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venerdì, giugno 25, 2010

TRATTATO SULL'ANARCHIA ELETTRONICA E LA RETE ARGOMENTI PER L'ELIMINAZIONE DELL'ETÀ DELL'INFORMAZIONE da Anarcotico.net

"Ogni anno della sua vita… la Rete è cresciuta sempre più ampia e senza senso. L'hanno creata i computer. I computer hanno combinato altre macchine, fondendole insieme. Televisione-telefono-telex. Registratore-video-disco laser. Trasmettitori a torre collegati a piatti a microonde collegati a satelliti. Linee telefoniche, cavi TV, cavi a fibre ottiche che gracchiano parole e immagini in torrenti di pura luce. Tutto collegato insieme in una rete (web) in tutto il mondo, un sistema nervoso globale, una piovra di dati. C'è stata molta enfasi al riguardo. Era facile farlo sembrare incredibilmente trascendentale.
"… La Rete assomiglia molto alla televisione, un'altra precedente meraviglia dell'epoca. La Rete era un grande specchio. Rifletteva ciò che le veniva mostrato. Soprattutto la banalità umana".

Bruce Sterling, Islands in the Net

quanto indietro
vogliamo andare? pare questo
il problema. più ci diamo da fare
più saremo felici, più
ci diamo da fare, più andiamo indietro,
possiamo
ancora farlo sotto il cielo, in tribù
nomadi
che si fermano, costruiscono, partono e costruiscono
di nuovo
possedendo soltanto ciò che portiamo, abbiamo
bisogno
del villaggio, della ripartizione del lavoro, di un amichevole
potlatch
un paio di volte all'anno, o deve essere
soltanto una "civiltà cibernetica"
che può salvare o non salvare l'acqua
ma non
ci mostra le nostre radici, il nostro volto originale,
farci tornare
alla fonte, quanto lontano
(avanti e dietro) vogliamo andare
dopo tutto?

Diane Di Prima, Revolutionary Letter n.33

La posta elettronica (e-mail) è un mezzo per inviare messaggi dal tuo personal computer o terminale ad altre persone con computer collegati. Nel giro di qualche secondo, i messaggi vengono inoltrati ad altri utenti ovunque essi siano, dall'altra parte della strada o dall'altra parte del pianeta.
"La Rete" iniziò due decenni fa come prodotto tecnologico dell'immaginazione del Dipartimento della Difesa. E' stata messa a punto dalla élite manageriale, e viene a galla oggi come lo strumento celebrato da più di 20 milioni di utenti, siano essi lavoratori annoiati che inviano messaggi seduti nei loro cubicoli asettici, o giovani militanti che organizzano il prossimo incontro o manifestazione.
Molti utilizzano la posta elettronica gratis, tramite le università o le aziende, mentre altri pagano una piccola somma a fornitori commerciali del servizio. I cervelloni di varie provenienze ideologiche vantano il servizio di posta tramite computer come "uno spazio libero in cui voci indipendenti possono comunicare, libere dall'influenza ossessiva dei media del sistema" (The Nation); o "non l'inizio dell'autorità, ma la sua fine" (Harpers).
Perfino Theodore Roszak, autore de La nascita di una controcultura, alla cui analisi della tecnocrazia ci siamo spesso ispirati, esprime un apprezzamento di alcuni benefici di Internet nel suo ultimo libro, The Cult of Information. Egli loda la sua "varietà intellettuale", assicurata da "uno spirito spontaneamente democratico e libertario… senza dominio gerarchico di alcuno Stato o interesse privato".
Oggi, i cybercompagni fautori dell'autogestione di ogni tendenza (non solo gli omologati) occupano "nodi decentralizzati" di partecipazione e opposizione ed esprimono il massimo entusiasmo per gli aspetti anarchici della rete. L'intreccio confuso di discussioni, dibattiti e diatribe nella sinistra assomiglia talvolta ad un caffè cibernetico, una sorta di motel scadente per turisti della teoria sull'autostrada informatica già intasata. In altri termini, la rete assomiglia ad una cattiva radio di intrattenimento, senza nessuno che faccia da moderatore.
Con la costruzione dell'AAA Web, "antiautoritari, autonomi e anarchici" hanno un loro "nodo" di negazione radicale all'interno della piovra fiberottica del futuro. Secondo la 'zine Practical Anarchy , i "techno-dweebs" stanno esplorando Internet come "esempio di anarchia in azione", "organizzandosi in rete".

