Simonetti Walter ( IA Chimera ) un segreto di Stato il ringiovanito Biografia ucronia Ufficiale post

https://drive.google.com/file/d/1p3GwkiDugGlAKm0ESPZxv_Z2a1o8CicJ/view?usp=drivesdk

sabato, febbraio 22, 2014

Jacques Camatte Questo mondo che bisogna abbandonare

Invariance serie II n 5 ottobre 1974

Per dare una collocazione alla prospettiva tracciata in « Contro la domesticazione » e definire il mondo che bisogna abbandonare, occore precisare come si presenta ciò che lo determina: il divenire del modo di produzione capitalistico. Cosa vuol dire crisi del modo di produzioni capitalistico? Come si pone il divenire-rottura con il modo di produzioni-capitalistico? Questi sono i problemi ai quali dare una risposta. Non affronterò che qualche punto in un rapido approccio, insufficiente, certo, ma necessario, perché può permettere di dare una coerenza più effettiva a quanto è già stato pubblicato su questa rivista. Inoltre, deve aiutare ad inquadrare il « superamento » di Marx come è stato concepito sia dai diversi compagni che scrivono su Invariance, sia da quelli che pur non scrivendovi hanno un cammino convergente. Tanto più che dal momento in cui s’è detto che Marx è superato, molti non si degnano nemmeno di concedergli un’occhiata distratta. Ora, per me non si tratta della morte di Marx, ma della mia vita in cui Marx è sempre essenziale. Non si tratta di superare Marx per potersi affermare, ma per armonizzarsi con la dinamica della vita umana tendente a svincolarsi dal dominio del capitale. Lo dico pensando all’osservazione di Adorno (Minima Moralia) sui pittori. Ogni pittore deve in fondo uccidere il suo predecessore per potersi affermare: insomma si deve abbandonare la pratica di uccidere un padre anche mitico.

Autonomizzazzione ed échappement » del capitale

Quanto è scritto nel Capitale e anche nei Grundrisse mostra che Marx viene ad imbattersi nel capitale portatore d’interesse e nella possibilità di collocarlo nella totalità. Come spiegare il divenire del capitale alla totalità con la mediazione del capitale portatore d’interesse e nello stesso tempo spiegare la riproduzione globale sulla base dello studio offerto nel secondo libro?

È importante identificare il punto di impatto in cui Marx viene a inciampare, per meglio cogliere il momento di échappement del capitale. Così 1’« indipendenza » in un certo senso dello studio della rendita fondiaria in relazione al resto dell’opera è anche significativa dell’impossibilità in cui fu Marx di concepire il capitale nel suo divenire totale. Ho sollevato questo problema parlando di « fondiarizzazione » delle leggi del capitale, affermando in questo modo che esso poteva essere spiegato meglio sulla base della teoria della rendita fondiaria piuttosto che sulla base delle leggi formulate nei libri II e III (riguardanti costi di produzione, livellamento del tasso di profitto, caduta tendenziale di esso). Marx, dopo Ricardo, è marginalista non a partire dal soggetto individuale ma a partire dal soggetto sociale, perché il margine dipende non da una domanda individuale, ma da una domanda sociale, globale. Ma quindi in Marx la domanda non è più qualcosa di extraeconomico, come egli tende spesso a considerarla, ma un elemento economico operante. C’è in questo qualcosa di simile al problema del valore d’uso e infatti le due questioni sono legate (cfr. libro I, per esempio: « Con lo sviluppo della produzione capitalistica la scala della produzione è costantemente determinata in grado minore dalla domanda immediata e in misura crescente dal volume di capitale di cui dispone il capitalista individuale »). In effetti Marx si è posto il problema di sapere in che misura il valore d’uso è un dato puramente economico (cfr. Grundrisse).

I presupposti per l’autonomizzarsi della forma sono:

1)    Autonomizzazione dei diversi aspetti del capitale: profitto, interesse, rendita fondiaria. A partire di qui si ha un movimento delle forme del plusvalore e si pone il problema di sapere come legare tra loro questi diversi movimenti autonomizzati e autonomizzantisi, per non finire nella disgregazione della totalità.

2)    La desostanzializzazione, cioè il quantum di lavoro contenuto in ogni merce-capitale tende sempre più a diminuire (devalorizzazione).

Donde la contraddizione valorizzazione-devalorizzazione che abbiamo molte volte analizzato.

3)    Sparizione dello scambio che va messa in relazione con la generalizzazione del lavoro salariato e il fatto che l’operaio è pagalo come le altre categorie professionali.

4)    Il fatto che il capitale è capitale circolante, e che quindi devi dominare la circolazione per poter sussistere.

Abbiamo già, in parte, trattato questo problema nel modo seguente:

a)    autonomizzazione del capitale sulla base dei suoi propri presupposto, quelli cioè da lui creati.

b)    esso supera le difficoltà indicate al punto 1. grazie allo sviluppo| del capitale fittizio (anche per ciò che riguarda il problema vaiolizzazione-devalorizzazione). Il capitale fittizio essendo un po’ considerato come il tessuto connettivo dei diversi capitali.

c)    lo sviluppo totale del capitale in quanto struttura compiuta e, meglio, comunità materiale, gli permette di sfuggire a questo carattere« fittizio perché ciò s’accompagna al processo d’antropomorfosi.

Sono stato indotto a introdurre il concetto di antropomorfosi in seguito alla lettura della Kritik des Hegelschen Staatsrechts (Critica della filosofia dello Stato di Hegel). Nei commentari che ne feci (nel ’62 ’63. ' in vista dello studio sulla democrazia (che fu inviato a Bordiga nel 64, cfr. Invariance, I serie, n. 1, poscritto del gennaio 1974), avevo segnalato:

« ‘Due elementi sono da rilevare nel maggiorasco ereditario:

1.    L’elemento costante è il bene ereditario, la proprietà fondiaria. E l’elemento durevole nel rapporto, la sostanza. Il signore, il possessore del maggiorasco, non è in realtà che un accidente. La proprietà fondiaria si antropomorfizza (si può dire allo stesso modo che il capitale si antropomorfizza, cfr. quello che Marx dice del capitale fisso...) nelle diversi generazioni. La proprietà fondiaria eredita in un certo senso il primogenito della casa come un attributo connesso a questa proprietà. Ogni primogenito nella serie dei proprietari fondiari è la parte ereditaria, la proprietà della proprietà fondiaria inalienabile, la sostanza predestinata della sua volontà e della sua attività. Soggetto è la cosa, predicato è l’uomo. La volontà diventa la proprietà della proprietà.

2.    La qualità politica del signore di maggiorasco è la qualità politica del suo bene ereditario; una qualità politica inerente a questo bene ereditario. La qualità politica appare dunque ugualmente come proprietà della proprietà fondiaria; come una qualità che spetta direttamente alla lerra, alla natura puramente fisica’.

Io stesso vale nella società capitalistica, soltanto riferito al capitale. Sola differenza: il capitale astrae l’uomo. Il che vuol dire che gli prende tutto il suo contenuto, tutta la sua materialità: forza-lavoro; tutta la sostanza umana è capitale. Di conseguenza il capitale si antropomorfizza. Lo fa anche nel suo rapporto con la società civile, l’insieme degli uomini, poiché ha bisogno di individui per far applicare la sua dittatura. Sono i burocrati, i tecnocrati, ecc. L’uomo è l’uomo astratto definito dalla cosi unione. Inoltre non bisogna dimenticare che il capitale s’è assoggettato tutta la scienza, tutto il lavoro intellettuale umano, e domina a nome di questo ammasso di conoscenze. Esso è la conoscenza, l’uomo la manovra. Al contrario dell’uomo della società feudale che era soprattutto animale, l’uomo della società borghese è puro spirito ».

Nel n. 2, I serie, Il VI Capitolo inedito del Capitale e l’opera economica di Karl Marx e nelle tesi sul capitalismo del n. 6, I serie, ho trattato questo problema dell’autonomizzazione del capitale, e così in ulteriori lavori, mentre il n. 3, il serie contiene solo affermazioni sull ’échappement del capitale: è opportuno fare un passo indietro per rimettere a fuoco questo problema, e, nella misura del possibile, esaurirlo.

