Libero Tancredi
L'anarchismo contro l'anarchia
Introduzione
« Noi non edifichiamo ;
noi demoliamo ; noi non annunciamo alcuna nuova rivelazione, ma distruggiamo
le antiche menzogne ».
Alessandro Herzen.
« La costruzione del
futuro e la ricetta buona per tutti i tempi non è affar nostro ; ciò che
dobbiamo fare al presente, è la critica senza riguardi di tutto ciò che esiste;
senza riguardi, nel senso che la critica non ha paura de’ suoi risultati, e
nemmeno del conflitto con gli attuali poteri.
Karl Marx (Lettera ad Arnold Ruge, Kreutz- nach, Settembre 1843).
INTRODUZIONE
La crisi attuale dell’ anarchismo.
I.
L’ora attuale è feconda di crisi. Se
gettiamo lo sguardo su tutti i partiti che si dividono il dominio della scena
politica, troviamo che non uno di essi si salva da un processo interno di
disfacimento. La contemporaneità di questo fenomeno in tutte le sètte e le
chiesuole, mette persino in dubbio, 11011 -solo la bontà di questa o di quella
idea, ma la possibilità medesima di organismi politici fondati sopra qualsiasi
ideologia. Crisi nel partito cattolico per opera del modernismo — crisi in
quello monarchico per opera del nazionalismo — crisi in quello socialista per
opera del sindacalismo — crisi nel sindacalismo stesso. Ed il movimento
anarchico, soggetto alle influenze ambientali, non potè evitare che anche
nella sua compagine s’infiltrasse il tarlo rinnovatore.
La crisi dell’ anarchismo, del resto, non
è una cosa nuova. Chi vìve nel campo, sa che da due o tre anni a questa parte
se ne è discusso abbondantemente su tutti i giornali anarchici, con infinità di
pareri sulle cause e sui rimedi, e molte volte, con insigne superficialità nel
trattare l’argomento. Alcuni l’attribuirono alla « viltà del popolo », altri al
governo, altri ancora ai socialisti. Gli unici che diedero delle ragioni degne
di considerazione, furono Luigi Fabbri in Italia (*) attribuendola al momento storico
presente che obbliga i partiti sovversivi a passare, dalla difesa cui erano
abituati, all’ offesa per cui non sono ancora pronti ; e Amerigo Ruggiero in
America, che vide l’origine della crisi nelle infiltrazioni democratiche che
deformarono le teorie. (2) Opinioni entrambe notevoli, ma parziali.
Nè mancarono infine quelli che negarono tutto, scagliandosi trivialmente contro
coloro che non potevano assuefarsi a ripetere la propaganda spicciola come un’
e- terna e monotona canzone.
Eppure, mai
come ora gli anarchici si son trovati più impotenti e più trascurati in Italia.
Il movimento operaio, come massa e come organizzazione, sfugge in gran parte
alla loro influenza; e talvolta, ove sono riusciti a dirigerlo, hanno copiato
l’opera e il fallimento dei riformisti — sopra tutto a Roma(3).
Nella vita politica non sono riusciti a farsi sentire, nemmeno mediante uno di
quegl’ infiniti mezzi che rimangono ad un partito antiparlamentare. La stampa
libertaria è più che mai trascurata dai non anarchici — e, ove non si regge per
combinazioni finanziarie speciali che talvolta rasentano l’affarismo, o
per la generosità volenterosa di qualche persona — mendica continuamente l’ appoggio
dei « compagni » per vivere. Nè bisogna illu-dersi sulla quantità di giornaletti
che sorgono e scompaiono, poiché la stampa anarchica esce raramente dalla
cerchia dei compagni. Nessuna frase è più convenzionalmente menzognera di
quella secondo cui i giornali anarchici son destinati agi’« incoscienti ». Il
campo anarchico rassomiglia oggi più che mai ad un chiostro, le cui
manifestazioni non vanno oltre la cerchia dei propri i membri.
Francesco Saverio Merlino, quando scriveva
che « il partito anarchico da venti anni si dibatte ancora fra il socialismo
libertario e l’individualismo amorfo ; che esso non produce più nè uomini, nè
cose ; che esso non opera più, e compie solamente un’ opera utile di
propaganda.... ma non bastevole a giustificarne 1’ esistenza » ; e soggiungeva « che 1’ anarchismo non ha prodotto nemmeno,
negli ultimi tempi, nuove dottrine, nuove scuole, nuove correnti d’idee, nuove
forme di lotta ; che esso, non che far sosta, si è fermato addirittura nel suo
andare, e che tutti i congressi del mondo non varranno a galvanizzare un cadavere
», diceva una dolorosa verità, che solo mediante sofismi e capziosità si poteva
contestare (4). E a tutto ciò si doveva ancor aggiungere che il
movimento anarchico d’Italia non ha nemmeno dato una letteratura collaterale di
valore come quella di Tailhade e di Mirbeau. E mentre la crisi di svecchiamento
si fa strada in mezzo a tutti i partiti, e rovescia torrenti d’idee novelle, e
rinnova il pensiero contemporaneo assetato di nuove verità e stimolato dal
pessimismo, gli anarchici rimangono chiusi nelle for- mulette viete, quasi attendessero
la loro vittoria dall’ azione automatica del tempo.
II.
Peraltro,
sarebbe ingeneroso far colpa esclusiva agli anarchici del loro momento di
stasi. Chi scrive non è mosso da nessun sentimento di rancore o di simpatia,
per quanto sia ben risoluto ad essere sincero sino in fondo e a non aver
riguardi per nessuno. Ma è certo che se la sosta di dieci anni non torna ad
onore di chi vi si adattò, essa ha pure cause storiche di cui bisogna tener
conto.
Saverio Merlino, quando, nel brano citato
più sopra, parla di « socialismo libertario » e di « individualismo amorfo »,
accenna a due rami, o meglio, a due derivazioni dell’ anarchismo, ugualmente
reali. Non è' qui il luogo di dare giudizi sopra l’una o sopra 1’ altra di
queste due derivazioni, e nel rammentarle non vi è qui nessun intento di
critica o di apologia. Ormai, la storia ci ha. condotto lontani da entrambe :
esse valgono quindi come una spiegazione storica e nulla più.
