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giovedì, luglio 10, 2014

Libero Tancredi Crisi attuale dell'anarchismo



Libero Tancredi 
L'anarchismo contro l'anarchia
Introduzione



« Noi non edifichiamo ; noi demo­liamo ; noi non annunciamo alcuna nuova rivelazione, ma distruggiamo le antiche menzogne ».
Alessandro Herzen.



« La costruzione del futuro e la ricetta buona per tutti i tempi non è affar nostro ; ciò che dobbiamo fare al presente, è la critica senza riguardi di tutto ciò che esiste; senza riguardi, nel senso che la critica non ha paura de’ suoi risultati, e nemmeno del con­flitto con gli attuali poteri.
Karl Marx (Lettera ad Arnold Ruge, Kreutz- nach, Settembre 1843).

INTRODUZIONE

La crisi attuale dell’ anarchismo.
I.
L’ora attuale è feconda di crisi. Se gettiamo lo sguardo su tutti i partiti che si dividono il dominio della scena politica, troviamo che non uno di essi si salva da un processo interno di disfacimento. La contemporaneità di questo fenomeno in tutte le sètte e le chiesuole, mette persino in dubbio, 11011 -solo la bontà di questa o di quella idea, ma la possibilità medesima di organismi politici fon­dati sopra qualsiasi ideologia. Crisi nel partito cattolico per opera del modernismo — crisi in quello monarchico per opera del nazionalismo — crisi in quello socialista per opera del sindacalismo — crisi nel sindacalismo stesso. Ed il movimento anarchico, soggetto alle influenze am­bientali, non potè evitare che anche nella sua compagine s’infiltrasse il tarlo rinnovatore.
La crisi dell’ anarchismo, del resto, non è una cosa nuova. Chi vìve nel campo, sa che da due o tre anni a questa parte se ne è discusso abbondantemente su tutti i giornali anarchici, con infinità di pareri sulle cause e sui rimedi, e molte volte, con insigne superficialità nel trattare l’argomento. Alcuni l’attribuirono alla « viltà del popolo », altri al governo, altri ancora ai socialisti. Gli unici che diedero delle ragioni degne di considerazione, furono Luigi Fabbri in Italia (*) attribuendola al momento storico presente che obbliga i partiti sovversivi a passare, dalla difesa cui erano abituati, all’ offesa per cui non sono ancora pronti ; e Amerigo Ruggiero in America, che vide l’origine della crisi nelle infiltrazioni democratiche che deformarono le teorie. (2) Opinioni entrambe notevoli, ma parziali. Nè mancarono infine quelli che negarono tutto, scagliandosi trivialmente contro coloro che non potevano assuefarsi a ripetere la propaganda spicciola come un’ e- terna e monotona canzone.
Eppure, mai come ora gli anarchici si son trovati più impotenti e più trascurati in Italia. Il movimento operaio, come massa e come organizzazione, sfugge in gran parte alla loro influenza; e talvolta, ove sono riusciti a dirigerlo, hanno copiato l’opera e il fallimento dei riformisti — sopra tutto a Roma(3). Nella vita politica non sono riusciti a farsi sentire, nemmeno mediante uno di quegl’ infiniti mezzi che rimangono ad un partito antiparlamentare. La stampa libertaria è più che mai trascurata dai non anarchici — e, ove non si regge per combinazioni finanziarie speciali che talvolta rasentano l’affarismo, o per la generosità vo­lenterosa di qualche persona — mendica continuamente l’ appoggio dei « compagni » per vivere. Nè bisogna illu-dersi sulla quantità di giornaletti che sorgono e scompaiono, poiché la stampa anarchica esce raramente dalla cerchia dei compagni. Nessuna frase è più convenzionalmente menzognera di quella secondo cui i giornali anarchici son destinati agi’« incoscienti ». Il campo anarchico rassomiglia oggi più che mai ad un chiostro, le cui manifestazioni non vanno oltre la cerchia dei propri i membri.
Francesco Saverio Merlino, quando scriveva che « il partito anarchico da venti anni si dibatte ancora fra il socialismo libertario e l’individualismo amorfo ; che esso non produce più nè uomini, nè cose ; che esso non opera più, e compie solamente un’ opera utile di propaganda.... ma non bastevole a giustificarne 1’ esistenza » ; e soggiun­geva « che 1’ anarchismo non ha prodotto nemmeno, negli ultimi tempi, nuove dottrine, nuove scuole, nuove correnti d’idee, nuove forme di lotta ; che esso, non che far sosta, si è fermato addirittura nel suo andare, e che tutti i con­gressi del mondo non varranno a galvanizzare un cada­vere », diceva una dolorosa verità, che solo mediante sofismi e capziosità si poteva contestare (4). E a tutto ciò si doveva ancor aggiungere che il movimento anarchico d’Italia non ha nemmeno dato una letteratura collaterale di valore come quella di Tailhade e di Mirbeau. E mentre la crisi di svecchiamento si fa strada in mezzo a tutti i partiti, e rovescia torrenti d’idee novelle, e rinnova il pensiero contemporaneo assetato di nuove verità e stimolato dal pessimismo, gli anarchici rimangono chiusi nelle for- mulette viete, quasi attendessero la loro vittoria dall’ azione automatica del tempo.
II.
Peraltro, sarebbe ingeneroso far colpa esclusiva agli anarchici del loro momento di stasi. Chi scrive non è mosso da nessun sentimento di rancore o di simpatia, per quanto sia ben risoluto ad essere sincero sino in fondo e a non aver riguardi per nessuno. Ma è certo che se la sosta di dieci anni non torna ad onore di chi vi si adattò, essa ha pure cause storiche di cui bisogna tener conto.
Saverio Merlino, quando, nel brano citato più sopra, parla di « socialismo libertario » e di « individualismo amorfo », accenna a due rami, o meglio, a due derivazioni dell’ anarchismo, ugualmente reali. Non è' qui il luogo di dare giudizi sopra l’una o sopra 1’ altra di queste due derivazioni, e nel rammentarle non vi è qui nessun intento di critica o di apologia. Ormai, la storia ci ha. condotto lontani da entrambe : esse valgono quindi come una spie­gazione storica e nulla più.
La prima derivazione è quella dell’ Internazionale. La sua storia è stata fatta le mille volte, e non è neces­sario ripeterla in queste pagine. Una sola nota è bastevole per lumeggiare il nostro pensiero in proposito. L’Inter­nazionale era sorta dopo il 1860, e si era estesa a quasi tutta 1’ Europa borghese prima della guerra franco-prus­siana. Partecipava dunque dello spirito agitato che formava la psicologia di quel tempo. Era quello un periodo dinamico, tanto nelle energie borghesi non ancora snervate nel de­mocraticismo, quanto nelle energie proletarie che termina­vano appena la loro fase di nascita tumultuosa. Il fondo psicologico, o meglio, la capacità morale di un’ epoca è un elemento di cui gli storici idealisti o positivisti tengono pochissimo conto. Eppure, nessun popolo, nessun’ epoca può dare impunemente una grande quantità d’energie morali alla storia, senza attraversare, dopo, un periodo di esaurimento e di riposo. La storia, anzi, è incomprensibile in molte sue parti, se non mediante l’analisi di questo coefficiente morale.
