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martedì, luglio 15, 2014

Libero Tancredi L'anarchismo contro l'anarchia Conclusioni




IV.
La tesi qui sostenuta non mancherà certamente di scandalizzare i compagni timorati pei quali 1’ Anarchia è il supremo Ideale degno d’ ammirazione e non di discus­sione. Però il sogno della società perfetta è frutto di due equivoci : 1’ uno pratico, di fatto ; I’ altro filosofico, di ragionamento. Il primo consiste nel credere che basti abo­lire 1’ autorità formale, per abolire l’autorità sociale ; cioè, che la scomparsa dello Stato, implichi la scomparsa d’ ogni potere di conservazione contro i progressi futuri. Niente affatto, perchè se l’organismo politico reagisce sulla società, tendendo a mantenerne lo spirito di obbedienza e di « ordine », in realtà esso organismo può sussistere in quanto rappresenta la volontà della maggioranza, come Torquemada era 1’ esponente genuino delle masse catto­liche medioevali. E’ appunto per questo che è vano impa­dronirsi deli’ autorità politica per compiere una rivolu­zione che le masse non intendono ancora ; inoltre, la vita contemporanea e passata, di tutti i luoghi e di tutti i ceti, ci rivela la resistenza accanita opposta da tutte le maggioranze alle novazioni politiche, economiche o scien­tifiche, anche se il potere organizzato non le ostacolava. E un dato della psicologia umana, immutabile, ed anche necessario per selezionare con una lotta le novazioni feconde da quelle spurie o inutili che soccombono: i par­titi odierni — compresi quelli sovversivi e l’anarchico — ci danno 1’ esempio come le folle amorfe, unite da una sola e sorda ostilità verso gli eretici, li possano oppri­mere sino all’infamia, senza neppure dar loro i mezzi di difendersi, e senza assumere quelle responsabilità pub­bliche a cui un governo non può sfuggire. Ed anche per quanto riguarda la libertà individuale nel senso più nor­male e comune della parola, sebbene sia sempre limi­tata, dall’ autorità politica, trova però nella stessa delimitazione del suo diritto una garanzia che sarebbe impos­sibile qualora, sotto pretesto di raggiungere 1’ assoluto, ogni individuo si trovasse in realtà a difenderla da solo contro la cattiva volontà e l’ostruzionismo, conscio od incoscio, di tutti gli altri.

L’ equivoco filosofico, più oscuro e generale, nasce dall’ illusione della mente umana — quando non è inca­tenata alla realtà e controllata dal dubbio e dall’ esame — di supporre che ogni tendenza debba o possa realizzarsi, e quindi di proiettare nell’ avvenire il piano di realizza­zione (I9). Nel corso del libro, abbiamo affermato che le tendenze sociali sono molteplici, onde quella che trionfa è sempre una risultante della sua lotta colle altre ; ma ora bisogna aggiungere che ciascuna di esse vale in quanto •è suffragata da una forza e da una volontà ; che le volontà umane variano, s’influenzano, si accumulano e si disten­dono: in modo che ogni tendenza rappresenta una curva im­prevedibile, e 1’ evoluzione generale è un complesso e la risultante sinuosa d’ una infinità di curve. All’ osservatore  superficiale, che non calcola l’incalcolabilità del loro svol­gersi reagente su se stesso e creante nuovi fattori, è facile scambiare questo cammino irregolare colla tangente che sfugge da un punto : allora, prolungandola, sino a che le conoscenze attuali possono percepirla, si cristallizza lontano in una visione statica, che non solo non è rag­giungibile, ma non è neppure una visione-limite a cui si tenda veramente. Di più, ponendosi in infiniti punti della curva, è facile dedurne infinite tangenti diverse : e tutte si cristallizzano in una utopia propria ; e tutte paiono vere, ed ogni partito proclama infallibile la sua, appunto perché sono tutte intimamente false. Si comprende che- più la visione è lontana, e più è fallace, perchè più è ali’infuori dal corso reale della storia; ma si comprende ancor meglio quanto sia grottesco volerne desumere delle norme per guidare la storia medesima, pretendendo che 1’ effetto non solo riassorba la causa, ma diventi a sua volta causa della causa (20).