La prima derivazione è quella dell’
Internazionale. La sua storia è stata fatta le mille volte, e non è necessario
ripeterla in queste pagine. Una sola nota è bastevole per lumeggiare il nostro
pensiero in proposito. L’Internazionale era sorta dopo il 1860, e si era
estesa a quasi tutta 1’ Europa borghese prima della guerra franco-prussiana.
Partecipava dunque dello spirito agitato che formava la psicologia di quel
tempo. Era quello un periodo dinamico, tanto nelle energie borghesi non
ancora snervate nel democraticismo, quanto nelle energie proletarie che
terminavano appena la loro fase di nascita tumultuosa. Il fondo psicologico, o
meglio, la capacità morale di un’ epoca è un elemento di cui gli storici
idealisti o positivisti tengono pochissimo conto. Eppure, nessun popolo,
nessun’ epoca può dare impunemente una grande quantità d’energie morali alla
storia, senza attraversare, dopo, un periodo di esaurimento e di riposo. La
storia, anzi, è incomprensibile in molte sue parti, se non mediante l’analisi
di questo coefficiente morale.
L’Internazionale,
specie dopo il tremendo colpo del 1870, in cui la vittoria della Prussia doveva
produrre la germanizzazione persino della Francia (5) non poteva
du-rare a lungo come esponente di un’ azione veramente rivoluzionaria. Nel 1870
la nazione più rivoluzionaria è prostrata; nel 1871 sono vinte le ultime
faville rivoluzionarie nella Parigi comunarda ; nel 1872 il teutonismo
accentratore di Marx e consorti si appresta a prevalere nell’ Internazionale, e
la scissione comincia. L’ uscita di Bakunin e degli elementi latini fu una fra
le cause della morte dell’ Internazionale.
Che poi anche le sezioni latine della
medesima abbiano finito per germanizzarsi col passare al parlamentarismo così
caro ai socialisti tedeschi ; che poi il parlamentarismo abbia finito per
corrompere tutto — questo non è che una prosecuzione del medesimo processo, ad
un tempo pacifista e germanizzatore. Pacifista per il ribasso generale dei
valori morali nella società presente ; germanizzatore per il centralismo
disciplinato che fu inaugurato. Anzi, io credo che il parlamentarismo fu un
effetto più che una causa del fenomeno d’involuzione tratteggiato più sopra.
Ora P anarchismo, sia pure nel suo ramo
discendente dall’ Internazionale, era eminentemente rivoluzionario — e chi
legge le opere di Bakunin — come vedremo più oltre — si convince che per 1’
agitatore russo 1’ azione era più importante di tutto : anche delle idee. Ma
per 1’ azione si richiedono coraggio, audacia e spirito di sacrificio : tutte
cose che scomparivano maggiormente ogni giorno nel praticismo quotidiano.
Quindi l’Internazionale rivoluzionaria diventava un’ impossibilità. 0 rimanere
ristretta ed anche rimpicciolirsi, o degenerare.
due fenomeni avvennero entrambi : la
degenerazione per via del riformismo ; ed il rinchiudersi in sè stessa, nei
suoi elementi anarchici. Era inevitabile che la scissione diventasse quindi più
profonda, come pure che il socialismo parlamentare accaparrasse la grande
maggioranza dei sovversivi per le facili soluzioni che prometteva. Gli
anarchici che in Italia avevano delle posizioni ancor ragguardevoli nel 1890,
decaddero . rapidamente dopo la scissione avvenuta a Genova nel 1892, Un’
altra causa, però, e dall’ esterno, doveva presto intervenire : la reazione,
come vedremo più oltre.
Il suo
esempio fu seguito da molti altri, che 1(3 ritengono come un depositario di
verità storiche. In tal modo si ruscì a formare una strana leggenda su quei
fatti. Si disse che erano prodotti dall’ influenza borghese sul- 1’ anarchismo,
mentre ben pochi furono gli scrittori borghesi che li compresero nel loro
giusto significato. Si accreditò 1’ opinione che quei fatti fossero puramente
individuali e quindi non avessero alcuna relazione colle masse, mentre più
sopra è dimostrato il contrario. Del resto, le canzoni sovversive dell’ epoca,
pur essendo addirittura dinamitarde, hanno sempre un fondo sociale di rivolta
dei poveri contro la borghesia ; e la lotta dei « poveri » contro i «ricchi»,
non è che il preludio storico di quella più chiara e più ampia dei produttori
contro i non produttori.
Lo stesso fondo sociale di rivolta si
trova nelle dichiarazioni dei regicidi. Di più — a parte qualsiasi giudizio
personale su Ravachol — è noto che, durante il suo primo processo, i giurati
furono tanto intimiditi da lettere anonime e da certi articoli del Pere Pei
nani, da indursi a concedere le circostanze attenuanti. L’esecuzione di
Henry sollevò verso di esso le simpatie della folla che si era radunata attorno
alla ghigliottina. Guglielmo Ferrerò, infatti, in un articolo pubblicato sul Mondo
Criminale Italiano pel 1895, ricorda come l’impressione destata dalla
dichiarazione di Henry nel pubblico fosse stata così profonda, da obbligare il
governo francese a proibire la pubblicazione dei resoconti di processi
anarchici. Per quanto riguarda personalmente Henry, lo stesso Ferrerò notava
che 1’ anarchismo, dopo la morte di Ravachol e le persecuzioni che ne
seguirono, « aveva migliorato il carattere de’ suoi eroi ». Coloro che 1’ hanno
conosciuto a Parigi
lo ricordano come un giovane
intelligentissimo : egli aveva già polemizzato cogli uomini più noti del
movimento, se non erro, con Malatesta. Da un certo punto di vista, la sua fine
prematura sarebbe da deplorarsi : ma in ogni caso, i pensieri eh’ egli scrisse
sui muri alla Prigione della Rocquette, prima di ascendere il patibolo, e che
impressionarono tanto quando furono pubblicati dai quotidiani francesi,
potrebbero ancora far meditare molti uomini d’oggi giorno. Nè vanno dimenticate
le due lunghe e concettose dichiarazioni di Etiévant — più suicida che omicida
— le quali furono poi pubblicate su quasi tutti i giornali anarchici, ed anche
sul medesimo Pensiero.
