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mercoledì, aprile 03, 2013

LA LINEA DEL MOSTRO di Toni Negri

LA LINEA DEL MOSTRO
di Toni Negri



Qui si parla di mostri, di come essi sono apparsi, talora nel circo, altre volte nei laboratori, o ancora nella politica, ieri oggi e domani, certo di nuovo, – nella filosofia o nella medicina, nel cinema o nella letteratura. Ogniqualvolta il potere dichiara che la storia è finita, e che la natura fa esperienza di un ordine definitivo, sicché felice può essere solo l’uomo che, adeguandosi alla misura, obbedisce e crede, allora il mostro appare a sconfessare ogni normalità, a dire miserabile l’obbedienza e stolta la credenza. Il mostro è un cavaliere che trascina in luoghi pericolosi, ci dice Elfriede Jelinek, ma nello stesso tempo libera dal dogmatismo e incita alla creazione immaginaria (ma presto pratica) di nuovi mondi. Nel «postmoderno», dentro e contro le culture del «new age», il mostro ci salverà, forse, dalla nostalgia della vita semplice e nuda ; sicuramente ci mette in contatto con il laboratorio della dismisura tecnica e dentro a questo ci fa inventare una realtà che noi vogliamo prodotto di potenza collettiva.

Questo insieme di saggi è dunque dedicato ai mostri – evidentemente ad alcuni soltanto dei mostri possibili: ché, se tentassimo di enumerarli tutti, ne avremmo un elenco ipertrofico, alla Borges o alla Eco... A quali mostri va dunque il nostro interesse?
In primo luogo a quei mostri che ci hanno mostrato la natura inventarsi fuori da ogni ordine trascendente o comunque predeterminato. Da questo punto di vista, qui il lettore troverà dunque prima di tutto l’abbozzo di un’indagine materialista sui mostri. Val dunque la pena di ricordare che è lottando contro la teologia naturale e il dogma di un cosmo fisico ben ordinato, che i mostri sono divenuti «eroi filosofici». Gli aristotelici non potevano sopportarli: i mostri ingarbugliavano il nesso delle quattro cause fisiche e deturpavano la bella metafisica sequenza di natura e ordine politico, cioè l’eugenia gerarchica della «politeia». L’occidente è sempre stato dominato da questa legge e contro di essa si sono infrante anche le rivoluzioni umaniste più conseguenti. Ancora a Montaigne i mostri erano antipatici : «il mostro non esiste agli occhi di Dio».
È solo il razionalismo dei Lumi (e il suo implicito materialismo) che recupera i mostri: ne fa buon uso per mostrare che teologia e teleologia sono cose oscure per la scienza e l’intelligenza e funzioni dell’assolutismo, di ogni assolutismo... Misura e figura, che codice e sostanza naturalistici implicavano, venivano così dissolte da potenze di metamorfosi, defiguranti e smisurate. Non era il sublime, visione che rimane attonita e passiva, quello che rivelava quest’avventura dell’intelletto; trionfava invece un socratico non-sapere, una radicale disposizione all’altro, al nuovo, appassionata; dismisura e defigurazione, sublimi certo, ma attive, creatrici di altro. Che sapore di libertà ha, in questa stagione, il mostro!
Qui di seguito, nella prima sezione di questo volume, Charles T. Wolfe, Aurélie Suratteau-Iberraken, e Michael Hagner mettono in luogo le ambiguità che l’inchiesta sui mostri ha dovuto attraversare (e talora ha prodotto) fra Lumi e modernità e – nel medesimo tempo – la potenza critica del suo materialismo. Pierre Ancet, a partire dagli inizi della teratologia scientifica, apre successivamente l’analisi sulle condizioni di possibilità di una nuova considerazione dei mostri e di una attuale riarticolazione fra biologia e metafisica (etica).