La natura reazionaria dell’ utopismo si appalesa come un vizio fondamentale, e ricorda la dimostrazione data da Bergson circa l’identità dei meccanisti e dei finalisti : conservatori del presente e conservatori dell’ avvenire. Per i primi la materia — (in sociologia le masse) — è un qualche cosa d’inerte die si trasforma per virtù della scienza — (in sociologia lo Stato) — ; e sopratutto, 1’ evoluzione non è che lo svolgersi regolare, inevitabile, di forze e di caratteristiche già esistenti nel quadro attuale del mondo — (o della società) — che non si può spez­zare. Per i secondi, l’evoluzione è la realizzazione gra­duale d’ un piano prestabilito e scoperto da essi, a cui ci si avvicina sempre più, possibilmente con riforme ; giac­ché se il piano futuro fosse  radicalmente diverso dal mondo d’oggi, la realizzazione sarebbe un puro miracolo. Ma entrambi i concetti hanno in sè la tabe autoritaria e teistica, in quanto negano al mondo la possibilità di tra­sformarsi di continuo e di crearsi il proprio avvenire ; in quanto pongono un assoluto al principio o al fondo del- 1’ evoluzione : un assoluto da conservare, come una diga che sale dal basso o che discende dall’ alto. E gli uni e gli altri — conservatori ed utopisti — non si rendono conto dell’ assurdo fondamentale che si annida nel loro pensiero : poiché, se tutto esiste già come dato primor­diale, o come scopo prefisso, 1’ evoluzione non ha più bi­sogno nè mezzo di esistere : per i meccanisti, il futuro non è che la ripetizione del presente; per gli utopisti, il presente dev’ essere la copia anticipata del futuro. I primi applicano all’evoluzione ulteriore la constatazione di un momento ; i secondi costruiscono pur essi 1' avvenire coi materiali e spesso coll’ ignoranza del presente mo­mentaneo, e poi pretendono di fermare quest’ultimo, per ritorcerlo verso la loro costruzione.
Vi è qui un ennesimo esemplare del pensiero dog­matico religioso, il quale proietta nel cielo le aspirazioni interne dell’uomo, e poscia pretende asservire gli uomini agii Dei, dimenticando che gli Dei son creazioni sue. La psicologia non muta perchè si crede già realizzato il re­gno di Dio — come i conservatori — o ancor da venire dopo il giudizio universale, come gli anarchici ; i primi sono i cattolici politici d’ oggi ed i secondi sono gli ebrei. E come le religioni, nel loro periodo di formazione e di sviluppo, sono spesso le etichette a sentimenti e volontà ben più profonde e progressive ; ma si convertono poscia in costituzioni politiche e dogmatiche conservatrici quando dal sentimento passano al freddo intellettualismo teologi­co; — così pure l’anarchismo può avere due aspetti con­trari, secondo che si riferisce ad un’ utopia o ad un tem­peramento. Tutte le teorie hanno del resto un lato statico- positivo ed uno dinamico-negativo : repubblicanesimo può significare negazione della monarchia, o conservazione della repubblica ; socialismo può voler dire negazione del dominio capitalistico, o conservazione in anticipo del col­lettivismo o del  comunismo ; similmente, anarchismo può essere il relativo opposto dell’ anarchia. Cerchiamo di de­linearne i due significati, ed approfondiamone 1’ antitesi a mo’ di conclusione : noi renderemo ad un tempo una giu­stizia a noi, di fronte a coloro che ci accusano di « non avere programmi»; ed una giustizia agli avversari nostri, riconoscendo le profonde differenze che ci separano nel campo spirituale.
