Antisemitismo e nazionalsocialismo
Autore:
Traduzione di:
Irene Battaglia e Fabrizio Bernardi
La pubblicazione del testo di Moishe Postone che qui presentiamo – fin'ora inedito in Italia – rappresenta per molti aspetti un «evento». Quando gli annunciammo il nostro progetto, Postone trattenne a stento un moto di sollievo: dopo quelle in francese, tedesco, spagnolo, portoghese, giapponese e cinese, finalmente una traduzione per il pubblico italiano! Purtroppo la critica che si alimenta alla fonte del pensiero di Marx – e soprattutto quella di matrice anglosassone – stenta a trovare spazio nell'editoria italiana, malgrado o forse proprio in ragione della sua marca fortemente accademica. Ad ogni modo è un peccato, perché i materiali sono di alto livello e il dibattito è vivace.
Per introdurre il testo di Postone, in primo luogo non si potrà evitare di citare il suo lavoro più importante: Time, Labor and Social Domination (Cambridge University Press, 1993); opera mastodontica che propone una particolare interpretazione del testo marxiano, sviluppata a partire da una comprensione del capitale come «dominazione astratta» e «soggetto automatico», e dall'individuazione della «coppia» valore d'uso/valore di scambio come (auto)contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico. Ai lettori più avvertiti, non sfuggirà la prossimità con le posizioni della cosiddetta Wertkritik (critica del valore) di derivazione mitteleuropea, e dunque con i suoi principali esponenti, Robert Kurz e Anselm Jappe: in estrema sintesi, l'affinità elettiva, se così si può dire, che congiunge idealmente questi diversi indirizzi critici, è il fatto di aver dato preminenza, nell'analisi, al funzionamento e alle interrelazioni delle categorie capitalistiche – valore d'uso e valore di scambio, lavoro concreto e lavoro astratto etc. – piuttosto che alla personificazione di tali categorie nei rapporti fra classi e gruppi sociali.
Ciò emergerà chiaramente alla lettura di questo breve saggio di Postone, incentrato sul tema specifico dell'antisemitismo. Infatti, più che sulla storia della persecuzione e del genocidio, in quanto susseguirsi più o meno aneddotico di eventi, Postone si concentra su quei fenomeni di feticizzazione che considera assolutamente strutturali nel contesto del funzionamento del modo di produzione capitalistico in quanto formazione sociale. Già lo stesso Marx, alla fine del III libro de Il Capitale, aveva messo in luce un particolare fenomeno di reificazione dei rapporti sociali capitalistici, che aveva posto sotto in nome di Formula Trinitaria; i vari elementi del processo di produzione – la terra, il lavoro, i mezzi di produzione – che in realtà formano un tutto inestricabile, cementato dall'estrazione di plusvalore, sembrano poter costituire ciascuno una fonte di reddito autonoma, personificata in una categoria sociale: «Capitale-profitto (guadagno d’imprenditore più interesse), terra-rendita fondiaria, lavoro-salario, questa è la formula trinitaria che abbraccia tutti i misteri del processo di produzione sociale. Inoltre, poiché l’interesse, come abbiamo precedentemente messo in rilievo, appare come il prodotto proprio, caratteristico del capitale e il guadagno d’imprenditore, in contrapposizione ad esso, appare come salario indipendente dal capitale, questa formula trinitaria si riduce più precisamente alla seguente: capitale-interesse, terra-rendita fondiaria, lavoro-salario, nella quale il profitto, la forma del plusvalore che caratterizza specificamente il modo di produzione capitalistico, è felicemente eliminato. [...] Capitale, terra, lavoro! Ma il capitale non è una cosa, bensì un determinato rapporto di produzione sociale, appartenente ad una determinata formazione storica della società»(1). È qui che Postone si riallaccia a Marx, aggiungendo un ulteriore strato analitico; mostrando, cioè, come la medesima reificazione dei rapporti sociali, agisca laddove si pretende contrapporre la dimensione concreta e materiale del modo di produzione a quella astratta, prendendo inevitabilmente partito per la prima; secondo Postone, da ciò deriva l'identificazione, nella sfera della rappresentazione immediata, del capitale produttivo di interesse (la finanza) alla figura dell'ebreo. Un identificazione che è, per Postone, consustanziale a questa stessa presa di partito.
Di primo acchito, si potrebbe rimproverare a Postone una certa diserzione dal piano propriamente storico. È vero, ma solo in parte. Elemento essenziale, ma forse un po' sottotraccia, nell'analisi di Postone, è l'aver situato la persecuzione anti-ebraica in una congiuntura storica, economica e sociale ben precisa: quella della fase di transizione dal capitalismo concorrenziale a quello organizzato, ovvero – in termini più propriamente marxiani – nell'istante del passaggio dalla sussunzione formale alla sussunzione reale del lavoro al capitale (2). Forme particolarmente brutali di questo passaggio, in Stati-nazione di recente formazione, scombussolati da aspri conflitti sociali, con problemi di unificazione nazionale, di assorbimento delle comunità intermedie etc., fascismo e nazionalsocialismo non furono però, dal punto di vista della politica economica, affatto dissimili da ciò che si andava realizzando altrove in Europa e negli Stati Uniti. Non solo, come rilevarono tra gli altri Karl Korsch (3) e più tardi Alfred Sohn-Rethel (4), la politica economica nazista non differiva più di tanto da quella del New Deal roosveltiano – ma è noto che il ministro dell'economia della Germania hitleriana dal 1934 al 1937, Hjalmar Schacht, fosse un fervente keynesiano.