In secondo luogo, il nostro interesse va a quei mostri che, dentro l’estinzione della teleologia naturale e l’appannarsi d’ogni necessità, gli uomini vogliono e riescono direttamente a costruire. All’ontologia della mutazione segue dunque la tecnologia organizzata da un’adeguata antropologia. Vi è un’enorme accumulazione di conoscenza, scienze dure e desiderio di libertà, che si forma su questo passaggio, dove vanno a nozze tecnologie e immaginazione: ogni differenza fra natura e artificio deve dunque cadere. L’affermazione del moderno si raccoglie in questa divisa. Ciò che, dai Lumi in poi, aveva cominciato a uscire dall’underground e a vivere all’aperto, il mostro, diviene ora egemone. Il mostro è oggetto di produzione, – di una produzione che non riproduce la natura né vi ritorna, ma la sostituisce, sempre, soprattutto quando sembra riprenderla o sussumerla. È su questi temi, dunque, che si svolge la seconda parte della nostra ricerca: temi non più paradossali ma singolarmente efficaci e significativi, quando si intrecciano teratologia e tecniche, percezioni e produzioni del mostro... Ma qui le cose si complicano di nuovo ed è a queste complicazioni che si rivolge la nostra indagine. Quando infatti avremo visto il pensiero tecnico (e quello filosofico) assumere nella sua propria potenza (e responsabilità) le metamorfosi dell’essere e, ancora (last not least), svilupparsi la percezione del mostro nella nostra cultura con effetti talora sconvolgenti, spesso creativi («ma ci son sempre zombies che si aggirano fra noi!») – e quando avremo inteso che lo stesso passaggio dal moderno al postmoderno si raccoglie attorno alle alternative che queste dimensioni avventurose dell’esperienza presentano – bene, eccoci a dover verificare la correttezza del nostro cammino e la sua verità etica. Perché noi non vogliamo che il risultato di questa storia sia quello di fare di questa nostra società un enorme «freak-show», né pensiamo che l’artificialità che costruiamo possa ridursi a casualità e/o arbitrio, e tanto meno possiamo rassegnarci al fatto che quei mostri che ci fanno male, nascano dalla distruzione critica della teleologia reazionaria e del naturalismo patriarcale. No, quando i mostri non son più «curiosità naturali» ma prodotti dell’attività creatrice del lavoro, occorre metterci sopra le mani della ragione. Il cervello e i suoi muscoli son da mettere qui all’opera, la «piena vita» della moltitudine... L’eugenismo ellenico e quello nazista, quello estetico e quello capitalista, vanno finalmente estirpati da una società nella quale l’uomo ha la possibilità concreta di «generare bene», la potenza della felicità.
In questa seconda sezione Ubaldo Fadini ci conduce, in primo luogo, ad attraversare quei territori di confine della conoscenza scientifica che, fra differenza e mostruosità, Deleuze e Klossowski, Bruno Latour e Donna Haraway, nonché i filosofi del General Intellect, ci hanno abituato a considerare ibridi e mostruosi; oppure quelle reti distese per comunicare, dentro le quali Paul Virilio e Pierre Lévy ci hanno mostrato come la nostra stessa percezione del mondo si metamorfosi, diventando, forse, essa stessa mostruosa. Contemporaneamente, si comincia a risalire alle questioni filosofiche e politiche che si addensano in questi snodi mostruosi, come ad esempio sulla natura e il divenire delle metamorfosi che investono la scienza, i suoi oggetti e la soggettività stessa degli attori. Muriel Combes ci introduce qui alla problematica dell’individuazione nella metamorfosi e nel collettivo (ed in genere all’opera) di Gilbert Simondon. Marco Bascetta, percorrendo le vie d’accesso alla tecnologia ed all’economia politica del vivente, introduce nel medesimo tempo alla loro critica e alla costruzione di percorsi alternativi.