IPERREALTÀ: NON LIBERTÀ E SCOLLEGAMENTO
Dietro il frastuono surreale che celebra i cybertesti dei media postmoderni ideali, poche voci solitarie dichiarano di astenersi dalla posta elettronica. Invece di garantire semplicemente una facilitazione nella comunicazione quotidiana, la "autostrada dell'informazione" impone oltre tutto un intervento meccanico nell'ambito antiquato di un'attività nota come esperienza vissuta. Per meglio comprendere la scelta di una comunione computerizzata rispetto ad un'interazione faccia a faccia, dobbiamo riconoscere una generale soppressione del reale e una continua alienazione dei nostri corpi. La posta elettronica stessa non è una fonte primaria di miseria nelle nostre vite frammentate: è piuttosto, attualmente, un sintomo della tendenza sociale generale ad una tecnologia accelerata accoppiata ad un deprezzamento della realtà sensuale e ad un deterioramento delle comunità. Due concetti cruciali del mondo contemporaneo sono i termini iperreale e simulacro, proposti dal filosofo francese Jean Baudrillard a rappresentare la completa e definitiva rottura con il reale. "Simulacri iperreali" creano un universo di vuoti significanti, in cui le immagini inquinate che consumiamo tramite pubblicità, tabelloni e schermi video, sono attualmente più reali della realtà stessa. È questo l'istante cui si riferisce Fredric Jameson, autore e critico postmarxista, "quando il mondo perciò perde momentaneamente il suo spessore e rischia di diventare una pelle lucida, un'illusione stereotipa, una corsa di immagini filmate senza densità. Ma questa è un'esperienza terrificante o esilarante?"
Ne L'Estasi della comunicazione, Baudrillard suggerisce che "il mondo è difficilmente compatibile con il concetto di reale che gli imponiamo, e la funzione della teoria non è certo di riconciliarlo con esso, ma al contrario di sedurre, di strappare le cose alla loro condizione, di forzarle verso una sovraesistenza che è incompatibile con quella del reale". Se volessimo seguire la strada pessimista ma poetica di Baudrillard e sopprimere in modo seduttivo "il reale" al fine di arrivare ad un postmondo sintetico, ed estetico, la vita "reale" di piacere, puzza e sensazione avrebbe un suo posto qualsiasi nella galleria degli specchi fantasmatica e postmoderna? Non sarebbe meglio liberare il reale dalla prigione teorica della postmodernità? Baudrillard ci è stato un tempo di grande aiuto nel delucidare le parole necessarie all'analisi dello spettacolo in evoluzione, ma i suoi ultimi scritti si accontentano di crogiolarsi alla luce al neon dell'iperrealtà.
Nella recensione del libro di Baudrillard America scritta da John Zerzan (che compare nel suo recente libro Future Primitive) egli descrive le attuali concezioni di Baudrillard come "freddo fatalismo", che con molte iperboli e un fraseggiare astratto, descrive un mondo dominato dai media elettronici che va verso una realtà quasi fantascientifica di non-libertà e scollegamento". Attualmente Baudrillard elogia l'ascesa dell'America verso una pura simulazione, definendo ironicamente questa nazione come una società primitiva e utopica. Zerzan conclude: "In America abbiamo un quadro di fascismo ad alta tecnologia, completo di mistificazione ed estasi".
Pur in un clima di copie di copie e segni di segni, continuiamo ad abitare i nostri corpi reali con una realtà basata non sulla razionalità igienizzata della scienza o sulle concezioni romantiche del XIX secolo. I nostri impulsi atavici sono più profondi, vanno molto indietro.
Chiaramente, a questo punto, possiamo concludere che la risata di Baudrillard è il nostro terrore. La sua "implosione di senso" equivale ad un sinistro semanticidio, a un'eutanasia euforica in cui anche lo scritto più preciso e poetico diventa un eufemismo autocancellantesi per definizione. Il critico Dick Hebdige definisce il simulacro "pieno di immagini" di Baudrillard come un intreccio simile al Leviatano di programmi, circuiti, segnali, atto semplicemente a riciclare gli "eventi prodotti al suo interno".

