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venerdì, giugno 25, 2010

NEL SEGNO DI ORWELL (parte prima) di franc'O'brain

"Era una bella e fredda mattina d'aprile e gli orologi batterono l'una. "

George OrwellNelle prime edizioni italiane di '1984', già nell'incipit è contenuto un clamoroso errore: nel testo originale, infatti, gli orologi "battono le tredici", non l'una. Il traduttore allora non volle credere che gli orologi potessero battere le tredici, nemmeno nell'eccentrica Londra e nemmeno in un lontano futuro quale allora era considerato l'anno 1984 (il romanzo fu scritto nel 1948). Dunque i lettori italiani sono stati privati di un importante elemento umoristico. Come fa notare Anthony Burgess nel suo splendido saggio-novella '1985', l'intenzione di Orwell era di scrivere un romanzo che fosse - appunto - "anche" umoristico.

George Orwell (vero nome: Eric Arthur Blair) era noto essere un poeta dolcemente ironico, un cronista sorridente della decadenza e della sordidezza, non un visionario pessimista. In difesa di quel primo traduttore, comunque, c'è da dire che le difficoltà di trasporre in italiano questa saga futurista (futurista in senso lato: il perché lo vedremo più avanti) sono di poco inferiori a quelle che si riscontrano nel tentare di rendere i pasticci linguistici dell' 'Ulysses'; che, a proposito, è da considerarsi anch'esso un romanzo umoristico - checché ne pensino certi critici.

Nelle prime pagine di '1984' ci imbattiamo in queste parole:

"Giù e su tra Londra e Parigi. Lo Wigan Pier."

Wigan Pier è uno "joke" da cabaret: è un posto inesistente, o indica tutt'al più uno stretto ponticello o un sentiero che costeggia un piccolo canale (inteso è qui il Canale della Manica). Ma come esporlo ai lettori non inglesi, se non con l'aggiunta di una nota a piè di pagina?

Orwell descrive la realtà futura come una serie di mondi chiusi. La Londra di '1984' è un universo a sé stante; non soltanto perfettamente distaccata dai circostanti centri rurali, ma suddivisa in rioni come nel gioco delle scatole cinesi: da una parte troviamo gli alloggi dei funzionari del Partito, dall'altra i vasti quartieri impoveriti dei "proles", ovvero dei proletari, che lo scrittore ci presenta ignoranti e incapaci ad organizzarsi. La comunicazione tra le varie sfere è inesistente, anzi addirittura interdetta, per volere del Big Brother. Inoltre, una normale, ragionevole conversazione tra gli stessi funzionari è impossibile, a causa della fitta aura di sospetto che circonda il dasein dei cittadini.

E quali chances abbiamo noi oggi di comunicare e... comunicarci? Tra '1984' e gli scenari attuali ricorrono diversi parallelismi che vale la pena di esaminare da vicino.

Anzitutto, non dovremmo più parlare di "vita pubblica": "vita pubblica" è un eufemismo e una contradictio in se. Non è soltanto l'urbanizzazione ad aver distrutto la funzione dell'agorà: anche nei centri abitati meno grandi si assiste a un fenomeno di incomunicabilità che certamente trascende dal classico gap generazionale. L'agorà è stata privatizzata e messa sotto vuoto spinto, imprigionata in un tubo catodico: è, dunque, nelle mani dei responsabili dell'informazione (il "ministero della Verità" di '1984'). Anche se, più che informazione, bisognerebbe chiamarla "disinformazione". La nostra televisione non è dissimile dal "versificatore" del romanzo di Orwell - un apparecchio che mutava ogni testo riscrivendolo secondo i canoni del Newspeak - il "Nuovo Linguaggio".