Per l’anarchico — l’aspirante all’anarchia - -il prin­cipale è l’anarchia medesima. Quest’ultima è una conce­zione trascendente, cioè 'superiore e padrona anche di chi vi crede ; il seguace ne è un propagatore, umile dinanzi al sogno, ed orgoglioso dinanzi agli altri uomini, a cui la buona novella non ha ancor illuminato lo spirito. Anzi, è tanta la sicurezza nella perfezione indiscutibile della sua Dea, eh’ egli non sente il bisogno di giustificarla teoricamente, e non trova affatto necessario lo studio dei problemi sociali. Il mondo è una «valle di lacrime», di cui è inutile ricercare le leggi ; un errore mostruoso perpe­tuatosi sino ad oggi — sinché non sono sorti gli anarchici a indicargli le vie della redenzione. Egli è l’annunziatore, 1’ eterno neofita anche se non sempre entusiasta, di fronte al quale tutti gli altri che non credono appaiono dei mal­vagi, od almeno dei perduti nell’errore ; se poi vi crede­vano e mutano le loro idee sinceramente, o meglio se rivelano una mentalità diversa dalla sua, egli li riterrà dei traditori. Perchè, secondo la sua logica, negata ogni volontà alle forze sociali che potrebbero anche non con­durre all’ anarchia, è ovvio che 1’ anarchia debba sorgere per capriccio esclusivo dei discepoli suoi. Quindi un senso di settarismo gretto e di servitù intellettuale verso i principali propagatori del sogno, che noi abbiamo criticato con pa­role amare, ma che è inevitabile, ed ha il suo lato no­bile nella sincerità e nei sacrifici che fa compiere — ai- mono dai compagni oscuri. Quindi, la gelosia accanita nel negare 1’ esistenza ad altre scuole teoriche che non abbiano un sogno anch’ esse ; quindi la sensibilità esage­rata allorché si parla di esso con irriverenza. Quindi infine l’illusione che la rivoluzione redentrice possa av­venire domani, senza riguardo a condizioni storiche e psi­cologiche delle masse, ritenute capaci di insorgere per un po’ di propaganda ideale, o per una sana direzione. L’ele­mento intellettualistico prende un’ importanza fantastica a danno di quello morale-sentimentale ; dal che poi deriva la coerenza rigida e formale, consistente nella continua preoccupazione di non dire o non fare cosa, o non oc­cuparsi di cosa non attinente all’anarchia. Ma in questo modo, egli non sfugge alle trappole della gradualità ri­formistica, come quando è tratto ad approvare misure o avvenimenti che rassomigliano nei connotati esterni al- I’ utopia ; e che invece possono in pratica allontanarla, consolidando la società attuale. Il ponte reale di passag­gio fra il presente e 1’ avvenire gli sfugge, perchè dessi sono per lui due cose nettamente separate, quasi che l’oggi non fosse il futuro di ieri, e il domani dell’ oggi. Anzi, la sua mentalità statica, trasportandosi dal sogno alla realtà, concepirà la società odierna come un tutto immo­bile : ed in omaggio alla « coerenza » gli farà mantenere un giudizio che da un secolo è diventato falso. L’ anar­chismo diventa così un partito come gli altri, che ebbe un principio ed ha un fine : lo sviluppo, 1’ azione, la rivolu­zione stessa, non sono che dei subordinati onde passare dal primo al secondo. E’ una filosofìa societaria, intesa a speculare sulle forme esterne della società e non sul loro contenuto e sul loro trasformarsi ; una filosofia idillica, di pace, di abbandono e di debolezza, inetta a compren­dere le tragedie, gli eroismi, la fecondità dello sforzo e della violenza. La convinzione è perciò fornita dall’ entu­siasmo che sfiorisce cogli anni : giacché il suo motivo non ò interno, di temperamento e di cultura, ma esterno, di speranza sconfinata nelle masse e nella concordia dei compagni. Quando la fiducia negli altri si affievolisce, la convinzione rivoluzionaria precipita : ed il disastro morale che ne segue, fa trovare