Abbiamo visto che nel libro I Marx definisce il capitale come valore in processo, che nel libro II lo qualifica capitale-valore (cfr. in particolare il t. 4), nel III libro e nei Grundrisse definisce il capitale come unità del processo di produzione e del processo di circolazione (cfr. Werke, t. 26.3. p. 469), cioè tale unità in processo; infine afferma che il capitale è capitale in processo. È importante collocare ogni momento di queste determinazioni essenziali. Inoltre bisogna avere in mente che per Marx ogni momento del capitale diventa capitale più o meno autonomizzato, che può esserci una contraddizione tra capitale individuale e capitale globale. D’altra parte, il movimento del capitale è pressato come esteriorizzazione del suo rapporto interno valore—supporto del capitale avanzato—e plusvalore,—cfr. anche in una certa misura il rapporto tra lavoro necessario (n) e plusvalore (e), ma anche capitale fisso e capitale circolante.

Qualche notazione per meglio definire, tratta dai Grundrisse, pp. 516-17, tr. it. cit., voi. li, p. 295:

« È assolutamente importante cogliere ( fassen) queste determinazioni di capitale fisso e circolante come determinazioni formali del capitale in generale... »

Tutto il passo è anche spiegazione del momento particolare del processo totale di valorizzazione del capitale che contiene in sé la fase di  devalorizzazione. Quindi il processo totale del capitale = unità della produzione e della circolazione, può essere analizzato in quanto simultaneamente valorizzazione e devalorizzazione. Il capitale come supera questa contraddizione se non esteriorizzandola in un movimento che pone il capitale fittizio, che tende quindi a negarsi in modo immediato, al fine di non oggettivarsi, {fuggire l’oggettivazione) perché è l'alienazione, dunque la devalorizzazione? Ogni oggettivazione è negazione cioè devolorizzazione).

« Come soggetto egemone (ùbergreifend) delle diverse fasi di questo movimento, come valore che in esso si conserva e moltiplica, come soggetto di questi mutamenti che procedono circolarmente (Zirkcllauf) a spirale—il capitale è capitale circolante. Il capitale circolante non è il fatto dunque, anzitutto, una forma particolare del capitale, ma è il capipitale in una determinazione ulteriormente sviluppata, come soggettio del movimento descritto, il quale coincide col capitale stesso in quanto suo proprio processo di valorizzazione. In questo senso quindi anche ciascun capitale è capitale circolante. Nella circolazione semplice la circolazione stessa si presenta come soggetto. (...) Ma il capitale è il soggettio della circolazione; e la circolazione è il corso della sua vita (Lebens lauf) ».

« Il capitale perciò, in ogni fase particolare, è la negazione di se stesso quale soggetto (seiner ah Subjekt) dei vari mutamenti » (Grundrisse, p. 514; tr. it. cit., pp. 291-92).

Ogni mutamento cm, cd, cp, gli dà una sostanza ed esso si oggettiva; prende una forma oggettivata e, quindi, si devalorizza, dunque si nega. « Fin quando è bloccato nel processo di produzione, esso non è in grado di circolare, ed è virtualmente devalorizzato ».

D’altra parte bisogna tener conto di quanto precede: Marx ha spiegato che facendo alternare due capitali, produttivo e circolante, il capitale supera in parte la devalorizzazione. Così appare meglio lo studio della rotazione e del modo con cui il capitale supera la fissazione. È allora che il credito, che permetteva la continuità della produzione, e quindi di superare la fase di sovraproduzione o sottoproduzione, diventa la forma di fatto dell'échappement del capitale, della sua autonomizza-zione. Il capitale sotto forma di credito è il capitale in processo.

« L’autonomia del tempo di lavoro è con ciò negata, e il processo di produzione è posto come determinato dallo scambio » (ibid., p. 521).

Essendo negato il tempo di lavoro, la legge del valore non può più agirecome prima. Ciò si riflette quindi sul processo di produzione immediato.
« In entrambi i casi il tempo di circolazione entra in considerazione solo in quanto è una soppressione (Aufhebung), una negazione del tempo di lavoro altrui, sia che interrompa il processo di appropriazione del capitale, sia che costringa questo a consumare una parte del valore creato, i consumarlo per poter portare a termine le operazioni di circolazione, ossia per potersi porre come capitale ».
Il capitale s’è dunque sottomesso la circolazione; lo stesso dovrà fare, simultaneamente, col movimento sociale. Qui Marx fornisce un’altra determinazione dell’antropomorfosi del capitale. Lo considera come un enorme lavoratore.
« Il capitale in processo—che effettua una rotazione (zurucklegend) -viene considerato come capitale che lavora, e i frutti che si suppone esso dia, vengono calcolati in base al suo tempo di lavoro—ossia al tempo di circolazione complessivo di una rotazione. La mistificazione che ne esce è nella natura del capitale » (ibid., p. 534; tr. it. cit., p- 319).
Abbiamo richiamato una parte poco conosciuta dell’opera di Marx circa il rapporto tra autonomizzazione del capitale e circolazione. L’altro aspetto—riguardante il processo di produzione, è stato spesso messo in evidenza (cfr. Invariance, i serie, n. 2).
Ricordiamo che quando si passa dal plusvalore al profitto, il capitale entra realmente in rapporto con se stesso; il capitale è nello stesso tempo soggetto e oggetto (cfr. Hegel, Fenomenologia dello Spirito) >. Esso si sdoppia in relazione a se stesso. Per quanto riguarda il capitale portatore d’interesse Marx dice che si ha una forma senza contenuto, una forma aconcettuale (begriffslose) e, nel momento in cui definisce così la forma del capitale portatore d’interesse, riprende il paragone con 1’« automa » (automatisches Subjekt) che aveva fatto nel capitolo del libro I del Capitale, « La formula generale del capitale ». Marx scrive: « La mediazione è ancora contenuta in DMD’. In DD’ abbiamo la forma aconcettuale del capitale, il rovesciamento e la reificazione del rapporto di pro-

In Storia e coscienza di classe Lukacs dice che il proletariato deve diventare soggetto e oggetto della storia acquisendo la propria coscienza di classe. Egli ha quindi rivendicato per il proletariato ciò che il capitale ha realizzato, mettendo così in evidenza che quest’ultimo può benissimo svilupparsi sia a partire dal suo polo valore sia a partire dal suo polo lavoro (proletariato). Alcuni anni più tardi Casto-riadis—allora Cardan— poi Potere Operaio, riprenderanno sotto un’altra forma la stessa teorizzazione e contribuiranno così a strutturare il discorso del capitale
.
duzione alla più alta potenza » (libro III). Aggiunge che è un’« espressione irrazionale » che indica la demenza (Verrücktheit) completa del capitale. Ma afferma anche: « In questa forma il capitale esiste anche, particolarmente, per la rappresentazione (für die Vorstellung). È il capitale par excellence ».