L’Internazionale, specie dopo il tremendo colpo del 1870, in cui la vittoria della Prussia doveva produrre la germanizzazione persino della Francia (5) non poteva du-rare a lungo come esponente di un’ azione veramente rivoluzionaria. Nel 1870 la nazione più rivoluzionaria è prostrata; nel 1871 sono vinte le ultime faville rivoluzio­narie nella Parigi comunarda ; nel 1872 il teutonismo accentratore di Marx e consorti si appresta a prevalere nell’ Internazionale, e la scissione comincia. L’ uscita di Bakunin e degli elementi latini fu una fra le cause della morte dell’ Internazionale.
Che poi anche le sezioni latine della medesima ab­biano finito per germanizzarsi col passare al parlamenta­rismo così caro ai socialisti tedeschi ; che poi il parlamen­tarismo abbia finito per corrompere tutto — questo non è che una prosecuzione del medesimo processo, ad un tempo pacifista e germanizzatore. Pacifista per il ribasso generale dei valori morali nella società presente ; germa­nizzatore per il centralismo disciplinato che fu inaugurato. Anzi, io credo che il parlamentarismo fu un effetto più che una causa del fenomeno d’involuzione tratteggiato più sopra.
Ora P anarchismo, sia pure nel suo ramo discendente dall’ Internazionale, era eminentemente rivoluzionario — e chi legge le opere di Bakunin — come vedremo più oltre — si convince che per 1’ agitatore russo 1’ azione era più importante di tutto : anche delle idee. Ma per 1’ azione si richiedono coraggio, audacia e spirito di sa­crificio : tutte cose che scomparivano maggiormente ogni giorno nel praticismo quotidiano. Quindi l’Internazionale rivoluzionaria diventava un’ impossibilità. 0 rimanere ri­stretta ed anche rimpicciolirsi, o degenerare.
due fenomeni avvennero entrambi : la degenera­zione per via del riformismo ; ed il rinchiudersi in sè stessa, nei suoi elementi anarchici. Era inevitabile che la scissione diventasse quindi più profonda, come pure che il socialismo parlamentare accaparrasse la grande maggioranza dei sovversivi per le facili soluzioni che prometteva. Gli anarchici che in Italia avevano delle posizioni ancor ragguardevoli nel 1890, decaddero . rapi­damente dopo la scissione avvenuta a Genova nel 1892, Un’ altra causa, però, e dall’ esterno, doveva presto in­tervenire : la reazione, come vedremo più oltre.
Il         suo esempio fu seguito da molti altri, che 1(3 ritengo­no come un depositario di verità storiche. In tal modo si ruscì a formare una strana leggenda su quei fatti. Si disse che erano prodotti dall’ influenza borghese sul- 1’ anarchismo, mentre ben pochi furono gli scrittori bor­ghesi che li compresero nel loro giusto significato. Si accreditò 1’ opinione che quei fatti fossero puramente indi­viduali e quindi non avessero alcuna relazione colle masse, mentre più sopra è dimostrato il contrario. Del resto, le canzoni sovversive dell’ epoca, pur essendo addirittura dinamitarde, hanno sempre un fondo sociale di rivolta dei poveri contro la borghesia ; e la lotta dei « poveri » contro i «ricchi», non è che il preludio storico di quella più chiara e più ampia dei produttori contro i non pro­duttori.
Lo stesso fondo sociale di rivolta si trova nelle dichiarazioni dei regicidi. Di più — a parte qualsiasi giu­dizio personale su Ravachol — è noto che, durante il suo primo processo, i giurati furono tanto intimiditi da lettere anonime e da certi articoli del Pere Pei nani, da indursi a concedere le circostanze attenuanti. L’esecuzione di Henry sollevò verso di esso le simpatie della folla che si era radunata attorno alla ghigliottina. Guglielmo Ferrerò, infatti, in un articolo pubblicato sul Mondo Criminale Italiano pel 1895, ricorda come l’impressione destata dalla dichiarazione di Henry nel pubblico fosse stata così pro­fonda, da obbligare il governo francese a proibire la pub­blicazione dei resoconti di processi anarchici. Per quanto riguarda personalmente Henry, lo stesso Ferrerò notava che 1’ anarchismo, dopo la morte di Ravachol e le perse­cuzioni che ne seguirono, « aveva migliorato il carattere de’ suoi eroi ». Coloro che 1’ hanno conosciuto a Parigi
lo        ricordano come un giovane intelligentissimo : egli aveva già polemizzato cogli uomini più noti del movimento, se non erro, con Malatesta. Da un certo punto di vista, la sua fine prematura sarebbe da deplorarsi : ma in ogni caso, i pensieri eh’ egli scrisse sui muri alla Prigione della Rocquette, prima di ascendere il patibolo, e che impres­sionarono tanto quando furono pubblicati dai quotidiani francesi, potrebbero ancora far meditare molti uomini d’oggi giorno. Nè vanno dimenticate le due lunghe e concettose dichiarazioni di Etiévant — più suicida che omi­cida — le quali furono poi pubblicate su quasi tutti i giornali anarchici, ed anche sul medesimo Pensiero.
La situazione creata a Parigi da questi movimenti era un po’ simile a quella delle città francesi prima della grande rivoluzione. La disparità delle condizioni mate­riali ed economiche era enorme, senza dubbio : non si poteva paragonare il 1891 col 1789. Ma ove lo storico non voglia giudicare come un pubblico ministero, deve ricordarsi che il carattere psicologico agli accadimenti storici è dato dall’ intenzione di coloro che li compiono. Ora, nelle idee regnanti in quel momento a Parigi, fra gli anarchici ed anche fuori della loro cerchia, vi era pre­cisamente quella affermazione di rivolta che traeva ori­gine non dalla visione bella del futuro, ma dalla consta­tazione del presente. Era il movimento operaio, quasi tutto al di fuori delle organizzazioni costituite, sebbene queste vi partecipassero r— ma che iniziava la propria coscienza di classe attraverso i dolori e lo sfruttamento che sopportava. Il ricordo della rivoluzione dell’ 89 era vivissimo, tanto più che la non lontana Comune 1’ aveva ringiovanito : le canzoni rivoluzionarie usavano sovente la musica della Carmagnole, del Qo ire, della Marseillè- se, cambiandone appena qualche parola. Continue erano le apologie di Marat nei giornali del tempo ; continua 1’ affermazione che bisogna pensare prima a demolire per poi riedificare in qualche modo che poco importa pel momento : in un opuscolo di Paraf Javal — non so se di quell’ epoca o di poco posteriore — si dice appunto che i contadini non avevano avuto bisogno, nel 1789, di distinguere la monarchia dalla repubblica, per incomincia­re la violazione dei diritti feudali. Non mancava neppure