La situazione creata a Parigi da questi
movimenti era un po’ simile a quella delle città francesi prima della grande
rivoluzione. La disparità delle condizioni materiali ed economiche era enorme,
senza dubbio : non si poteva paragonare il 1891 col 1789. Ma ove lo storico non
voglia giudicare come un pubblico ministero, deve ricordarsi che il carattere
psicologico agli accadimenti storici è dato dall’ intenzione di coloro che li
compiono. Ora, nelle idee regnanti in quel momento a Parigi, fra gli anarchici
ed anche fuori della loro cerchia, vi era precisamente quella affermazione di
rivolta che traeva origine non dalla visione bella del futuro, ma dalla constatazione
del presente. Era il movimento operaio, quasi tutto al di fuori delle
organizzazioni costituite, sebbene queste vi partecipassero r— ma che iniziava
la propria coscienza di classe attraverso i dolori e lo sfruttamento che
sopportava. Il ricordo della rivoluzione dell’ 89 era vivissimo, tanto più che
la non lontana Comune 1’ aveva ringiovanito : le canzoni rivoluzionarie usavano
sovente la musica della Carmagnole, del Qo ire, della Marseillè-
se, cambiandone appena qualche parola. Continue erano le apologie di Marat
nei giornali del tempo ; continua 1’ affermazione che bisogna pensare prima a
demolire per poi riedificare in qualche modo che poco importa pel momento : in
un opuscolo di Paraf Javal — non so se di quell’ epoca o di poco posteriore —
si dice appunto che i contadini non avevano avuto bisogno, nel 1789, di
distinguere la monarchia dalla repubblica, per incominciare la violazione dei
diritti feudali. Non mancava neppure
il senso
dell’ anti-intellettualismo, talvolta anche esagerato, che ribadiva la massima
secondo cui 1’ emancipazione dei lavoratori dev’ essere opera dei lavoratori
stessi.
A questo
genere di manifestazioni violente vannocomparati altri fatti — come la « Banda
del Matese » — ricordata recentemente dal Guillaume nella Storia del- l’Internazionale
— e di cui faceva parte Enrico Mala-testa. Vanno pure aggiuuti i moti spagnuoli
che alternarono le sommosse collettive cogli attentati individuali: tipico,
quello di Pallas contro il generale Martinez Cam- pos. Lasciamo a parte gli
altri regicidi, in cui 1’ elemento individuale predomina tanto da escludere una
loro valutazione quale esponenti dell’ ambiente — sebbene Angio- lillo e
Bresci fossero bene legati, nei loro atti, a determinati avvenimenti
anteriori. Ma quel che è certo è che quella stirpe di uomini, di assassini
se isolati o di banditi se uniti, avevano un qualche cosa di diverso
dalla delinquenza volgare. Vittorio Pini che rubava migliaia di franchi e poi
viveva con una lira al giorno dando il resto alla propaganda, non era un ladro
comune. Ad ogni modo, se fare la loro apologia non entra nell’argomento di questo
libro, è innegabile che dessi, colla loro capacità di sfidare i rigori della
legge, e non per tornaconto proprio —• erano superiori a certi cavalieri dell’
ideale che fanno quattrini affaristicamente, sotto la protezione della legge e
dell’ anarchia.
Non sono mancati, fra gli anarchici,
coloro che, pur dicendosi rivoluzionari, soppressero d’ un colpo tutta questa
storia di violenze, perchè ad essi non faceva troppo comodo. Si esagerarono e
si portarono in piazza con ostentata compiacenza qualche caso di propaganda di
estampage (furto fra compagni) quasi per copiare i reazionari che
condannano la Comune in blocco col pretesto della fucilazione dei due
generali. Nel complesso, si prese l’abitudine di scusare e di compiangere tali
moti, come i democratici compiangono le sommosse popolari eh’ essi vorrebbero
cristianamente evitare. Si disse in seguito che tutti i partiti avevano avuto i
loro ribelli e non essere quindi essi specificamente anarchici — quasi che non
fosse anarchica di per sè ogni rivolta individuale o •collettiva contro un’
oppressione qualunque. Non vi si volle scorgere la continuazione tradizionale
dello spirito che animò la folla parigina nell’ ’89, nel ’30, nel ’48 e nel ’71
: cosa ben nota agli stessi conservatori. Infine, si disapprovò tale violenza
perchè non portava 1’ etichetta di un’ idea — o meglio di un sogno futuro :
sebbene nel movimento parigino del 1891 vi fosse implicita l’idea o
l’intuizione di sbarazzarsi comunque della
borghesia o di espropriarla. E del resto, non afferma forse Kropotkin che le
idee sorgono dal crogiuolo della violenza popolare ? Non è forse proclamato dal
filosofo russo che il fondo anarchico della rivoluzione francese era
costituito dalla rivolta amorfa, disperata dei contadini — apparentemente
inconscia, ma in realtà ben cosciente del suo obbiettivo di demolizione ? (9).
IV.
Tutto ciò intaccherà forse il monopolio
delle tradizioni anarchiche arrogatosi da qualcuno : ma bisogna rassegnarsi a
comprendere fra le origini dell’ anarchismo non soltanto quella dell’
Internazionale. Tanto, ammessa
o no,
la tradizione di cui abbiamo fatto cenno, continuò a vivere, più rigogliosa
dell’ altra. Gli è che le violenze e le repressioni hanno una potenza di
ricordo sconosciuta ai discorsi ed ai congressi. Ed infatti, tutta la storia
del movimento anarchico, è contrassegnata dalla lotta fra le due tendenze.