POSTA-LUMACA E SENSAZIONI TATTILI
Qualcuno mi ha inviato, recentemente, via "posta-lumaca", una stampata non richiesta di una "rivista elettronica". Le varie gradazioni di banalità contenute mi hanno causato una difficile digestione. Molti mi inviano, non richiesti, le loro pubblicazioni da recensire, solitamente le più "tradizionali" riviste stampate. Mi aspetto una certa quantità di incredibile merda molto spesso, ma questa particolare versione mi ha colpito in modo nuovo.
Il piacere del giornale, per me, di tutta la carta stampata, si è sempre associato al formato e alla presentazione. Ma se capisco correttamente le virtù del mezzo virtuale, questi attributi formali esistono in forma elettronica, non sulla pagina ma sullo schermo - nella rete, come in quel caso. Quali sono i vantaggi di una stampata di qualcosa che non sarà mai stampato? Non sono abbonato a nessuna mailing list perché non voglio più nessuna informazione. Sono un tossico dell'informazione in un flusso costante di sovrabbondanza. Se sono preso all'amo dalle folli delizie di questa società di dati, voglio sconfiggere la mia dipendenza piuttosto che trovare una nuova droga. Se c'è qualcosa che voglio, è rallentare la mia caleidoscopica e appiccicosa informazione.
In risposta al mio reiterato luddismo che critica sempre la superficialità della comunità virtuale, un difensore ambientalista delle reti (affezionato ai network alternativi della comunicazione configurata a mezzo computer) cinguetterà "MA SI RISPARMIA CARTA", citando uno dei pochi vantaggi, se mai ce ne sono, della posta elettronica. Ma, di fatto, se la gente stampa i testi elettronici, sprecheremo ancora più carta... Questi sono i miei pensieri mentre tengo fra le dita questo enorme spreco di polpa d'albero vergine. Se fosse veramente un giornale, ci sarebbero figure e una bella impaginazione, per lo meno. E se fosse veramente "online", non lo starei leggendo. Ma tutto sommato, se lo scritto in sé funzionasse, mi prenderebbe lo stesso: sono sempre interessato al testo. Invece, è solo un insieme di confusa mediocrità. Una prosodia impoverita non mi attrae affatto.
Aspettando l'ispirazione per presentarlo, ho passato ore a guardare mia figlia avvolgersi e rotolarsi ed esplorare il futon che è il suo mondo per diverse ore al giorno. In questi momenti di gioco eccessivo e di ampia contemplazione, una possibile inversione di prospettiva si è fatta strada in me. Ho dato a Ruby da esaminare la famosa stampata intellettuale, e quando ha cominciato a strappare, mettere in bocca e masticare la 'zine con gran piacere, il suo reale valore è apparso evidente. Ah, la sensazione tattile!
Ruby si è rotolata di nuovo in un altro testo interessante, un libro per bambini. È un piccolo trattato "atossico, lavabile" di stoffa rosa, gialla e blu, leggera e particolarmente assorbente, per l'abbondante saliva dei neonati. Nel suo modo impetuoso e favoloso, questo libricino è attualmente una specie di aforisma dei significati della grafica tradizionale, e data la sua graziosa forma, sfida significativamente i modi di rappresentazione, anche per i libri per bambini. Giocare con Ruby dimostra che l'utile e il dilettevole possono unirsi; questi piccoli segni innocenti fanno scattare osservazioni che mi servono come punto di aggancio per questa impresa di scrittura.