il         senso dell’ anti-intellettualismo, talvolta anche esagerato, che ribadiva la massima secondo cui 1’ emancipazione dei lavoratori dev’ essere opera dei lavoratori stessi.
A questo genere di manifestazioni violente vanno­comparati altri fatti — come la « Banda del Matese » — ricordata recentemente dal Guillaume nella Storia del- l’Internazionale — e di cui faceva parte Enrico Mala-testa. Vanno pure aggiuuti i moti spagnuoli che alter­narono le sommosse collettive cogli attentati individuali: tipico, quello di Pallas contro il generale Martinez Cam- pos. Lasciamo a parte gli altri regicidi, in cui 1’ elemento individuale predomina tanto da escludere una loro valu­tazione quale esponenti dell’ ambiente — sebbene Angio- lillo e Bresci fossero bene legati, nei loro atti, a deter­minati avvenimenti anteriori. Ma quel che è certo è che quella stirpe di uomini, di assassini se isolati o di ban­diti se uniti, avevano un qualche cosa di diverso dalla delinquenza volgare. Vittorio Pini che rubava migliaia di franchi e poi viveva con una lira al giorno dando il resto alla propaganda, non era un ladro comune. Ad ogni modo, se fare la loro apologia non entra nell’argomento di que­sto libro, è innegabile che dessi, colla loro capacità di sfi­dare i rigori della legge, e non per tornaconto proprio —• erano superiori a certi cavalieri dell’ ideale che fanno quattrini affaristicamente, sotto la protezione della legge e dell’ anarchia.
Non sono mancati, fra gli anarchici, coloro che, pur dicendosi rivoluzionari, soppressero d’ un colpo tutta que­sta storia di violenze, perchè ad essi non faceva troppo comodo. Si esagerarono e si portarono in piazza con osten­tata compiacenza qualche caso di propaganda di estampage (furto fra compagni) quasi per copiare i reazionari che condannano la Comune in blocco col pretesto della fuci­lazione dei due generali. Nel complesso, si prese l’abi­tudine di scusare e di compiangere tali moti, come i democratici compiangono le sommosse popolari eh’ essi vorrebbero cristianamente evitare. Si disse in seguito che tutti i partiti avevano avuto i loro ribelli e non essere quindi essi specificamente anarchici — quasi che non fosse anarchica di per sè ogni rivolta individuale o •collettiva contro un’ oppressione qualunque. Non vi si volle scorgere la continuazione tradizionale dello spirito che animò la folla parigina nell’ ’89, nel ’30, nel ’48 e nel ’71 : cosa ben nota agli stessi conservatori. Infine, si disapprovò tale violenza perchè non portava 1’ etichetta di un’ idea — o meglio di un sogno futuro : sebbene nel movimento parigino del 1891 vi fosse implicita l’idea o
l’intuizione di sbarazzarsi comunque della borghesia o di espropriarla. E del resto, non afferma forse Kropotkin che le idee sorgono dal crogiuolo della violenza popolare ? Non è forse proclamato dal filosofo russo che il fondo anarchico della rivoluzione francese era costituito dalla rivolta amorfa, disperata dei contadini — apparentemente inconscia, ma in realtà ben cosciente del suo obbiettivo di demolizione ? (9).
IV.
Tutto ciò intaccherà forse il monopolio delle tradi­zioni anarchiche arrogatosi da qualcuno : ma bisogna ras­segnarsi a comprendere fra le origini dell’ anarchismo non soltanto quella dell’ Internazionale. Tanto, ammessa
o          no, la tradizione di cui abbiamo fatto cenno, continuò a vivere, più rigogliosa dell’ altra. Gli è che le violenze e le repressioni hanno una potenza di ricordo sconosciuta ai discorsi ed ai congressi. Ed infatti, tutta la storia del movimento anarchico, è contrassegnata dalla lotta fra le due tendenze.
Quella discesa dall’ Internazionale prese l'aspetto d’ un sindacalismo — e propugnò il sindacalismo mede­simo prima ancora che tale parola fosse nata. Poi, dimen­ticando che 1’ essenza dell’ Internazionale era stata il ten­tativo di riunire gli operai liberamente in una lotta anti­capitalistica, e non già la forma dell’ unione medesima, trasportò il concetto dell’ unione formale nel campo politico, dando luogo al partito anarchico. Per un processo spie­gabilissimo di scimmiottaggio, come i tedeschi dall’ Inter­nazionale accentrata vollero trarne un partito accentrato, gli anarchici derivarono dall’ Internazionale federalista un partito federale. Il quale fu tentato di costituire una doz­zina di volte, senza mai esservi riusciti. Vedremo nel testo il perchè storico e logico di questo insuccesso : diciamo per ora che i gruppi e le federazioni che lo for-mano, nascono e si moltiplicano con una mirabile feracità, almeno stilla carta, scompaiono e rinascono più ferace­mente ancora. I miei amici organizzatori sanno molto bene che il loro partito è sempre stato un’ araba fenice. Nella grande maggioranza degli anarchici vi è sempre stata troppa cattiva volontà per poterlo costituire !
Le due tendenze, peraltro, camminarono confuse sin verso il 1900, nonostante gli sforzi del Malatesta per pre­cisare la sua. La derivazione dell’ anarchismo pariginj> si era raffinata, conservando, più che altro, il significato dei fatti e lo spirito dell’ epoca : gli stessi suoi seguaci sono ben lungi da certe affermazioni facilone, esagerate e pri­mitive di quei tempi. Il nome di <• individualista » dato a quella tendenza era più che mai improprio — come inutili le obbiezioni fattele sull’ impossibilità per l’indivi­duo di astrarsi dalla società, ed altre simili trovate da Monsieur La Palisse. Nessuno aveva mai posto in dubbio che la rivolta individuale non poteva avvenire che rela­tivamente alla società e quale anticipazione di rivoluzione collettiva. Abbiamo visto come il movimento parigino fosse impregnato di spirito di classe : fu anzi un movimento molto più genuinamente operaio di certo anarchismo socia­lista da poeti e da evoluzionisti sognatori. Così pure, P « amorfismo » non è mai stato altro che un anti-utopi- smo, diretto contro i comunisti, onde riaffermare per la società futura il diritto e la necessità degli uomini di acco­modarsi in mille modi diversi ed imprevedibili. Solo dopo il periodo di riaccostamento avvenuto dopo la reazione del 1894 colle leggi crispine in Italia e quelle scellerate in Francia — reazione che accomunò entrambe le ten­denze — il comunismo prese un aspetto diverso. Da una parte, si dimenticarono i dettagli elaborati da qualcuno (l0) e si ridusse il comunismo ad un qualche cosa di vago che si proiettava nell’ avvenire come un sogno malsicuro.. Dall’altra parte, si accettò il sogno come inoffensivo.