una scusante alla propria diser­zione nell’ inerzia altrui. E peggio avviene quando la diserzione, tacita od espressa, è impedita dalla conve­nienza o dal puntiglio : perchè allora si propaga in mala fede quello a cui non si crede più, e si muta in mestiere la propaganda, e il senso morale si deforma, trovando un alibi al suo abbassamento nell’ altezza irraggiungibile dell’ ideale (2L).Per 1’ anarchista, invece — il milite consapevole del- l’anarchismo — questo è una realtà immanente che esiste già oggi, che è sempre esistita ed esisterà sempre, prima e dopo che i ribelli la possano o vogliano teorizzare. E’ la corrente opposta a quella conservatrice, che completa 1’ antitesi dialettica della storia umana : è 1’ eterna sete di progresso, di libertà, di novità che ha spinto 1’ uomo ad elevarsi, e che urtando contro le resistenze opposte da tutti i regimi, si è sublimata nella coscienza succes­siva di diritti superiori e negli sforzi di ribellione. È il fenomeno umano per eccellenza, nato coll’uomo in aggiunta a quello conservativo che 1’ uomo ereditò dalle sue origini animali ; il fenomeno eccessivo, unilaterale per neutraliz­zare P eccessività ed unilateralità di quello opposto : e che trovando in quest’ ultimo un freno che permetteva le epoche di raccoglimento, ha però maturato in esse le nuove spinte negatrici e rivoluzionarie, impedendo che le società umane si cristallizzassero nell’immobilità asso­luta. E’ la leva e lo spirito medesimo del movimento : è il flusso eterno del sovversivismo che eternamente si rin­nova in nuovi malcontenti, che trova nell’ autorità e nella conservazione il motivo continuo a reagire, tanto che i sovversivismi trionfati non furono che sue ricadute par­ziali. Rami maturatisi nel tronco e staccatisi da esso per produrre foglie sino all’esaurimento, mentre il tronco, su­perbo, saliva.
L’anarchismo non è quindi una determinata rivolta, ma la rivolta nel senso più generale ed etico del ter­mine ; tutte le ribellioni passate e future, tutti gl’ ideali nel loro senso dinamico furono e saranno manifestazioni sue. Esso comprende 1’ ateismo, in quanto significa libe­razione dal dogma divino senza sostituirlo con un altro scientifico od umanista : ma comprende pure la rivolta religiosa d’una stirpe contro l’imposizione religiosa da parte di un’altra ; come la ribellione nazionale d’un popolo contro lo straniero ; come oggi la ribellione di classe contro il privilegio capitalistico ; come infine la lotta del singolo per affermare la propria individualità contro il partito, contro il gruppo, contro la società intera. Filo­sofìa storica, e non sociale, esso non è un partito od un ideale che faccia parte di quello socialista, secondo vogliono i suoi riduttori ai minimi termini ; ma riassume in sè il nazionalismo, il socialismo, l’individualismo, in quanto hanno di rivoluzionario, dichiarandosi loro nemico assoluto in quanto hanno di conservatore. Non rinnega neppure dominatori che s’impongono ai soggetti e li guidano ad un rivolgimento destinato a rinnovare il mondo e rom­perne la scorza refrattaria o spezzare una situazione im­mobile, quando i soggetti non sarebbero capaci a farlo da se stessi; salvo plaudire ai dominati appena sanno rove­sciare il dominatore e compiere 1’ opera senza di lui. Però, mentre si materia, essenzialmente, nelle classi e nei po­poli e negl’ individui oppressi, non ha nessun riguardo per le oppressioni lietamente subite o mascherate di viltà, e nemmeno per le etichette : in un cattolico in rivolta contro la propria chiosa troverà un suo campione più genuino che in un anarchico settario ; come nella guerra di Manciùria ridestante 1’ Asia, vide più grandiosità di rinnovamento che nell’ alleanza collo Stato del proletariato austriaco per impedire il progresso borghese.