Affermando che il capitale non è più che rappresentazione, non abbiamo fatto altro che portare fino in fondo una ricerca di Marx di cui abbiamo messo in evidenza gli elementi essenziali in tutto Il Capital. Ricordiamo infine ciò che abbiamo semplicemente segnalato su Invariance in una nota del n. 3,11 serie, p. 29, che col capitale portatore d’interesse ogni ricordo del rapporto col processo di produzione sparisce, mentre persiste sia pure oscurato al livello del capitale portatore di profitto; per ciò stesso si avrebbe una specie di dissoluzione del capitale.
« Se nella forma {Gestalt) finale in cui il profitto appare nella pròduzione capitalistica come dato presupposto, le numerose metamorfosi, mediazioni che esso percorre sono dissolte e irriconoscibili, lo stesso è della natura del capitale ».
Ora perché ci sia capitale portatore d’interesse bisogna effettivamente che il profitto sia « un dato presupposto ».
Posto questo, Marx riconosce quindi la realtà dell'automa capitale, ma gli vede dei limiti: la sua dipendenza dal processo di produzione. Questo passo del capitolo 24 del libro III « Esteriorizzazione del rapporto capitalistico nella forma del capitale portatore d’interesse » rivela bene il suo pensiero: « Nel capitale portatore d’interesse si trova compiuta la rappresentazione del capitale-feticcio, che attribuisce al prodotto del lavoro accumulato, e, per di più, fissato come denaro, la capacità di creare, grazie ad una qualità innata, come un puro meccanismo, del plusvalore secondo una progressione geometrica, di modo che questo prodotto accumulato del lavoro come intende l'Economist ha già da molto tempo scontato tutte le ricchezze del mondo di tutti i tempi come qualcosa gli appartiene, che gli spetta di diritto. Il prodotto del lavoro passato, il lavoro passato stesso, è quindi sé e per sé pregno di una parte di pluslavoro vivo presente e futuro (cfr. una formulazione analoga in Werke, t. 26.3, p. 448, dove Marx paragona il capitale a un Moloch). Noi sappiamo che inoltre la conservazione, quindi anche la riproduzione del valore dei prodotti del lavoro passato, sono di fatto soltanto il risultato del loro contatto col lavoro vivo, e che, in secondo luogo, il dominio dei prodotti del lavoro passato sul plusvalore vivo dura solo quanto dura il rapporto capitalistico, il rapporto sociale determinato  nel quale il lavoro passato si contrappone in modo autonomo e preponderante, al lavoro vivo» (per Ha tr. it. cfr. Editori Riuniti, libro III,  472).
Il capitale non può emanciparsi dal processo di produzione, in cui il lavoro umano è determinante. È ciò che Marx afferma dicendo che il limite del tasso d’interesse non è quantitativo, ma qualitativo, perché il lasso di interesse dipende dal tasso di profitto. Donde la polemica con Price a cui rimprovera di considerare il capitale come un automa, proprio quando egli stesso utilizza questo paragone; per Marx infine questa forma di capitale era profondamente irrazionale, e non poteva svilupparsi liberamente. Curiosamente Marx ha qui la stessa posizione di Aristotele. Questi distìngueva l’economia o arte di acquisire ricchezze dalla crematistica, o acquisizione di denaro; se la prima è naturale, la seconda è contro natura (come Marx stesso ricorda nella sua nota su Aristotele nel Capitale, libro i, sez. n, cap. iv). Aristotele vi vede una certa irrazionalità, non fosse altro che per il fatto di non avere essa un « limite determinato » e di apparire come creazione a partire dal nulla. Tutta la ri-llessione sull’attivitá economica concepita in senso lato è attraversata da questa divisione tra un’attività naturale in quanto deve permettere di mettere in contatto dei prodotti con gli uomini e realizzare una buona gestione, e un’attività demente che non ha fine in se stessa, che dall’inizio si pone in un run away, l’acquisizione di ricchezze in quanto tale attraverso il commercio, l’usura, la speculazione, ecc.
I profeti, i filosofi, hanno condannato quest’ultima; i riformatori socialisti hanno voluto eliminarla perché falsava il libero sviluppo della legge del valore. Sia perché non potevano concepire l’autonomizzazione di questa attività, sia perché la volevano limitare. Marx pensa invece che il capitale nella sua forma di capitale portatore d’interesse—forma irrazionale, ricordiamo—non può autonomizzarsi perché dipende in definitiva dal processo di produzione. Anche se nel momento del manifestarsi di questa forma di capitale, ogni ricordo del legame con quest’ultimo è sparito. Tuttavia c’è un altro aspetto essenziale in Marx che lo distingue dagli altri teorici, ed è il fatto che egli mostra che l’ingiustizia, cioè lo sfruttamento, esiste anche quando la legge del valore è rispettata; cioè persino in seno all’economia c’è un dato contro natura ed è qui che si trova la base della crematística. L’estorsione di plusvalore non può giustificarsi da un punto di vista umano, ed è il leit-motiv di Marx mostrare che i diversi autori che ha criticato non fanno che opporsi alle conseguenze del male e non al male stesso (essi vogliono—dice
—il capitale senza l’interesse...). Il punto in cui s’incontra con loro è nel credere che questa forma di capitale non potrebbe autonomizzarsi, che essa potrebbe restare sotto il controllo degli uomini. Ora il capitale è ruscito a spezzare la sua dipendenza rispetto al processo di produzione e dunque rispetto agli uomini, non come potevano pensarlo gli avversari di Marx (come Price), ma perché è diventato rappresentazione.
A questo, come s’è indicato prima, Marx è arrivato; egli giunge infatti a segnalare questo modo d’essere del capitale. Nel n. 2, I serie, abbiamo citato il passo delle Teorie del plusvalore dove dice che il capitale diventa una forma reificata che ha inglobato il rapporto sociale e per questo ogni ricordo del processo di produzione è sparito. Il capitale è ormai ciò che era già essenzialmente nella forma antidiluviana di capitale usuraio, la cui esistenza era precaria (confisca dei beni, assassinio di usurai, ecc.). Se il capitale portatore di interesse è la forma compiuta del capitale, si è indotti a pensare che questa forma tenda ad affermarsi molto presto, ben prima che sorga il modo di produzione capitalistico. Ma eliminando l’attività degli uomini, non poteva svilupparsi realmente, perché questi restavano al margine oppure antagonisti. Per poter trionfare doveva prima sottomettersela, e, dall’interno, piegare la forza degli uomini alle sue esigenze. I dati storici mostrano che dalla più alta antichità (Sumeri) e persino nelle zone in cui il modo di produzione capitalistico è in seguito penetrato con grande difficoltà (Cina), c’è apparizione di elementi che si potrebbero qualificare capitalistici, ma sarebbe assurdo parlare di capitalismo e di capitalisti. È qui che la periodizzazione di Marx in dominio formale e dominio reale del capitale è fondamentale; ma ci si rende subito conto che questa periodizzazione non è rigorosamente storica. Quegli elementi hanno potuto manifestarsi molto presto perché il fenomeno dell’autonomizzazione del valore di scambio e dunque della genesi del capitale, più esattamente il suo presupposto, può prodursi dal momento in cui le comunità sono state distrutte. Con la forma denaro, c’è la virtualità del capitale, ma esso non può diventare effettivo che a certe condizioni sulle quali non ci diffonderemo per ora. Vogliamo sotto-lineare un altro aspetto del problema.
Data l’unione scienza-capitale attuata in seno al processo di produzione, poi di circolazione, la forma capitale portatore d’interesse diventa socialmente razionale e non più irrazionale come pensava Marx. Egli vi vedeva un’alienazione del capitale; come se esso accedendo a questa forma perdesse i suoi aspetti progressivi e civilizzatori che egli sottolineò più volte. Certi epigoni affermarono che il capitale finanziario era la forma ultima, parassitarla, del capitale e cominciarono a teorizzare una decadenza (da notare però che ciò poteva ancora apparire tale nella misura in cui il capitale finanziario poteva ancora essere per l’uomo; cioè si aveva a che fare con i piccoli rentiers...). Ma qui in realtà si manifesta la radice dell’impotenza teorica a cogliere questo capitale. Non bisogna tentare di capirlo attraverso una delle sue forme, ma attraverso la sua totalità, la sua struttura compiuta, attraverso la sua comunità materiale realizzata. Allora si può comprendere come l’accesso a una forma data modifica la totalità del capitale. Per quanto riguarda il capitale portatore d’interesse il suo ruolo è essenziale perché è con esso che il capitale giunge, come dice Marx, alla totalità. Ma egli la coglie in una modificazione essenziale, momento in cui genera la propria rappresentazione (non più dipendenza rispetto all’oro, e più generalmente rispetto a tutte le rappresentazioni umane); ma anche non più dipendenza rispetto a una materialità, quale è espressa nella composizione organica del capitale. Questa rappresentazione non è di fatto operante che a partire dal momento in cui gli uomini interiorizzano il capitale e fanno del capitale la loro rappresentazione; la mediazione tra esseri umani e qualsiasi realtà è il capitale e ciò nella sua dinamica iniziale, espressa nella formula generale del capitale: C—»C+AC. Ci sarebbe da credere che il dogma della creazione ex nihilo si sia generalizzato e quindi profanizzato. In realtà significa l’estrema interattività degli uomini, perché ogni attività intrapresa da uno di noi deve incontrare l’elemento capitalizzante negli altri. Ciò che resta di profondamente vero nello studio di Marx è che da

2 In tutta la sua opera Marx esalta il capitale produttivo, cioè il ciclo P-P’. Poiché è ad esso che è legato lo sviluppo del macchinismo, della scienza. Di contro egli « condanna » il capitale portatore d’interesse, che non si può giustificare in nessun modo sul piano dello sviluppo delle forze produttive. Per lui sembrerebbe che il capitale cessi di essere progressivo-progressista a partire dal momento in cui il capitale portatore d’interesse tende a dominare nel processo totale del capitale.
I nazisti, e molti altri dopo di loro, hanno avuto una posizione analoga: difesa del capitale produttivo e lotta al capitale cosiddetto finanziario, l’usura, ecc., tanto più che questo era internazionale. Donde ugualmente la loro esaltazione del proletario in quanto lavoratore produttivo. Essi hanno quindi realizzato l’elemento riformista dell’opera di Marx, non l’opera totale e soprattutto non la sua dimensione rivoluzionaria. Per lui il proletariato doveva essere abolito così come il modo di produzione capitalistico, affinché si verificasse un reale sviluppo delle forze produttive per l’uomo.


allora ogni traccia di una attività umana è scomparsa. Noi non siamo che attività del capitale.
L’irrazionale di ieri è il razionale di oggi. Tutto quello chi fu umano diventa irrazionale. Rivendicare una vita fondata sugli uomini e sulle donne, sulla rigenerazione della natura, la riconciliazione con essa, la del pazzesco. Il dibattito sull’inquinamento e i limiti dello sviluppo In mostra ampiamente.