La scissione ricominciò dopo il 1900, col periodo di libertà inaugurato, che addormentava un po’ gli anarchici, come addormentò i socialisti ed i repubblicani. Spinti dalla necessità di precisare, o meglio, di dimostrare la coe­renza dell’ organizzazione in partito con la società futura, cominciarono a descrivere questa come una vasta e gene­rale federazione. Non attardiamoci a criticarla, per ora. Gli altri, pur combattendo a spada tratta 1’ organizzazione presente degli anarchici in partito, non si preoccuparono gran che del comunismo futuro, il quale rimase per essi una parola. In fondo, essi non accettano, nemmeno per 1’ avvenire l'idea federalista : ma non osano, od almeno evitano di precisare qualunque forma da sostituire. Il loro comunismo è pur sempre, senza che lo confessino, 1’ amor­fismo negativo già accennato. Il suo valore — secondo essi — è più che altro didattico, e serve quale mezzo di agitazione. E ciò che dimostra ancor più i legami tra que­sta corrente e la sua origine parigina, è il suo atteggia­mento di fronte alle organizzazioni economiche. Come i rivoluzionari del 1891, gli anarchici impropriamente detti individualisti, non le combattono, ma ne stanno in disparte. Le accettano come un fatto con cui bisogna contare, ma sentono di avere un compito collaterale che non interfe­risce obbligatoriamente con quello delle organizzazioni di mestiere (u).
Tale imprecisione riguardo alla società futura è stata però più un bene che un male, poiché ha permesso agli antiorganizzatori di interessarsi maggiormente alle lotte operaie. In certi giornali si trovano diecine e centinaia di numeri di seguito dedicati all’ attualità, senza accenni alla società futura, salvo F affermazione della parola comu­niSmo, e qualche attacco ai federalisti, riguardante le mani­festazioni degenerative più appariscenti. Gli organizzatori sono riusciti, grazie a qualche elemento borghese o semi­borghese che contavano, od alla posizione speciale di qualche loro compagno, a farsi quasi credere gli unici e veri anarchici d’Italia. Non disdegnarono nemmeno, anche nei momenti di persecuzione, di additare al disprezzo dei conservatori, i loro compagni della riva sinistra. È un fatto doloroso di cui potrei dare prove a chiunque volesse smentirmi (12). I congressi, ed altre coreografie che espongono le apparenze più che le realtà, valsero a confermare l’opi­nione che la grande maggioranza degli anarchici fosse federalista. Nulla di più falso. I giornali del partito non superarono mai i due o tre fra l’Italia e l’estero : e nella stessa Roma — che è il centro del federalismo anarchico-
                   si dovette abbassar bandiera dinanzi ad un giornale che rappresentava 1’ estrema sinistra del campo. E non è discutibile che i migliori giornali sinora usciti, come reda­zione e diffusione : ad esempio II Grido della Folla di Milano, La Cronaca Sovversiva di Barre Vermont e La Battaglia di San Paolo, siano stati antiorganizzatori.
Vi ha di più. Se noi guardiamo la distribuzione degli anarchici in Italia, troviamo un fenomeno che ci attesta i caratteri più o meno conservatori delle due tendenze.
Il federalismo non ha attecchito durevolmente che ad Ancona e Roma : due città in cui l'industria è bambina
o          non esiste affatto, e in cui la mancanza d’un forte movimento operaio lascia la possibilità delle ideologie sognatrici e degli esperimenti di partito. A Roma poi, il federalismo prese un aspetto artificiale di bluff che è co­mune, del resto, a tutta la vita della capitale. Ma a Torino, a Milano, a Genova, a Livorno, il federalismo cadde — come cadde in Romagna ove son vive le agitazioni con­tadine. Il movimento operaio, troppo forte ormai per rin­chiudersi in un partito od obbedirvi, obbligava gli anar­chici a rimanere tra la folla.
V.
Queste note affrettate servono per lumeggiare F am­biente anarchico d’Italia, e far risaltare il significato della discussione che siamo per incominciare. Esse per­mettono di stabilire che la scissione dell’ anarchismo in due tendenze disparate è una necessità latente sin dalla sua nascita. Il che dà ragione a Fabbri quando egli scrive che fra organizzatori ed antiorganizzatori esistono diver­sità non solo di metodi, ma pure di principio : ma volge in ridicolo la sua pretesa settaria di circoscrivere 1’ anar­chismo al solo suo campo, facendo passare come opinione genuinamente e completamente anarchica, ciò che è suo semplice avviso personale (l3).
Se la crisi dell’ anarchismo avesse trovato delle per­sone degne di essa, sarebbe stata probabilmente la salvezza delle idee dinanzi al mondo intellettuale italiano. Idealismo e realismo, comunismo e liberismo, utopismo ed anti-uto- pismo, ottimismo e pessimismo, si sarebbero trovati di fronte ed avrebbero approfondite le loro differenze dando luogo a un dibattito interessante : interessante anche pei non anarchici, poiché la crisi dell’ anarchismo non ha
origini diverse da quella che travaglia gli altri partiti.
Certo, spaventati dalla scissione, si sarebbero raggruppati i timidi in una specie d’integralismo, che poi si è formato ugualmente; ma le due ali estreme si sarebbero preci­sate. Si sarebbe misurato nella sua vera importanza il conflitto fra i volitivi e gli adattabili ; si sarebbero esami­nate le teorie di Kropotkin e di Bakunin per trovarvi raddentellato delle due tendenze — poiché entrambe coesi­stono nelle contraddizioni di quei pensieri individuali ; — fors’anche (è mio avviso), — si sarebbe scoperto che gli anarchici hanno travisato Bakunin, come i socialisti tra­visarono Marx pur dicendosene seguaci. Infine, si sarebbe riaffermata la verità enunciata da Labriola, che « intorno ad ogni grande corrente d’idee sociali si riproduce la divisione.... in tre diversi indirizzi che si muovono in senso reazionario, conservatore e rivoluzionario- » ; e che l’anar­chismo, come pure il socialismo e il cristianesimo, « nelle sue varie forme e tendenze, ben lungi dall’ apparire come un’ unica forza novatrice della società esistente », può rivestire « 1’ aspetto d’ un involucro verbale sotto cui si celano correnti tanto conservatrici quanto dissolvitrici » della società attuale (u).