Quella
discesa dall’ Internazionale prese l'aspetto d’ un sindacalismo — e propugnò il
sindacalismo medesimo prima ancora che tale parola fosse nata. Poi, dimenticando
che 1’ essenza dell’ Internazionale era stata il tentativo di riunire gli
operai liberamente in una lotta anticapitalistica, e non già la forma
dell’ unione medesima, trasportò il concetto dell’ unione formale nel campo
politico, dando luogo al partito anarchico. Per un processo spiegabilissimo
di scimmiottaggio, come i tedeschi dall’ Internazionale accentrata vollero
trarne un partito accentrato, gli anarchici derivarono dall’ Internazionale
federalista un partito federale. Il quale fu tentato di costituire una dozzina
di volte, senza mai esservi riusciti. Vedremo nel testo il perchè storico e
logico di questo insuccesso : diciamo per ora che i gruppi e le federazioni che
lo for-mano, nascono e si moltiplicano con una mirabile feracità, almeno stilla
carta, scompaiono e rinascono più feracemente ancora. I miei amici
organizzatori sanno molto bene che il loro partito è sempre stato un’ araba fenice.
Nella grande maggioranza degli anarchici vi è sempre stata troppa cattiva
volontà per poterlo costituire !
Le due tendenze, peraltro, camminarono
confuse sin verso il 1900, nonostante gli sforzi del Malatesta per precisare
la sua. La derivazione dell’ anarchismo pariginj> si era raffinata,
conservando, più che altro, il significato dei fatti e lo spirito dell’ epoca :
gli stessi suoi seguaci sono ben lungi da certe affermazioni facilone,
esagerate e primitive di quei tempi. Il nome di <• individualista » dato a
quella tendenza era più che mai improprio — come inutili le obbiezioni fattele
sull’ impossibilità per l’individuo di astrarsi dalla società, ed altre simili
trovate da Monsieur La Palisse. Nessuno aveva mai posto in dubbio che la
rivolta individuale non poteva avvenire che relativamente alla società e quale
anticipazione di rivoluzione collettiva. Abbiamo visto come il movimento
parigino fosse impregnato di spirito di classe : fu anzi un movimento molto più
genuinamente operaio di certo anarchismo socialista da poeti e da
evoluzionisti sognatori. Così pure, P « amorfismo » non è mai stato altro che
un anti-utopi- smo, diretto contro i comunisti, onde riaffermare per la società
futura il diritto e la necessità degli uomini di accomodarsi in mille modi
diversi ed imprevedibili. Solo dopo il periodo di riaccostamento avvenuto dopo
la reazione del 1894 colle leggi crispine in Italia e quelle scellerate in
Francia — reazione che accomunò entrambe le tendenze — il comunismo prese un aspetto diverso. Da una parte, si dimenticarono i dettagli
elaborati da qualcuno (l0) e si ridusse il comunismo ad un qualche cosa di vago che si proiettava nell’ avvenire come un sogno
malsicuro.. Dall’altra parte, si accettò il sogno come inoffensivo.
La scissione ricominciò dopo il 1900, col
periodo di libertà inaugurato, che addormentava un po’ gli anarchici, come
addormentò i socialisti ed i repubblicani. Spinti dalla necessità di precisare,
o meglio, di dimostrare la coerenza dell’ organizzazione in partito con la
società futura, cominciarono a descrivere questa come una vasta e generale
federazione. Non attardiamoci a criticarla, per ora. Gli altri, pur combattendo
a spada tratta 1’ organizzazione presente degli anarchici in partito, non si
preoccuparono gran che del comunismo futuro, il quale rimase per essi
una parola. In fondo, essi non accettano, nemmeno per 1’ avvenire l'idea
federalista : ma non osano, od almeno evitano di precisare qualunque forma da
sostituire. Il loro comunismo è pur sempre, senza che lo
confessino, 1’ amorfismo negativo già accennato. Il suo valore — secondo essi
— è più che altro didattico, e serve quale mezzo di agitazione. E ciò che
dimostra ancor più i legami tra questa corrente e la sua origine parigina, è
il suo atteggiamento di fronte alle organizzazioni economiche. Come i
rivoluzionari del 1891, gli anarchici impropriamente detti individualisti, non
le combattono, ma ne stanno in disparte. Le accettano come un fatto con cui
bisogna contare, ma sentono di avere un compito collaterale che non interferisce
obbligatoriamente con quello delle organizzazioni di mestiere (u).
Tale imprecisione riguardo alla società
futura è stata però più un bene che un male, poiché ha permesso agli
antiorganizzatori di interessarsi maggiormente alle lotte operaie. In certi
giornali si trovano diecine e centinaia di numeri di seguito dedicati all’
attualità, senza accenni alla società futura, salvo F affermazione della parola
comuniSmo, e qualche attacco ai federalisti, riguardante le manifestazioni
degenerative più appariscenti. Gli organizzatori sono riusciti, grazie a
qualche elemento borghese o semiborghese che contavano, od alla posizione
speciale di qualche loro compagno, a farsi quasi credere gli unici e veri
anarchici d’Italia. Non disdegnarono nemmeno, anche nei momenti di
persecuzione, di additare al disprezzo dei conservatori, i loro compagni della
riva sinistra. È un fatto doloroso di cui potrei dare prove a chiunque volesse
smentirmi (12). I congressi, ed altre coreografie che espongono le
apparenze più che le realtà, valsero a confermare l’opinione che la grande
maggioranza degli anarchici fosse federalista. Nulla di più falso. I giornali
del partito non superarono mai i due o tre fra l’Italia e l’estero : e
nella stessa Roma — che è il centro del federalismo anarchico-
—
si dovette
abbassar bandiera dinanzi ad un giornale che rappresentava 1’ estrema sinistra
del campo. E non è discutibile che i migliori giornali sinora usciti, come redazione
e diffusione : ad esempio II Grido della Folla di Milano, La Cronaca
Sovversiva di Barre Vermont e La Battaglia di San Paolo, siano stati
antiorganizzatori.
