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venerdì, febbraio 18, 2011

Dioniso di Alessandro Chalambalakis Ctonia n6



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Dioniso è il capretto o il vitello sacrificale che si lascia divorare, è forza impetuosa che si offre, archetipo della zoé, del perpetrarsi ciclico della vita. Egli è anche legato alla solarità della potenza taurina così come, tramite la figura di Arianna, signora del labirinto, è in connessione col Minotauro e col culto di Zagreus (divinità cacciatrice, signore degli animali). Anche la ferocia e la furia felina della pantera sono espressioni del dionisiaco: la pelliccia di pantera così come l'animale stesso appaiono come elementi costanti in moltissime raffigurazione artistiche di scene bacchiche e lo stesso Dioniso è sovente raffigurato come colui che giunge a cavallo di una pantera.
La forte componente idillica, pastorale, bucolica - che qui emerge e che è indubbiamente essenziale alla mentalità greca - non è però da intendersi come espressione di una sorta di paradiso terrestre dove l'uomo semplicemente si riappropria dell'immediatezza naturale perduta. Esiste difatti un fortissimo rapporto[5] che lega l'universo erotico di Pan e Dioniso al tema del dolore: la dolorosa verità esperita e nella sacralità panica e in quella dionisiaca afferma difatti la tragedia del divenire, l'inabissarsi di ogni essere nel suo nulla, il fluire, tramite eros e thamtos, di ogni forma nell'informe, di ogni individuo nel tutto, di ogni vita nella morte.
La rottura orgiastica del principium individuationis apre a quella verità raccapricciante e angosciosa che è smentita di ogni forma, di ogni civiltà. Da questo punto di vista, animalità, estasi erotica, rapimento dionisiaco e timor panico sono perfettamente convergenti. Il fatto che l'etimo del temine 'tragedia' sia 'tràgosodia' (canto del capro), mette in luce la radice satiresca e rituale del teatro greco. La sintesi di uomo e capro nella figura del satiro, secondo Nietzsche, indica difatti «l'onnipotenza sessuale della natura che il Greco è abituato a considerare con reverente stupore» [6]

«[...] l'uomo civile greco si sentiva annullato rispetto al coro dei Satiri: e l'effetto immediato delia tragedia dionisiaca consiste in questo, che lo Stato e la società, e in genere gli abissi fira uomo e uomo cedono a un soverchiante sentimento di unità che riconduce al cuore della natura» [7].

La verità che in tale condizione si esperisce, secondo Nietzsche, si configura come un male, inteso come dolore originario, in quanto contiene in sé un perpetuo gioco di contrapposizione. Nietzsche descrive questa unità originaria come un qualcosa di etemamente sofferente e pieno di contraddizioni. Tale verità ha residenza estema rispetto allo Stato. È difatti una èk-stasis, uno stare fuori. Ciò che abita tale uscita, parallela all'uscire sia dal proprio Stato (inteso dunque come spazio politico) che dal proprio stato individuale ordinario, è il demone inteso come coscienza della tragica condizione umana rispetto all'ingenuità animale. Tale coscienza tragica si esplica perfettamente nella sintesi antropozoomorfa rappresentata dalle divinità silvestri. Il demone abita nello sguardo umano a quella verità che il non-civile indica. La foresta, il bosco, la silva, in quanto
geograficamente situati fuori dallo spazio politico (i relativo alla polis), divengono teatro di un inve; carattere demonico nei confronti del tragico rappc natura e uomo-animale.

«il coro ditirambico è un coro di trasformati, passato civile e la posizione sociale sono comp dimenticati» [8].

La smentita della civiltà - delle sue leggi, delle su apollinee, formali (nel senso di relative alla forma, al individuationis) - come menzogna è difatti compito del cirteo dionisiaco che, nella rottura di quell'indiv a favore dell'informe, mostra - nella vertigine del i danza, della commedia e della tragedia - l'abisso su pretenderebbe di fondarsi; mostra quindi il nulla dei fon l'assenza di reali orizzonti determinati e determinant quella insostenibile libertà - insostenibile poiché sacra poiché insostenibile - la cui è natura altro non è che baratro.

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