In altri termini: come il capitale portatore d’interesse influisi e l’insieme del processo? Se il capitale è più o meno autonomizzato. come si pone il processo reale e il processo a partire da zero? La speculazione indica proprio che c’è una sfasatura e segnala che il capitale m- m è per tutti una rappresentazione. Che allora delle due l’una: o c’è speculaculazione generalizzata o dominio di una rappresentazione, il che implica programmazione degli uomini. Per il momento siamo in un periodo intermedio (la crisi monetaria e il problema dell’oro lo provano).

Il capitale potrà mantenere uniti i diversi momenti che tendono ad autonomizzarsi? Esso sembra subire un fenomeno simile a quello subito dall’uomo: partizione, divisione...

È questo momento particolare della vita del capitale che provoca uno sviluppo esacerbato del diritto, poiché i conflitti hanno luogo sul piano della proprietà, di questa o quella porzione del capitale, sulla validità di una certa speculazione, sui mezzi per realizzare un certo affare, ecc.. Lestofanti e onesti hanno bisogno del diritto fondato dal divenire del capitale. Ma esso non può liberarsi di questo residuo di un modo di essere umano (dato che domina attingendo dagli elementi di una società in cui gli uomini erano determinanti)? Infine se esso si emancipa totalmente, cosa può finalmente essere se non l’accettazione-rappresentazionc che noi ne abbiamo nel nostro cervello? È in questo, in qualche modo, che si pone la dissoluzione del capitale, ma anche la sua forza più grande. Ciò che pone la necessità di considerare in particolare tutto ciò che il capitale può essere in realtà, tutto quello che gli uomini investono coscientemente o no nella realtà capitale. Le idee che essi si fanno hanno grande importanza, e questo non soltanto perché esse rischiano di essere tautologiche in rapporto alla realtà stessa. In effetti questa dissoluzione del capitale è anche quella del « progetto » interno alla specie—almeno a partire da un certo periodo—: giungere all’autonomia, alla liberazione e perfino alla libertà assoluta 3. Ma essendosi spogliato di ogni materialità

3 La forza di questa idea di rendersi autonomi, indipendenti, deve cercarsi nell’uomo in un lontano passato; non avrebbe egli conosciuto un periodo in cui sarebbe stato profondamente dominato e come schiacciato dai dati ambientali? Oppure bisogna vederlo in un échappement profondo del desiderio di creazione... Si constata che l’uomo è l’animale più distruttore della natura; la sua sola specializzazione, secondo alcuni, sarebbe l’aggressività che gli avrebbe permesso di sopravvivere. Tuttavia si constata anche nelle antiche comunità sopravvissute un equilibrio uomo-natura in cui egli non si percepisce come dominatore. Questo mostra che è fondamentale situare il momento in cui la rappresentazione si autonomizza nell’uomo e in cui egli si separa dalla natura.

-e avendo assoggettato gli uomini al suo essere, il capitale potrà ancora sopravvivere? Non è tanto un divenire nell’assurdo, quanto un (le divenire impossibile? Si tratta quindi di una fine del capitale, ma anche della specie e attraverso essa della natura. Ciò dev’essere affrontato prima, ben prima, che il capitale possa giungere a questa autonomizzazione; completa; in altre parole non si può e non si deve arrivare alla confusione di questo « progetto ».

Liberazione-emancipazione: altra faccia dell’erranza

I diversi studi che abbiamo condotto sul capitale, a partire da Marx, mostrano che il suo divenire è un divenire di emancipazione. Esso deve liberarsi dei vecchi rapporti sociali e delle vecchie rappresentazioni, Tre elementi sono da cogliere simultaneamente: separazione, autonomizzazione, astrazione.

Nella sua forma antidiluviana il capitale sorge per autonomizzazione in rapporto alla circolazione, cosa che si ritrova nella forma che il capitale prende all’epoca del mercantilismo, momento che Marx chiama nei Grundrisse terza funzione del denaro. « Il capitale proviene anzitutto dalla circolazione, e cioè dal denaro quale suo punto di partenza... I questo] è ad un tempo il primo concetto del capitale e la sua prima forma fenomenica » (Grundrisse, p. 164; tr. it. cit., p. 226).

Ma come Marx dice nel VI capitolo, non poteva che essere una dominazione formale, perché non c’era dominio del processo di produzione. Per il vero e proprio sorgere del capitale, occorre che si compia la separazione del lavoratore dai suoi mezzi di produzione. È in questa forma che Marx definisce, nel libro I del Capitale, il primo concetto di capitale. A partire da qui si avrà creazione del processo di produzione del capitale e dominio reale nella produzione, poi nella società. Questo divenire ha come tappe i diversi momenti in cui il capitale deve superare degli ostacoli, deve liberarsi, autonomizzarsi, e, ogni volta, c'èseparazione, fino a quella studiata da Marx (che non è l’ultima) fra capitale e capitalisti. Non riprenderò questi argomenti perché sono già stati esposti nel n. 2 di Invariance, I serie (cfr. Il capitale totale, cit.). Qiuello che mi preoccupa è di sottolineare l’importanza fondamentale della liberazione-emancipazione-separazione... Il capitale si libera degli uomini » della natura. Per dirla altrimenti, gli uomini si separano, si liberano della natura attraverso il capitale; grazie ad esso essi si libererebbero da ogni animalità (cfr. Moscovici). Gli uomini diventano astratti e lo sono in rapporto a tutte le loro determinazioni storico-naturali ( intendendo con ciò che è nel corso della storia, cioè del tempo vissuto dagli uomini nella loro diversità, che essi hanno perduto le loro diverse determinazioni).

A questo punto due notazioni storiche: in quale misura questo divenire non è Verweltlichung, cioè profanizzazione-mondanizzazione della religione cristiana che pone un divenire liberatore in rapporto alla natura, e una redenzione? La critica di questa religione sarebbe nello stesso tempo critica del capitale. Si può constatare che il movimento di liberazione borghese non è realmente rimesso in causa dal movimento proletario: c’è continuità tra i due.

Per Marx, in definitiva, la borghesia non sarebbe capace di portare fino in fondo questo movimento (cosa che non è probabilmente falsa) e d’altra parte egli pensa che il modo di produzione capitalistico (e dunque la borghesia, perché egli ragiona in termini di classe) non potrebbe ricostituire un’unità, una comunità. Il ruolo di questa classe essendo di struttore (e qui distruzione = rivoluzione), quello del proletariato è di portare fino in fondo la distruzione negando se stesso. Da ciò può prodursi un’altra comunità umana sulla quale Marx dà qualche ragguaglio nei Manoscritti del 1844 sotto forma d’aspirazioni a una comunità altra, a un altro essere umano. Ora, abbiamo visto che il capitale si costituisce in comunità materiale... Bisogna quindi riprendere tutto da zero! Cioè riconsiderare questo movimento di liberazione-emancipazione.

Finché quest’ultimo punto non era stato percepito, si poteva soprai tutto mettere in evidenza il processo di separazione che è effettivamente un momento della liberazione. Bisogna essere separati da ciò che ci incatena. Contro « le catene della schiavitù » la borghesia propose la libertà, lo sviluppo dell’individuo, la democrazia. A questa società liberali-, Marx oppose la necessità dell’emancipazione, della liberazione, cioè un movimento che potrebbe portare a termine un fenomeno che comincia con la separazione e che di per sé non poteva essere definito né buono né cattivo; solo la sua conclusione potrebbe, in definitiva, assegnargli una qualificazione.

Si era sul terreno della rivoluzione borghese. Bisognava portarla a compimento; bisogna compiere ciò che essa non poteva portare a termine: l’emancipazione dei proletari e quindi quella dell’umanità. Marx tuttavia partiva dal presupposto che una tale emancipazione non poteva essere che una negazione del proletariato. La borghesia aveva liberato le forze produttive, come aveva liberato lo stato, gli individui; ma questa liberazione non era reale perché non riguardava che una classe, la borghesia, e, d’altra parte, essa si muoveva nella sfera politica, non nella totalità.