Il testo di questo libro ne è un tentativo di dimo­strazione. Ma diciamo subito che, per una discussione così vasta e feconda, mancarono per lungo tempo gli uomini c specialmente le possibilità. Anzitutto, la reazione crispina aveva realmente sgominate le file degli anarchici : gli uo­mini più ragguardevoli del campo e gli elementi più attivi dovettero passare la frontiera, se pure facevano in tempo a sfuggire la galera ed il domicilio coatto. Il lavoro di elaborazione e di revisione iniziato dal Covelli, dal Merlino e dal Malatesta fu brutalmente interrotto : cosa tanto più deplorevole in quanto i due primi erano — e rimasero
                   gli unici competenti in economia che avessero voce nel campo. Ma la reazione servì pure a staccare le masse dagli anarchici, abbattendosi quasi esclusivamente su questi ultimi, e risparmiando i socialisti — come ne fa fede lo stesso Labriola in Biforme e Rivoluzione Sociale. Infine,
I’ ultimo danno, ed il maggiore forse, fu 1’ obbligare gli
anarchici a modificare nei punti più arditi le loro teorie, specie in quanto riguardava la violenza. Lungi da me il pensiero d’ un biasimo a questo riguardo : il mondo non è popolato di eroi, ed il ripiego momentaneo dinanzi ad un nemico più forte, è un fenomeno semplicemente umano. Un caso simile era pure accaduto al partito socialista : il torto di esso e degli anarchici fu di non aver riconquistato le posizioni antiche, appena passata la bufera reazionaria, e di aver eternizzato, come concetti genuini e definitivi, ciò che costituiva un semplice espediente teorico di battaglia.
Un’altra jattura doveva attendere gli anarchici appena fu possibile rialzare il capo, sia dopo la reazione, sia ne’ suoi momenti di tregua. Il movimento operaio, per le «ause tratteggiate in questo rapido studio, si era accodato quasi interamente ai socialisti ; e questi ultimi, a loro volta, non cercavano che di condurlo lontano il più possibile dalle direttive rivoluzionarie. È umano che sia per questioni teoriche, sia per gelosia di partito, nascesse nelle file li­bertarie un vivo risentimento contro i loro affini. I socialisti hanno mille volte gridato contro gli anarchici accusandoli di voler sfruttare il lavoro altrui : ma 1’ accusa, per essere vera, doveva essere invertita, semplicemente. Ad ogni modo il distacco delle masse dagli anarchici ebbe per essi delle funeste conseguenze.
Non vi è da stupirsi se la mancanza d'influenza sul proletariato, del quale non potevano più dividere le vie ed assumere le responsabilità, accentuò quella tendenza all’ utopismo che solo si nutre di speculazioni gelide ed intellettuali. D’altra parte, il bisogno di correre dietro alle masse che fuggivano, generò una degenerazióne rifor­mista e pacifista che vedremo meglio nel testo del volume. Ancora, il bisogno di combattere strenuamente i socialisti, deviò in questo senso quasi tutte le loro energie. Gli anar­chici furono talora eccessivi contro i loro cugini di destra, a cui attribuivano interamente la degenerazione socialista mentre questa aveva cause psicologiche e storiche ben più profonde ; ma per un partito che contava sull’ azione delle masse, il poterle riconquistare era un problema di vita
o          di morte. Così, la lotta diuturna combattuta contro
i democratici sociali, ridusse sovente 1' anarchismo ad un puro antiparlamentarismo — la qual cosa è ormai ammessa anche dagli anarchici di destra - ed accentuò il carattere socialista della frazione federalista. Inutile aggiungere che questa, essendo la più adatta alla battaglia, come la meno esposta alla reazione, ebbe il sopravvento sull’ avversaria. La frazione antiorganizzatrice, rimasta accodata all’ altra, si svegliò e s’impose per volontà e per relativo valore- di uomini in seguito alle sconfessioni di Bresci, nel mo­mento in cui almeno il riserbo era doveroso, compiute da notissimi federalisti che si curavano più delle sorti del partito che del proprio onore. Salvo Gori, gli antiorganiz- zatori annoverarono, fra il 1902 e il 1906, gli nomini più colti dell’anarchismo italico, ed incontrarono il favore della grande maggioranza dei compagni. Solo in seguito a questioni personali che generarono la sfiducia tra i migliori elementi, fu possibile per i federalisti riprendere per un momento il dominio; ma poco dopo il campo finì per ada­giarsi in un grigio integralismo che si bamboleggia tra le rifritture spicciole e la letteratura da decadenti.
VI.
Pure, in un solo modo gli anarchici avrebbero potuto evitare la débàcle: riducendosi ad una minoranza critica. Yisto che l’onda del riformismo trascinava tutto, era meglio- intraprendere una revisione teorica che forse non avrebbe interessato subito le masse : che sarebbe forse stata derisa dagli stessi socialisti teorici — ma che si sarebbe imposta all’ attenzione ed al rispetto degli avversari più equanimi e colti. La cosa non era difficile, poiché i socialisti medesimi non contavano neppure delle cime di scienza e di genio : del resto, tutta la cultura italiana subiva, in quel tempo, un periodo di sosta. Rimanere come scoglia in mezzo alla corrente : ed appena — come fatalmente doveva giungere — la corrente fosse stata risospinta dai tempi e dalle condizioni che mutavano, risorgere armati . di pensiero e di audacia, per combattere la lotta decisiva.
Se gli anarchici fossero stati capaci d’un simile compito, è probabile che la frazione sindacalista non avrebbe avuto tanta fortuna. Fortuna meritata, peraltro, ed è stolto 1’ atteggiamento settario di certi anarchici organiz­zatori, i quali, dopo essersi illusi d’impadronirsi del sin­dacalismo, gli rimproverano oggi di.... non essere anarchico e di aver fatto loro una micidiale concorrenza. I partiti trionfano per quel che valgono — quando non interven­gono cause esterne, come la reazione, a turbare 1’ esito della battaglia.
Gli anarchici mancarono di uomini, specie di uomini critici. Mentre Marx fu esaminato in sensi e con intendi­menti diversi, ed ebbe almeno quattro critici competenti
                   Bernstein, Merlino, Sorel e Labriola;— i teorici del- 1’ anarchismo furono volgarizzati soltanto, volgarizzati sem­pre, con una monotonia desolante. L’unico che ebbe qualche genialità rinnovatrice fu il Malatesta — che sa­rebbe un po’ il Bernstein deli’ anarchismo — ma la sua opera rimase limitatissima per la stessa ritirata dell’ uomo dalla lotta. La sua critica cadde presto in mano ai seguaci,
