Vi si trovano pagine ammirevoli sul socialismo, sulla moralità della violenza, sull'avvenire della civiltà, sui miti socialisti; prospettive precise sui suoi metodi e sulle sue intenzioni; è la sola opera che conservi, contemporaneamente, una qualche unità interna sia a proposito dell'idea di violenza che a quella di sciopero.
Le "Riflessioni" hanno procurato a Sorel la maggior parte dei suoi lettori e dei suoi ammiratori; tuttavia molti di essi sono stati delusi dalla lettura di questo libro, scoraggiati forse dal lato frammentario ed estemporaneo della sua composizione.
Si adatta bene a "questo" Sorel il giudizio che egli, seguendo Croce, formulava su Marx: "Bisogna riconoscere che il sistema di Marx presenta notevoli difficoltà per la critica, poichè l'autore non ne ha dato un esposto didattico. Benedetto Croce afferma che "Il Capitale" sia una strana mescolanza di teorie generali, di polemiche e di satire amare, di illustrazioni e di digressioni storiche. Occorre andare alla ricerca del pensiero dell'autore, e ciò non manca di offrire numerosi motivi di errore".
Sorel, anch'egli, non ha esposto didatticamente il proprio pensiero. Egli respingeva tutto quello che vagamente potesse incutere il sentore di qualcosa di educazionistico, pedagogico, precettistico. Le "Riflessioni", come "Il Capitale", sono pertanto una mescolanza bizzarra e suadente di teorie generali, di virulente polemiche, di motti di spirito e di digressioni. Bisogna ricercare il pensiero di Sorel con tutti i rischi di anticipazioni e di errori che la sua ermeneutica comporta.
Tuttavia, è proprio partendo dalle "Riflessioni" che si può più proficuamente comporre un quadro del pensiero, della personalità morale ed intellettuale di Sorel. Si potrebbero dare le definizioni più varie del socialismo di Sorel; basterebbe trarle dalle sue opere: ma se vogliamo dare una definizione onesta del suo socialismo, presa in un'epoca in cui il suo pensiero, ondivago per antonomasia e per questo a noi particolarmente gradito e caro, è relativamente stabilizzato, ci si accorge che essa può essere formulata in poche parole: il socialismo, con tutte le sue speranze e le sue possibilità, è interamente contenuto nella lotta di classe -la sistemazione della lotta di classe è il solo apporto reale, enorme, tuttavia, del marxismo- e nel concetto di sciopero generale che permette di cogliere la lotta di classe nel suo aspetto più evidente e più crudo, esprimendone la più vivida e adamitica integralità.
Il socialismo, mentre per Marx è "una filosofia della storia delle istituzioni contemporanee", viene essenzialmente e primariamente definito da Sorel come "una filosofia morale" e una metafisica dei costumi, "un'opera grave, temibile, eroica, il più alto ideale morale che l'uomo abbia mai concepito, una causa che si identifica con la rigenerazione del mondo". I socialisti non devono formulare teorie, costruire utopie più o meno seducenti, "la loro unica funzione consiste nell'occuparsi del proletariato per spiegare ad esso la grandezza dell'azione rivoluzionaria che gli compete".
"Il socialismo è diventato una preparazione delle masse impiegate nella grande industria, le quali vogliono sopprimere lo Stato e la proprietà; ormai non si cercherà più il modo in cui gli uomini si adatteranno alla nuova e futura felicità: tutto si riduce alla scuola rivoluzionaria del proletariato, temprato dalle sue dolorose e caustiche esperienze".
Per Sorel, dunque, il marxismo è soprattutto una "filosofia delle braccia", cioè una tattica e un metodo di lotta, fondata senza dubbio su un'analisi filosofica e sociologica orientata verso l'azione diretta e l'energia, una filosofia anti-intellettualistica e vitalistica-conquistatrice, soggiacente all'influenza della lezione migliore lasciataci dagli scritti nietzscheani.
Impegnato su questa via Sorel scopre la violenza; ne scopre l'imperio, la crescente importanza nei rapporti umani e sociali -era l'epoca in cui nelle lotte operaie ogni anno decine di scioperanti cadevano sotto le pallottole della sbirraglia e della soldataglia- ed egli pensa che non sia più possibile parlare di socialismo senza filosofare sulla violenza e più particolarmente sulla violenza proletaria:
"Il socialismo tende sempre più a configurarsi come una teoria del sindacalismo rivoluzionario -o meglio come una filosofia della storia moderna nella misura in cui quest'ultima subisca il fascino del sindacalismo. Risulta da questi dati incontestabili che, per ragionare seriamente del socialismo, bisogna prima di tutto preoccuparsi di definire l'azione che compete alla violenza nei rapporti sociali di oggi".