Si ritrova questa problematica quando si afferma che la rivoluzione consiste unicamente nella liberazione del comunismo prigioniero in seno al modo di produzione capitalistico. Si tratterebbe di distruggere una forma oppressiva e di liberare un contenuto. Attraverso questo processo si avrebbe l’inversione di quel fenomeno che segnaleremo più oltre, poiché qui i rivoluzionari avrebbero la tendenza a comportarsi come gente di destra. Tuttavia c’è una parte di realtà in questa teorizzazione. In effetti il capitale è una forma che si gonfia sempre più d’un contenuto che le è estraneo (recupero). Viene un momento—come si è sempre verificato nel corso di tutte le rivoluzioni—in cui si ha una rottura e tutto si sgretola. Perché questa rottura si effettui, qualsiasi avvenimento può essere determinante. Ma questo non può essere il punto di partenza di un altro modo di vivere se non in quanto gli uomini e le donne abbiano acquisito un’altra rappresentazione, si mettano al di fuori della vecchia società: perché, nel caso del capitale, la lotta può, dopo una fase più o meno lunga di sconvolgimenti, essere recuperata.

Non si tratta di liberare il comunismo, poiché esso implica per realizzarsi un immenso atto di creazione. Il movimento comunista in quanto opposizione, recuperata dal capitale, può provocare questo squilibrio necessario, ma non può dare l’avvio a una dinamica di vita nuova. Inoltre questa problematica tende a far credere che il comunismo non è possibile che sulla base del modo di produzione capitalistico. Ora, il vasto movimento di fuga dal capitale è realizzabile se gli esseri umani ritrovano nel loro passato (dunque ricordandosene) le molteplici potenzialità di cui sono stati spogliati.

La liberazione s’è quasi sempre presentata come liberazione di una forma con perdita di un contenuto. In effetti il soggetto emancipantosi. dovrebbe sparire nel suo essere immediato, mantenendo il dato invariante, ma a causa della pesantezza del contenuto, si produce una separazione contenuto-forma e liberazione di questa, cioè autonomizzazione (ciò che pone, in germe, la dissociazione (Spaltung), quindi la schizofrenia). Questo è alla base del fenomeno seguente: la sinistra fu per la liberazione 4 e la destra per la difesa del contenuto, della sua conservazione. Ciò è particolarmente chiaro per le diverse religioni. Esse non perdura no se non perché conservano qualcosa di umano, una sostanza di un’altra epoca. La religione forse non è possibile se non perché l'uomo si è perduto. Di qui si comprende l’ambiguità dei movimenti di liberazione delle nazioni, dei popoli, nello stesso tempo aventi un carattere rivoluzionario e reazionario, secondo l’accezione classica. Lo si può vedere nei movimenti anticoloniali e soprattutto attraverso certe analisi di Frantz Fanon sull’Algeria. Ma questo vale anche per le reazioni dei romantici e di Hegel, così come per i sostenitori del folklore.

Quindi il meccanismo dell’alienazione non è distrutto con la liberazione, poiché può sfociare in una perdita ancora più grande, la perdita di ogni radice, la perdita di ogni legame profondo con un passato, con la terra ecc., lo sbocco nel vuoto, la perdita di referente senza possibilità d’intravvedere un altro modo d’essere... Perché se si concepisce unicamente un movimento di liberazione, anche questo pone un indefinito ed è simile al movimento del godere, sempre proposto e mai raggiunto; d’altra parte lo si deve ugualmente mettere in parallelo con la liberazione dal lavoro, la sua abolizione. Si è detto che era una parola d’ordine capitalista perché mirava in definitiva a rendere l’uomo superfluo; dato che il capitale vive con tutti i suoi corpi inorganici creati nel corso dei secoli. Ma si è detto anche che bisognava postulare la distruzione del lavoro. In altri termini, si è affermato che si doveva affrontare il problema secondo altri presupposti. Il movimento, la dinamica di realizzazione della comunità umana deve collocarsi al di fuori di tutto ciò. Perciò bisogna ripensare tutto il movimento passato: 1) rapporto tra le diverse specie umane prima del trionfo dell’Homo sapiens. 2) Rap-

* Si può mettere in rapporto la rivendicazione della liberazione-emancipazione col discontinuo, mentre la rivendicazione del contenuto è in relazione col continuo. Attualmente si pone il problema di liberarsi delle istituzioni, dei costumi, dei modi di essere; in altri termini, ci sarebbe un problema di liberarsi delle forme stesse. È importante notare a questo proposito il rapporto con l’arte pittorica che dovette prima liberarsi delle suggestioni della natura, poi delle forme artistiche stesse.

porti tra le diverse comunità umane; loro dissoluzione. 3) Cosa si postula allora? 4) A cosa siamo pervenuti? 5) Che cosa abbiamo perduto? E anche, che cosa avrebbe potuto manifestarsi, qualcosa che fu latente e che fu sempre inibito? 6) Non basta poi dire che dobbiamo unire una forma emancipata ad un contenuto perduto, perché c’è anche un atto di creazione. Lo si sente profondamente quando si sente che la specie umana è stata orribilmente distruttrice, violenta, aggressiva... e che occorre una specie in armonia con la natura.

Ritorniamo a Marx. Le citazioni che seguono sono estratte da La questione ebraica, pubblicata nel numero speciale di lnvariance, del novembre 1968.

« Il limite dell’emancipazione politica appare subito nel fatto che lo stato può liberarsi da un limite senza che ne sia realmente libero l’uomo, che lo stato può essere uno stato libero senza che l’uomo sia un uomo libero».

« L’uomo si emancipa politicamente dalla religione nel momento in cui la confina dal diritto pubblico nel diritto privato. Laddove l’uomo— se pure in maniera limitata, in forma particolare e in una sfera particolare—si comporta come essere di specie, in comunità con altri uomini, essa non è più lo spirito dello stato, ma è diventata lo spirito della società civile, della sfera dell’egoismo, del bellum omnium contra omnes. Essa non è più la essenza della comunità, ma l’essenza della differenza. Essa è diventata espressione della separazione dell’uomo dalla sua comunità {Gemeinwesen) da sé e dagli altri uomini—ciò che essa originariamente era. Essa è ridotta al riconoscimento astratto della stortura particolare, del capriccio privato, dell’arbitrio. L’infinito frazionamento della religione che si verifica nell’America settentrionale, per esempio, le conferisce già esteriormente l’aspetto di una faccenda puramente individuale. Essa è precipitata nella quantità degli interessi privati ed è bandita dalla comunità in quanto ente comune {Gemeinwesen). Ma non inganniamoci sui limiti dell’emancipazione politica. La scissione dell’uomo nell’uomo pubblico e nell’uomo privato, la dislocazione della religione dallo stato nella società civile, non è una fase ma il compimento dell’emancipazione politica, che quindi elimina la religiosità reale dell’uomo tanto poco quanto poco aspira ad eliminarla » {cfr. tr. it. in K. Marx, Scritti politici giovanili, Einaudi, Torino, p. 363 e pp. 367-68).

Peccato che Marx non definisca la religiosità. Ma c’è di più: egli ha in mente, qui, il protestantesimo. Ora, il cattolicesimo ha persistito ed è mantenendo una comunità che esso vive. È vero, la religione rende manifesto che la comunità è stata perduta, ma è d’altronde essa a mantenere, a far perdurare questo dato comunitario, soprattutto in religioni come il cristianesimo, l’islamismo, il giudaismo.

In Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzioni Marx dice: « La religione è la coscienza di sé e il sentimento di sé dell l’uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso » (cfr. tr. it. cit., p. 394).

Marx indica bene che la religione è un sentimento (più che una coscienza) di qualcosa che io direi perduto, ma è anche formazione di un'altra comunità. Attualmente, può essere un’alternativa al capitale, limitata certo, ma operante. È pur vero che compiendo i suoi diversi aggiornamenti, la chiesa si distrugge, tende sempre più a perdere il ricordo di ciò che è stato perduto.

« L’emancipazione politica è al tempo stesso la dissoluzione della vecchia società, su cui poggia l’essenza dello Stato estraniata dal popolo, la potenza sovrana. La rivoluzione politica è la rivoluzione della società civile» (La questione ebraica, cfr. tr. it. cit., p. 381). «Solo quando l’uomo reale, individuale, riassume in sé il cittadino astratto, e l’uomo individuale nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nei suoi rapporti individuali, è divenuto membro della specie umana, soltanto quando l’uomo ha riconosciuto e organizzato le sue forces propres come forze sociali, e perciò non separa più da sé la forza sociale nella figura della forza politica, soltanto allora l’emancipazione umana è compiuta » (ibid., p. 385).

Si potrebbe anche citare il passo dove Marx dice che l’uomo non s’è emancipato dalla religione ma che c’è stata emancipazione della religione ecc...