Ciò detto, per più di un aspetto il breve saggio di Postone che introduciamo parla tanto del passato che del nostro presente. L'equivalenza tra ebraismo e finanza non solo non è affatto scomparsa, ma ha acquistato nuova linfa con lo scatenarsi, nel 2007/2008, della crisi dentro alla quale ancora ci troviamo. Da allora, gli strali contro la «tirannia dei mercati» e di una «finanza selvaggia», presuntivamente parassitaria rispetto al settore industriale, non hanno fatto che moltiplicarsi; e d'altronde, questa vulgata moralizzatrice che vorrebbe tornare ai «bei tempi andati» dei «Trenta Gloriosi» (1945-1975) e delle politiche keynesiane, non si risparmia qualche pericoloso scivolamento antisemita, all'estrema destra come all'estrema sinistra; anzi, sulle tracce dell'Autore, potremmo dire che questo scivolamento è inerente al funzionamento stesso del dispositivo teorico in oggetto. La riflessione postoniana, formulata in tempi assai meno turbolenti (il saggio fu pubblicato per la prima volta nel 1986) risulta perciò oggi tanto più attuale e utile, soprattutto per coloro che iniziano solo ora (o non hanno mai smesso) di frequentare il «cantiere teorico» di Marx; per il quale – vale la pena ricordarlo – la contrapposizione tra una buona «economia reale» ed una cattiva «economia virtuale», è un totale non-senso: il rigonfiamento della sfera finanziaria opera come controtendenza ad una diminuzione della redditività del capitale industriale e, per un certo tempo, consente di ristabilirne la «salute»; in ciò non si può riscontrare alcuna novità essenziale nel funzionamento dell'economia illustrato da Marx nel Capitale. Se si vuole, l'elemento di novità introdotto dalla «mondializzazione», è che l'espansione del settore finanziario, a partire dagli anni '70 del XX secolo, ha plasmato le stesse modalità di gestione del capitale industriale. Nel 2007/2008, questa configurazione del capitalismo ha raggiunto il suo limite: la fuga in avanti della finanziarizzazione non è più funzionale al proseguimento dell'«ordinaria» spremitura della forza-lavoro – ciò che fin'ora non ha impedito a questa fuga in avanti di perpetuarsi (prima con i salvataggi da parte delle Banche centrali, e poi con le successive iniezioni di liquidità) e che conferisce dunque verosimiglianza all'eventualità di altri e più drammatici crash a venire.
Sul versante sociale, negli ultimi anni abbiamo assistito al nascere di numerosi movimenti di massa, sviluppatisi come reazione alla crisi mondiale; alcuni – in particolare Occupy negli USA e i cosiddetti Indignados in Europa – hanno tentato di mettere a tema, teoricamente e praticamente, l'articolazione tra capitale finanziario e capitale industriale. Senza alcun cinismo, possiamo dire che il loro carattere effimero e le risposte che hanno saputo apportare, si implicano reciprocamente: nello slogan «we are the 99%» del movimento Occupy, non si può non cogliere in negativo la definizione di quel 1% (gli avidi manager di Wall Street) come l'escrescenza o il bubbone di un corpo sano. Se dunque il futuro ci potrà riservare esiti più fortunati, sarà anche perché differenti saranno le formulazioni e le risposte a suddetta questione. In caso contrario – e in un clima di tensioni internazionali rinnovate – il pericolo di ricomposizioni nazionaliste e crudeli è forte. Ed è noto che sovente tali ricomposizioni non vanno senza la caccia all'ebreo di turno.
Note:
(1) Karl Marx, "Il Capitale", Libro III, Editori Riuniti, Roma 1989, p. 927.
(2) Per una disamina di questi concetti, si veda Karl Marx, "Il Capitale: libro I, capitolo VI inedito. Risultati del processo di produzione immediato", prefazione di Bruno Maffi, Etas Libri, Milano 2002.
(3) Paul Mattick, Karl Korsch, Heinz Lagerhans, "Capitalismo e fascismo verso la guerra. Antologia dai «New Essays»", La Nuova Italia, Firenze 1976.
(4) Alfred Sohn-Rethel, Economia e struttura di classe del fascismo tedesco, De Donato, Bari 1978.
FONTE: http://www.asterios.it/catalogo/antisemitismo-e-nazionalsocialismo