Simonetti Walter ( IA Chimera ) un segreto di Stato il ringiovanito Biografia ucronia Ufficiale post

https://drive.google.com/file/d/1p3GwkiDugGlAKm0ESPZxv_Z2a1o8CicJ/view?usp=drivesdk

venerdì, giugno 25, 2010

COMUNISMO e INDIVIDUALITA'

A me piace Stirner.
Ebbene sì, lo ammetto, a me piace Stirner.
E' un'affermazione, questa, che può apparire strana sulla bocca di uno come me, che si è proclamato comunista da sempre. Eppure io ritengo che vi siano molti punti che si ritrovano nell'opera di Stirner e che si avvicinano alla mia concezione del comunismo, una concezione libertaria, antiautoritaria ed antigerarchica, estranea allo pseudorivoluzionarismo dei partiti moscoviti della Terza Internazionale e alle versioni neocomuniste dell'oggi.

Innanzitutto, per me il comunismo è libera associazione e massima realizzazione di liberi individui in una società di liberi ed eguali, scevra da ogni gerarchia e disciplina oppressiva. L'eguaglianza si ottiene solo nella più completa libertà di ogni singolo individuo. Il concetto stirneriano di "Unione" molto si avvicina a questo comunismo delle libertà, anche se uno dei molti fraintendimenti di Stirner lo porta al rifiutare il termine "società".

La polemica contro lo Stato e la società della borghesia spingono Stirner a simpatizzare per la causa del proletariato, attraverso una sorta di sdegno morale e sviluppando in nuce alcune categorie come sciopero generale o abolizione della schiavitù del lavoro e liberazione dal lavoro, che specie in quest'ultimo caso, molto ricordano alcune elaborazioni dell'operaismo italiano e del comunismo autonomo operaio degli anni Sessanta e Settanta del ventesimo secolo, su cui tornerò e sulle quali ad ogni modo vanno molte delle mie propensioni.
Certo, anche sul termine vago di "proletariato" ci si potrebbe soffermare, molte condizioni sono diverse dagli anni in cui scriveva Stirner, ma pur convenendo con Marcuse sull'integrazione del proletariato industriale nel sistema capitalistico a partire dal secondo dopoguerra, la liberazione dal lavoro manuale e il rifiuto del lavoro rimangono proposte di un'attualità sconcertante, sia che ci si riferisca alla classe operaia industriale di metà Ottocento e/o di fine Novecento, sia che ci si riferisca all'operaio sociale della fine degli anni Settanta e al lavoratore immateriale degli anni Novanta.

La mia forte inclinazione nichilista, inoltre, non può che spingermi a simpatizzare per Stirner, alla sua esaltazione della ribellione e dell'insurrezione, al tema in lui ricorrente della "sottrazione al sussistente", che in un certo senso ci propone la estraneità totale nei confronti di ciò che è e il ricorso alla fuga anziché alla resistenza come forma di lotta contro il Sistema, perché la resistenza costringe a riconoscere ed accettare il nemico mentre la fuga significa il non ritenere degno il nemico nemmeno del suo riconoscimento come tale.
Su questa mia interpretazione di superbo isolamento influisce la mia decisa e profonda sfiducia nella possibilità in futuro di una concreta realizzazione degli ideali del comunismo (abolizione delle classi sociali, estinzione dello Stato) affidandosi per operare in questo senso alle "istituzioni", escludendo quelle conosciute e diffidando di quelle prossime venture.