La televisione tende a diffondersi in senso unico: dal basso in alto, o, più precisamente, dal centro alla periferia. Rappresenta quello che durante il periodo nazista fu la radio: il mezzo più efficace per "cretinizzare il popolo" (Goebbels). L'eliminazione del monopolio delle antenne di Stato non ha scongiurato il pericolo di una lobotomizzazione in favore del moltiplicarsi di programmi culturali (film ad alto livello, trasmissioni intelligenti in cui anche la comicità serva a sollecitare i neuroni, ecc.): tutt'altro. L'audit, o indice di gradimento, detta legge, e così sul piccolo schermo non rimane spazio ormai che per il trash. A questo proposito, c'è da aggiungere che anche la radio consola raramente: oltre all'incontrollata guerra per accaparrarsi le frequenze migliori, c'è da registrarsi un sovraccarico dell'etere a base di musica prodotta da gruppi grezzissimi, musica con funzione anestetizzante. In un simile paesaggio di desolazione, è ovvio che i persuasori occulti la facciano da padroni...

Prima del boom del personal computer, abbiamo vissuto un decennio (gli anni Ottanta, esattamente) caratterizzato dalla sottomissione passiva di intere masse alle suggestioni, allo psychoterror di agenzie infopubblicitarie e di governi sottilmente repressivi. L'èra di Reagan, il thatcherismo e il revanchismo di destra hanno portato in quasi tutti i Paesi occidentali allo smarrimento e sbandamento dell'individuo, cui gli anni Settanta avevano se non altro fornito spunti e motivi "dialettici" atti a dare un senso alla sua esistenza. Ai miti di San Francesco, Gesù, Marx, Che Guevara e Jimi Hendrix si sono sostituiti gli eroi dei cartoni giapponesi, idoli della stazza di un Sylvester Stallone e starlette di plastica come Madonna e Michael Jackson.

Per fortuna, il riflusso ideologico occorso negli anni Novanta, complice la natura stessa del capitale (crisi ciclica, corruzione, scandali politici, mafie di ogni genere all'Ovest come all'Est), ha fatto risvegliare molte coscienze. Di conseguenza, a livello di base (inutile continuare a parlare di "proles": il proletariato odierno non assomiglia né a quello di Karl Marx, né tantomeno a quello di '1984') si è cercato di rimpiazzare il monopolio di dati instaurando una diffusione di informazioni non televisizzata, uno scambio di vedute e opinioni al di fuori dei circuiti statali.

Lo strumento che meglio si adatta a tale funzione è il computer.


2

Chi ha letto '1984' si ricorderà che la prima grande trasgressione di Winston Smith, il protagonista, consiste nello scrivere a lettere maiuscole, su un diario di antica manifattura, le parole

'ABBASSO IL GRANDE FRATELLO'.

Il "diario" usato oggi da chi vuole ribellarsi allo stato di cose vigente, o che vuole quanto meno concedersi momenti di gioco-riflessione, è il PC.

Una delle domande più frequenti fino al 1993, 1994, rivolte a chi si procacciava un computer, suonava pressappoco: "Ma che cavolo te ne fai di quell'aggeggio? A che cosa ti serve?"

Allora si rimaneva a boccheggiare di fronte a tanta incomprensione, mentre oggi avremmo la risposta parata: "Che me ne faccio? A che serve? Serve a dialogare, a gridare, a far scherzi e a piangere, a offendere e a calunniare, a buttar giù le mie memorie come ha fatto Winston Smith in '1984'. Serve ad accusare e a difendere, a volere bene e a non voler bene, a suscitare idee e a trovare nuove idee.

"Tramite un computer non puoi picchiare nessuno, e questo è positivo. Non puoi guardare il tuo interlocutore direttamente negli occhi, e questo è negativo. Viaggi sui fili del telefono e vi incontri i cools, i collerici, gli idioti. Tutto proprio come là fuori... Tutto proprio come outside the wall."

Già. Il Villaggio Globale, come lo battezzò McLuhan. Internet getta ponti su baratri di vuoto fisico. Una specie di "Giochi senza frontiere", per dirla con Peter Gabriel.