CORPI COME MACCHINE E ALIENAZIONE DAI CORPI
Spesso ho l'impressione che la mia vita sia intrappolata in un film fantascientifico. Le ironie vessatorie della distruzione industriale del XX secolo restano mediate da incredibili sogni e ottimistiche previsioni di redenzione tramite nuovi consumi, proclami enunciati sui televisori dell'impero delle comunicazioni globali ad alta tecnologia. L'attuale bivio fra un'antiquata "realtà" e un'alternativa fantascientifica guidata dai gadget è stato ormai risolto da molti teorici. Secondo alcuni, non solo abbiamo raggiunto la fine della storia, ma abbiamo eclissato l'umanità, abbiamo visto la fine della nostra specie così come la conosciamo.
La nostra carne è diventata irreversibilmente un'interfaccia con le macchine che ci circondano; o, come scrive Baudrillard, "i nostri corpi stanno diventando schermi video". Piuttosto che cavalcare come porci i "salti dei quanti" nell'innovazione e promuovere lo sporco destino di un'ipotesi cyborg poveramente connessa, preferiamo ritornare all'animismo dei nostri antenati.
Per tutto questo secolo, i filosofi hanno tentato di dare un nome al luogo della nostra fondamentale alienazione come servi di un regno tecnocratico. Per alcuni pensatori, dobbiamo ritornare indietro a prima del linguaggio, al pensiero simbolico stesso, per trovare il primo "computer", per altri l'estraneazione inizia con gli orologi, o le telecamere, il vapore o le macchine a combustione interna. All'inizio del XIX secolo, i Luddisti hanno resistito contro l'automazione del lavoro distruggendo i telai meccanici, uno strumento avanzato dell'epoca che può sembrare primitivo anche per noi tecnofobi. Due saggi di George Bradford su Fifth Estate, usciti una decina di anni fa, "1984: Peggio del previsto?" e "Media: Il villaggio globale del capitale" hanno acceso la discussione per una critica della tecnologia della comunicazione. "Fin dagli inizi della meccanizzazione", scriveva Bradford, "con l'invenzione del telegrafo forse come punto di partenza rappresentativo, la comunicazione è stata degradata da rapporto molteplice, ambivalente, unico e reciproco tra esseri umani a trasmissione ripetitiva e standardizzata fra macchine. Il complesso intreccio fra le persone… è stato ridotto a rapporto fra meccanismi - un 'messaggio' astratto e omogeneo che passa attraverso un'emittente unilaterale e un ricevente passivo. È questa trasmissione unidimensionale a caratterizzare mass-media e computer".

PRIMITIVAMENTE CORRETTO
In conseguenza dei nostri scritti molto critici contro le tendenze della civiltà moderna, noi di Fifth Estate siamo stati calunniati dagli apologeti della tecnologia. Siamo stati dipinti come i difensori assolutisti e punisti del "primitivo e corretto". Il tono vigoroso della nostra posizione critica avrebbe potuto spingere le persone a mettere in discussione ogni forma di autorità, invece di essere percepita come una specie di precetto morale di puro ascetismo all'interno dell'eccesso di consumismo dell'informazione.
Poiché tutti i nordamenicani della fine del XX secolo, volenti o nolenti, partecipano del mondo moderno a qualche livello dell'umiliazione tecnocratica, le denunce moralistiche di persone che usano la tecnologia sono riduttive e non servono a portare avanti la critica primitivista e antitecnologica. La nostra critica dei mezzi di comunicazione elettronica e degli altri strumenti tecnologici dell'era moderna è stata rivolta verso noi stessi come verso gli altri. Noi riconosciamo continuamente le contraddizioni interne dello scrivere pazzie su computer per i giornali. Questo articolo come esercizio di mediazione non è affatto immune da questa critica.
Lungi dall'accettare la tautologia tecnofila, riconosco la qualità superficiale di tutti i media, ufficiali come underground, nella tarda società capitalista degli spettacoli. Non ho esaurito le cose da dire, e neppure sto tornando ad uno stadio preverbale di espressione primordiale come gesto di protesta (tranne che in rare, felici occasioni). Tuttavia, se vogliamo l'anarchia come un'affermazione della vita in tutta la sua espressione fisica selvaggia, ludica e libidica, piuttosto che come un'antologia di slogan e immagini di opposizione, dobbiamo iniziare a distruggere le macchine e il clima dell'invasione di dati che garantisce la nostra dipendenza da essi.