i                      quali non ebbero altra fretta che di volgarizzarla. Le discussioni che avvennero qua e là sui giornali non an­darono mai oltre il problema tattico dell’ organizzazione o la questione della coerenza ; — dispute paragonabili a quelle sulla .transigenza o l’intransigenza, fra i socialisti. Mancò la revisione delle stesse basi della teoria, per ar­monizzarle coi tempi che mutavano : mancò sopratutto 1’ uomo esperto in economia, dopo il ritiro del Merlino e del Covelli. Quando Ettore Zocoli (15) diceva che gli anar­chici accettano come indiscutibile la critica economica fatta dai socialisti, e vi aggiungono appena la critica po­litica — non constatava che un’ altra dolorosa verità. E dire che tutto quanto è caduto in Proudhon ed in Marx, è precisamente la parte che riguarda 1’ economia !
Vi è di più. Nel campo anarchico, non solo non vi furono rinnovamenti, ma si manifestò una volontà miso­neista e retrograda, contro qualunque discussione, che andasse fuori dei dettagli tattici ed insignificanti. Chi scrive conosce diversi giovani intelligenti che si ritirarono tristemente sfiduciati dopo aver constatato che tutto quanto
usciva dalla falsariga generica, finiva inesorabilmente nel cestino. Unici rimasti alla lotta furono i componenti del gruppetto novatoriano formatosi attorno ad un giornale (Il Novatore) sorto in Roma nel 1906 collo scopo precipuo d’imporre un’ ampia revisione d’ idee. Ma il gruppo, composto quasi esclusivamente di operai autodidatti — (due tipografi, un legatore, un pittore, un ferroviere e un viaggiatore di commercio) — si urtò presto contro la pedan­teria dei semi-intellettuali piccolo-borghesi, incapaci di comprendere che dei semplici operai possano pensare col loro cervello, senza per questo invidiare meschinamente le poco invidiabili posizioni dei semi-intellettuali. Urtò contro la servilità della massa dei compagni operai che, oltre alla resistenza verso ogni novità richiedente uno sforzo per essere compresa, è istintivamente attratta ad idolatrare i fuorusciti della borghesia, anche se ne sono gli scarti più miserevoli, che si degnano d’ occuparsi dei proletari. Urtò contro la resistenza interessata dei dirigenti, per molti dei quali la questione d’idee si confonde con una questione di pane, e che risposero ai problemi teorici con attacchi personali, cercando di demolire i ragionatori per risparmiare i ragionamenti. Urtò infine contro la mancanza di basi finanziarie che non potevano essere co­stituite nemmeno coi sacrifici individuali, e che rese impos­sibile un’ opera tenace e continua. Oggi, il gruppetto è in gran parte sbandato dalla sfiducia in una lotta impari,
                   cui risultati sperabili sono abbastanza minimi, dato 1’ am­biente in cui si combatte ; e dalla coscienza della quasi impossibilità di far rimontare ai gregari d’un partito delle abitudini di spirito fossilizzatesi durante vent’anni. Tant’è vero che persino l’individualismo affacciato sul giornale suddetto, più che altro come strumento di reazione al ri­formismo societarista ed umanitario, diventò presto una chiesuola con nuovi seguaci e nuova bibbia, e ciò prima che una solida elaborazione di pensiero su problemi di­versi, permettesse di fondare veramente una nuova scuola.
Nulla, ad ogni modo, caratterizza meglio il movi­mento anarchico che tale pretesa di gregari i quali, non volendo discutere, vorrebbero obbligare gli altri al silenzio. Gli uomini rappresentativi appoggiarono, coscientemente o
no, tale spirito settario, sia in modo diretto, sia favorendo le idolatrie. In tal modo si giunse a formare attorno a Pietro Gori una fama di maestro, mentr’ egli non era stato che un abbellitore ed un poeta : la poesia serve a coprire di fiori il tronco teorico, ma può essere nociva quando il tronco non è ancora formato (1B). Su certi giornali si giunse a scrivere che « le nostre idee sono ancor quelle affermate dai nostri compagni trentadue anni or sono » (17) dimenticando che in trentadue anni il mondo muta, e che il riesumare le antichità senza rinverdirle serve soltanto per risparmiare al pubblico di andarle a cercare nelle biblioteche e nei musei. Luigi Fabbri, ad esempio, rispon­dendo al citato brano in cui F. S. Merlino constatava F agonia dell’ anarchismo, dichiarava candidamente che il programma d’ un partito non ha bisogno di evolvere (l8). Però, siccome l’evoluzione preme egualmente da ogni parte, così assieme alle raffazzonature della propaganda spicciola, si notano talvolta delle incertezze e delle con­tradizioni flagranti nelle pagine d’ un medesimo autore (l9). Luigi Fabbri, da me criticato un giorno per un fatto simile, dichiarava con un candore ancora più candido, di cam­biare « la forma e 1’ intonazione » — (in realtà si trat­tava di concetti) — « a seconda del punto di vista da cui
ciascuna questione era considerata, e dello scopo polemico che si prefiggeva » (ao). Naturalmente, quando chi passa per esponente d’ un movimento è obbligato a ricorrere ad espedienti simili, le teorie mancano di serietà.
Ed il fenomeno non è singolo : è comune a tutta la minoranza d’intellettuali la quale guida veramente il par­tito, e dovrebbe sentire la responsabilità e il dovere di evolverlo, ed invece si attacca, come ostrica allo scoglio, alle formulette pseudo-tradizionali per mantenere la propria posizione.
La quale minoranza è lo specchio fedele d’ un movi­mento che ha negato le contese teoriche colla scusa del- 1’ azione, e poi ha trascurato anche questa, in modo da ridursi ad una quantitc négligeable come azione e come pensiero. (21) E compito doveroso il dichiararlo per guardare in faccia la realtà e fare i conti con essa. Il lettore non dovrà quindi stupirsi se in questo libro troverà la critica, non .già freddamente teorica degli autori più noti — (Bakunin, Stirner, Proudhon, Kropotkin : lavoro che riservo ad altro momento) — ma passionata a ciò che è realmente 1’ anar­chismo corrente fra le masse, e quindi a quella parte teo­rica dei detti autori che è più comunemente accettata. Non è colpa mia se le citazioni documentarie dovranno essere abbondanti per provare le affermazioni fra le incer­tezze del bagaglio teorico libertario ; è un deliberato pro­posito, invece, il mantenere la discussione, quanto più possibile, in un terreno sociologico ed economico, molto più interessante per i sovversivi che la pura filosofia.
In ogni caso, il presente è un libro di buona fede : e nessuno avrà ragione di adontarsene, come chi scrive non è mosso da ri sentimento verso nessuno. E ni’ auguro che da questa disamina sincera 1’ anarchismo possa solle­varsi ed epurarsi, abbandonando le scorie che lo tratten­gono e lo impurano, per imporre quanto ha di sano e di vitale alla società, e darlo alla storia come una corrente immortale di energia e di pensiero.