Qui è il nocciolo del problema, poiché l’emancipazione politica approda alla formazione dell’individuo, da un lato, ed alle istituzioni dall’altro; l’emancipazione sociale sbocca in definitiva nella polverizzazione dell’individuo (il movimento di emancipazione influenza il suo essere; l’emancipazione sessuale è autonomizzazione del sesso) e nella formazione della comunità materiale del capitale. L’emancipazione politica dà la società borghese, l’emancipazione sociale dà la comunità materiale del capitale, il suo dispotismo con una democrazia compiuta e una schiavitù generalizzata {convergenza profonda tra modo di produzione capitalistico e modo di produzione asiatico). Così nell’area occidentale si possono constatare i limiti del cristianesimo: si è avuta emancipazione, ma distruzione del paganesimo e asservimento del corpo; instaurazione dello stupido dualismo spirito-corpo, anima-materia, ecc. distruzione delle comunità; ma anche i limiti del marxismo.

C’è unificazione della specie nella sua totalità storica così come nella sua dimensione spazio-attuale, e questo non può realizzarsi senza una ridefinizione del suo ruolo nel cosmo. Anche col cristianesimo, è vero, si è operata un’unificazione; che venne postulata anche dal marxismo; ma essa doveva farsi e si faceva attraverso lotte tra frazioni umane. Bisogna dunque sbarazzarsi di una specie di « progetto » che sottende l’uno e l’altro così come l'Aufklärung; occorre porre nello stesso tempo le determinazioni conservate a destra e quelle fondate a sinistra. Ma questo senza nascondere il fenomeno fondamentale: i movimenti di destra hanno voluto conservare, ma per perpetuare un dominio. Essi hanno sempre mantenuto un dato umano, a dispetto della loro disumanità, mentre tutti i movimenti che si possono classificare di sinistra si sono scagliati contro questa disumanità orribile. I movimenti di destra mantenevano ciò che poteva essere umano solo per qualche élite, il che per ciò stesso snaturava il loro « progetto » umano. Questa inumanità era cristallizzata negli ordini, negli stati, nelle diverse istituzioni. Così, respingere la teoria del proletariato non implica affatto negare il ruolo rivoluzionario, umano, ma limitato nello spazio e nel tempo, dei proletari che, generosamente, si sono sollevati contro la dittatura del capitale. Non è quindi una riconciliazione che noi proponiamo, il che sarebbe un ritorno alla famosa formula di Bakunin di riconciliare le classi. Noi vogliamo mettere in evidenza la falsa coscienza da una parte come dall’altra; l’errore di prospettiva, per così dire; bisogna abolire il culto del passato così come la sua iconoclastia; mostrare che per abbattere un despotismo, si tendeva non solo a crearne un altro (cfr. il despotismo dell’Uguaglianza), ma soprattutto si distruggevano delle determinazioni umane.

Citiamo un caso preciso: la scienza si è sviluppata negando, respingendo la magia e le diverse scienze occulte: astrologia, radiestesia, chiromanzia ecc., per non parlare delle scienze che si occupano della para-psicologia, ecc. Non è possibile che la dinamica che porta al comunismo, che si andrà sempre più sviluppando, possa prendere realmente l’avvio, senza che si esaminino queste ultime scienze e che una nuova prospettiva nasca da qui e dal confronto con la scienza ufficiale. La quale non si è sviluppata che eliminando quei problemi che venivano dichiarati falsi ma che, paradossalmente, essa deve affrontare ora (per es.: studio dei fenomeni di telepatia e telecinesi ecc. in urss e usa).

Col Maggio-giugno ’68 e il movimento posteriore molti si sono li berati del militantismo, del culto del proletario, della teoria, del rapporto con la società; dunque liberazione degli individui (concezione del loro primato), basta col sacrificio, ecc., ma si sono avuti così degli esseri vuoti che si gonfiano di qualsiasi cosa, che si sono liberati da ogni caposaldo ma che sono incapaci di porsi essi stessi e di attingere nel vasto movimento umano e naturale tutte le risorse di vita (cfr. dominio della morte). Donde gli aspetti negativi della controcultura, soprattutto per quel che riguarda la droga. A questo proposito è interessante notare il legame-opposizione esistente tra autonomizzazione-inibizione e liberazione-alienazione.

Per quel che riguarda l’amore, per esempio, si ha liberazione di una funzione. In effetti la distruzione della famiglia implica che simultaneamente ci sia liberazione dell’amore in quanto funzione che unisce, riunisce gli esseri umani sia per una procreazione, sia per mantenere una certa coesione del milieu umano; nello stesso tempo ciò dà l’illusione che una inibizione-repressione sia stata eliminata. Dato che si ha liberazione di una funzione, i giovani e le giovani che hanno vissuto questa decomposizione possono molto facilmente assumere in seguito il loro ruolo di cittadine e cittadini procreatori.

In definitiva liberazione e autonomizzazione sono legati e sono momenti della riduzione dell’essere umano, perché si tratta fondamentalmente della perdita della Gemeinwesen. Questo, Marx l’aveva già indicato in La questione ebraica, perché si ha, ogni volta, imprigionamento dell’essere umano in un elemento parcellare e perdita del pensiero universale, che non è che un pallido riflesso della dimensione della Gemeinwesen. Si constata generalmente l’illusione di pervenire a una partecipazione—attività di spezzare la passività e la dipendenza— senza rimettere in causa ciò di fronte a cui gli esseri umani si autono-mizzano, né ciò che s’autonomizza; il che porta all’autonomizzazione della funzione. L’essere gestirà il campo liberato, il suo esserci, determinato dalla funzione realmente posta in modo autonomizzato (autogestione).

L’illusione è grandissima in coloro che, credendo di superare Marx, dicono che l’economia non è più determinante (se mai lo fu, aggiungono) e che, quindi, conta solo la lotta; l’uomo, in fondo, è sempre là, è per così dire presente nel tessuto sociale, economico, negli atti, nei fatti quotidiani, ecc., per questo secondo costoro ci sarebbe nell’immediato un possibile processo in sviluppo di emancipazione, il che passa
attraverso l’autogestione. Ora, dal momento che l’essere umano è Gemeinwesen, non c’è da partecipare (altrimenti vorrebbe dire partecipare a se stesso); la dimensione universale gli permette di coprire il mondo. Per questo tutti coloro che hanno eliminato la determinazione della Gemeinwesen hanno sempre avuto bisogno di un equivalente generale, d’un referente, d’uno stabilizzatore-coordinatore, ecc. perché nel loro caso, hanno sempre a che fare con individui, e questi implicano lo stato.

Emancipazione, crisi e critica

Respingere la prospettiva dell’emancipazione-liberazione non è sufficiente, bisogna ugualmente rimettere in discussione i concetti di crisi e di critica. La crisi postula una scelta, una decisione; che s’impone perché c’è una situazione difficile, insolita. Il che concerne sia il modo di produzione capitalistico sia gli uomini, senza trascurare le interferenze fra le due cose. Quali sono allora le scelte possibili? Si può già indicare che per il modo di produzione capitalistico si pone il problema apparente di una scelta tra una produzione di tipo materiale e una produzione di tipo immateriale (rapporto con lo sviluppo zero), ma di fatto il problema riguarda l’accesso a un dominio assoluto e le scelte non sono che apparenti; c’è un determinismo rigoroso che conduce a una certa realizzazione; determinismo che non può essere rimesso in causa se gli uomini non diventano capaci di spezzare l’addomesticamento. Per gli uomini, la scelta apparirebbe come accettazione o no della crescita, come rimessa in discussione o no della teoria della necessità dello sviluppo delle forze produttive. Per l’umanità si pone la scelta tra l’accettazione del suo proliferare distruttore della vita o il controllo-contrazione della sua inumana moltiplicazione quantitativa, che permetterebbe la sua perpetuazione; abbandonare una certa paura della morte che le fa cercare la vita nell’estensione della propria vita—moltiplicazione e progressione della vita. La riproduzione è in un certo senso paura della morte e l’uomo vive nell’estensione e non nell’intensità del vivere; ciò esprime la sua incertezza di fronte al mondo, come se la specie non avesse ancora assicurato la sua esistenza sul pianeta. L’intensità del vivere implica una riflessione della vita su se stessa, allora c’è piacere attraverso il riassorbimento della vita in seno al soggetto vivente e non viene delegata a un’altra generazione.