La guerra di classe è dunque per lui l'essenza e la speranza del socialismo.
Egli non oppone due sistemi, socialismo e capitalismo, libera concorrenza e collettivismo, per sottolineare i difetti e i vizi dell'uno e le qualità e i meriti dell'altro; egli oppone in una guerra eroica e leale, all'ultimo sangue, una nozione proudhoniana, questa, sempre sovrapposta al marxismo e sostanzialmente dominantelo, il proletariato alla borghesia. Dal loro urto scaturirà il Sublime.
Sorel si occupa assai poco di economia. Egli tuona contro la borghesia vigliacca, arrogante, invidiosa e avida, i cui costumi, negli ultimi trent'anni presi in considerazione, lo hanno definitivamente irritato e che lascia perire il retaggio sacro della umanità contrario al sistema economico di cui non è neppure beneficiaria.
Sorel si vieta ogni previsione sull'avvenire: egli aveva in grande orrore le utopie e gli utopisti: "Con che si fanno le utopie? Col passato, e spesso con un passato assai remoto". Spesso gli è stato rimproverato di non aver tenuto conto dell'organizzazione produttiva -descrizione che è generalmente richiesta ai teorici del socialismo- che in modo troppo semplicista. Nella prospettiva soreliana tale rimprovero è assurdo. Egli si accontenta deliberatamente di un atto di Fede sulla capacità di gestione della classe operaia, affinata dalla suprema lotta. L'idea dello sciopero generale produce presso i lavoratori "uno stato d'animo epico, che tende tutte le forze dell'Anima verso condizioni che permettano di realizzare un'officina che funzioni liberamente e che sia prodigiosamente progressiva".
Egli si rifiuta altresì di tracciare, anche solo a grandi linee, l'immagine della società futura. Sorel ha bersagliato di sarcasmi e dileggi gli scrittori socialisti che avevano tentato di descriverla con un'ingegnosità più o meno felice, in particolare scagliandosi contro Jean Jaures e Charles Fourier: "Sembrava loro che le proprie invenzioni fossero tanto più convincenti quanto più l'esposizione era conforme alle esigenze di un libro scolastico".
Il più grande merito attribuito a Marx da Sorel e che invece contrapponeva il Nostro in maniera feroce agli epigoni del rivoluzionario tedesco, i cosiddetti marxisti, si concretava proprio su questo punto: "Non si saprebbe troppo insistere sul fatto che Marx condanna tutte le ipotesi costruite dagli utopisti circa l'avvenire". "Ho detto che Marx rifiutava tutti i tentativi orientati verso la determinazione delle condizioni di una società futura; non si saprebbe abbastanza insistere su questo argomento, poichè noi vediamo che in tal modo Marx si collocava al di fuori della società borghese".
La società futura per Sorel scaturirà del tutto naturaliter dall'azione del movimento operaio. Più il movimento operaio saprà essere Eroico e Puro, più la società che si elaborerà in seno al medesimo raggiungerà un elevato livello.
Il diritto operaio non è dunque il diritto che fabbricano i legislatori borghesi amanti delle scienze sociali nel loro Parlamento, è il diritto che nasce nelle attività sindacali: "Si dovrebbero definire diritto operaio gli usi che si formano nella classe lavoratrice, e che possono, perfezionandosi, diventare il diritto futuro".
Ragionando per analogia, Sorel crede di cogliere delle affinità spirituali sorprendenti tra le qualità dei soldati delle guerre napoleoniche per la Libertà, quelle suscitate tra i lavoratori dallo sciopero generale e quelle che dovrebbero possedere i membri di un'officina socialista. L'operaio di un'officina socialista, come il soldato delle guerre per la Libertà, il militante sindacalista, non regola il suo sforzo su una misura esteriore; egli tende piuttosto a superare i modelli che gli si offrono, a voler spingere il proprio sforzo più in alto; soltanto un paragone con l'Arte considerata come "un'anticipazione della più alta produzione" potrebbe, secondo Sorel, permetterci di capire vagamente quello che accadrebbe in un'officina -a questo termine va esteso un significato lato, si intende- libera.