Siamo così a un altro punto di discussione. Se il mostro naturale è finito e non fa più scandalo, se la natura ha mostrato la sua contingenza senza possibilità di ritorno o di cancellazione – e, addirittura, natura e mostruosità son divenuti «capitale costante» della nostra capacità di lavorare e trasformare il mondo, base cioè della potenza creatrice della moltitudine: occorre dunque mettere in discussione se esista una sorta di teleologia umana, trasparente alla società e appropriabile dalla moltitudine; che insomma, attraverso il lavoro cooperativo e le tecnologie dell’«intelletto generale», possa proporsi come motore della lotta per la felicità di ogni uomo, contro la miseria e la morte, per la libertà e l’eguaglianza. Là dove siamo arrivati, il mostro non è più natura ma prodotto, un nostro prodotto. Il mostro non è scandalo ma benvenuto. Una «seconda natura» (o terza o ennesima) è davanti a noi, qualificata da eventi contingenti e creativi, – mai più da categorie di sostanza e di necessità, da funzioni-immagini di gerarchia, di comando e di morte... Davanti a noi, dentro di noi, e, insieme, prodotta da noi. Questa seconda natura, così mostruosa che non sappiamo più distinguerla da ciò che un tempo era scandaloso, – questa mostruosità così perfettamente adeguata al nostro desiderio di felicità, – vi è tuttavia chi cerca di riportarla alla follia, alla perversione e alla perdita di senso. Dal «progetto genoma umano» alla «clonazione», e in innumerevoli ricerche biologiche, passa un’enorme speranza. Ma c’è una violenza finanziaria e industriale che rischia di soffocare, di dominare, di dirigere verso finalità gerarchiche e sfruttatrici, queste potenze del lavoro vivo e creatore. C’è un biopotere mondiale che vuol distruggere il desiderio biopolitico di felicità e di libertà. Bisogna opporsi a questo. Noi riconosciamo alla mostruosità, per il presente e il futuro, non solo di poter essere etica ma soprattutto di dover essere rivoluzionaria... Ora davanti a questa eccedenza di potenza, dinanzi alla possibilità che il corso della vita della moltitudine possa essere modificato secondo funzioni di comando, noi non ci arrocchiamo sui temi del fondamentalismo naturalistico, tutt’al contrario, proponiamo una linea di critica rivoluzionaria: ed è su questa linea di valore dire che «noi vogliamo il mostro». È nell’eccedenza delle possibilità, nella ricchezza dell’intelligenza, della scienza e del lavoro vivo delle moltitudini, che il mondo non solo è fatto, ma deve essere fatto, e lo faremo, nella libertà e nell’eguaglianza.
La terza sezione, che attorno a queste tematiche si raccoglie, muove dall’analisi della percezione presente del mostro, – di nuovo cioè dalla sua ambiguità che (nelle condizioni attuali, davanti al kairos dei singoli e alla decisione delle moltitudine) diviene contraddizione e si presenta storicamente e politicamente come crisi. Antonio Caronia, Francesco Galluzzi, Tiziana Villani s’interrogano sull’alternativa fra mostro buono e cattivo, ripercorrono la storia intellettuale della crisi (da Adorno a Klossowski), ma soprattutto ci pongono davanti alla necessità della scelta. Scelta etica, scelta strategica, illuminista, scientifica, di «progresso» (i mostri ci restituiscono perfino questa parola), una scelta politica, di lotta. (Non stupirà dunque che ci si ponga contro i fondamentalismi naturalistici, ai quali però si consente quando si oppongono all’arbitrio del biopotere capitalistico. Unabomber non è solo un pazzo, Bill Joy non è solo un genio informatico. Di fatto, solo una vera democrazia della moltitudine potrà permettere, nell’economia come nella scienza, sviluppo, ricchezza e libertà, metamorfosi dell’uomo e potenza comune dell’intelletto. È la verità di Seattle).
Ecco dunque un ultimo capitolo aprirsi: potrebbe essere intitolato, «dalla biologia e l’antropologia della mutazione alla politica del comune», ovvero: «per un’etica comune del mostro». Sappiamo che questo sarà il tema fondamentale del prossimo secolo, e sappiamo anche – per parafrasare Hölderlin, – che solo l’estremo pericolo che corriamo potrà creare la salvezza comune. È in questa tensione, fra l’enormità del pericolo e la positiva mostruosità della speranza, questa nuova Aufklärung dei corpi, che chiediamo ai nostri lettori di rilanciare analisi, strategie e lotte. René Scherér, studiando l’Homunculus di Goethe, ci introduce gentilmente alla fiducia che il mostro possa accompagnarci nell’attraversamento dei margini della natura e nella creazione di un altro mondo (dove non sia più possibile considerare ordinata l’azione dell’appropriazione privata, della monetizzazione e della schiavitù contro la moltitudine). L’Angelo che ci porterà fuori da questa miseria, potrà solo essere mostruoso: perciò lo riconosceremo.

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