[1] La crisi del partito anarchico, articolo pubblicato da Luigi Fabbri nell’ Almanacco Libertario 1910, presso L’ Al-lecinza Libertaria, Roma. — L’argomento di Luigi Fabbri ha però ricevuto in questi ultimi tempi una indiscutibile smentita. Le classi dirigenti dimostrano oggi una grande vitalità, impossibile se fossero già in completa decadenza, e che ricaccia i sovversivi al compito della dottrina e della preparazione morale, (1913).

(2) Vedi serie di articoli comparsi nell’.Era Nuova di Paterson N. J., Stati Uniti, nel 1910. Essi furono poscia raccolti in un volumetto a cura della rivista Novatore di New-York, 1910.
(s) Soltanto a Bologna, e da non molto tempo, grazie un po’ alla capacità pratica di Borghi e molto al valore di militante della Rygier, gli anarchici sono riusciti ad eser­citare una certa influenza sulla massa      operaia e la cittadi­nanza in generale. Credo però che     la Rygier nel   movimento
anarchico rappresenti l’eccezione che conferma la regola, ed ho 1’ amara convinzione che, nonostante i suoi sacrifici ammi­revoli, i risultati da essa ottenuti           non      vadano            oltre l’in­fluenza della sua persona.    (1913).

(4) Pensiero, 16 Luglio 1907.