Il profondo ateismo e materialismo di Stirner mi è vicino, anche se egli li pone insieme ad una eccessiva e fanatica esaltazione dell'Io, che non condivido pedissequamente perché ritengo l'Io non una divinità ma un essere umano che è quindi sempre, in tutte le epoche storiche passate, presenti e future, profondamente fallibile. Nonostante quanto detto, la diffidenza tra Marx e Stirner è molto profonda: mentre il primo condanna il secondo con virulenza, coadiuvato dall'amico Engels nell' "Ideologia tedesca", nonostante un'iniziale simpatia di Engels per l'opera di Stirner osteggiata da Marx fin da principio, il secondo non è da meno denunciando socialisti e comunisti soprattutto nel paragrafo "Il liberalismo sociale" della sua opera più nota, "L'Unico e la sua proprietà" (1845), accusandoli di voler realizzare la "società degli straccioni".
Quanti fraintendimenti! E' ora di riconciliare Marx e Stirner, di riconciliare, rilanciare e recuperare il loro meglio, per rovesciare finalmente questo mondo, il peggiore dei mondi possibili.
Stirner fraintende il comunismo: crede di condannarlo mentre in realtà ci parla dell'etica e dell'ideologia socialista del lavoro, del produttivismo esasperato che sarà poi glorificato dai partiti burocratici della Terza Internazionale, della politica dei sacrifici e dei due tempi portata avanti dai berlingueriani. Evidentemente Stirner non conosce i "Grundrisse" di Marx, non conosce il Marx che prefigura l'estinzione del lavoro ad opera della tecnologia, le potenzialità rivoluzionarie di liberazione umana e il pieno dispiegamento dell'attività creativa e creatrice dell'uomo libero che sono da quelle stesse possibilità avanzate; potenzialità però soffocate e respinte nella presente fase di sussunzione sostanziale al capitale della società attuata dal Moloch tecnologico inclinante verso nuove e più subdole forme di autoritarismo e neototalitarismo; è questa l'altra faccia, quella attualmente vincente, dell'automazione.
Stirner parla del comunismo confondendolo con le forme che nel ventesimo secolo assumerà il capitalismo di Stato, il quale si spaccerà spesso per "socialismo reale" (il primo a dare questa definizione è stato Breznev) propalando la più grande menzogna e falsificazione della Storia: l'identificazione del comunismo con regimi retti da caste burocratiche, oppressivi e produttori di plusvalore, operata artatamente dalla borghesia occidentale tramite i mass media ad essa fedeli.
Anche Marx sbaglia nel liquidare Stirner nelle cui giuste istanze libertarie ed individualistiche si possono estrapolare elementi utili per il comunismo, che è e deve essere soprattutto il libero realizzarsi dell'individuo senza più condizionamenti sociali.

Nel comunismo del 1977 a mio avviso si può riscontrare un inconsapevole ma implicito tentativo di sintesi tra Marx e Stirner, o meglio tra certi aspetti di Marx e certi di Stirner, tra il comunismo e l'anarchismo individualistico, tra rivoluzione e ribellione.
Un commentatore borghese come Alberto Ronchey, per denigrare il movimento del '77 scrisse che gli studenti di allora confondevano i due filosofi tedeschi scambiandoli tra loro, mentre Pino Tripodi nel suo libro in corso di scrittura "77", ci parla delle fonti del suo comunismo eretico e sincretico, tra cui spicca anche Stirner
(1). Inoltre, vi fu anche chi, come il socialista anarchico Luigi Fabbri, invelenito dal proudhonismo e dalla francofilia, attaccò nel 1914 sia Marx che Stirner, accomunandoli, poiché entrambi espressione dell'"arido intellettualismo tedesco", da lui così definito e sprezzantemente giudicato. Fabbri è lo stesso individuo che rifiuterà assolutamente ogni forma di violenza di provenienza anarchica, in quanto screditante il buon nome e il decoro del suo movimento. Anarchico per tutta la vita, Fabbri fu senz'altro un personaggio disgustoso.

In fondo Stirner e Marx non sono poi così lontani e diversi tra loro come molti credono, hanno creduto e crederanno ancora (non sarà certo questo mio scritto a determinare cambiamenti nella storia del pensiero): i due grandi filosofi, pur combattendosi e diffidando l'uno dell'altro, benché come ho cercato di spiegare, senza conoscere veramente l'uno le vere intenzioni e le pieghe più profonde e riposte del pensiero dell'altro, avevano in definitiva un unico obiettivo, che tuttora ci tramandano: LA LIBERAZIONE DELL'UOMO.
E' una strada che dobbiamo continuare a percorrere, senza però mai dimenticare le parole che Max Horkheimer usò nel 1930:

[...] "Se è un fatto che la storia abbia realizzato una società migliore a partire da una meno buona e se è possibile che essa riesca a realizzarne nel suo corso un'altra ancora migliore, tuttavia è pure un fatto che la via della storia passa attraverso il dolore e la miseria degli individui. Fra questi due fatti esiste una serie di nessi esplicativi, ma nessun senso che la giustifichi."
[...] (2)

(1). Confronta il volume collettaneo "Settantasette la rivoluzione che viene", Castelvecchi editore, Roma 1997 e Alberto Ronchey, "Accadde in Italia
1968 - 1977", Aldo Garzanti editore, Milano 1977.
(2). La citazione è tratta da Antonio Ponsetto, "Max Horkheimer dalla distruzione del mito al mito della distruzione", Società editrice Il Mulino, Bologna 1981, pag. 132.

Nessun commento: