Il Sionismo, l'antisemitismo e la sinistra Intervista con Moishe Postone
di Martin Thomas
(Pubblicato in Solidarietà, No. 166, febbraio 2010)
Moishe
Postone è uno storico e un teorico marxista che insegna presso
l'Università di Chicago. Oltre al suo abbondante lavoro sull'economia
politica marxista ("Temps, travail et domination sociale. Une
réinterprétation de la théorie critique de Marx"), ha giocato un ruolo
chiave nello sviluppo delle teorie sull'esistenza di una "sinistra
antisemita", dove s'interroga sul modo in cui le posizioni assunte da
alcune fazioni della sinistra, soprattutto per quanto riguarda il
conflitto israelo-palestinese, possono alimentare (o fondarsi su)
un'ostilità contro gli ebrei.
D: Oggigiorno,
agli occhi di molte persone della sinistra, l'antisemitismo appare
semplicemente come un'ulteriore forma di razzismo, certamente
inaccettabile ma attualmente piuttosto marginale e che non è riportato
apertamente nel dibattito pubblico, in quanto il governo israeliano ha
utilizzato l'accusa di antisemitismo per sviare le critiche contro di
esso. Al contrario, lei sostiene che l'antisemitismo si differenzia
chiaramente dalle altre forme di razzismo e non è affatto marginale
oggi. Perché?
R: E' esatto che il governo israeliano si
serve dell'accusa di antisemitismo come di uno scudo per proteggersi
dalle critiche. Ma questo non vuol dire che l'antisemitismo non sia un
problema serio.
Ciò che distingue l'antisemitismo del razzismo
(dal quale va distinto) ha a che fare con il tipo di potere immaginario
che viene attribuito agli ebrei, al sionismo e ad Israele, e costituisce
il nocciolo dell'antisemitismo. Gli ebrei sono visti come formanti
un'entità astratta, universale, sfuggente ed immensamente potente che
domina il mondo. Non si trova alcun equivalente alla base di qualsiasi
altra forma di razzismo. Il razzismo, per quanto ne so, raramente genera
un sistema che dovrebbe spiegare il mondo. L'antisemitismo è una forma
primitiva di critica del mondo così com'è, vale a dire della modernità
capitalistica. Se vi scorgo un grande pericolo per la sinistra, è
proprio perché l'antisemitismo possiede una dimensione
pseudo-emancipatrice, che raramente hanno le altre forme di razzismo.
D:
In che misura pensi che l'antisemitismo contemporaneo sia legato
all'atteggiamento di Israele? Si ha l'impressione che le posizioni di
una certa sinistra, per quanto concerne lo Stato ebraico, abbiano dei
sottintesi anti-semiti. Per esempio, tutto quello che consiste non solo
nel fare delle critiche e reclamare dei cambiamenti nella politica fatta
dal governo israeliano contro i palestinesi, ma nel volere l'abolizione
di Israele in quanto tale, vale a dire un mondo dove tutte le nazioni
avrebbero il diritto di esistere, tranne Israele. Da questa prospettiva,
essere ebrei, sentire di condividere qualcosa di simile ad un'identità
comune con gli altri ebrei e, di conseguenza, forse anche con gli ebrei
israeliani, equivale ad essere "sionista" ed è considerato abominevole
quanto essere razzista.
R: Ci sono molte sfumature, e molte
distinzioni da fare, in quello che hai appena detto. Nell'antisemitismo
contemporaneo, si vede all'opera una sorta di convergenza estremamente
dannosa di tutti i tipi di correnti storiche. In primo luogo, le origini
dell'antisionismo (che non è necessariamente antisemita) affondano le
loro radici negli scontri tra i membri dell'intellighenzia ebraica
nell'Europa orientale, all'inizio del ventesimo secolo. La maggior parte
degli intellettuali ebrei (ivi compresi intellettuali laici) sentiva
una certa identità comune, e la viveva come parte integrante della
propria ebraicità. Questa identità si definì sempre più come nazionale a
causa del fallimento delle forme più antiche di comunità, vale a dire,
nella misura in cui i vecchi imperi degli
Asburgo, dei Romanov, di
Prussia, ecc. collassavano. Gli ebrei dell'Europa orientale, a
differenza di quelli dell'Europa occidentale, si pensavano
principalmente come una comunità, non semplicemente come una religione.
Questo sentimento nazionale ebraico prende in prestito varie forme. Il
sionismo è una di queste forme. Ci sono stati altri, in particolare
rappresentati dai fautori di una cultura ebraica autonoma, oppure dal
Bund, il movimento operaio indipendente formato dai socialisti ebrei,
che aveva un maggior numero di membri rispetto a qualsiasi altro
movimento e che proveniva da una scissione del partito socialdemocratico
russo avvenuta nei primi anni anni del XX secolo.
Da un'altra
lato, c'erano degli ebrei, fra cui un gran numero che arriva ai diversi
partiti comunisti, per i quali ogni espressione identitaria ebraica era
un insulto a quello che chiamerei la loro visione astratta di umanità,
ispirata all'illuminismo. Trotsky, per esempio, in gioventù, ha
descritto i membri del Bund come dei "sionisti vittime del mal di
mare". Si noti che la critica del sionismo non poteva allora riferirsi
alla Palestina o alla situazione dei palestinesi, ed il Bund era solo
interessato alla questione dell'autonomia dall'impero russo e, alla
fine, ha rifiutato il sionismo. Pertanto, l'equazione posta da Trotsky
tra il Bund e il sionismo si basava su un rifiuto di qualsiasi forma di
comunitarismo ebraico. Trotsky, credo, in seguito ha cambiato il suo
punto di vista, ma questo atteggiamento, nondimeno, è affatto
caratteristico del tempo. Le organizzazioni comuniste tendevano ad
opporsi con fermezza ad ogni nazionalismo ebraico sotto qualsiasi forma:
culturale, politica o sionista. Questa è una delle forme di
antisionismo. E non è necessariamente antisemita, ma rifiuta, in nome di
un universalismo astratto, ogni idea di comunità ebraica. Questa forma
di antisionismo, tuttavia, è spesso incoerente: sostiene che tutti i
popoli devono godere dell'autodeterminazione nazionale, tranne gli
ebrei. E' a questo punto che quello che risulta come astrattamente
universalistico diventa ideologico. Inoltre, il significato stesso di
questo universalismo astratto, può variare a seconda del contesto
storico. Dopo l'Olocausto e la fondazione dello Stato ebraico, questo
universalismo astratto è stato utilizzato per far cadere nel
dimenticatoio la storia degli ebrei in Europa, attuando una duplice
funzione molto opportuna di "purificazione" storica: la violenza
perpetrata nel corso della storia, da parte degli europei, nei confronti
degli ebrei viene cancellata e, allo stesso tempo, si comincia ora a
mettere sulle spalle degli ebrei tutti gli orrori del colonialismo
europeo. In questo caso, l'universalismo astratto, che rivendicano
numerosi antisionisti, diventa ora un'ideologia di legittimazione che
permette di porre in essere una sorta di amnesia sulla lunga storia
degli atti, delle politiche europea e della propaganda europea contro
gli ebrei - e di continuare a livello globale nella stessa direzione.
Gli ebrei sono ancora una volta l'unico oggetto di indignazione per
l'Europa. La solidarietà che molti ebrei provano riguardo ad altri
ebrei, quando siano essi israeliani (solidarietà resa comprendibile
dall'Olocausto), viene ora screditata. Questa forma di antisionismo
costituisce oggi la base di un programma volto ad eradicare
concretamente l'attuale autonomia statale ebraica. In tale antisionismo
si ritrovano alcune forme di nazionalismo arabo, che si vedono oggi
considerate molto progressiste.
Un'altra varietà di antisionismo
di sinistra, questa volta profondamente antisemita, venne introdotto da
parte dell'Unione Sovietica, in particolare attraverso i processi farsa
in Europa orientale, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ciò è
particolarmente evidente nel caso del processo Slánský, allorquando la
maggior parte dei membri del Comitato Centrale del Partito Comunista
della Cecoslovacchia vennero processati e condannati a morte. Tutte le
accuse mosse contro di loro sono tipiche dell'antisemitismo: erano senza
legami, erano cosmopoliti, ed avevano preso parte ad una vasta
cospirazione mondiale. Nella misura in cui i sovietici non potevano
permettersi l'utilizzo del solito vocabolario antisemita, avevano
cominciato a dare alla parola "sionismo" esattamente lo stesso senso
che gli davano gli antisemiti. I dirigenti del partito comunista
cecoslovacco,
che non aveva alcuna connessione con il sionismo (la maggior parte
erano veterani della Guerra Civile Spagnola), vennero giustiziati in
quanto sionisti. Questa varietà antisemita di antisionismo è arrivata in
Medio Oriente durante la Guerra Fredda, per mezzo dei servizi segreti
di paesi come la DDR. E' stato quindi introdotto, così, in Medio Oriente
una forma di antisemitismo considerato "legittimo" da parte della
sinistra, e rivestito del nome di antisionismo. Le sue origini non hanno
niente a che fare con l'installazione israeliana. Naturalmente, la
popolazione araba della Palestina ha reagito negativamente
all'immigrazione ebraica e si è opposta. Questo è del tutto
comprensibile e, in sé, non ha nulla di antisemita. Ma, improvvisamente,
le due varietà di antisionismo si sono storicamente riunite.
Per
quanto riguarda la terza forma di antisionismo di sinistra, si è
verificato un ribaltamento, nell'ultimo decennio, in particolare
all'interno del movimento palestinese, per quel che concerne l'esistenza
di Israele. Per anni, la maggior parte delle organizzazioni palestinesi
hanno rifiutato di accettare questa esistenza. Improvvisamente, nel
1988, l'Olp ha deciso di riconsiderare questo rifiuto. La seconda
intifada, che ha avuto inizio nel 2000, politicamente molto diversa
dalla prima, segna un rovesciamento della decisione dell'Olp. Questo è
stato, a mio parere, un grave errore politico, e trovo sorprendente e
deplorevole che la sinistra si sia fatta coinvolgere al punto di
reclamare, anch'essa, sempre più, l'abolizione di Israele. Qualunque
cosa si può dire, ora ci sono in Medio Oriente, quasi tanti ebrei quanto
palestinesi. Tutte le strategie politiche fondate su delle somiglianze
con la situazione in Algeria, o in Sud Africa, sono chiaramente votate
al fallimento, e questo per ragioni sia storico-politiche che
demografiche.
Come è possibile che la gente non capisca la
situazione come è oggi e non si sforzi, invece, di vedere se è possibile
risolvere ciò che è essenzialmente un conflitto nazionale, che può
quindi cedere il passo a una politica progressista?
Sussumere questo conflitto sotto la categoria del colonialismo, significa fraintendere la situazione.
Contrariamente
a quanti fanno passare in secondo piano la questione del progresso
sociale, rispetto alle questioni nazionali, penso che fintanto che ci si
concentra sull'esistenza stessa degli stati di Israele e della
Palestina, le lotte progressiste continueranno ad essere in stallo. Non
si dovrebbe fare confusione: la lotta contro l'esistenza di Israele è
una battaglia reazionaria, non una battaglia progressista.
In
questi ultimi dieci anni, abbiamo assistito ad una campagna concertata,
avviata da alcuni Palestinesi e ripresa in Occidente dalla sinistra,
volta a rimettere l'esistenza dello Stato ebraico sul tavolo dei
negoziati. Cosa che, tra gli altri risultati, ha portato al
rafforzamento della destra israeliana. Tra il 1967 e il 2000, la
sinistra israeliana ha continuato a sostenere che ciò che i palestinesi
volevano era l'auto-determinazione, e che l'idea secondo la quale
volessero in realtà sradicare Israele era una fantasia inventata dalla
destra. Sfortunatamente,
nel 2000, è emerso che questa fantasia
non era affatto una fantasia, e questo ha notevolmente rafforzato il
sostegno popolare alla destra, nei suoi sforzi per impedire la creazione
di uno Stato Palestinese. La destra israeliana e la destra palestinese
si rafforzano a vicenda, fintanto che, d'altra parte, la sinistra
occidentale sostiene quella che ai miei occhi costituisce la destra
palestinese: gli ultra-nazionalisti e gli islamisti.
Questa idea
che ogni nazione avrebbe diritto all'autodeterminazione, ad eccezione
degli ebrei, è un retaggio dell'ex Unione Sovietica. Per convincersene,
basta leggere Stalin sulla questione delle nazionalità.
D:
Un altro aspetto curioso dell'attuale atteggiamento di una certa
sinistra rispetto allo Stato ebraico: si proietta su di esso una
misteriosa e formidabile potenza. Per esempio, molte persone affermano,
come un'evidenza, che Israele è il potere dominante nel Medio Oriente, o
ancora che ha un enorme potere di influenzare le élite dirigenziali
americane e britanniche.
R: Israele è lontana dall'essere
così potente come si dice. Eppure ci sono persone come i miei attuali ed
ex colleghi dell'Università di Chicago, John Mearsheimer e Stephen
Walt, con il forte sostegno di alcuni ambienti del Regno Unito, che
pretendono che l'unico pilota delle strategie per le politiche americane
in Medio Oriente sia Israele, attraverso la lobby ebraica. Tale accusa
gratuita, viene lanciata, sicuramente, senza nemmeno prendersi la briga
di analizzare seriamente la politica americana in Medio Oriente dal
1945, che non si riesce a capire in che modo possa essere controllata da
Israele. Così, per esempio, ignorano completamente la politica
americana verso l'Iran a partire dal 1975. Dopo la Seconda Guerra
Mondiale, i veri pilastri della strategia degli Stati Uniti in Medio
Oriente sono l'Arabia Saudita e l'Iran. Questo è cambiato nel corso dei
decenni, ed ora, gli americani, non sanno più cosa fare lì e come
mettere in sicurezza il Golfo, a loro vantaggio. Nonostante questo,
abbiamo un libro scritto da due eminenti studiosi che, senza aver dietro
alcuna analisi seria della politica della superpotenza in Medio
Oriente, nel corso del XX secolo, si permettono di affermare che la
strategia degli Stati Uniti è stata dettata principalmente dalla lobby
ebraica.
Ho dimostrato altrove che questo tipo di ragionamento è
rivelatore di antisemitismo. Non ha niente a che fare con
l'atteggiamento o con le convinzioni personali degli individui in causa;
semplicemente, questa sorta di immenso potere di proporzioni planetarie
che viene attribuito agli ebrei (all'occorrenza, quello di manipolare
lo zio Sam, questo gigante buono dalla mente un po' lenta) è tipico del
pensiero antisemita moderno.
Più in generale, questo punto di
vista ideologico è quello che io chiamo una forma feticizzata di
anticapitalismo. Vale a dire che il misterioso potere del capitale
(intangibile, globale, che sballotta i paesi, le regioni e le vite delle
persone) viene attribuito agli ebrei. La dominazione astratta del
capitalismo si incarna negli ebrei. L'antisemita, nella sua rivolta
contro il capitale globalizzato, confonde questo con gli ebrei. Questo
approccio potrebbe anche aiutarci a comprendere le ragioni della
diffusione dell'antisemitismo in Medio Oriente, da venti anni a questa
parte. Non credo che la sofferenza dei palestinesi possa, da sola,
costituire una spiegazione soddisfacente. Economicamente parlando, il
Medio Oriente ha subito un declino vertiginoso, a partire dagli anni 70.
Solo l'Africa sub-sahariana è andata meno bene. E questo declino si è
verificato in un momento in cui altri paesi o regioni, che venivano
considerati come facenti parte del terzo mondo fino a cinquanta anni fa,
sono adesso in rapido sviluppo. Penso che l'antisemitismo in Medio
Oriente, oggi, si riferisca non solo al conflitto Israele-Palestina, ma
anche ad un forte sentimento generalizzato di impotenza, associato con
questi sviluppi planetari.
Un secolo fa, la destra tedesca ha
considerato il dominio mondiale del capitale come prodotto degli ebrei e
della Gran Bretagna, ed ora la sinistra lo vede come il predominio di
Israele e degli Stati Uniti. Lo schema di pensiero è il medesimo.
L'Antisemitismo con cui abbiamo a che fare oggi si presenta sotto le
forme del progressismo e dell' "anticapitalismo"; ecco il pericolo reale
per la sinistra. Il razzismo in quanto tale raramente rappresenta un
pericolo per la sinistra. Essa deve certamente fare attenzione a non
essere razzista, ma questo è ben lungi dall'essere una tentazione
permanente, anche perché il razzismo non ha la dimensione falsamente
emancipatrice che assume l'antisemitismo.
D:
L'identificazione del potere mondiale capitalista con gli ebrei e con la
Gran Bretagna risale, ancor prima dei nazisti, a certe frazioni della
sinistra britannica al tempo della guerra dei Boeri (che venne chiamata
"guerra ebraica") e al movimento populista americano della fine del XIX
secolo.
R: Sì, e sta ritornando negli Stati Uniti, oggi. Le
reazioni del Tea Party o dei movimenti conservatori locali sulla crisi
finanziaria hanno accenti chiaramente antisemiti.
D: Tu
affermi che l'Unione Sovietica ed i regimi dello stesso tipo non erano
forme di emancipazione dal capitalismo, ma piuttosto delle forme
capitaliste basate sul ruolo centrale dello Stato. Ne consegue che il
metodo classico della sinistra che consisteva nel prendere, contro gli
Stati Uniti, le parti dell'URSS - a volte con veemenza - è stato
suicida. Tu hai disegnato un parallelo tra due tipi di
anti-imperialismo: quello che ha avuto luogo durante la guerra fredda e
quello che conosciamo oggi, che si schiera dalla parte dell'islam
politico perché vi ha visto un contro-potere riguardo agli Stati Uniti.
Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche comuni a queste due
polarizzazioni politiche? E quali sono le differenze?
R: Le
differenze risiedono nel fatto che la vecchia forma di
anti-americanismo era collegata al sostegno alle rivoluzioni comuniste
in Vietnam, a Cuba, ecc. Qualunque che fosse l'opinione che si poteva
avere all'epoca, o adesso col senno di poi, l'anti-americanismo di
allora era pensato come finalizzato ad un progetto di emancipazione. Se
gli Stati Uniti erano oggetto di critiche pesanti, non era solo perché
fossero gli Stati Uniti, una grande potenza, ecc.; era anche perché
ostacolavano l'emergere di un ordine sociale più progressista. Era in
tal modo che molte persone solidali col Vietnam o con Cuba assumevano la
propria posizione.
Oggi, dubito fortemente che le persone che
gridano "Solidarietà con Hezbollah" oppure "Noi siamo tutti di Hamas"
potrebbero arrivare ad affermare che questi movimenti siano portatori di
un ordine sociale emancipatore. Nella migliore delle ipotesi, vi è una
reificazione orientalizzante degli arabi e / o dei musulmani visti come
l'Altro, reificazione attraverso la quale l'Altro, questa volta, è
stimato positivamente. Anche questo è un segno dell'impotenza storica
della sinistra: si rivela incapace di produrre una visione di ciò a cui
un futuro post-capitalista potrebbe assomigliare. Non avendo alcuna
visione del postcapitalismo, molti si accontentano del concetto
reificato di "resistenza", come se fosse un progetto di trasformazione.
Chiunque "resiste", chiunque si alza in piedi contro gli Stati Uniti
riceve la benedizione della sinistra. Questo mi sembra un modo di vedere
le cose, quanto meno discutibile.
Anche durante il periodo
precedente, quando prevale la solidarietà con il Vietnam, Cuba, ecc.,
credo che la divisione del pianeta in due campi abbia avuto degli
effetti del tutto negativi sulla sinistra. Troppo spesso si è trovata ad
offrire un'immagine riflessa inversa al nazionalismo occidentale. Un
gran numero di persone di sinistra si comportava come i nazionalisti
dell'altro lato. La maggior parte (anche se c'erano delle eccezioni di
tutto rispetto) faceva chiaramente apologia di tutto quello che
succedeva nei paesi comunisti. Il loro sguardo critico aveva perso
qualsiasi acutezza. Invece di creare una forma di internazionalismo che
fosse in grado di analizzare criticamente tutti i rapporti interstatali,
la sinistra ha cominciato a sostenere, puramente e semplicemente, uno
dei due campi. Ciò ha avuto effetti disastrosi sulla sua capacità di
portare ad avere uno sguardo critico, e non solo nei confronti dei
regimi comunisti. Che Michel Foucault sia andato in Iran ed abbia visto
nella
rivoluzione dei mullah una dimensione progressista, confina con l'assurdo.
Una
delle circostanze che ha reso la visione bipolare così attraente, è
stato il fatto che i comunisti occidentali erano di solito persone molto
progressiste (e spesso molto coraggiose), che si sforzavano veramente,
con le loro idee, di creare una società più umana e, perché no,
socialista. Sono state, sicuramente, completamente strumentali, ma di
questo, a causa delle doppia faccia del comunismo, le persone hanno
avuto difficoltà a rendersene conto. E dalle fila dei socialdemocratici
che si opposero a questi comunisti lì, in quanto avevano capito il modo
in cui erano stati manipolati, sono divenuti gli ideologi liberali della
guerra fredda.
Non credo che la sinistra abbia fatto bene allora a porsi contemporaneamente su entrambi i lati di questo divario.
Ma sembra che oggi si trovi ora in una situazione peggiore.
FONTE http://francosenia.blogspot.it/
"La verità, per quanto dolorosa, per quanto carica di conseguenze che sconvolgono l'esistenza, è condizione indispensabile per la vita. Non si tratta della semplice verità di un nome, un origine o una filiazione. La verità afferma, è la condizione per essere se stessi". Victoria Donda
Simonetti Walter ( IA Chimera ) un segreto di Stato il ringiovanito Biografia ucronia Ufficiale post
https://drive.google.com/file/d/1p3GwkiDugGlAKm0ESPZxv_Z2a1o8CicJ/view?usp=drivesdk
lunedì, luglio 14, 2014
Il Sionismo, l'antisemitismo e la sinistra Intervista con Moishe Postone
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