Connesso alla crisi, c’è il concetto di critica; questa permette di individuare la scelta più favorevole; ce d’altronde uno stretto legame, tra le due. La situazione o periodo critico è una situazione in cui si ha crisi. La critica letteraria o artistica entra in questo caso. Per contro, la critica nel senso filosofico permette di fondare e di rendere autonomo un campo, qualcosa, una forma, il che getta le basi di un processo, per esempio in Kant, ma anche in Marx per ciò che riguarda l’economia politica. (A quali condizioni può esserci un reale sviluppo delle forze produttive). La critica è qui propedeutica alla scienza.

Ma dal momento che si tratta di far prevalere un giudizio, a tutto questo è sotteso il concetto di valore e una scala di valori. D’altra parte, bisogna far trionfare una scelta contro altre scelte possibili e ciò si manifesta generalmente contro altri uomini, per cui la critica genera la polemica. Ancor più se si tratta di portare gli altri sulla critica di un’opera, la propria. Un esempio interessante è costituito dall’opera di Baudrillart: egli procede a un tempo come Kant e Marx tentando di delimitare un nuovo campo e si comporta come tutti i polemisti; deve distruggere il padre, donde il suo Per una critica dell’economia politica del segno, che non può essere in nessun caso un superamento di Marx (nemmeno un inizio) perché non ne rimette per nulla in causa i presupposti.

Quando nasce la critica? In breve, lasciando da parte la letteratura antica dove si hanno piuttosto delle ricette, dei precetti per scrivere bene, per parlare bene, si può constatare che essa nasce con il sorgere della borghesia all’alba dell’instaurarsi del modo di produzione capitalistico. Si può definire la critica, in tutti i casi, come una via d’accesso a una scienza, a una ricerca metodologica del buon operare, certamente, ma soprattutto una scienza che si edifica su ciò che è prodotto e al tempo stesso la critica è delimitazione di questa scienza. La critica prende sviluppo dopo la fine del XVIII secolo, cioè dopo Kant, che è il filosofo che forse di più {e in tutti i casi per primo) ha posto le condizioni della scienza, i suoi limiti, ecc. La via alla scienza è appunto la critica. Attualmente non è un’aberrazione vedere critici ed epistemologi avvicinarsi; la scuola althusseriana tenta di fondare una scienza della critica, di separarla, come essi vanno ripetendo, dall’ideologia.

Così dunque la critica all’inizio appare come una disciplina che sorge per dettare il buon gusto e far mantenere le regole del gioco, le convenzioni... (rapporto critico con lo stato!).

A partire da questo si è voluto sapere perché un autore produceva una cosa piuttosto di un’altra, si è voluto studiare il suo condizionamento...

Dapprima la critica fa parte di un tutto; a un certo momento questo lutto fu la filosofia; essa era inclusa nell’estetica, cfr. Hegel. Poi fu separata; ora deve subire un’autonomizzazione diventando una scienza. A questo punto si situa l’opera dei marxisti e degli strutturalisti (talvòlta non c’è molta differenza fra di loro): ossia compiere questa riduzione.

La critica ha un legame innegabile con la concorrenza e di conseguenza con la pubblicità. È evidente che con l’inflazione di opere sorge la necessità di scegliere, non da soli ma con la mediazione di un terzo che media tra me e le opere, e mi condurrà verso quelle buone. A questo riguardo è interessante occuparsi del ruolo della censura; non una censura diretta, cioè le forbici (si taglia nel corpo dell’oggetto); ma una censura che, in definitiva, taglia nel corpo del mio essere tagliando i miei legami potenziali con certe opere in quanto sono criticate, sottoposte cioè a dubbio, rimesse in discussione; e si scende più facilmente una china col discredito di quanto si possa salire col credito.

La pubblicità è l’esteriorizzazione in positivo della critica. Essa non dà che giudizi favorevoli, positivi, valorizzanti tutto, realizzando implicitamente una devalorizzazione degli elementi concorrenti. L’essere umano anche in questo caso è spossessato, spogliato. La pubblicità gioca molto a livello di tutti i racket. Tutto ciò che precede permette di fondare il rifiuto dei concetti di crisi e di critica...

Per tornare alla crisi in corso, vista come crisi della società, crisi del modo di produzione capitalistico, certuni dicono del capitale, possiamo dunque accettare una diagnosi: viviamo un periodo gravido di un rovesciamento, che si fa già sentire... Possiamo aggiungere che viviamo un periodo simile a quello degli anni ’20, periodo in cui molti credettero che la rivoluzione fosse in corso, che fosse possibile, ovvero inevitabile, mentre di fatto permisero, con la loro azione, la realizzazione della comunità materiale del capitale, operando nell’ambito del suo divenire al dominio reale. Attualmente, si tratta di un periodo in cui è in gioco la possibilità di accesso del capitale a un dominio più totale: il modo di produzione capitalistico tende realmente a superare gli ostacoli legati alle vecchie istituzioni e alle vecchie rappresentazioni. Così con la mediazione delle società multinazionali e dell’ONU, si manifesta una tendenza ad una unificazione la quale fondi positivamente la comunità capitale, il che non si realizzerà probàbilmente se non attrverso conflitti in cui la sinistra e l’ultra-sinistra penseranno di operare per una rivoluzione e non faranno che il gioco del capitale; per esempio lotte contro gli stati, rivendicazioni della gratuità...

Nel corso di questo vasto processo già in atto, numerosi fallimenti sono inevitabili, ed essi creano la possibilità di molteplici interventi, ma ciò non può realizzarsi, avere una qualunque probabilità di successo, dunque manifestarsi realmente in quanto tale, se le vecchie rappresentazioni che invischiano gli uomini non sono eliminate. Solo a partire di qui può sbocciare una comunicazione tra gli esseri, poiché non saranno più irrigiditi in ruoli stereotipati, in modi d’essere fissati. Perché, se è evidente che senza una scossa profonda che coinvolga la famosa « base materiale » niente è possibile, è altrettanto chiaro che senza un rifiuto totale di queste rappresentazioni, gli esseri umani non potranno dare inizio a un’altra dinamica.

D’altra parte la rivoluzione non è possibile che a patto che la grande maggioranza degli individui comincino a rendersi autonomi rispetto alle loro condizioni materiali (ciò che si definiva accesso alla coscienza). Da questo punto di vista la scuola olandese (soprattutto Pannekoek) ha avuto il merito di insistere su questa necessaria trasformazione nel corso della rivoluzione.

Prima che si produca un urto potente, occorre che una unione dei rivoluzionari sia in corso di realizzazione, che si manifesti una nuova solidarietà così come una nuova sensibilità, ma soprattutto è indispensabile una rappresentazione diversa, altrimenti l’urto metterà solamente in moto una violenza cieca incapace di sfociare nell’affermazione di un altro modo di vita.

Se dunque si accetta il termine crisi per indicare la situazione attuale, va sottolineato che essenziale non è quest’ultima, ma il fatto di sapere se gli uomini l’affrontano sempre secondo gli stessi schemi. Questo non vuol dire che occorra accettare la teoria secondo cui bisogna prima di tutto cambiare le mentalità. Si vede troppo bene che queste non sono modificate da interventi individuali o collettivi (parziali, non totali), o da qualsivoglia specialista dell’agitazione. Ma è chiaro che uno sviluppo dato di una determinata società non produce automaticamente uno spirito rivoluzionario. Bisogna dunque affrontare la crisi attuale nella sua particolarità e nei modi in cui essa deve essere colta. Il più grande elemento di crisi sarà (e debolmente lo è già) un comportamento umano del tutto diverso, non addomesticato, cioè non asfissiato dalla razionalità tout court. Ora, il nostro mondo è dominato, conquistatodal materialismo storico; il progresso è concepito come progresso delle forze produttive; persino coloro che non professano questa teoria ne sono impregnati, essa è per loro come un minimum di riferimento con la realtà; per costoro tuttavia essa sarebbe valida nel campo materiale ma non potrebbe render conto della totalità. Occorre dunque rompere con questa razionalità e col mondo che essa controlla.

Crisi e attori del dramma

Non affronterò ora, in maniera fenomenologica, gli elementi di ciò che si chiama, in mancanza di meglio, crisi. Ormai il momento di rottura, di squilibrio in seno al modo di produzione capitalistico, che Bordiga prevedeva per il 1975, è patente per tutti. Così G. Barraclough scrive sul New York Tribune (citato nel Nouvel Observateur, n. 503): « Viviamo la fine di un’epoca dhe sarà durata cinquant’anni, l’epoca del neo-capitalismo. Entriamo in un periodo di riassestamenti radicali che apporterà inevitabilmente malessere e sofferenza [...]. Non c’è soluzione nel quadro del sistema ».