Vi ha di più. Se noi guardiamo la
distribuzione degli anarchici in Italia, troviamo un fenomeno che ci attesta i
caratteri più o meno conservatori delle due tendenze.
Il federalismo non ha attecchito
durevolmente che ad Ancona e Roma : due città in cui l'industria è bambina
o non
esiste affatto, e in cui la mancanza d’un forte movimento operaio lascia la
possibilità delle ideologie sognatrici e degli esperimenti di partito. A Roma
poi, il federalismo prese un aspetto artificiale di bluff che è comune,
del resto, a tutta la vita della capitale. Ma a Torino, a Milano, a Genova, a
Livorno, il federalismo cadde — come cadde in Romagna ove son vive le agitazioni contadine. Il movimento operaio, troppo forte ormai per
rinchiudersi in un partito od obbedirvi, obbligava gli anarchici a rimanere
tra la folla.
V.
Queste note affrettate servono per
lumeggiare F ambiente anarchico d’Italia, e far risaltare il significato della
discussione che siamo per incominciare. Esse permettono di stabilire che la
scissione dell’ anarchismo in due tendenze disparate è una necessità latente
sin dalla sua nascita. Il che dà ragione a Fabbri quando egli scrive che fra
organizzatori ed antiorganizzatori esistono diversità non solo di metodi, ma
pure di principio : ma volge in ridicolo la sua pretesa settaria di
circoscrivere 1’ anarchismo al solo suo campo, facendo passare come opinione
genuinamente e completamente anarchica, ciò che è suo semplice avviso personale
(l3).
Se la crisi dell’ anarchismo avesse
trovato delle persone degne di essa, sarebbe stata probabilmente la salvezza
delle idee dinanzi al mondo intellettuale italiano. Idealismo e realismo, comunismo e liberismo, utopismo ed anti-uto- pismo, ottimismo e pessimismo, si
sarebbero trovati di fronte ed avrebbero approfondite le loro differenze dando
luogo a un dibattito interessante : interessante anche pei non anarchici,
poiché la crisi dell’ anarchismo non ha
origini diverse da quella che travaglia
gli altri partiti.
Certo, spaventati dalla scissione, si
sarebbero raggruppati i timidi in una specie d’integralismo, che poi si è
formato ugualmente; ma le due ali estreme si sarebbero precisate. Si sarebbe
misurato nella sua vera importanza il conflitto fra i volitivi e gli adattabili
; si sarebbero esaminate le teorie di Kropotkin e di Bakunin per trovarvi
raddentellato delle due tendenze — poiché entrambe coesistono nelle
contraddizioni di quei pensieri individuali ; — fors’anche (è mio avviso), — si
sarebbe scoperto che gli anarchici hanno travisato Bakunin, come i socialisti
travisarono Marx pur dicendosene seguaci. Infine, si sarebbe riaffermata la
verità enunciata da Labriola, che « intorno ad ogni grande corrente d’idee
sociali si riproduce la divisione.... in tre diversi indirizzi che si muovono
in senso reazionario, conservatore e rivoluzionario- » ; e che l’anarchismo,
come pure il socialismo e il cristianesimo, « nelle sue varie forme e tendenze,
ben lungi dall’ apparire come un’ unica forza novatrice della società esistente
», può rivestire « 1’ aspetto d’ un involucro verbale sotto cui si celano
correnti tanto conservatrici quanto dissolvitrici » della società attuale (u).
Il testo di questo libro ne è un tentativo
di dimostrazione. Ma diciamo subito che, per una discussione così vasta e feconda,
mancarono per lungo tempo gli uomini c specialmente le possibilità. Anzitutto,
la reazione crispina aveva realmente sgominate le file degli anarchici : gli uomini
più ragguardevoli del campo e gli elementi più attivi dovettero passare la
frontiera, se pure facevano in tempo a sfuggire la galera ed il domicilio
coatto. Il lavoro di elaborazione e di revisione iniziato dal Covelli, dal
Merlino e dal Malatesta fu brutalmente interrotto : cosa tanto più deplorevole
in quanto i due primi erano — e rimasero
—
gli unici
competenti in economia che avessero voce nel campo. Ma la reazione servì pure a
staccare le masse dagli anarchici, abbattendosi quasi esclusivamente su questi
ultimi, e risparmiando i socialisti — come ne fa fede lo stesso Labriola in Biforme
e Rivoluzione Sociale. Infine,
I’ ultimo danno, ed il maggiore forse, fu
1’ obbligare gli
anarchici a modificare nei punti più
arditi le loro teorie, specie in quanto riguardava la violenza. Lungi da me il
pensiero d’ un biasimo a questo riguardo : il mondo non è popolato di eroi, ed
il ripiego momentaneo dinanzi ad un nemico più forte, è un fenomeno
semplicemente umano. Un caso simile era pure accaduto al partito socialista : il
torto di esso e degli anarchici fu di non aver riconquistato le posizioni
antiche, appena passata la bufera reazionaria, e di aver eternizzato, come
concetti genuini e definitivi, ciò che costituiva un semplice espediente
teorico di battaglia.
Un’altra jattura doveva attendere gli
anarchici appena fu possibile rialzare il capo, sia dopo la reazione, sia ne’
suoi momenti di tregua. Il movimento operaio, per le «ause tratteggiate in
questo rapido studio, si era accodato quasi interamente ai socialisti ; e questi
ultimi, a loro volta, non cercavano che di condurlo lontano il più possibile
dalle direttive rivoluzionarie. È umano che sia per questioni teoriche, sia per
gelosia di partito, nascesse nelle file libertarie un vivo risentimento contro
i loro affini. I socialisti hanno mille volte gridato contro gli anarchici
accusandoli di voler sfruttare il lavoro altrui : ma 1’ accusa, per essere
vera, doveva essere invertita, semplicemente. Ad ogni modo il distacco delle
masse dagli anarchici ebbe per essi delle funeste conseguenze.