Il computer per uso comune (home computer dapprima, poi personal computer) è stata un'invenzione "forzata" del capitale, che, nella sua continua ricerca di merci da commercializzare (guai se le ruote del macchinario si bloccano!), ha sfruttato il coraggio e plagiato l'intuizione di una piccola ditta - la Apple - per lanciare questo novum, questo ambito oggetto, rendendolo accessibile a quante più persone possibile.

Imprevisto - o sottovalutato - era il rischio che singoli individui o gruppi di individui lo usassero quale catalizzatore ed espansore delle energie sobillatrici contenute in seno a ogni comunità. Il nuovo presente ha la forma di una rete, e la parola magica è - appunto - "Internet".

Non possiamo che rallegrarci del proliferare di siti sul WEB. Ciò che una volta erano le radio pirate, lo sono oggi le home pages alternative, a sfondo politico o... malandrine per puro gioco. E i nuovi pirati si chiamano "hacker".

Per chi non lo sappia: anche Jobs e Wozniak, i fondatori della Apple, erano due hacker...

"Eccolo qui il livello primordiale della forma sovversiva: quello del gioco, del piacere, dello scambio al di fuori di un sistema mediatico che si autotutela nel penetrare la mente degli individui lobotomizzandola tramite aghi di parole, musiche, immagini." (Demian)

Dunque, paradossalmente è proprio il computer, che al suo apparire generò tante angosce per una possibile perdita della privacy, a offrirsi quale strumento di riscatto del singolo sul tentativo degli Stati demagogici di relegarlo nella mandria di... proles. Da qualche annetto assistiamo all'instaurarsi di un rapporto sorridente - in qualche modo festoso - tra cittadini di tutto il mondo, un tipo di comunicazione da alveare ad alveare che, per la prima volta nella storia dell'umanità, ridicolizza ogni barriera storica, sociale e razziale.

E' uno sviluppo che nemmeno Orwell aveva previsto. Nel futuro orwelliano, del resto, il semplice apparecchio televisivo è privilegio (e flagello) dei funzionari del Partito; i proles di Orwell non si sognano neppure di poterne possedere uno. E anche il "nostro" PC fino a qualche anno fa non era alla portata di tutti. Non era ancora diventato una moda. Ricordo che io e i miei amici venivamo considerati alla stregua di maniaci, di fissati. Il nostro entusiasmo per questo media elettronico ci fece guadagnare l'etichetta di computer freaks. Allora erano i "Bullettin Boards" (le mailbox private) a offrirsi come stazioni-base per lo scambio di dati e messaggi, e solo pochi accoliti conoscevano il computerese, ossia il gergo tecnico legato all'uso dei calcolatori elettronici. Ma la vera, grande rivoluzione si è avuta con la "scoperta" e l'ampio sfruttamento di Internet, ed è una rivoluzione di cui non si intravede ancora la fine. WWW è un medium di ragione trasversale, il paradigma moderno della pluralità. Si fondano giornali on-line, librerie on-line... Un fenomeno sempre in crescita di creatività at home che è stato designato - impropriamente - "controcultura". Non si tratta di controcultura, ma di riappropazione della cultura (anche della più tradizionale) per il propagamento libero e incondizionato della stessa. E' Cultura con la 'c' maiuscola, come quella dei nostri padri; solo, fatta con mezzi nuovi, diversi.


3

Nella sua Oceania (il blocco di Stati occidentali in cui è compresa la Gran Bretagna), Orwell porta all'estremo la problematica della differenza e separazione delle classi, profetizzando un baratro invalicabile tra funzionari (= tecnocrati) e proles. Praticamente, tra gente inserita nel sistema e gente che ne è invece tagliata fuori. Esaminiamo lo sviluppo in corso nella nostra società: questo stesso fenomeno di "separazione" classista non sta forse avvenendo sotto i nostri occhi, perfino qui, nel civilizzato Occidente? Sempre meno giovani riescono a inserirsi nel mercato del lavoro e gli esclusi, ormai, non si contano più. I disoccupati sono legioni, e chi si ritrova a far parte del "proletario" (una moderna forma di schiavitù)... deve quasi ritenersi fortunato!