Le società non sono che dei compromessi fra le ragioni economico-storiche del loro avvento, mutate; in elementi di conservazione, e le nuove spinte rivoluzionarie che le generano col tempo. All’ inizio d’un regime, la forza conservatrice politica è massima e 1’ anarchismo minimo ; esso si esplica peraltro nella febbre della nuova economia, la quale, seminando i contrasti, provoca ben presto una caduta della conservazione ed un elevarsi della forza rivo­luzionaria. Il loro incrocio coincide colla stasi ; e quando il rinnovamento nell’ economia non è più possibile colle in­venzioni, le nuove industrie o l’espansione esterna; allora fra molte oscillazioni, la negazione politica supera la con­servazione, e la società si avvia verso lo sfacelo. Ciò per­chè tutte le società conservano, qualunque sia la loro natura, dovendo ben avere una base fondamentale, un principio informatore; perciò anche qualora l’anarchia si costruisse, troverebbe ancora nell’anarchismo il suo nemico implacabile. Negare questo fatto, equivale ad asserire che l’anarchismo sarebbe morto per sempre, e con esso, il divenire del mondo (22).
L’impotenza e le incertezze degli anarchici - (da cui escono solo quando si gettano risolutamente nei moti ri­voluzionari, facendo opera benefica perchè negativa) - de­rivano tutte dalla pretesa di conciliare l’inconciliabile, di essere il tronco ed identificarsi con un ramo unico, di risolvere in se stessi l’antitesi millenare delle tendenze storiche, la cui risoluzione è opera continua, provvisoria e indefinita del tempo. Da una parte vogliono essere dei costruttori di società, e quindi debbono per forza limitare la negazione in nome della pratica e della prudenza, per dimostrare ai conservatori ed ai socialisti che anche 1’ anar­chia è possibile ; d’ altra parte poi, ricordandosi di essere dei negatori, riducono la loro « società anarchica » a delle basi così fragili e minime, che non possono assicurarle una vita alcuna. Essi dimenticano che il riconoscere ad un tempo le necessità e le volontà può servire come ela­borazione teorica per comprendere il mondo e la nostra funzione in esso : ma che scendendo nella vita reale e mi­litante, bisogna assolutamente scegliere. 0 impersonare le seconde, ed avere la coscienza d’individui superiori che tutto sottopongono al loro giudizio, alla loro negazione ed alla loro critica, anche l’ideale e il programma del proprio partito, anche le autorità ed i pregiudizi nuovi che sor­gono in contrapposto a quelli esistenti ; o impersonare le prime, ed allora ammettere, se non le autorità borghesi, almeno quelle proletarie, e limitare la critica, la nega­zione e la rivolta in nome delle masse, dei loro interessi, delle loro illusioni, dei loro fini, dei loro idoli e - talvolta - dei loro applausi (23).
Invece l’anarchismo, lungi dal subordinare la rivolta e la violenza ad un fine prestabilito, è tutto in questa violenza ed in questa rivolta. Anzi, osservando la storia come un divenire continuo, 11011 ne concepisce lo sviluppo che attraverso di esse, e la loro reazione alle forze conser­vative. Perciò, esso ha la coscienza della continuità storica e della contingenza, per cui sovente il male dev’essere esagerato affinché  ne scaturisca il bene ; per cui le classi dominanti hanno il diritto e il dovere di compiere la loro missione storica prima di decadere definitivamente ; per cui le classi dominate hanno il diritto e il dovere di rivol­tarsi, oppure di obbedire se 11011 sanno rivoltarsi: giacché non si ha il diritto di legare le mani agli altri sotto il pretesto di 11011 saper agire per proprio conto. Esso con­cepisce l’umanità — e forse, oltre l’umanità, la natura e 1’ universo — come il frutto e lo strumento d’una lotta incessante nel senso più sublime del termine ; lotta di contrasti nella quale le volontà e gli equilibri si affinano ; nella quale il dovere di parteciparvi si presenta come una ne­cessità intuitiva e conscia per non rimanere imbellemente trascinati e passivi. E laddove i sognatori orgogliosi di arcadie irraggiungibili coprono di disprezzo le vittime innumeri d’ideali sorpassati che concimarono il terreno sul quale i sognatori vivono oggi, l’anarchismo sente verso di essi la profonda e commossa riconoscenza dovuta alle pietre miliari del proprio cammino.