D'altra parte "l'industria moderna è caratterizzata da una preoccupazione sempre maggiore dell'esattezza".
Altra analogia con lo spirito delle armate rivoluzionarie nelle quali i soldati delle guerre per la Libertà "attribuivano un'importanza quasi superstiziosa all'adempimento delle più piccole consegne". Sorel afferma: "Quando si lancia una colonna d'assalto, gli uomini che marciano in testa sanno che sono votati alla morte, e che la gloria sarà per quelli che, calpestando i loro cadaveri, entreranno in territorio nemico. Tuttavia essi non pensano a questa grande ingiustizia e vanno avanti".
I soldati delle armate rivoluzionarie che procedevano senza sperare ricompensa, i grandi artisti sconosciuti che hanno edificato le cattedrali, gli inventori che hanno assicurato il trionfo dell'industria moderna senza attendere una rimunerazione per le loro scoperte, hanno tutti vissuto senza ricevere una ricompensa personale immediata e adeguata del loro eroismo, del loro genio, del loro sforzo.
Il sacrificio più assoluto e dedito di se stessi in nome di un Ideale indicibile: non possono che emergere nella nostra mente le figure misteriose, fulgide ed altere di due Incomparabili Genii, immeritatamente per noi italiani: Bruno Filippi e Carlo Michelstaedter. Nel nostro mondo marcio, esiste ancora una forza d'entusiasmo ad essi confrontabile? Sorel lo crede: egli pensa che l'entusiasmo e la fede che sono stati la forza motrice del movimento rivoluzionario saranno domani le forze vive della "morale dei produttori": responsabilità personale, eroismo invincibile, disciplina interiore, abnegazione, rifiuto del mondano osceno e scurrile.
Sorel prosegue nel suo discorso enunciando: "La morale non è destinata a scomparire perchè le sue forze motrici saranno cambiate; essa non è condannata a diventare una semplice raccolta di didascalici precetti, se può allearsi ancora a un entusiasmo capace di vincere tutti gli ostacoli opposti dall'abitudine, dai pregiudizi e dal bisogno di vantaggi immediati-portati di una logica utilitaristica-benthamiana. Ma è certo che non si potrà conquistare questa forza sovrana seguendo le vie nelle quali vorrebbero farci entrare i filosofi contemporanei, gli esperti in scienza sociale e gli inventori di riforma profonda. Oggi non vi è che una sola forza che possa provocare quell'entusiasmo senza il cui aiuto non vi è morale possibile: è la forza che si sviluppa dalla propaganda in favore dello sciopero generale. Abbiamo così riconosciuto che vi sono degli stretti legami tra i sentimenti provocati dallo sciopero generale e quelli che sono necessari per innescare il processo della produzione. Abbiamo il diritto di sostenere che il mondo moderno possiede il movente primo che può assicurare la morale dei produttori".
Ma perchè il socialismo possa adempiere alla sua funzione soteriologica, dopo il crollo degli antichi valori e il processo nietzscheano che prevede la Trasvalutazione degli stessi, occorre che esso sia perfettamente autonomo e puro, occorre che non debba nulla alle ideologie tradizionaliste della borghesia.
Il movimento socialista rivoluzionario deve essere immune da ogni elemento estraneo, deve includere e prevedere presso di sè il vituperato ma sempre valido concetto di epurazione, nonchè la prassi derivante da quello, che sia nell'accezione nietzscheana che in quella staliniana lo conduce al suo repente rafforzamento. Deve essere un movimento anti-intellettualistico, rigorosamente ed esclusivamente rivoluzionario e proletario: deve destituire quindi intellettuali, commercianti, piccoli borghesi, funzionari.
Due pericoli minacciano il socialismo secondo Sorel: il primo, sul piano politico, costituito da tutte le deviazioni democratiche, riformiste e parlamentari possibili; il secondo, sul piano economico, costituito invece da tutti gli squallidi tentativi di collaborazione fra le classi che Sorel simboleggia e compendia in una sola espressione, la vigliaccheria borghese.