Non vi è da stupirsi se la mancanza
d'influenza sul proletariato, del quale non potevano più dividere le vie ed
assumere le responsabilità, accentuò quella tendenza all’ utopismo che solo si
nutre di speculazioni gelide ed intellettuali. D’altra parte, il bisogno di
correre dietro alle masse che fuggivano, generò una degenerazióne riformista e
pacifista che vedremo meglio nel testo del volume. Ancora, il bisogno di
combattere strenuamente i socialisti, deviò in questo senso quasi tutte le loro
energie. Gli anarchici furono talora eccessivi contro i loro cugini di destra,
a cui attribuivano interamente la degenerazione socialista mentre questa aveva
cause psicologiche e storiche ben più profonde ; ma per un partito che contava
sull’ azione delle masse, il poterle riconquistare era un problema di vita
o di
morte. Così, la lotta diuturna combattuta contro
i democratici sociali, ridusse sovente 1'
anarchismo ad un puro antiparlamentarismo — la qual cosa è ormai ammessa anche
dagli anarchici di destra - ed accentuò il carattere socialista della frazione
federalista. Inutile aggiungere che questa, essendo la più adatta alla
battaglia, come la meno esposta alla reazione, ebbe il sopravvento sull’
avversaria. La frazione antiorganizzatrice, rimasta accodata all’ altra, si
svegliò e s’impose per volontà e per relativo valore- di uomini in seguito alle
sconfessioni di Bresci, nel momento in cui almeno il riserbo era doveroso,
compiute da notissimi federalisti che si curavano più delle sorti del partito
che del proprio onore. Salvo Gori, gli antiorganiz- zatori annoverarono, fra il
1902 e il 1906, gli nomini più colti dell’anarchismo italico, ed incontrarono
il favore della grande maggioranza dei compagni. Solo in seguito a questioni
personali che generarono la sfiducia tra i migliori elementi, fu possibile per
i federalisti riprendere per un momento il dominio; ma poco dopo il campo finì
per adagiarsi in un grigio integralismo che si bamboleggia tra le rifritture
spicciole e la letteratura da decadenti.
VI.
Pure, in un solo modo gli anarchici
avrebbero potuto evitare la débàcle: riducendosi ad una minoranza critica.
Yisto che l’onda del riformismo trascinava tutto, era meglio- intraprendere una
revisione teorica che forse non avrebbe interessato subito le masse : che
sarebbe forse stata derisa dagli stessi socialisti teorici — ma che si sarebbe
imposta all’ attenzione ed al rispetto degli avversari più equanimi e colti. La
cosa non era difficile, poiché i socialisti medesimi non contavano neppure
delle cime di scienza e di genio : del resto, tutta la cultura italiana subiva,
in quel tempo, un periodo di sosta. Rimanere come scoglia in mezzo alla
corrente : ed appena — come fatalmente doveva giungere — la corrente fosse
stata risospinta dai tempi e dalle condizioni che mutavano, risorgere armati .
di pensiero e di audacia, per combattere la lotta decisiva.
Se gli
anarchici fossero stati capaci d’un
simile compito, è probabile che la frazione sindacalista non avrebbe avuto
tanta fortuna. Fortuna meritata, peraltro, ed è stolto 1’ atteggiamento
settario di certi anarchici organizzatori, i quali, dopo essersi illusi
d’impadronirsi del sindacalismo, gli rimproverano oggi di.... non essere
anarchico e di aver fatto loro una micidiale concorrenza. I partiti trionfano
per quel che valgono — quando non intervengono cause esterne, come la
reazione, a turbare 1’ esito della battaglia.
Gli anarchici mancarono di uomini, specie
di uomini critici. Mentre Marx fu esaminato in sensi e con intendimenti
diversi, ed ebbe almeno quattro critici competenti
—
Bernstein,
Merlino, Sorel e Labriola;— i teorici del- 1’ anarchismo furono volgarizzati
soltanto, volgarizzati sempre, con una monotonia desolante. L’unico che ebbe
qualche genialità rinnovatrice fu il Malatesta — che sarebbe un po’ il
Bernstein deli’ anarchismo — ma la sua opera rimase limitatissima per la stessa
ritirata dell’ uomo dalla lotta. La sua critica cadde presto in mano ai
seguaci,
i
quali non
ebbero altra fretta che di volgarizzarla. Le discussioni che avvennero qua e là
sui giornali non andarono mai oltre il problema tattico dell’ organizzazione o
la questione della coerenza ; — dispute paragonabili a quelle sulla
.transigenza o l’intransigenza, fra i socialisti. Mancò la revisione delle
stesse basi della teoria, per armonizzarle coi tempi che mutavano : mancò
sopratutto 1’ uomo esperto in economia, dopo il ritiro del Merlino e del
Covelli. Quando Ettore Zocoli (15) diceva che gli anarchici
accettano come indiscutibile la critica economica fatta dai socialisti, e vi
aggiungono appena la critica politica — non constatava che un’ altra dolorosa
verità. E dire che tutto quanto è caduto in Proudhon ed in Marx, è precisamente
la parte che riguarda 1’ economia !