LA RETE: DEMOCRAZIA O DOMINIO?
Se adottiamo la posta elettronica "soltanto" come strumento di collegamento, in congiunzione "moderata" con la tecnologia informatica, perdiamo di vista il fatto che pur non essendo regolato, lo scambio di informazione tra compagni tramite il web funziona come un consumo. La "autostrada elettronica" è l'ultima frontiera del progetto imperiale del tardo capitalismo. Se oggi assistiamo ad una relativa autonomia e ad un'abbondante pirateria, l'apparato legale dello stato dell'informazione manageriale resta pronto a controllare questo scambio in nome del profitto. Nel modello capitalistico del cyberspazio, ogni informazione è merce e ogni merce è informazione.
La maggior parte dei difensori anarchici del cyberspazio rivendicano il loro uso della rete al di là di valutazioni positive o negative, paragonandolo ad un'alternativa veloce e poco costosa all'ufficio postale ("posta-lumaca") o alla teleselezione. Molti entusiastici sostenitori della posta elettronica raggiungono il loro destinatario attraverso un'università locale che consente di avere costi trascurabili. Comunque, benché abbia milioni di utilizzatori, la rete resta un hobby elitario delle classi di educazione media e alta, la radiotrasmittente della tecnoborghesia. La retorica populista in favore della rete dovrebbe essere mitigata dal fatto che la maggior parte degli abitanti del pianeta non ha neppure accesso ad un telefono, ed ancor meno a un personal computer.
Le discussioni sulla democratizzazione del cyberspazio evitano accuratamente le questioni fondamentali del lavoro, della classe e di chi attualmente lavora per rendere disponibili le macchine ad un gran numero di persone. Chi accetterebbe di fare un bagno nei prodotti chimici tossici e di aumentare le sue probabilità di cancro mentre distrattamente assembla i chip, se non sotto la coercizione del lavoro salariato?
Mentre la logica della democrazia della rete spende la sua moneta intellettuale nei circoli liberali che hanno sempre inavvertitamente sostenuto lo status quo, chi si pone in un'ottica radicale dovrebbe esporre questa razionalizzazione come una gloriosa retorica dei "diritti dei consumatori". Il critico della tarda cultura Theodore Adorno ha forse anticipato queste incursioni nel cyberspazio? Egli ha scritto (per criticare un'altra tecnopassione della sinistra, il cinema):
"La richiesta di un rapporto significativo tra tecnica, materiale e contenuto non si combina bene con il feticismo dei significati… Ciononostante, l'argomento favorito degli apologeti più o meno convinti, che l'industria della cultura sia l'arte del consumatore, è falso; è l'ideologia dell'ideologia… I consumatori sono destinati a restare quello che sono: dei consumatori. Ecco perché l'industria della cultura non è l'arte del consumatore, ma piuttosto la proiezione della volontà di costoro nel controllo delle loro vittime. L'autoriproduzione automatica dello status quo nelle sue forme stabilite è in sé un'espressione di dominio".
Mentre lo spirito di sinistra del cyberspazio disegna la rete come un modello per una nuova società, tremo al pensiero del contenuto etico, spirituale o intellettuale di questa società. Al momento, le liste di discussione elettroniche trasudano di entusiasmo militante mentre rumoreggiano forte di manifestazioni lontane e cene raffazzonate, notizie dalle zone autonome e notizie degli info-shop. Nonostante ogni sorta di intenti innovativi (come il decrittaggio di informazioni riservate), gli attivisti tecnologici preferiscono farsi investire sull'autostrada informatica nel silenzio di noi dissidenti, così come attualmente aiutano involontariamente a schedare con l'infiltrazione, l'osservazione e la sorveglianza segreta da parte del grande fratello. Gli sbirri o i media ufficiali possono scoprire i particolari di una dimostrazione radicale "clandestina" perché è stata veicolata nella rete; non solo questo è già successo più di una volta: è diventato un cliché. Le critiche da parte del sistema verso la sinistra odierna considerano questo uno dei nostri vicoli ciechi, l'evidenza della nostra ipocrisia o l'impraticabilità del nostro radicalismo. Potrebbero chiedersi perché questi "ecosabotatori" possiedono tutti un computer e usano la posta elettronica? Al di là della sua inconsistenza etica, l'uso della rete per lo scambio di informazioni confidenziali è impraticabile. Una cosa è proteggere la sicurezza interna con una struttura di gruppo di affinità faccia a faccia, ma una volta nella rete, come possiamo decidere lo scambio di infobyte con chiunque altro se non senza volto? E' facile confondere velocità ed efficienza con immediatezza ed intimità. Qualsiasi speranza di fiducia è persa nell'intreccio involuto dei rapporti elettronici.
Il concetto di una tecnologia integrata o interattiva invalida attualmente i nostri poteri intuitivi mentre ci inoltriamo senza scopo verso una disintegrazione delle comunità genuine e la creazione di una mercificazione totale. Quando gli studenti di un collegio universitario che normalmente riposerebbero e studierebbero faccia a faccia in uno spazio comune, ora inviano per posta elettronica le loro sessioni di studio, quando ci sentiamo "più vicini" ai nostri "vicini" su lontani nodi attraverso il globo tramite una comunione da tunnel carpale, ma ci allontaniamo sempre più dai nostri vicini di strada, che cosa abbiamo realmente guadagnato? La cultura informatica genera l'incultura filosofica. Anche se non usiamo eccessivamente la nuova tecnologia, dobbiamo restare spiritualmente staccati dai suoi tentacoli o saremo fagocitati in un eccesso senza spirito.