V.
In fondo al contrasto fra le due concezioni dell’anar-
hia e dell’ anarchismo, vi è del resto la prova dell’ eterna realtà del secondo e della fallacia temporanea della prima. Dietro le loro stesse e rispettive caratteristiche di trascen­denza e d’immanenza, di filosofia statico-societaria e storico­dinamica, s’intravvede 1’ eterna guerra fra l'illuminismo ed il volontarismo ; il sogno e la critica ; l’ottimismo che s’illude di mutare il mondo per virtù di un desiderio, e il pessimismo che ne comprende le necessità dolorose, rimovibili solo con sforzi giganteschi ; 1’ assoluto chimerico ed il relativismo umano ; la psicologia cristiana aspirante alla pace ed accettante la guerra come un male inevita­bile e spietato per arrivarci, ed il,neo paganesimo che trova la vita e l’elevamento e la bellezza nella battaglia ; la ricerca affannosa e paurosa dei limiti, e lo slancio verso l’infinito. Contrasto perenne, verificatosi in ogni epoca, alla base ancora del quale si riscontra l’antitesi fra idea­lismo e realismo che abbiamo prospettato all’ inizio di quest’ opera. Poiché il lettore, il quale conosce la nostra avversione per le entità astratte, avrà compreso perfetta­mente come il nostro termine di « anarchismo » fosse 1’ espressione figurata di quelli che si potrebbero chiamare gli anarchisti di tutti i tempi, magari inconsci di esserlo, e prima che la parola fogse coniata. Noi abbiamo già avvertito del resto come le formazioni collettive — classe, nazione, stirpe — in quanto rappresentano forze volitive e psicologiche, si riducono poi sempre al dato individuale, od alla concomitanza di tanti dati individuali ; — il quale richiamo ci serve ora per delineare i fondamenti morali della rivolta, e separarla dalla delinquenza.
Ogni grande movimento storico, artistico o scientifi­co, prima di commuovere le maggioranze che lo fecero trionfare : persino avanti che l’evoluzione ne permet­tesse il rapido propagarsi e tanto meno la vittoria, si è annunziato nelle minoranze di avanguardia che lo hanno intuito e previsto ; che, senza fabbricarlo (perchè inutile ed impossibile), hanno diffuso la coscienza e la certezza del suo approssimarsi, lottando ad un tempo contro gli oppressori e gli oppressi, per screditare i primi e sospin­gere i secondi. E ancora prima della minoranza è spesso esistito r individuo singolo, che non era avulso dal suo


tempo come le oche societarie pretendono, ma la cui sensi­bilità squisita e 1’ osservazione acuta permetteva di ana­lizzare il presente e distinguervi le tendenze che appena vi spuntavano, quasi sempre per reazione. Ed era il no­vatore del pensiero che calpestava i pregiudizi e gl’iddii celesti ; o il ribelle che abbatteva le deità terrene, pur sapendo di non abbatterle materialmente e per sempre ;
o  il genio che rinnovava 1’ arte contro i pedanti ; o l’in­ventore e lo scienziato che capovolgevano le superstrutture filosofiche della loro scienza. E tutti questi singoli — gli anarchisti — queste minoranze hanno costituito un’ aristocrazia che si rinnovava e si rinnova di continuo ; un’ aristocrazia che lottava contro tutto e contro tutti, che soccombeva spesso, ma che, soccombendo, dominava. Essa imponeva i nuovi problemi, i nuovi sacrilegi, le innova­zioni ardite, a cui il mondo, dopo anni o dopo secoli, s’inchinava, consacrando così il loro postumo trionfo, non importa se la vendetta si perpetuava nell’ oblio. Invero, pochissimi novatori assistettero alla vittoria della propria novazione. Da un punto di vista di gretto egoismo indi­viduale, i ribelli ed i geni hanno sovente prodigato se stessi senza ottenere nulla, e senza neppure cercare uno scopo tangibile od immediato per sè o per gli altri : onde la gente posata — conservatrice o sovversiva — nel migliore dei casi, si è sempre accontentata di sorridere e di com­piangerli.