Vi è di più. Nel campo anarchico, non solo
non vi furono rinnovamenti, ma si manifestò una volontà misoneista e
retrograda, contro qualunque discussione, che andasse fuori dei dettagli
tattici ed insignificanti. Chi scrive conosce diversi giovani intelligenti che
si ritirarono tristemente sfiduciati dopo aver constatato che tutto quanto
usciva dalla falsariga generica, finiva
inesorabilmente nel cestino. Unici rimasti alla lotta furono i componenti del
gruppetto novatoriano formatosi attorno ad un giornale (Il Novatore)
sorto in Roma nel 1906 collo scopo precipuo d’imporre un’ ampia revisione d’
idee. Ma il gruppo, composto quasi esclusivamente di operai autodidatti — (due
tipografi, un legatore, un pittore, un ferroviere e un viaggiatore di
commercio) — si urtò presto contro la pedanteria dei semi-intellettuali piccolo-borghesi,
incapaci di comprendere che dei semplici operai possano pensare col loro
cervello, senza per questo invidiare meschinamente le poco invidiabili
posizioni dei semi-intellettuali. Urtò contro la servilità della massa dei
compagni operai che, oltre alla resistenza verso ogni novità richiedente uno
sforzo per essere compresa, è istintivamente attratta ad idolatrare i
fuorusciti della borghesia, anche se ne sono gli scarti più miserevoli, che si
degnano d’ occuparsi dei proletari. Urtò contro la resistenza interessata dei
dirigenti, per molti dei quali la questione d’idee si confonde con una
questione di pane, e che risposero ai problemi teorici con attacchi personali,
cercando di demolire i ragionatori per risparmiare i ragionamenti. Urtò infine
contro la mancanza di basi finanziarie che non potevano essere costituite
nemmeno coi sacrifici individuali, e che rese impossibile un’ opera tenace e
continua. Oggi, il gruppetto è in gran parte sbandato dalla sfiducia in una
lotta impari,
—
cui risultati
sperabili sono abbastanza minimi, dato 1’ ambiente in cui si combatte ; e
dalla coscienza della quasi impossibilità di far rimontare ai gregari d’un
partito delle abitudini di spirito fossilizzatesi durante vent’anni. Tant’è
vero che persino l’individualismo affacciato sul giornale suddetto, più che
altro come strumento di reazione al riformismo societarista ed umanitario,
diventò presto una chiesuola con nuovi seguaci e nuova bibbia, e ciò prima che
una solida elaborazione di pensiero su problemi diversi, permettesse di
fondare veramente una nuova scuola.
Nulla, ad ogni modo, caratterizza meglio
il movimento anarchico che tale pretesa di gregari i quali, non volendo
discutere, vorrebbero obbligare gli altri al silenzio. Gli uomini
rappresentativi appoggiarono, coscientemente o
no, tale spirito settario, sia in modo diretto,
sia favorendo le idolatrie. In tal modo si giunse a formare attorno a Pietro
Gori una fama di maestro, mentr’ egli non era stato che un abbellitore ed un
poeta : la poesia serve a coprire di fiori il tronco teorico, ma può essere
nociva quando il tronco non è ancora formato (1B). Su certi giornali
si giunse a scrivere che « le nostre idee sono ancor quelle affermate dai
nostri compagni trentadue anni or sono » (17) dimenticando che in
trentadue anni il mondo muta, e che il riesumare le antichità senza rinverdirle
serve soltanto per risparmiare al pubblico di andarle a cercare nelle
biblioteche e nei musei. Luigi Fabbri, ad esempio, rispondendo al citato brano
in cui F. S. Merlino constatava F agonia dell’ anarchismo, dichiarava
candidamente che il programma d’ un partito non ha bisogno di evolvere (l8).
Però, siccome l’evoluzione preme egualmente da ogni parte, così assieme alle
raffazzonature della propaganda spicciola, si notano talvolta delle incertezze
e delle contradizioni flagranti nelle pagine d’ un medesimo autore (l9).
Luigi Fabbri, da me criticato un giorno per un fatto simile, dichiarava con un
candore ancora più candido, di cambiare « la forma e 1’ intonazione » — (in
realtà si trattava di concetti) — « a seconda del punto di vista da cui
ciascuna questione era considerata, e
dello scopo polemico che si prefiggeva » (ao). Naturalmente, quando
chi passa per esponente d’ un movimento è obbligato a ricorrere ad espedienti
simili, le teorie mancano di serietà.
Ed il fenomeno non è singolo : è comune a
tutta la minoranza d’intellettuali la quale guida veramente il partito, e
dovrebbe sentire la responsabilità e il dovere di evolverlo, ed invece si
attacca, come ostrica allo scoglio, alle formulette pseudo-tradizionali per
mantenere la propria posizione.
La quale
minoranza è lo specchio fedele d’ un movimento che ha negato le contese
teoriche colla scusa del- 1’ azione, e poi ha trascurato anche questa, in modo
da ridursi ad una quantitc négligeable come azione e come pensiero. (21)
E compito doveroso il dichiararlo per guardare in faccia la realtà e fare i
conti con essa. Il lettore non dovrà quindi stupirsi se in questo libro troverà
la critica, non .già freddamente teorica degli autori più noti — (Bakunin,
Stirner, Proudhon, Kropotkin : lavoro che riservo ad altro momento) — ma
passionata a ciò che è realmente 1’ anarchismo corrente fra le masse, e quindi
a quella parte teorica dei detti autori che è più comunemente accettata. Non è
colpa mia se le citazioni documentarie dovranno essere abbondanti per provare
le affermazioni fra le incertezze del bagaglio teorico libertario ; è un deliberato
proposito, invece, il mantenere la discussione, quanto più possibile, in un
terreno sociologico ed economico, molto più interessante per i sovversivi che
la pura filosofia.
In ogni caso, il presente è un libro di
buona fede : e nessuno avrà ragione di adontarsene, come chi scrive non è mosso
da ri sentimento verso nessuno. E ni’ auguro che da questa disamina sincera 1’
anarchismo possa sollevarsi ed epurarsi, abbandonando le scorie che lo trattengono
e lo impurano, per imporre quanto ha di sano e di vitale alla società, e darlo
alla storia come una corrente immortale di energia e di pensiero.
[1]
La crisi del partito anarchico, articolo pubblicato da Luigi Fabbri
nell’ Almanacco Libertario 1910, presso L’ Al-lecinza Libertaria,
Roma. — L’argomento di Luigi Fabbri ha però ricevuto in questi ultimi tempi una
indiscutibile smentita. Le classi dirigenti dimostrano oggi una grande
vitalità, impossibile se fossero già in completa decadenza, e che ricaccia i
sovversivi al compito della dottrina e della preparazione morale, (1913).
(2) Vedi serie di articoli
comparsi nell’.Era Nuova di Paterson N. J., Stati Uniti, nel 1910. Essi
furono poscia raccolti in un volumetto a cura della rivista Novatore di
New-York, 1910.