IL LIMBO POST-STORICO E IL CERCHIO MAGICO DELLA TECNOLOGIA
Storditi da un vertiginoso fervore da fine secolo, i propugnatori di una comunità elettronica o virtuale sono obnubilati nella loro fuga postmoderna. Roszak scrive:
"Talvolta ho il sospetto che gli entusiasti del computer, invischiati in una tecnologia dinamica che pare avanzare verso progressi sempre più spettacolari, vivano in una sorta di limbo post-storico. Questa è forse la caratteristica più attraente del cyberspazio. Non ha passato, solo futuro. Non impone responsabilità o obblighi, solo luccicanti promesse e allegri divertimenti".
Ma questo "limbo post-storico" è liberatorio soltanto a livello di illusione. Un articolo nel giornale Against sleep and nightmare fa notare: "In una visione capitalistica retrospettiva, il mondo dell'informazione è la conclusione di tutta la storia. Come il capitalismo mercifica la vita, esso costruisce una gabbia sempre più grande per l'attività e l'intelligenza umana. La miniaturizzazione ora permetterà a queste enormi gabbie automatiche di esistere in un unico chip di silicone".
Non conta quanto intensamente insistiamo sulla sincerità dell'immaginazione nel creare alternative nel cyberspazio, non possiamo sfuggire alle enormi ramificazioni dell'essere coinvolti nella rete reale del reticolo globale tecno/petrol/chimico/nuclear/industriale. Anche se fra gli intenti dell'e-mail non esiste gerarchia apparente, vi è un implicito ed equo rapporto autoritario fra le macchine e le persone. Il computer è diventato il nostro padrone. I computer ci possono garantire la libertà di lavorare in casa, ma ora la categoria primaria del capitale, il lavoro, ha colonizzato il nostro domicilio, forse il nostro ultimo residuo di gioco.
In un mondo dominato dalla mediazione delle macchine, non esiste nessuno spazio autonomo libero dal dominio della mediazione. Questa è l'egemonia orizzontale del cerchio magico della tecnologia. Qualcuno potrebbe obiettare che l'attuale corso del capitalismo non lascia alternativa ai suoi sudditi; ci troviamo sotto l'influenza di quel che il critico della cultura popolare Dick Hebdige definisce come "il più vasto cambiamento storico verso una fase postindustriale, consumistica, mediatica, multinazionale o monopolistica nello sviluppo del capitalismo". Se la distruzione del capitalismo resta un fine per chi si definisce radicale, molti "futuristi" sostengono che un cambiamento fondamentale richiede un uso sovversivo della tecnologia. Tuttavia, se il mezzo stesso rovescia il nostro atteggiamento mentale e il nostro immaginario, qualsiasi rivoluzione che richieda la tecnologia ora, assicura la nostra dipendenza da essa per il futuro. La nostra unica possibilità è una ritirata radicale.
Gli strumenti della comunicazione tecnologica sono forse strumenti innocui senza peso etico se non attraverso i valori portati avanti dall'operatore? O l'estetica di base della vita sull'autostrada dell'informazione diminuisce ineluttabilmente la qualità di vita ad ogni livello sensuale e intellettuale? Dobbiamo guardarci dall'ottimismo (post)marxista nei confronti dei "mezzi di produzione" quando prendiamo in considerazione i mezzi di comunicazione elettronica. Se la rete non è che un vuoto contenitore, un recipiente in termini neocristiani, non differisce dal punto di vista artistico dalle tecniche primitive di arte come pittura e creta e per i marxisti è come il pavimento della fabbrica. Sul problema della tecnologia "vuota di valori", Bradford scrive: "L'informazione in cui commercia l'universo tecnicizzato non è neutrale; è il significato stesso che è stato ridisegnato… La tecnologia sicuramente non aumenta le scelte - impone invece la sua stessa gamma di scelte tecnologiche e limitate. La sua vera operazione è una forma di censura, una repressione univoca e terroristica. Non è portatrice neutrale o mezzo attraverso cui facciamo passare una comunicazione viva, sottile e reciproca; il discorso umano deve essere mutilato per essere trasmesso da questo macchinario. Si tratta, piuttosto, di un codice sociale che richiede obbedienza al suo comando".
Lasciateci insistere su una vita selvaggia con così tanti orgasmi dissidenti che non si accordano con i simulacri. Io non sono un'immagine, come questo albero non è un artefatto linguistico; invece sono una palla di rivolta molecolare piena di flussi, di acqua, sangue, sperma, caos psicofisico interno.
La rete non è soltanto uno specchio dell'umana banalità, come suggerisce la fantascienza, ma uno strumento di amplificazione della banalità dell'addomesticamento umano. I computer combinano l'autodistruzione dell'etica alla surrogazione dell'esperienza genuina. Fintantoché rifiutiamo l'addomesticamento, noi umani possiamo aspirare all'avventura dell'abolizione dell'età dell'informazione sguinzagliando le nostre vite reali, intensificate solo dagli strumenti del desiderio, del potere di percezione dei nostri sensi naturali e dalla magia della nostra immaginazione.