(6) « ...Tale guerra aveva ottenuto un ben altro effetto : quello di paralizzare per trent’ anni la Francia... La necessità in cui si trovò la nazione francese di pensare anzitutto a preservare la sua esistenza come nazione, il suo genio popo­lare, la sua influenza civilizzatrice, paralizzava il pensiero rivoluzionario ». (P. Kropotkiu, Prefazione all’edizione italiana delle Parole d’un Ribelle).

(9)        Cfr. La Grande Revolution di P. Kropntkin, nei primi dicci capitoli. Vedremo in seguito come il K. faccia de­rivare dall’ azione popolare anche il genio della rivoluzione.

(u) Per la sincerità, giova osservare che la divisione fra organizzatori ed anti-organizzatori, avvenne più a riguardo del partito anarchico progettato, che non riguardo ai sinda­cati operai. La divisione si approfondi poi, in seguito a certi atteggiamenti dei primi riguardo alle rivolte individuali. La prova più esplicita è in uno splendido opuscolo, Libertà, di R. D’Angiò, pubblicato al Cairo nel 1902. Quanto ai sinda­cati operai, gli organizzatori finirono per innamorarsene e diventare talora dei sindacalisti riformisti nella pratica, mentre gli anti-organizzatori rifiutarono di entrarvi, o di accettare cariche, negando loro un’ efficacia direttamente rivoluzionaria. Però, se la critica fu fatta sovente all’ operato delle organiz­zazioni economiche, la lotta di principio contro l’esistenza medesima di queste ultime, non fa fatta mai, salvo rarissime eccezioni. Tale contegno fu tenuto anche dai così detti novatoriani, che rappresentano 1’ ala estrema degli antiorganiz- zatori e sono diventati una scuola a sè. Il tentativo di qual­cuno, di distinguere gli anarchici fra partigiani e avversari in principio dei sindacati, è dunque della pura fumisterie. Tant’ è vero che la corrente novatoriana ha recentemente trovato simpatie fra il sindacalismo teorico.

('-) Da ultimo sono arrivati al punto di far loro la spia, semplicemente, nella Vita di Roma del 17-18 marzo 1912, senza che nessuno del campo da cui lo spionaggio partiva abbia sentito il bisogno di chiedere la minima spiegazione (1913).

(14)       Riforme e involuzione sociale, seconda ediz., pag. 79.

(15) Vedi : 1j Anarchia, Bocca, Torino. — Introduzione.

(1S)       Io lio sempre avuto la massima stima ed anche del- 1’ ammirazione per Gori. Però non posso esimermi dal dichia­rare che la fama di Gori potè ingrandirsi anche perchè era l’unico nomo di valore presentabile dagli anarchici d’Italia, dopo l’allontanamento di altre persone di maggior praticità o di mairgior cultura, come Errico Malatesta e Luigi Galleani.

(17)       Vedi il primo numero dell’ Alleanza Libertaria, Roma, 1908.

(18)       « Io credo che, per ciò che riguarda l’anarchia, le idee ne sieno state sufficientemente sviluppate, e che non se ne possa aspettare gran che di altro. Il programma d’ un par­tito non è una scienza ; dopo essere stato riformato, riveduto, ritoccato, ampliato, ad un certo punto bisogna che rimanga stazionario, se prima non riporta la vittoria ». Il che serve anche per Confucio, Budda, Cristo, Lutero, Rousseau e Maz­zini ! (Pensiero, 16 Luglio 1907, pag. 213).

(19)       Vedi l’ultimo numero delia rivista Novatore d’Ame­rica, 1 Maggio 1911, nell’articolo « Polemiche ».

                   Pensiero, 16 Giugno 1911, png. 175.

(21)       Recentemente, indi’ Agitatore del 2 marzo 1913, Ro­berto D’ Ang- ò (che, fu uno dei migliori propagandisti e cri­tici dell’ambiente anarchico, quando ancora non s’ era pie­gato alla tranquilla certezza del pane quotidiano) confessava, forse in un istante di nob:le resipiscenza, che « nell’ ora attuale, il nostro movimento procede fiacco e indolente », sicché « pare che un fatalismo pesi su di noi », e che 1’ anar­chismo e gli anarchici divengano « per il governo e per il pubblico, fenomeni e cose, trascurabili ». E proseguiva doman­dandosi « perchè fra gli anarchici si contano oggi sulle, dita gl’intellettuali ventenni » ed « i giovani intelligenti e colti ». Il motivo è semplicissimo : perchè ai giovani si è sempre posto il dilemma di seguire in blocco le teorie e persino i pregiudizi dei compagni senza discuterli, il che per una per­sona intelligente è impossibile; o di trovarsi impigliati in una rete di piccinerie, di diffamazioni e di boicottaggi, con­tro la quale diventava necessaria l’offesa aperta, come unica possibile, difesa. Salvo poi far loro colpa perchè rengivano, ed allontanarli come « arrivisti » perchè cercavano nella lotta 1’ unica soddisfazione di affermare le loro idee, e sia pure la propria individualità intellettuale. Come si può rimpiangere se l’anarchismo italiano è incapace di vivere e di assorbire nuovi elementi vitali, quando si nega la fonte di ogni vita feconda, per conservare l’immobilità e, talvolta, le posizioni acquisite del « mestiere » ? (1913).

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