Gli è che la ragione del loro agire, del loro sacri­ficio — sublime perchè non sapeva di essere tale e non chiedeva neppur il premio ed il riconoscimento — e del loro ulteriore trionfo, consisteva nella forza morale che animava tutta questa gente — qualunque fosse la sua novazione. Meglio, la seconda era l’etichetta e lo strumento della prima ; — giacché coloro che un giorno palpitarono per la rivolta nazionale, palpiterebbero oggi per un’ altra e diversa rivolta ; giacché essi si apprezzano e si amano, pur quando lottano in due campi avversi, per la ragione che solo chi ha una fede apprezza la fede altrui. Giudicarli alla stregua dei risultati pratici è volere non comprenderli ; tant’ è vero eh’ essi sorgono proprio nei momenti di generale viltà, quando la loro affermazione disperata ha soltanto un valore di liberazione e d’insegnamento morale. Ed appunto perciò, essi hanno sempre accettato e vantato la responsabilità dei loro atti, nei quali la loro coscienza bastava a sorreggerli ; — ed il loro      caso fu sempre    tragico,  moralmente o      material­mente,    rappresentando   il cozzo               ineluttabile fra     una resi­stenza collettiva ed un fato individuale.
Ma la loro intima tragedia li separa pure dalla delin­quenza — il regresso
       — come              li separa dalla                 conserva­zione.         
Infatti, tutto ciò che                  determina il substratum
psicologico e politico della società, è intellettualismo freddo e calcolatore ammantato di prudenza per nascondere la vigliaccheria : calcolo per architettare il regime futuro ; calcolo per difendere quello attuale ; calcolo per compiere impunentemente il proprio delitto. Criminali, giudici, statisi, riformatori, tutti sono uomini « illuminati » o desiderosi d’illuminarsi, cioè abdicanti la loro personalità e frenanti il loro slancio, non per una libera volontà di riserbarlo ad uno scopo più grandioso, ma per rasse­gnazione implicita o per convenienza : ragionatori avvezzi al ragionamento fossilizzato, il loro pensiero è la loro maschera di menzogne. Il ribelle soltanto è 1’ uomo com­pleto, che sente e che pensa, che calcola e che vuole ; strumento di se medesimo e potenziato di tutte le sue forze, le quali gli permettono di vincere sempre, pur quando la coalizione sociale sembra vincere su di lui. La resi­stenza enorme eh’ egli deve superare gl’ insegnano il do­minio ed il superamento di se stesso ; lo forzano a stu­diare e comprendere 1’ ambiente contro cui vuole dirigere
i     suoi colpi ; lo corazzano contro le disillusioni. Egli ap­prende così — attraverso l’esperienza amara, se caso non ne è certo già prima — a cercare la libertà pur sapendo che non sarà mai completa ; a correre dietro la perfezione maggiore, pur sapendo che la perfezione as­soluta è una chimera ; a negare gli dei e i governi, pur sapendo che dessi non scompariranno mai : perchè gli dei, e le leggi, e la sete di perfezione, e il desiderio sconfinato di libertà egli li ha rubati e imprigionati in lui, in un santuario di egoismo eroico che nessuna forza esterna potrà mai intaccare.
