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lunedì, luglio 14, 2014

Il Sionismo, l'antisemitismo e la sinistra Intervista con Moishe Postone

Il Sionismo, l'antisemitismo e la sinistra Intervista con Moishe Postone
di Martin Thomas
(Pubblicato in Solidarietà, No. 166, febbraio 2010)
Moishe Postone è uno storico e un teorico marxista che insegna presso l'Università di Chicago. Oltre al suo abbondante lavoro sull'economia politica marxista ("Temps, travail et domination sociale. Une réinterprétation de la théorie critique de Marx"), ha giocato un ruolo chiave nello sviluppo delle teorie sull'esistenza di una "sinistra antisemita", dove s'interroga sul modo in cui le posizioni assunte da alcune fazioni della sinistra, soprattutto per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, possono alimentare (o fondarsi su) un'ostilità contro gli ebrei.
D: Oggigiorno, agli occhi di molte persone della sinistra, l'antisemitismo appare semplicemente come un'ulteriore forma di razzismo, certamente inaccettabile ma attualmente piuttosto marginale e che non è riportato apertamente nel dibattito pubblico, in quanto il governo israeliano ha utilizzato l'accusa di antisemitismo per sviare le critiche contro di esso. Al contrario, lei sostiene che l'antisemitismo si differenzia chiaramente dalle altre forme di razzismo e non è affatto marginale oggi. Perché?
R: E' esatto che il governo israeliano si serve dell'accusa di antisemitismo come di uno scudo per proteggersi dalle critiche. Ma questo non vuol dire che l'antisemitismo non sia un problema serio.
Ciò che distingue l'antisemitismo del razzismo (dal quale va distinto) ha a che fare con il tipo di potere immaginario che viene attribuito agli ebrei, al sionismo e ad Israele, e costituisce il nocciolo dell'antisemitismo. Gli ebrei sono visti come formanti un'entità astratta, universale, sfuggente ed immensamente potente che domina il mondo. Non si trova alcun equivalente alla base di qualsiasi altra forma di razzismo. Il razzismo, per quanto ne so, raramente genera un sistema che dovrebbe spiegare il mondo. L'antisemitismo è una forma primitiva di critica del mondo così com'è, vale a dire della modernità capitalistica. Se vi scorgo un grande pericolo per la sinistra, è proprio perché l'antisemitismo possiede una dimensione pseudo-emancipatrice, che raramente hanno le altre forme di razzismo.
D: In che misura pensi che l'antisemitismo contemporaneo sia legato all'atteggiamento di Israele? Si ha l'impressione che le posizioni di una certa sinistra, per quanto concerne lo Stato ebraico, abbiano dei sottintesi anti-semiti. Per esempio, tutto quello che consiste non solo nel fare delle critiche e reclamare dei cambiamenti nella politica fatta dal governo israeliano contro i palestinesi, ma nel volere l'abolizione di Israele in quanto tale, vale a dire un mondo dove tutte le nazioni avrebbero il diritto di esistere, tranne Israele. Da questa prospettiva, essere ebrei, sentire di condividere qualcosa di simile ad un'identità comune con gli altri ebrei e, di conseguenza, forse anche con gli ebrei israeliani, equivale ad essere "sionista" ed è considerato abominevole quanto essere razzista.
R: Ci sono molte sfumature, e molte distinzioni da fare, in quello che hai appena detto. Nell'antisemitismo contemporaneo, si vede all'opera una sorta di convergenza estremamente dannosa di tutti i tipi di correnti storiche. In primo luogo, le origini dell'antisionismo (che non è necessariamente antisemita) affondano le loro radici negli scontri tra i membri dell'intellighenzia ebraica nell'Europa orientale, all'inizio del ventesimo secolo. La maggior parte degli intellettuali ebrei (ivi compresi intellettuali laici) sentiva una certa identità comune, e la viveva come parte integrante della propria ebraicità. Questa identità si definì sempre più come nazionale a causa del fallimento delle forme più antiche di comunità, vale a dire, nella misura in cui i vecchi imperi degli
Asburgo, dei Romanov, di Prussia, ecc. collassavano. Gli ebrei dell'Europa orientale, a differenza di quelli dell'Europa occidentale, si pensavano principalmente come una comunità, non semplicemente come una religione. Questo sentimento nazionale ebraico prende in prestito varie forme. Il sionismo è una di queste forme. Ci sono stati altri, in particolare rappresentati dai fautori di una cultura ebraica autonoma, oppure dal Bund, il movimento operaio indipendente formato dai socialisti ebrei, che aveva un maggior numero di membri rispetto a qualsiasi altro movimento e che proveniva da una scissione del partito socialdemocratico russo avvenuta nei primi anni anni del XX secolo.
Da un'altra lato, c'erano degli ebrei, fra cui un gran numero che arriva ai diversi partiti comunisti, per i quali ogni espressione identitaria ebraica era un insulto a quello che chiamerei la loro visione astratta di umanità, ispirata all'illuminismo. Trotsky, per esempio, in gioventù, ha descritto i membri del Bund  come dei "sionisti vittime del mal di mare". Si noti che la critica del sionismo non poteva allora riferirsi alla Palestina o alla situazione dei palestinesi, ed il Bund era solo interessato alla questione dell'autonomia dall'impero russo e, alla fine, ha rifiutato il sionismo. Pertanto, l'equazione posta da Trotsky tra il Bund e il sionismo si basava su un rifiuto di qualsiasi forma di comunitarismo ebraico. Trotsky, credo, in seguito ha cambiato il suo punto di vista, ma questo atteggiamento, nondimeno, è affatto caratteristico del tempo. Le organizzazioni comuniste tendevano ad opporsi con fermezza ad ogni nazionalismo ebraico sotto qualsiasi forma: culturale, politica o sionista. Questa è una delle forme di antisionismo. E non è necessariamente antisemita, ma rifiuta, in nome di un universalismo astratto, ogni idea di comunità ebraica. Questa forma di antisionismo, tuttavia, è spesso incoerente: sostiene che tutti i popoli devono godere dell'autodeterminazione nazionale, tranne gli ebrei. E' a questo punto che quello che risulta come astrattamente universalistico diventa ideologico. Inoltre, il significato stesso di questo universalismo astratto, può variare a seconda del contesto storico. Dopo l'Olocausto e la fondazione dello Stato ebraico, questo universalismo astratto è stato utilizzato per far cadere nel dimenticatoio la storia degli ebrei in Europa, attuando una duplice funzione molto opportuna di "purificazione" storica: la violenza perpetrata nel corso della storia, da parte degli europei, nei confronti degli ebrei viene cancellata e, allo stesso tempo, si comincia ora a mettere sulle spalle degli ebrei tutti gli orrori del colonialismo europeo. In questo caso, l'universalismo astratto, che rivendicano numerosi antisionisti, diventa ora un'ideologia di legittimazione che permette di porre in essere una sorta di amnesia sulla lunga storia degli atti, delle politiche europea e della propaganda europea contro gli ebrei - e di continuare a livello globale nella stessa direzione. Gli ebrei sono ancora una volta l'unico oggetto di indignazione per l'Europa. La solidarietà che molti ebrei provano riguardo ad altri ebrei, quando siano essi israeliani (solidarietà resa comprendibile dall'Olocausto), viene ora screditata. Questa forma di antisionismo costituisce oggi la base di un programma volto ad eradicare concretamente l'attuale autonomia statale ebraica. In tale antisionismo si ritrovano alcune forme di nazionalismo arabo, che si vedono oggi considerate molto progressiste.
Un'altra varietà di antisionismo di sinistra, questa volta profondamente antisemita, venne introdotto da parte dell'Unione Sovietica, in particolare attraverso i processi farsa in Europa orientale, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ciò è particolarmente evidente nel caso del processo Slánský, allorquando la maggior parte dei membri del Comitato Centrale del Partito Comunista della Cecoslovacchia vennero processati e condannati a morte. Tutte le accuse mosse contro di loro sono tipiche dell'antisemitismo: erano senza legami, erano cosmopoliti, ed avevano preso parte ad una vasta cospirazione mondiale. Nella misura in cui i sovietici non potevano permettersi l'utilizzo del solito vocabolario antisemita, avevano cominciato a dare alla parola  "sionismo" esattamente lo stesso senso che gli davano gli antisemiti. I dirigenti del partito comunista
cecoslovacco, che non aveva alcuna connessione con il sionismo (la maggior parte erano veterani della Guerra Civile Spagnola), vennero giustiziati in quanto sionisti. Questa varietà antisemita di antisionismo è arrivata in Medio Oriente durante la Guerra Fredda, per mezzo dei servizi segreti di paesi come la DDR. E' stato quindi introdotto, così, in Medio Oriente una forma di antisemitismo considerato "legittimo" da parte della sinistra, e rivestito del nome di antisionismo. Le sue origini non hanno niente a che fare con l'installazione israeliana. Naturalmente, la popolazione araba della Palestina ha reagito negativamente all'immigrazione ebraica e si è opposta. Questo è del tutto comprensibile e, in sé, non ha nulla di antisemita. Ma, improvvisamente, le due varietà di antisionismo si sono storicamente riunite.