Contrariamente che nell'"Oceania" architettata da Orwell, comunque, i proletari attuali vengono sempre più integrati nella sfera della tecnocrazia, vengono risucchiati dai boccaporti che si aprono in alto nelle fucine dell'Ade per vedersi rispuntare ai piani superiori, in tuta bianca, con guanti di gomma sterilizzati, davanti a tastiere multicolori. Producono tecnologia e ne sono i maggiori acquirenti.

Al posto che una volta fu occupato da loro - nei luridi bassifondi, nella melma, tra la sporcizia dei quartieri "tabù" - si ammassano gli emarginati, i rifiutati, gli ultimi arrivati nella corsa ai posti: il Lumpenproletariat di Marx, al quale Orwell non fa nemmeno un accenno.

E perché avrebbe dovuto, in fondo? In '1984', gli stessi funzionari del Partito vivono come proletari, mentre quelli che lo scrittore chiama "proles" corrispondono ai sottoproletari tipo Beggar's Opera o - per gli amanti dei classici - ai Cenci di dugentesca memoria.

Scritto come una metafora della tirannia sociale, '1984' sembrerebbe più un'esasperazione delle condizioni di povertà nell'Inghilterra del dopoguerra che una vera e propria visione fantascientifica. Il razionamento di viveri e di sigarette, le fogne e i tubi di scarico intasati, le lamette da barba introvabili... tutto ciò ha un sapore da perenne coprifuoco e da estrema ristrettezza materiale. In effetti, l'intenzione primaria di Orwell era di intitolare la sua opera '1948', non '1984' !

Insieme a Winston, "l'ultimo uomo in Europa" (questo era un altro titolo che Orwell aveva scelto per il suo romanzo), il lettore vive un incubo che gli è stranamente familiare; percorre lunghi corridoi spogli e si inerpica su scalinate fatiscenti e piene del puzzo di cavoli: come in una commedia di eventi reali.

Una delle "trovate" più suggestive di '1984' è la trasmissione dei Due Minuti dell'Odio - ovvero la manifestazione di pubblica idiosincrasia contro il "nemico". E chi è il nemico? Il nemico dello Stato, e dunque dei bravi e disciplinati cittadini, è un certo Goldstein (notare il nome ebreo!), un tizio che, agendo clandestinamente da un rifugio sotterraneo, cerca di diffondere la sua dottrina rivoluzionaria.

La dottrina esiste per davvero, alcune copie di questo credo antigovernativo sono state rintacciate in giro, ma l'esistenza del famigerato Goldstein è più che dubbia. Comunque sia, all'immagine di questo "nemico dello Stato" (mostrata su uno schermo gigantesco), tutti i funzionari del Partito possono, anzi devono urlare insulti: per liberare la propria aggressività e nel contempo dimostrare fedeltà all'altrettanto fantomatico Grande Fratello.

Goldstein viene presentato al pubblico come un ex compagno di Big Brother, un fedelissimo che, vistosi ripudiato, è subito passato dalla parte dei "traditori". Nell'epoca odierna, un suo alter ego lo si può facilmente individuare nel capostipite degli hacker, ovvero in Lee Felseinstein, veterano della pirateria cibernetica. (Goldstein, Felseinstein... una similitudine invero sorprendente.)

Il fatto che nel mondo di '1984' né Goldstein e né probabilmente Big Brother siano figure realmente esistenti (virtual reality o... real virtuality?), cambia ben poco alla logica delle cose. L'importante è ubbidire al Grande Fratello - amandolo - e urlare insulti contro il "nemico", il "traditore" che si cela tra le nostre file.