L’ anarchismo non è altro che la rivolta istintiva della coscienza umana contro qualsiasi coartazione od offesa giungente dall’ esterno, da un despota isolato e dalla mag­gioranza d’ un gregge, che la menomi nella sua indipen­denza e nel suo valore. Non esclude perciò nè l’accordo, nè la disciplina volontaria, e nemmeno la rinunzia, tem­poranea o suprema, accettata liberamente per un fine li­beramente scelto, a cui tenda, per un impulso di volere interno, la coscienza individuale. Appartiene dunque al do­minio morale, non nel senso di essere una teoria morali­stica propagabile, ma in quello di risiedere nelle regioni oscure del sentimento e dell’ istinto in cui l’individualità si caratterizza e si differenzia. E siccome questo dato esiste in fondo ad ogni persona, così 1’ anarchismo accomuna tutti gli uomini nel fatto di possedere ciascuno qualche cosa di diverso e d’incancellabile come individuo, come appartenente ad una classe, ad razza, ad una cultura. Ma laddove la gran parte degli uomini è ignara di quel fondo personale, perchè troppo debole per sentirlo, o lo sente solo dietro un’ oppressione diretta, acuta o prolungata, generante nel tempo le rivolte collettive di coloro che vi sono sottoposti ; — gl’ individui più sensibili lo avver­tono in ogni occasione e in ogni momento, e ne compren­dono la responsabilità e l’orgoglio, come del sorgere e del- 1’ annunziarsi consapevole d’ un valore etico superiore (24).
L’ anarchismo è la successione ed il complesso infinito di questi individui e di queste minoranze, donde nelle epoche rivoluzionarie si spande, più largo e meno inten­so, frale collettivi tà sovversive; poi, dopo il loro momen­taneo trionfo ritorna, oscuro e indistruttibile, in altri indi­vidui, in altre minoranze che per il loro temperamento son degne di ereditarne la missione. Ma esso diviene e di­verrà sempre contro tutto ciò che vuole e vorrà essere; rifiuta ogni regime stabilito: la prigione d’oggi, della terra angusta in cui la « gente pratica » s’illude di soffocarlo, e quella più arcadica di domani, fra le stelle della ma­gnifica - ma solida, ahimè ! - volta di Atlante in cui gii astrologhi della « sociologia anarchica » sperano di po­terlo contenere. Oggi, e da secoli, il cielo è riconosciuto come un’ illusione ottica, più bella e più cara per F in­vito e il nessun limite al nostro volo verso 1’ alto : e in tale certezza si è riconciliata con noi. Così pure l’anar­chismo può riconciliarsi coll’ anarchia, solo a patto che questa diventi un mito, privo (l'inutile contenuto positivo: il mito supremo della negazione d’ogni dominio dell’uomo sull’uomo; un lembo d’infinito che il genere umano non raggiungerà mai, ma verso il quale, fra impeti e soste, fra gioie e dolori, selezionandosi e lottando contro la na­tura e contro se stesso, di vetta in vetta, salirà sempre.
L’ anarchismo è questo, o non è. E la lotta contro 1’ umanità perchè 1’umanità si elevi ; è lo sforzo di aprire F anima al mondo per comprenderlo e immedesimarlo con noi, e sospingerlo, o almeno contribuire a sospingerlo come vogliamo noi. E’ la partecipazione sincera, commossa e volitiva al grande dramma della vita storica e universale, di cui siamo figli, e di cui vogliamo anch’essere i genitori. E il sacrilegio responsabile e irriverente, tante volte maledetto, sempre incompreso, e sempre vittorioso; più sublime ed immortale di qualsiasi divinità, e che si perpetua nei secoli colla forza etica e indomabile d’una volontà e d’un credo.
Ed io — credo.












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