Per quanto riguarda la terza forma di antisionismo di sinistra, si è verificato un ribaltamento, nell'ultimo decennio, in particolare all'interno del movimento palestinese, per quel che concerne l'esistenza di Israele. Per anni, la maggior parte delle organizzazioni palestinesi hanno rifiutato di accettare questa esistenza. Improvvisamente, nel 1988, l'Olp ha deciso di riconsiderare questo rifiuto. La seconda intifada, che ha avuto inizio nel 2000, politicamente molto diversa dalla prima, segna un rovesciamento della decisione dell'Olp. Questo è stato, a mio parere, un grave errore politico, e trovo sorprendente e deplorevole che la sinistra si sia fatta coinvolgere al punto di reclamare, anch'essa, sempre più, l'abolizione di Israele. Qualunque cosa si può dire, ora ci sono in Medio Oriente, quasi tanti ebrei quanto palestinesi. Tutte le strategie politiche fondate su delle somiglianze con la situazione in Algeria, o in Sud Africa, sono chiaramente votate al fallimento, e questo per ragioni sia storico-politiche che demografiche.
Come è possibile che la gente non capisca la situazione come è oggi e non si sforzi, invece, di vedere se è possibile risolvere ciò che è essenzialmente un conflitto nazionale, che può quindi cedere il passo a una politica progressista?
Sussumere questo conflitto sotto la categoria del colonialismo, significa fraintendere la situazione.
Contrariamente a quanti fanno passare in secondo piano la questione del progresso sociale, rispetto alle questioni nazionali, penso che fintanto che ci si concentra sull'esistenza stessa degli stati di Israele e della Palestina, le lotte progressiste continueranno ad essere in stallo. Non si dovrebbe fare confusione: la lotta contro l'esistenza di Israele è una battaglia reazionaria, non una battaglia progressista.
In questi ultimi dieci anni, abbiamo assistito ad una campagna concertata, avviata da alcuni Palestinesi e ripresa in Occidente dalla sinistra, volta a rimettere l'esistenza dello Stato ebraico sul tavolo dei negoziati. Cosa che, tra gli altri risultati, ha portato al rafforzamento della destra israeliana. Tra il 1967 e il 2000, la sinistra israeliana ha continuato a sostenere che ciò che i palestinesi volevano era l'auto-determinazione, e che l'idea secondo la quale volessero in realtà sradicare Israele era una fantasia inventata dalla destra. Sfortunatamente,
nel 2000, è emerso che questa fantasia non era affatto una fantasia, e questo ha notevolmente rafforzato il sostegno popolare alla destra, nei suoi sforzi per impedire la creazione di uno Stato Palestinese. La destra israeliana e la destra palestinese si rafforzano a vicenda, fintanto che, d'altra parte, la sinistra occidentale sostiene quella che ai miei occhi costituisce la destra palestinese: gli ultra-nazionalisti e gli islamisti.
Questa idea che ogni nazione avrebbe diritto all'autodeterminazione, ad eccezione degli ebrei, è un retaggio dell'ex Unione Sovietica. Per convincersene, basta leggere Stalin sulla questione delle nazionalità.
D: Un altro aspetto curioso dell'attuale atteggiamento di una certa sinistra rispetto allo Stato ebraico: si proietta su di esso una misteriosa e formidabile potenza. Per esempio, molte persone affermano, come un'evidenza, che Israele è il potere dominante nel Medio Oriente, o ancora che ha un enorme potere di influenzare le élite dirigenziali americane e britanniche.