Il socialismo riformista e parlamentare cerca indifferentemente la clientela elettorale fra tutte le classi sociali. Esso mira alla conquista dello Stato mediante il suffragio universale, ennesima frale menzogna, illusione democratica, vuotando il socialismo di ogni contenuto classista e togliendo al marxismo le sue poche potenzialità liberatrici:
"La letteratura elettorale sembra ispirata dalle più pure dottrine demagogiche: il socialismo di questo tipo si rivolge agli scontenti, qualsiasi sia la loro appartenenza di classe; per questo troviamo dei socialisti laddove non ci aspetteremmo di rinvenirli. Il socialismo parlamentare parla tanti linguaggi quanti sono i tipi delle clientele. Esso si rivolge agli operai, ai piccoli padroni, ai contadini, a dispetto di Engels anche agli affittuari; talvolta è patriota, talvolta declama contro l'esercito; nessuna contraddizione lo ferma, perchè l'esperienza ha dimostrato che si può, in una campagna elettorale, riunire le forze che dovrebbero essere normalmente antagoniste, secondo le stesse concezioni marxiste. D'altra parte un deputato non può rendere servizi a elettori di ogni situazione economica".
"I socialisti parlamentari - prosegue ancora Sorel - non possono avere grande influenza se non giungono ad imporsi a gruppi molto dissimili parlando un linguaggio volutamente confuso: a loro occorrono degli elettori operai abbastanza ingenui da lasciarsi ingannare dalle frasi roboanti sul futuro collettivismo. Essi devono presentarsi come profondi filosofi ai borghesi stupidi che vogliono sembrare esperti in questioni sociali; devono poter sfruttare persone ricche che credono di ben meritare dall'umanità attuando imprese di politica socialista. Quest'influsso è fondato sull'arruffio e i nostri grandi uomini lavorano con successo spesso troppo grande a creare la confusione nelle idee dei loro elettori".
Queste pratiche elettorali portano con sè la più larga corruzione. I deputati socialisti non sono certo da meno dei parlamentari più esplicitamente borghesi nell'arte dell'inganno e dell'imbroglio. E le "Riflessioni sulla violenza" costituiscono parimenti un libello antidemocratico d'una violenza e d'una vivacità raramente in seguito raggiunti.
Già nel 1906, Sorel, dopo le delusioni indottegli dalla campagna dreyfusarda, non ha più alcun riguardo per la democrazia; è risolutamente antidemocratico, e tale resterà fino alla morte. "Il suo antidemocraticismo resterà sempre -ha scritto Pirou- quanto mai saldo e risoluto. Esso è il perno fisso intorno al quale girerà ormai la sua dottrina". La democrazia che trascina il socialismo nella via delle transazioni e dei compromessi è il nemico principale del movimento operaio, il suo principale agente di confusione e di dissoluzione:
"L'esperienza ha finalmente dimostrato che un accordo fra il socialismo e la democrazia non permette all'ideologia rivoluzionaria di mantenersi all'altezza che essa dovrebbe avere perchè il proletariato possa compiere la sua missione storica. La liquidazione della rivoluzione dreyfusarda doveva portarmi a riconoscere che il socialismo proletario o Sindacalismo non realizza pienamente la sua natura se non quando è volontariamente un movimento operaio rivolto contro i demagoghi".
"La democrazia elettorale - scrive ancora, e in questo passo che è di un'attualità sconcertante, veramente in maniera magistrale, Sorel - assomiglia molto al mondo della Borsa. In un caso, come nell'altro, bisogna operare sull'ingenuità delle masse, comprarsi l'appoggio della grande stampa e aiutare il caso con un'infinità di astuzie; non c'è grande differenza fra un finanziere che immette nel mercato dei clamorosi affari che poi crollano in pochi anni, e il politicante che promette ai suoi concittadini un'infinità di riforme che non sa come attuare e che si ridurranno a un mucchio di carte parlamentari. Gli uni e gli altri non capiscono nulla della produzione e cercano tuttavia di imporsi ad essa, di dirigerla male, e di sfruttarla spudoratamente; essi sono abbagliati dalle meraviglie della industria moderna e pensano che il mondo sia abbastanza provvisto di ricchezze perchè lo si possa derubare largamente, senza far troppo gridare i produttori. Spennare il contribuente senza che si ribelli: ecco tutta l'arte del grande statista e del grande finanziere. Democratici e affaristi hanno una capacità tutta particolare per fare approvare i loro imbrogli dalle assemblee deliberanti; il regime parlamentare è mistificato come le riunioni di azionisti. Probabilmente è a causa dalle affinità psicologiche profonde risultanti da questi modi di agire, che gli uni e gli altri s'intendono così perfettamente: la democrazia è il paese di cuccagna sognato dai finanzieri senza scrupoli".