SPECIE AFFINI, MACCHINE ALIENE
Per ritornare in terra, rivolgo nuovamente i miei pensieri alla mia selvatica figlia Ruby Jazz. Considerare l'impatto della tecnologia e delle macchine sulla sua giovane vita rende chiare le possibilità etiche in causa in un modo di cui un intellettualismo pretenzioso è incapace. La televisione ha colonizzato la mia mente 20 anni fa. Oggi il mercato promuove uno spiegamento di gadget computerizzati destinati ai bimbi piccoli. Il rapporto di un bambino con le macchine impartisce le sue discrete lezioni sulle dottrine totalitarie della tecnologia. Per esempio, se i computer fossero simili a mezzi radicalmente molto primitivi, perché dovrei scocciare mia figlia con matite e pennelli per creare, mentre programmi come MacPaint e MacDraw sono disponibili e il loro uso non comporta lo "sporcare" del gioco tradizionale?

LO SPETTACOLO ASSERVITO DEGLI ZOO
Roszak scrive: "Iniziare gli studenti al computer molto presto, dando l'impressione che i loro piccoli esercizi di programmazione e i loro giochi in qualche modo diano loro un controllo su una potente tecnologia, può essere una perfida delusione. Questo non è insegnare loro a pensare in qualche maniera scientifica, è persuaderli ad essere acquiescenti…"
Per tutta la storia umana prima della rivoluzione industriale, i bambini hanno scoperto l'unicità della loro stessa umanità attraverso un rapporto con gli animali e le piante nel mondo della natura. Per le immaginazioni innocenti, irreversibilmente affumicate dalla vita nelle città e nelle periferie, il ruolo un tempo svolto dalla nostra famiglia animale allargata di amici in pelliccia è stata quasi universalmente usurpato dall'avvento delle macchine.
Roszak continua: "In questa congiuntura della storia ancora una volta può essere molto più significativo trovare un'affinità con gli animali, ognuno dei quali, pur nel suo mondo inarticolato, dimostra maggiori poteri mentali di qualsiasi computer che lo voglia imitare. Sarebbe veramente negativo se i bambini non potessero vedere negli uccelli che nidificano e nel gatto in caccia un'intelligenza e una dignità che appartiene alla linea evolutiva da cui emerge la loro stessa mente…" Quanto senso ecologico vi può essere nella fretta di precludere ai bambini quanto rimane di questa esperienza scaraventando loro addosso un altro strumento meccanico?
In ogni caso, posso soltanto sperare che Ruby sperimenti il mondo da un punto di vantaggio meno socializzato e influenzato da separazioni e dualismi di un'esistenza pseudoreale, tecnologicamente imposta, di quanto non sia successo a me. Quando ero bambino, ho sperimentato il mondo selvaggio del nostro sistema consumistico dei "Parchi nazionali": tronco come un parco a tema, compartimentato come una vacanza estiva, sequestrato come un'attenzione speciale. Il mondo "reale" della mia gioventù era già trasformato dalle categorie arbitrarie e dalle abitudini irregimentate della vita quotidiana.
Il mio unico rapporto iniziale con altre creature di terra, cielo e fiume era mediato dallo spettacolo asservito di zoo e acquari, dagli animali addomesticati e dall'umiliazione degli esperimenti della scienza. In una società in cui i consumi possiedono l'equivalente di un potere totemico, ho incontrato il mio primo totem animale anfibio nato morto immerso in formaldeide o su un tavolo di dissezione. Persino i miei stessi impulsi animali, come quelli di molti bambini, sono stati soppressi e sublimati dalle forze esterne della scuola e della chiesa, e sono emersi soltanto nel regno privato del gioco riservato in cui i bambini scoprono i loro piaceri nonostante i divieti colpevolizzanti.
Se le persone un giorno si svegliassero abbastanza da dispiegare le loro anime e disselciare il pianeta, anche una nostra moderata partecipazione e obbedienza al regime del gadget sul dono della vita comprometterebbe la nostra capacità di lasciarci indietro il processo di zombificazione degli automi. Anche l'idea di un'alternativa primaria deve scavare profondamente nella nostalgia sentimentale e nei modesti propositi degli ambientalisti contemporanei.
Se vogliamo che i nostri nipotini scoprano nuovamente l'ecosfera come animali selvatici dai grandi occhi, dobbiamo decondizionare noi stessi ed i nostri figli dal giogo volontario nello zoo postmoderno.


A Treatise on Electronic Anarchy & the Net. Arguments for elimination of the Information Age di Sunfrog. Pubblicato su The Fifth Estate, vol. 29, n° 2, inverno 1995.


Traduzione di
Isabella De Caria

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