R: Israele è lontana dall'essere così potente come si dice. Eppure ci sono persone come i miei attuali ed ex colleghi dell'Università di Chicago, John Mearsheimer e Stephen Walt, con il forte sostegno di alcuni ambienti del Regno Unito, che pretendono che l'unico pilota delle strategie per le politiche americane in Medio Oriente sia Israele, attraverso la lobby ebraica. Tale accusa gratuita, viene lanciata, sicuramente, senza nemmeno prendersi la briga di analizzare seriamente la politica americana in Medio Oriente dal 1945, che non si riesce a capire in che modo possa essere controllata da Israele. Così, per esempio, ignorano completamente la politica americana verso l'Iran a partire dal 1975. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i veri pilastri della strategia degli Stati Uniti in Medio Oriente sono l'Arabia Saudita e l'Iran. Questo è cambiato nel corso dei decenni, ed ora, gli americani, non sanno più cosa fare lì e come mettere in sicurezza il Golfo, a loro vantaggio. Nonostante questo, abbiamo un libro scritto da due eminenti studiosi che, senza aver dietro alcuna analisi seria della politica della superpotenza in Medio Oriente, nel corso del XX secolo, si permettono di affermare che la strategia degli Stati Uniti è stata dettata principalmente dalla lobby ebraica.
Ho dimostrato altrove che questo tipo di ragionamento è rivelatore di antisemitismo. Non ha niente a che fare con l'atteggiamento o con le convinzioni personali degli individui in causa; semplicemente, questa sorta di immenso potere di proporzioni planetarie che viene attribuito agli ebrei (all'occorrenza, quello di manipolare lo zio Sam, questo gigante buono dalla mente un po' lenta) è tipico del pensiero antisemita moderno.
Più in generale, questo punto di vista ideologico è quello che io chiamo una forma feticizzata di anticapitalismo. Vale a dire che il misterioso potere del capitale (intangibile, globale, che sballotta i paesi, le regioni e le vite delle persone) viene attribuito agli ebrei. La dominazione astratta del capitalismo si incarna negli ebrei. L'antisemita, nella sua rivolta contro il capitale globalizzato, confonde questo con gli ebrei. Questo approccio potrebbe anche aiutarci a comprendere le ragioni della diffusione dell'antisemitismo in Medio Oriente, da venti anni a questa parte. Non credo che la sofferenza dei palestinesi possa, da sola, costituire una spiegazione soddisfacente. Economicamente parlando, il Medio Oriente ha subito un declino vertiginoso, a partire dagli anni 70. Solo l'Africa sub-sahariana è andata meno bene. E questo declino si è verificato in un momento in cui altri paesi o regioni, che venivano considerati come facenti parte del terzo mondo fino a cinquanta anni fa, sono adesso in rapido sviluppo. Penso che l'antisemitismo in Medio Oriente, oggi, si riferisca non solo al conflitto Israele-Palestina, ma anche ad un forte sentimento generalizzato di impotenza, associato con questi sviluppi planetari.
Un secolo fa, la destra tedesca ha considerato il dominio mondiale del capitale come prodotto degli ebrei e della Gran Bretagna, ed ora la sinistra lo vede come il predominio di Israele e degli Stati Uniti. Lo schema di pensiero è il medesimo. L'Antisemitismo con cui abbiamo a che fare oggi si presenta sotto le forme del progressismo e dell' "anticapitalismo"; ecco il pericolo reale per la sinistra. Il razzismo in quanto tale raramente rappresenta un pericolo per la sinistra. Essa deve certamente fare attenzione a non essere razzista, ma questo è ben lungi dall'essere una tentazione permanente, anche perché il razzismo non ha la dimensione falsamente emancipatrice che assume l'antisemitismo.
D: L'identificazione del potere mondiale capitalista con gli ebrei e con la Gran Bretagna risale, ancor prima dei nazisti, a certe frazioni della sinistra britannica al tempo della guerra dei Boeri (che venne chiamata "guerra ebraica") e al movimento populista americano della fine del XIX secolo.
R: Sì, e sta ritornando negli Stati Uniti, oggi. Le reazioni del Tea Party o dei movimenti conservatori locali sulla crisi finanziaria hanno accenti chiaramente antisemiti.