Ed inoltre: "I politicanti sono gente navigata, nei quali la perspicacia è resa singolarmente aguzza dagli appetiti voraci e fra i quali la caccia ai buoni posti sviluppa scaltrezze da apache".
Le "Riflessioni" sono colme di centinaia di aforismi dello stesso tipo, magnifici e fulminanti. Giuseppe La Ferla, nel suo "Renan politico" (Firenze 1953, pagina 66) sostiene che Renan, con la romantica affermazione già nel 1849 di un "compito provvidenziale della barbarie", consistente nel restituire allo spirito e alla cultura il loro primigenio vigore, sia il primo ispiratore delle "Riflessioni" soreliane, insieme a Marx e a Vico. Se così fosse, noi lo ringraziamo per questo: l'esigenza di una riforma intellettuale e morale, antecedente al rovesciamento dei rapporti sociali ed economici dominanti, comune secondo il giudizio di Gramsci sia a Sorel che a Renan medesimo, è rimasta tale quale era, un'esigenza, non c'è stata, non ci sarà; non abbiamo altra speranza nell'avvenire se non nel Caos, ci insegna Ernest Coeurderoy. Ma rimane l'impronta ferma di quest'opera colossale, somma e sontuosa, le "Riflessioni sulla violenza" di Sorel, ed incancellabile il merito che il nostro Maestro Sorel ha avuto nell'espungere dal marxismo tutte le aspirazioni teleologiche, scientiste, positiviste, nell'eliminare da esso qualsiasi traccia di filosofia della storia, nell'assegnare alla violenza la virtù, l'onere e l'onore della azione creatrice, o se preferite, seguendo Georges Palante, della Bontà Creatrice, il compito di una nuova fondazione etica. L'avvenire si divarica enigmatico innanzi a noi, la Volontà nostra o del Fato - l'amor fati nietzscheano- lo determinerà; ma anche se lo scoramento e lo sgomento sono i sentimenti odiernamente prevalenti nei nostri pensieri, il debito di riconoscenza nostro nei confronti di Sorel non verrà mai meno.
Egli fu il nostro maestro di libertà e di rivolta. Non cesserà mai di esserlo. Ed io, timido auleda, non posso esimermi dal cantarne la venustà prima di sprofondare rigenerato nella mia familiare catabasi. Poichè il mio lene delirio nell'inesausta caldezza del Sole non si perita di risparmiare neppure il socialismo, fosse pure codesto, eresiarchico, di Georges Sorel, a cui le ingiurie del Tempo edace non potranno sottrarre le faville dell'eversività.
"Penso che il desiderio di ricondurre tutto al punto di vista scientifico conduca - quasi necessariamente - all'utopia o al socialismo di stato".
(Georges Sorel, "La rovina del mondo antico", I edizione Parigi 1902)
"In ogni problema la scienza agisce in modo potente dando all'uomo un'intelligenza completa delle sue azioni ed eliminando le illusioni parafisiche che vengono, ad ogni momento, a turbare il nostro spirito. Tuttavia, perchè si produca il cambiamento è necessario ben altro che la scienza; ci vuole l'evoluzione dell'ambiente artificiale nel quale viviamo: i bisogni della vita economica dell'ambiente sono i motori diretti. Non possiamo dire che cosa sarà la società collettivista come non possiamo dire che cosa sarà la macchina a vapore tra un secolo: sforziamoci piuttosto di comprendere e giudicare quello che facciamo".
(Georges Sorel, "L'antica e la nuova metafisica", 1894)
"Il socialismo, mantenendo le forme, il nome, gli schemi delle argomentazioni, - tutto il frasario di Marx - ha ridotto la sua negazione della società borghese a un elemento di riforma nella società borghese, volto a scopi più o meno particolari e materiali: più o meno mite, a seconda che più o meno i capi del partito avevano bisogno della società borghese e, approfittando della forza che loro concedeva il partito, ambivano a un posto in quella. Così che in Francia il socialismo è giunto al governo, in Germania ha creato una classe benestante più borghese dei borghesi, in Italia... dell'Italia è pietoso tacere". (Carlo Michelstaedter, "La Persuasione e la Rettorica", 1910
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