E chi sono i "traditori", i sovversivi della realtà odierna? Sono gli hacker, i pirati della cibernetica. Fin dagli anni Ottanta, gli hacker - anche i più giovani - sono perseguitati ai termini di legge e regolarmente puniti (una punizione non solo fiscale), dopo che per decenni le grandi ditte di sistemi elettronici hanno assorbito altri freaks come loro - i loro fratelli maggiori, per così dire. Poiché adesso Silicon Valley sembra poter finalmente rinunciare al sapere e all'abilità di questi ragazzi, vengono trattati alla stregua di comuni delinquenti. Ovviamente, le punizioni vorrebbero essere d'esempio a tutti gli altri users, agli usufruitori "comuni" della rete telematica. Il messaggio è: limitati a usare il tuo giocattolino in modo onesto, senza fare il cattivello e pagando puntualmente la bolletta del telefono, e sarai (forse) lasciato in pace.

Gli hacker si meritano tutta la nostra stima e simpatia, se non altro per le conoscenze che hanno nel campo della programmazione e della trasmissione di dati. Ma i quotidiani e la televisione tendono a demonizzarli, discreditandone tanto la persona quanto le imprese da loro compiute; e si rifiutano di riconoscerli per quel che sono: gli unici veri eroi di questi anni da Nuova Frontiera.

Evidentemente, il sistema ha bisogno di figure emblematiche contro cui scatenare le ire delle masse. Tramite queste "ombre indesiderate", innalzate come fantocci sui pali di tortura e sui patiboli della pubblica opinione, l'ordine costituito può stabilire chi è dalla sua parte e chi, invece, si è schierato "contro". Lee Felseinstein, il re dell'hackeraggio, è stato demonizzato a tal punto da divenire un'autentica leggenda vivente. Da fantoccio, da antimito, è diventato un eroe: uno dei tanti effetti-boomerang di una forma di potere altamente contraddittoria.

In questo senso, il Big Brother del romanzo di Orwell è molto ma molto più coerente delle forze che oggi ci governano...

4

Come abbiamo già visto, in '1984' il lettore coglie facilmente, più che i segni di una realtà proiettata nel futuro, quelli della realtà dello stesso dopoguerra, realtà nota soprattutto ai londinesi che lessero il libro poco dopo la sua pubblicazione, e dunque attorno al 1950. Con i suoi richiami e le sue allusioni, Orwell fa ridere, sorridere... e tremare. Grazie alla sua atmosfera oscura, paranoica, e al continuo senso di oppressione, '1984' è assurto agli oneri di una fama proverbiale. Il titolo stesso è divenuto sinonimo di ingiusta repressione. Si racconta di alcuni studenti americani che, al divieto di fumare marijuana in classe, hanno reagito esclamando: "Hey, man, it's just like 1984!"

Il sistema dominante nel "futuro" di Orwell è l'Ingsoc: il Socialismo Inglese, che rappresenta la dottrina predominante nel blocco di superpotenze denominato Oceania. Gli altri due blocchi sono l'Eurasia e l'Estasia. Tutt'e tre le potenze sono perennemente in lotta tra di loro, e a tratti due di esse si alleano contro la terza, poi l'alleanza cambia... E' un conflitto senza soluzione di continuità, il cui scopo finale non è il predominio mondiale di questa o di quell'altra potenza, ma di tenere a scacco, sempre under pressure, la popolazione.

In Orwell la guerra non è una Guerra Fredda come quella cominciata nel 1945 e perdurata fino al crollo del comunismo, ma un conflitto condotto con armi convenzionali: "iniziato nel 1959", il conflitto armato è "ancora in corso". Nel romanzo la guerra non ha niente a che fare con la volontà o la necessità di espansione territoriale: è un'etica di Stato, l'aspetto più rilevante della filosofia politica dei tre partiti che governano i rispettivi blocchi. Le operazioni belliche si svolgono per così dire "in campo neutro": su un vastissimo quadrato con ai vertici Tangeri, Brazzaville, Darwin e Hongkonk. Alcune battaglie sporadiche avvengono anche nell'Artico, per via delle ricchezze minerarie di quel territorio. Ed è soltanto questa guerra fisicamente lontana, con la conseguente minaccia di un'improvvisa aggressione da parte del nemico - chiunque esso sia -, che può assicurare la continuità del processo di produzione, tenendo in movimento le ruote del sistema e, nello stesso tempo, mantenendo bassissimo lo standard della vita.

