti sarebbero stati molto più specificamente di classe). Essi divennero
la personificazione del dominio del capitale intangibile, distruttivo,
immensamente potente e internazionale in quanto forma sociale alienata. Certe forme di scontento
anticapitalistico furono dirette contro la dimensione astratta manifesta del
capitale, personificata negli ebrei, non perché gli ebrei fossero
coscientemente identificati con la dimensione del valore ma perché, data
l'antinomia tra dimensione astratta e concreta, il capitalismo appariva in
questo modo. Di conseguenza, la rivolta “anticapitalistica” fu anche rivolta
contro gli ebrei. Il superamento del capitalismo e suoi effetti sociali
negativi vennero associati al superamento degli ebrei.
Nonostante sia stata suggerita la
connessione immanente tra questa sorta di “anticapitalismo,” che diede forma al nazionalsocialismo, e il
moderno antisemitismo, rimane la domanda del perché l'interpretazione biologica
della dimensione astratta del capitalismo trovasse il suo centro negli ebrei.
Nel contesto europeo, questa “scelta” non fu fortuita. Gli ebrei non avrebbero
potuto essere sostituiti da alcun altro gruppo. Le ragioni di ciò sono
molteplici. La lunga storia
dell'antisemitismo in Europa e l'associazione degli ebrei con il denaro ad esso
collegata sono ben risapute. Il periodo di rapida espansione del capitale
industriale negli ultimi trent'anni del diciannovesimo secolo ha coinciso con
l'emancipazione politica e civile degli ebrei nell'Europa centrale. Ci fu
un'autentica proliferazione di ebrei nelle università, nelle libere
professioni, nel giornalismo, nelle arti, nel commercio. Gli ebrei divennero
rapidamente visibili nella società civile, in particolare in quelle sfere e
professioni che erano in espansione e che venivano associate con le più nuove forme
che la società stava prendendo.
Si potrebbero menzionare molti altri fattori,
ma ce n'è uno in particolare che vorrei sottolineare. Così come la merce, intesa come
forma sociale, esprime il suo “duplice carattere” nell'opposizione esteriorizzata
tra l'astratto (denaro) e il concreto (la merce), così la società borghese è
caratterizzata dalla divisione tra Stato e società civile. Per l'individuo, questa
divisione si esprime nella differenza tra individuo come cittadino e individuo
come persona. In quanto cittadino, l'individuo è astratto come espresso, ad
esempio, nella nozione di uguaglianza davanti alla legge (astratta), o nel
principio di una persona, un voto. In quanto persona, l'individuo è concreto,
coinvolto nelle effettive relazioni di classe che vengono considerate
“private,” cioè, che hanno a che vedere con la società civile e che non trovano
espressione politica. In Europa, tuttavia, la nozione
di nazione come entità puramente politica, astratta dalla sostanzialità della
società civile, non fu pienamente realizzata. La nazione non era soltanto
un'entità politica, ma anche concreta, determinata da comuni linguaggio,
storia, tradizioni e religione. In questo senso, l'unico gruppo in Europa che
riuscì nella determinazione della cittadinanza come astrazione puramente
politica, fu quello degli ebrei a seguito della loro emancipazione politica. Erano cittadini tedeschi o
francesi, ma non realmente tedeschi o francesi. Appartenevano in maniera
astratta ad una nazione, ma raramente in maniera concreta. In aggiunta, erano
cittadini della maggior parte dei paesi europei. La qualità dell'astrazione,
caratteristica non soltanto della dimensione del valore nella sua immediatezza,
ma anche, in maniera mediata, dello Stato e della legge borghesi, venne
strettamente identificata con gli ebrei. In un periodo in cui il concreto venne
glorificato contro l'astratto, contro il “capitalismo” e lo stato borghese,
questa associazione divenne fatale. Gli ebrei erano senza radici,
internazionali, astratti.
Il moderno antisemitismo, quindi,
è una forma di feticismo particolarmente perniciosa. Il suo potere e il suo
pericolo derivano da una visione onnicomprensiva del mondo che spiega e dà
forma a certe modalità di scontento anticapitalistico in un modo che lascia incolume
il capitalismo attraverso l'attacco alle personificazioni di quella forma
sociale.
Così inteso, l'antisemitismo ci
consente di carpire un momento essenziale del nazismo in quanto un movimento
anticapitalistico riduttivo, un movimento caratterizzato dall'odio per
l'astratto, dall'ipostatizzazione del concreto esistente e da una decisa,
spietata —anche se non necessariamente piena d'odio—missione: liberare il mondo
dalla fonte di tutti i mali.