(s) Soltanto a Bologna, e da
non molto tempo, grazie un po’ alla capacità pratica di Borghi e molto al
valore di militante della Rygier, gli anarchici sono riusciti ad esercitare
una certa influenza sulla massa operaia e la cittadinanza in generale.
Credo però che la Rygier nel movimento
anarchico rappresenti l’eccezione che
conferma la regola, ed ho 1’ amara convinzione che, nonostante i suoi sacrifici
ammirevoli, i risultati da essa ottenuti non vadano oltre l’influenza della sua
persona. (1913).
(4) Pensiero,
16 Luglio 1907.
(6) « ...Tale guerra aveva ottenuto un ben altro effetto :
quello di paralizzare per trent’ anni la Francia... La necessità in cui si
trovò la nazione francese di pensare anzitutto a preservare la sua esistenza
come nazione, il suo genio popolare, la sua influenza civilizzatrice,
paralizzava il pensiero rivoluzionario ». (P. Kropotkiu, Prefazione
all’edizione italiana delle Parole d’un Ribelle).
(9) Cfr. La
Grande Revolution di P. Kropntkin, nei primi dicci capitoli. Vedremo in
seguito come il K. faccia derivare dall’ azione popolare anche il genio
della rivoluzione.
(u) Per la sincerità, giova osservare che la divisione fra
organizzatori ed anti-organizzatori, avvenne più a riguardo del partito
anarchico progettato, che non riguardo ai sindacati operai. La divisione si
approfondi poi, in seguito a certi atteggiamenti dei primi riguardo alle
rivolte individuali. La prova più esplicita è in uno splendido opuscolo, Libertà,
di R. D’Angiò, pubblicato al Cairo nel 1902. Quanto ai sindacati operai, gli
organizzatori finirono per innamorarsene e diventare talora dei sindacalisti
riformisti nella pratica, mentre gli anti-organizzatori rifiutarono di
entrarvi, o di accettare cariche, negando loro un’ efficacia direttamente
rivoluzionaria. Però, se la critica fu fatta sovente all’ operato delle organizzazioni
economiche, la lotta di principio contro l’esistenza medesima di queste
ultime, non fa fatta mai, salvo rarissime eccezioni. Tale contegno fu tenuto
anche dai così detti novatoriani, che rappresentano 1’ ala estrema degli antiorganiz- zatori e
sono diventati una scuola a sè. Il tentativo di qualcuno, di distinguere gli
anarchici fra partigiani e avversari in principio dei sindacati, è dunque della
pura fumisterie. Tant’ è vero che la corrente novatoriana ha
recentemente trovato simpatie fra il sindacalismo teorico.
('-) Da ultimo sono arrivati al punto di far loro la spia, semplicemente,
nella Vita di Roma del 17-18 marzo 1912, senza che nessuno del campo da
cui lo spionaggio partiva abbia sentito il bisogno di chiedere la minima
spiegazione (1913).
(14) Riforme e
involuzione sociale, seconda ediz., pag. 79.
(15) Vedi : 1j Anarchia, Bocca, Torino. —
Introduzione.
(1S) Io lio sempre avuto la massima stima ed anche del- 1’
ammirazione per Gori. Però non posso esimermi dal dichiarare che la fama di
Gori potè ingrandirsi anche perchè era l’unico nomo di valore presentabile
dagli anarchici d’Italia, dopo l’allontanamento di altre persone di maggior
praticità o di mairgior cultura, come Errico Malatesta e Luigi Galleani.
(17) Vedi il primo numero dell’ Alleanza Libertaria, Roma,
1908.
(18) « Io credo che, per ciò che riguarda l’anarchia, le idee ne
sieno state sufficientemente sviluppate, e che non se ne possa aspettare gran
che di altro. Il programma d’ un partito non è una scienza ; dopo essere stato
riformato, riveduto, ritoccato, ampliato, ad un certo punto bisogna che rimanga
stazionario, se prima non riporta la vittoria ». Il che serve anche per
Confucio, Budda, Cristo, Lutero, Rousseau e Mazzini ! (Pensiero, 16
Luglio 1907, pag. 213).
(19) Vedi l’ultimo
numero delia rivista Novatore d’America, 1 Maggio 1911, nell’articolo «
Polemiche ».
—
Pensiero, 16 Giugno 1911, png. 175.
(21) Recentemente, indi’ Agitatore del 2 marzo 1913, Roberto D’ Ang- ò (che, fu uno dei
migliori propagandisti e critici dell’ambiente anarchico, quando ancora non s’
era piegato alla tranquilla certezza del pane quotidiano) confessava, forse in
un istante di nob:le resipiscenza, che « nell’ ora attuale, il
nostro movimento procede fiacco e indolente », sicché « pare che un fatalismo
pesi su di noi », e che 1’ anarchismo e gli anarchici divengano « per il
governo e per il pubblico, fenomeni e cose, trascurabili ». E proseguiva domandandosi
« perchè fra gli anarchici si contano oggi sulle, dita gl’intellettuali
ventenni » ed « i giovani intelligenti e colti ». Il motivo è semplicissimo :
perchè ai giovani si è sempre posto il dilemma di seguire in blocco le teorie e
persino i pregiudizi dei compagni senza discuterli, il che per una persona
intelligente è impossibile; o di trovarsi impigliati in una rete di piccinerie,
di diffamazioni e di boicottaggi, contro la quale diventava necessaria
l’offesa aperta, come unica possibile, difesa. Salvo poi far loro colpa perchè
rengivano, ed allontanarli come « arrivisti » perchè cercavano nella lotta 1’
unica soddisfazione di affermare le loro idee, e sia pure la propria
individualità intellettuale. Come si può rimpiangere se l’anarchismo italiano è
incapace di vivere e di assorbire nuovi elementi vitali, quando si nega la
fonte di ogni vita feconda, per conservare l’immobilità e, talvolta, le
posizioni acquisite del « mestiere » ? (1913).
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