D: Tu affermi che l'Unione Sovietica ed i regimi dello stesso tipo non erano forme di emancipazione dal capitalismo, ma piuttosto delle forme capitaliste basate sul ruolo centrale dello Stato. Ne consegue che il metodo classico della sinistra che consisteva nel prendere, contro gli Stati Uniti, le parti dell'URSS - a volte con veemenza - è stato suicida. Tu hai disegnato un parallelo tra due tipi di anti-imperialismo: quello che ha avuto luogo durante la guerra fredda e quello che conosciamo oggi, che si schiera dalla parte dell'islam politico perché vi ha visto un contro-potere riguardo agli Stati Uniti. Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche comuni a queste due polarizzazioni politiche? E quali sono le differenze?
R: Le differenze risiedono nel fatto che la vecchia forma di anti-americanismo era collegata al sostegno alle rivoluzioni comuniste in Vietnam, a Cuba, ecc. Qualunque che fosse l'opinione che si poteva avere all'epoca, o adesso col senno di poi, l'anti-americanismo di allora era pensato come finalizzato ad un progetto di emancipazione. Se gli Stati Uniti erano oggetto di critiche pesanti, non era solo perché fossero gli Stati Uniti, una grande potenza, ecc.; era anche perché ostacolavano l'emergere di un ordine sociale più progressista. Era in tal modo che molte persone solidali col Vietnam o con Cuba assumevano la propria posizione.
Oggi, dubito fortemente che le persone che gridano "Solidarietà con Hezbollah" oppure "Noi siamo tutti di Hamas" potrebbero arrivare ad affermare che questi movimenti siano portatori di un ordine sociale emancipatore. Nella migliore delle ipotesi, vi è una reificazione orientalizzante degli arabi e / o dei musulmani visti come l'Altro, reificazione attraverso la quale l'Altro, questa volta, è stimato positivamente. Anche questo è un segno dell'impotenza storica della sinistra: si rivela incapace di produrre una visione di ciò a cui un futuro post-capitalista potrebbe assomigliare. Non avendo alcuna visione del postcapitalismo, molti si accontentano del concetto reificato di "resistenza",  come se fosse un progetto di trasformazione. Chiunque "resiste", chiunque si alza in piedi contro gli Stati Uniti riceve la benedizione della sinistra. Questo mi sembra un modo di vedere le cose, quanto meno discutibile.
Anche durante il periodo precedente, quando prevale la solidarietà con il Vietnam, Cuba, ecc., credo che la divisione del pianeta in due campi abbia avuto degli effetti del tutto negativi sulla sinistra. Troppo spesso si è trovata ad offrire un'immagine riflessa inversa al nazionalismo occidentale. Un gran numero di persone di sinistra si comportava come i nazionalisti dell'altro lato. La maggior parte (anche se c'erano delle eccezioni di tutto rispetto) faceva chiaramente apologia di tutto quello che succedeva nei paesi comunisti. Il loro sguardo critico aveva perso qualsiasi acutezza. Invece di creare una forma di internazionalismo che fosse in grado di analizzare criticamente tutti i rapporti interstatali, la sinistra ha cominciato a sostenere, puramente e semplicemente, uno dei due campi. Ciò ha avuto effetti disastrosi sulla sua capacità di portare ad avere uno sguardo critico, e non solo nei confronti dei regimi comunisti. Che Michel Foucault sia andato in Iran ed abbia visto nella
rivoluzione dei mullah una dimensione progressista, confina con l'assurdo.
Una delle circostanze che ha reso la visione bipolare così attraente, è stato il fatto che i comunisti occidentali erano di solito persone molto progressiste (e spesso molto coraggiose), che si sforzavano veramente, con le loro idee, di creare una società più umana e, perché no, socialista. Sono state, sicuramente, completamente strumentali, ma di questo, a causa delle doppia faccia del comunismo, le persone hanno avuto difficoltà a rendersene conto. E dalle fila dei socialdemocratici che si opposero a questi comunisti lì, in quanto avevano capito il modo in cui erano stati manipolati, sono divenuti gli ideologi liberali della guerra fredda.
Non credo che la sinistra abbia fatto bene allora a porsi contemporaneamente su entrambi i lati di questo divario.
Ma sembra che oggi si trovi ora in una situazione peggiore.

FONTE  http://francosenia.blogspot.it/

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