Lo sterminio degli ebrei europei
è il segnale che è fin troppo semplice trattare il nazismo come un movimento di
massa con implicazioni anticapitalistiche che cambiò quella pelle alla fine nel
1934 (”Roehm Putsch”)[2], una volta che aveva servito al suo scopo e che si era
impadronito del potere statale. In primo luogo, le forme ideologiche di
pensiero non sono semplicemente manipolazioni coscienti. In secondo luogo,
questa visione fraintende la natura dello “anticapitalismo” nazista —la cui
entità era legata intrinsecamente a una visione antisemita del mondo. Auschwitz
rappresenta questa connessione. È vero che l’”anticapitalismo” in qualche modo
troppo concreto e plebeo delle SA (Sturmabteilung) fu messo da parte a partire
dal 1934; non così, invece, l’impulso antisemita —la “consapevolezza” che la
fonte del male fosse l'astratto, l'ebreo.
Una fabbrica capitalistica è un
luogo in cui si produce valore che, “sfortunatamente” deve prendere la forma di
produzione di merci, di valori d'uso. Il concreto viene prodotto in quanto
veicolo necessario per l'astratto. I campi di sterminio non furono una versione
orribile di tale fabbrica ma, piuttosto, andrebbero visti come il suo rifiuto
grottesco, ariano, “anticapitalistico”. Auschwitz fu una fabbrica per la
“distruzione del valore,” cioè, la distruzione delle personificazioni dell'astratto.
La sua organizzazione era quella di un perverso processo industriale, il cui
scopo era “liberare” il concreto dall'astratto. Il primo passo fu disumanizzare,
ossia strappare la “maschera” dell'umanità, di specificità qualitativa, e
rivelare gli ebrei per quello che “realmente sono”—ombre, cifre, astrazioni
numeriche. Il secondo passo fu sradicare tale astrattezza, trasformarla in
fumo, cercando di portar via gli ultimi avanzi di “valore d'uso” concreto e
materiale: vestiario, oro, capelli, sapone.
Auschwitz, non la presa di potere
dei nazisti nel 1933, fu la vera “Rivoluzione Tedesca”, la tentata
“deposizione” non di un semplice ordine politico, ma di una formazione sociale
esistente. Con questo gesto il mondo doveva essere salvato dalla tirannia
dell'astratto. Nel corso del procedimento, i nazisti “liberarono” sé stessi
dall'umanità.
I nazisti persero la guerra
contro l'Unione Sovietica, l'America e l'Inghilterra. Vinsero, però, la loro
guerra, la loro “rivoluzione,” contro gli ebrei europei. Non soltanto
riuscirono ad ammazzare sei milioni di bambini, donne e uomini ebrei. Essi
riuscirono a distruggere una cultura—una cultura molto antica—quella giudaica
europea. Era una cultura caratterizzata da una tradizione che incorporava una tensione
complicata tra particolare e universale. Tale tensione interna era duplicata in
una tensione esterna, che caratterizzava la relazione tra ebrei e ambiente circostante
cristiano. Gli ebrei non furono mai pienamente parte delle ampie società in cui
vissero, né furono mai pienamente in disparte in queste società. Spesso i
risultati, per gli ebrei, furono disastrosi. Talvolta furono molto fruttuosi. A
seguito dell'emancipazione, questo campo di tensione si sedimentò nella
maggioranza degli individui ebrei. La risoluzione finale di questa tensione tra
particolare e universale è, nella tradizione ebraica, una funzione temporale,
storica—la venuta del Messia. Forse, comunque, con la secolarizzazione e
l'assimilazione, gli ebrei europei avrebbero rinunciato a quella tensione.
Forse questa cultura sarebbe gradualmente scomparsa in quanto tradizione
vivente, prima che la risoluzione del particolare e dell'universale si fossero
realizzate. A questa domanda non vi sarà mai risposta.
[1] – “John Bull” – personificazione nazionale della Gran Bretagna creata originariamente da John Arbuthnot
[2]
– “Röehm Putsch” – Anche conosciuto come "Notte dei lunghi coltelli",
fu una purga che accadde in Germania dalla notte del 30 giugno al giorno
del 1 luglio del 1934, quando il partito nazista decise l'esecuzione di
decine di suoi membri, la maggioranza appartenenti alla denominata
“Sturmabteilung” (SA), una fazione paramilitare capeggiata da Ernst
Röhm. L'occasione fu anche utilizzata per perseguitare comunisti e
socialdemocratici, così come conservatori ritenuti sospetti.
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