Per ogni Stato assolutista, il cittadino che ha a disposizione molto tempo libero e molto denaro (ed è dunque in grado di comprare molte merci) è un cattivo cittadino, poco o nulla propenso all'ubbidienza. Ma proprio il fanatismo e l'incondizionata lealtà verso lo Stato sono i principi fondamentali per la sopravvivenza di ogni regime totalitario.

Gli Stati nemici sono descritti vagamente. Il governo dell'Oceania dà di loro un'immagine dai contorni sfumati; sono, dunque, Stati-fantasma. Del resto, niente è certo, nel futuro di '1984'. Ogni notizia diffusa tramite i televisori o tramite il giornale in cui Winston Smith è impiegato - The Times ! -, può essere dementita appena il giorno dopo. Il Partito unico si riserva inoltre il controllo totale sulla memoria storica della cittadinanza; la Storia - anche quella recentissima - viene riscritta ogni giorno daccapo. Ergo: non c'è più storia.

I proles, che costituiscono l' 85% della popolazione dell'Oceania, non godono di un'alta istruzione e sono tagliati fuori da ogni decisione politica. Il restante 15% è costituito dai membri del Partito, una classe "privilegiata" di burocrati che è a sua volta suddivisa in Partito Interno e Partito Esterno. Il Partito Interno è l'aristocrazia dello Stato, che ha il compito di mettere in atto la metafisica propria dell'Ingsoc. Del Partito Esterno fanno parte i piccoli funzionari (Winston Smith è uno di loro), che lavorano in quattro principali reparti o "ministeri" - ministero dell'Amore, dell'Abbondanza, della Verità e della Pace. Inutile dire che nella società di '1984' non esistono né amore, né abbondanza, né verità, né tantomeno pace. Il ministero della Pace è in realtà un ministero della Guerra; ma (secondo uno dei motti cari al Partito) 'WAR MEANS PEACE'.

La presa in giro, l'infinocchiamento, è talmente evidente da spaventare e impietrire le masse, anziché risvegliarne gli istinti di rivolta. In questa parodia delle dittature moderne (di ogni forma di dittatura), ci sono parecchi richiami al terrore dello stalinismo. Come Stalin, anche Big Brother si è sbarazzato dei vecchi co-fondatori del Partito, e, sempre come il dittatore sovietico, è "divino" e "immortale". E' il sostituto ideale di Dio. Non solo gli si deve ubbidire, ma è addirittura d'obbligo venerarlo.

Si vive e si lavora esclusivamente per il Partito. Non c'è da stupirsi, perciò, che in una siffatta società la vita di coppia sia ridotta all'osso. Attraverso lo spionaggio vicendevole, nel tentativo di scoprire eventuali comportamenti deviazionali nelle persone con cui vivono, le mogli e i mariti si combattono a vicenda, i bambini si rivoltano contro i genitori, i colleghi spiano i colleghi e i vicini i vicini. Ognuno, insomma, appartiene in potenza alla polizia segreta (thinkpol: la "psicopolizia"). Chi denuncia uno o più "traditori" vede accrescere le probabilità di far carriera in seno al Partito; che è l'unica carriera possibile e immaginabile.

E' uno strano - e ben indovinato - specchio delle condizioni che caratterizzarono la vita nella DDR, ossia lo Stato tedesco "comunista" scomparso con la Caduta del Muro. Nel cosiddetto "paradiso degli operai e dei contadini", la Stasi (Staatssicherheit) aveva decine di milioni di collaboratori: in pratica l'intera cittadinanza.

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