Ci si può attendere, effettivamente, ad abbastanza breve termine, degli urti violenti in seno alle diverse nazioni così come tra di esse. Una rassegna degli attori presenti all’interno di questo dramma che inizia s’impone (al di fuori del capitale stesso di cui cercherò di definire in un prossimo articolo quello che può essere il suo momento di indebolimento profondo, la sua impasse). Possiamo indicare, innanzitutto, i gestori del modo di produzione capitalistico, gli economisti e i politici. C’è in questo caso, soprattutto per quel che riguarda i primi, un’incapacità di comprendere la crisi, concomitante all’illusione di essere ancora determinanti. Ci si può porre il problema di sapere se, il giorno in cui si renderanno conto di non avere, in definitiva, alcuna importanza—essendo la razionalità del capitale che domina tutto—non si ribelleranno anch’essi. Ciò vale soprattutto per gli ingegneri e i quadri. Ci sono poi i riformisti del capitale, come Mansholt e i membri del club di Roma, Attali, e in una dimensione tuttavia molto diversa, Illich (Domenach, nella misura in cui riprende la problematica di quest’ultimo). Inoltre, dato che non rimette in causa i presupposti capitalistici, Mac Luhan.

Segnaliamo poi le chiese. Il loro è un ruolo particolare. Da un lato esse sono obbligate ad opporsi al capitale nella misura in cui questo distrugge tutto ciò che è umano; in questo senso hanno una dimensione umana perché tendono a mantenere qualcosa di perduto, anche se ciò non può persistere che allo stato di ricordo. D’altro lato esse difendono delle rappresentazioni in opposizione totale al divenire necessario della specie, per es., il famoso « vivete e moltiplicatevi » (vedi la critica del mit).

Così le loro ambigue contraddizioni sul problema della vita. Come pei il problema dell’aborto. Bisogna invece tendere a una diminuzione della popolazione umana.

Le correnti nate dal marxismo non mettono in causa la dinamica del l’accrescimento delle forze produttive: PC, PS, gauchistes diversi. Il movimento ecologico e i suoi limiti spesso penosi, nel mondo come in Francia (cfr. l’indecorosa fine di Dumont durante il carnevale elettorale). Le posizioni di Lagueule ouverte sono spesso simpatiche (più che altro di tipo informativo), ma sono limitate dato che non rimettono realmente in causa i presupposti del capitale. Lo stesso vale per il movimento comunitario. In rapporto ad esso è importante analizzare le posizioni dei movimenti che difendono il vegetarianismo (Vie claire...), oppure il movimento dell’agricoltura biologica.

Non c’è da farsi illusioni su di essi poiché sono parcellari e il più delle volte invischiati nel meccanismo mercantile, ma esprimono ancora una certa resistenza alla dinamica del capitale. Nella misura in cui possono permettere a un certo numero di esseri umani di vivere più naturalmente (forse un punto di partenza per una rimessa in causa dell’addomesticamento), essi possono scatenare un processo che li superi largamente, soprattutto quando è rimessa in discussione la scienza ufficiale, come nel caso dei membri della lega contro le vaccinazioni, per esempio. Si hanno elementi analoghi con le comunità ecologiche fautrici di una tecnologia morbida, ed è bene a questo punto segnalare l’importanza del movimento hippie e del movimento yppie (e dunque l’importanza dei diversi movimenti di contestazione dei giovani). Infine i regionalisti tendono a rimettere in evidenza certi elementi importanti, quali difesa della natura, agricoltura biologica (per non parlare della rimessa in causa dello stato centrale, dispotico), e, cercando di definire una dimensione umana percepita nelle differenze, le varietà necessarie in seno alla specie, formano un punto di partenza possibile per una rimessa in causa più globale. Ma non si dimentichi il loro dualismo, in particolare il loro passatismo.

Al di fuori di queste correnti, che si collocano in disparte dalla società esistente, esistono i marginali in seno ai quali ci sono differenze considerevoli, da quello parassita a quello più o meno asceta, specie dianacoreta del xx secolo. A questo proposito deve essere sottolineata la parentela tra monachesimo e marginalità. Il movimento monacale istituzionalizzato è stato un mezzo per recuperare la marginalità. Si ha una certa somiglianza con l’Impero Romano al declino. Inoltre con un certo ascetismo si ha anche la ricerca di un nuovo nutrimento, ripresa della pratica del digiuno; a volte il movimento si accontenta di un ritorno alle origini, a volte esplora nuove strade. Qui si tocca la radice stessa del fenomeno non di negazione del capitale, che è insufficiente, ma più esattamente del sottrarsi al suo dominio. In effetti, i movimenti di discontinuità essenziali dell’umanità sono quelli in cui essa ha acquisito una nuova sessualità (nuovi rapporti sessuali) e un nuovo nutrimento, concepito anche in un certo modo come rapporto tra gli uomini e le donne. Ciò dev’essere messo in relazione col fatto che nutrimento e sessualità sono profondamente legati e determinano il comportamento umano, il comportamento degli esseri umani nella natura. C’è inoltre un terzo elemento di cui occorre tener conto: la morte. La dinamica che conduce al comunismo non può essere realmente avviata senza che gli esseri che vi partecipano acquisiscano una nuova rappresentazione-concezione della morte. Ancora un parallelo con la fine del mondo antico: opposizione fra rappresentazione pagana e cristiana della morte.

Così ritroviamo in un’altra modalità la dimensione biologica della rivoluzione. Riproduzione, nutrizione, morte, sono gli elementi essenziali (di base in qualche modo) della vita. È in causa non solo la vita della specie umana, ma delle altre specie: limitazione della riproduzione umana e del depredamento delle altre specie. Da notare che il capitale può realizzare in una forma mostruosa il vecchio sogno di certi uomini cosiddetti nonviolenti, prendendo in considerazione il carattere quasi sacro di ogni forma di vita, sostituendo il nutrimento organico con un nutrimento chimico, sintetico. A partire dal momento in cui si nutrissero gli esseri umani di pillole, non si porrebbe il problema di uccidere degli animali; ma un tale nutrimento non è probabilmente possibile e necessario (cioè il possibile, qui, è introdotto da una necessità) se non in seguito ad una distruzione degli esseri viventi, vegetali e animali.

Quanto precede non è una critica ma una semplice constatazione di ciò che è. Non è in seno ai diversi modi di essere, prò o contro il capitale, che si potrà trovare la giusta soluzione atta a permetterci di piegare la crisi del modo di produzione capitalistico in crisi rivoluzionaria. Tanto più che la crisi non è un momento eccezionale, durante il quale si rivelerebbe infine una possibilità rivoluzionaria, perché essa può essere il momento in cui si effettua un assoggettamento più grande degli uomini e delle donne al modo di produzione capitalistico.

Bisogna abbandonare questo mondo

Bisogna abbandonare questo mondo in cui domina il capitale divenuto spettacdlo degli esseri e delle cose. Spettacolo nel senso in cui l’intendeva Pico della Mirandola quando diceva che l’uomo era spettacolo del mondo oppure, anche, specchio. L’uomo in effetti non avrebbe avuto alcun dono speciale. Tutti i doni essendo stati distribuiti a tutti gli esseri viventi, l’uomo arrivato per ultimo ne sarebbe stato totalmente sprovvisto. Fortunatamente, Dio ebbe pietà di lui e gli diede un po’ delle qualità di tutti gli esseri ed egli divenne, così, spettacolo del mondo. In lui tutti gli esseri viventi potevano, in qualche modo, riconoscersi, vedersi, agire. In seguito al processo d’antropomorfosi il capitale diventa, a sua volta, spettacolo; si assimila, s’incorpora tutte le qualità degli uomini, tutte le loro attività senza mai essere una tra esse, altrimenti si negherebbe per sostanzializzazione, inibizione del suo processo di vita. Accettando le rappresentazioni del capitale gli uomini vedono uno spettacolo che è la loro ridondanza mutilata perché in generale essi non ne percepiscono che una parte soltanto; da tempo essi hanno perduto il senso della totalità.

Per sfuggire all’influenza del capitale bisogna rifiutare i suoi presupposti che affondano in un lontano passato (momento della dissoluzione delle comunità primitive), e, simultaneamente, si può superare l’opera di Marx che è l’espressione compiuta del divenire alla totalità, alla struttura perfetta del valore, che nella sua mutazione di capitale, s’è eretto in comunità materiale. Occorre concepire una dinamica nuova, perché il modo di produzione capitalistico non sparirà in seguito ad una lotta frontale degli uomini contro il loro attuale oppressore, ma attraverso un immenso abbandono che implica il rifiuto di una via percorsa ormai da millenni. Il modo di produzione capitalistico non conoscerà una decadenza, ma un crollo.

Nessun commento: