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martedì, settembre 19, 2023

Charles manson I vostri bambini introduzione

 



Charles Manson

Il mostro giusto al momento giusto?


Nell’agosto del 1969 i sobborghi di Los Angeles furono tea¬ tro di due atroci massacri, ricordati ancora oggi come i più mostruosi crimini degli anni sessanta: ignoti assassini penetrarono in due lussuose ville dei quartieri più eleganti della metropoli e vi trucidarono brutalmente sette persone, tra cui la giovane stella del cinema Sharon Tate, che era all’ottavo mese di gravidanza. Gli inquietanti messaggi lasciati dai criminali contribuirono a seminare il terrore nei dintorni di Hollywood: sul corpo di una delle vittime era stata incisa la parola «Guerra», e sui muri erano state tracciate col sangue scritte minacciose come «Insorgete» e «Morte ai porci». Quattro mesi più tardi il caso veniva sorprendentemente risolto. Gli assassini furono individuati tra gli appartenenti a una comunità hippy sui generis, chiamata “The Family" (La Famiglia), che nel perìodo dell’eccidio viveva nei pressi di Los Angeles, in un ranch usato per le riprese di film western dozzinali, e si era poi ritirata nei territori più sperduti e deserti della Valle della Morte. Ma fu il capo della comune, Charles Manson, colui che venne subito indicato come il vero responsabile, anche se non fu mai provata la sua diretta partecipazione ai massacri; con i suoi incredibili poteri di suggestione egli avrebbe infatti controllato le menti dei giovani adepti, riducendoli in uno stato di semischiavitù e costringendoli a uccidere per attuare i suoi piani diabolici. Titoli come «Eravamo schiave di Satana» o «La follia satanica del Rasputin hippy» inondarono le prime pagine dei giornali. I mass media sfruttarono subito al meglio le innumerevoli opportunità scandalistiche della vicenda, che offriva una miscellanea di torbide storie a base di sesso, droghe, manipolazioni mentali e riti cruenti sullo sfondo di una comune hippy. Il ritratto di Manson che i media costruirono per l’immaginario collettivo fu a dir poco terrificante: il capo della comune fu trasformato nel simbolo del male, una figura malvagia dai connotati satanici che è entrata nella mitologia popolare come emblema delle più negative possibilità dell’essere umano.

Qualcuno è giunto addirittura a definirlo «un'icona del subconscio americano, se non la paranoia dell’intero sistema». Per quanto assurdo possa sembrare, Manson è tuttora considerato un nemico pubblico tra i più temibili, una minaccia sempre incombente sulla società americana.

Ma la figura di Manson non ha attirato su di sé soltanto l’orrore e il disprezzo della collettività; al contrario, un manipolo di ferventi sostenitori lo ha elevato a personaggio di culto. C’è chi lo considera come un vero rivoluzionario e vede nella sua "Famiglia” un esempio di incontrollabile associazione armata, nemica de//’establishment, e chi lo ritiene un prigio¬ niero politico, condannato all’ergastolo soprattutto per le sue idee e il suo rifiuto di accettare le regole sociali della civiltà americana, più che per responsabilità reali. Non manca neppure chi lo giudica un importante filosofo; per esempio Nikolas Schrek, curatore del libro The Manson File, ha definito la dichiarazione processuale dell’imputato come «una spontanea e catartica [...] summa della filosofia pagana di Manson».

Il processo Manson offrì all’opinione pubblica scandali e notizie sensazionali, attraverso la stampa e la TV, per nove mesi e mezzo; alla fine risultò il più lungo e costoso proces¬ so della storia d’America.

Charles Manson fu processato insieme con tre delle ragazze coinvolte nelle stragi; invece il leader del commando omicida, Tex Watson, venne poi processato a parte. Il grande spettacolo era tuttavia cominciato qualche mese prima dell’inizio del processo: l’avvocato di Susan Atkins, una delle assassine, aveva convinto la ragazza a registrare su nastro una confessione completa e particolareggiata; poi, comportandosi in modo non proprio ineccepibile, dopo aver conse¬ gnato una copia della registrazione ai procuratori distrettua li incaricati delle indagini aveva venduto il nastro a un collaboratore del Los Angeles Times. Due giornalisti, basandosi sulle dichiarazioni della Atkins, scrissero allora una finta confessione che fu pubblicata sul L. A. Times e quindi venduta ai giornali di mezzo mondo. In breve tempo venne stampato anche un libro, con il titolo The Killing of Sharon Tate, pre¬ sentato come l’autentica confessione dell’assassina ventu¬ nenne.

Nel bestseller di Ed Sanders intitolato The Family si racconta, tra l’altro, che dalla vendita dei diritti d’autore «furono ottenuti circa 100.000 $[...] nessuno dei quali raggiunse le tasche di Susan Atkins o degli altri imputati».

I rappresentanti della pubblica accusa, per parte loro, cercarono subito di venire a patti con gli imputati, e l’accordo che proposero alla Atkins fu il seguente: se la ragazza avesse confermato in aula la sua confessione, per lei e i coimputati non sarebbe stata chiesta la pena di morte, ma solo l’ergastolo; non era un grande affare per la giovane, che infatti rifiutò. I procuratori ebbero miglior fortuna con Linda Kasabian, la ragazza che aveva portato in automobile gli assassini fino alla villa di Sharon Tate ed era rimasta a far da palo durante la strage. La deposizione della Kasabian con¬ tro Manson, indicato come l’occulto mandante degli omicidi, e contro le coimputate, fu letteralmente comprata in cambio dell’immediata scarcerazione e della completa immunità dall’accusa di concorso in omicidio.

Il procuratore Vincent Bugliosi ricostruì la vicenda sulla base di quello che, a suo dire, era da ritenersi il singolare movente degli omicidi: Manson avrebbe profetizzato un’apocalittica guerra civile tra bianchi e neri, /'Helter-Skelter, avendo percepito alcuni messaggi in tal senso in certe canzoni dei Beatles.

Durante l’infuriare della guerra civile lui e la “Famiglia” si sarebbero dovuti rifugiare in una grotta nel deserto, che era stata scoperta da lui stesso. Alla fine i neri avrebbero avuto la meglio, ma dopo avere completamente sterminato la razza bianca non sarebbero stati in grado di governare il paese, quindi avrebbero ceduto il potere agli unici bianchi superstiti: Charles Manson e la sua “Famiglia”.

Secondo la spiegazione di Bugliosi, lo scopo delle stragi sarebbe stato appunto quello di «accendere /'Helter- Skelter», poiché la responsabilità degli omicidi sarebbe ricaduta sulle frange più estremiste del movimento del Black Power, facendo così divampare la guerra civile in breve tempo: insomma, un piano piuttosto bizzarro per una persona del tutto sana di mente come Manson...

Il dibattimento si svolse in un’atmosfera talvolta degna dei processi della Santa Inquisizione. Bugliosi affermò spesso di temere i poteri ipnotici di Manson e mise in guardia la giuria contro la nefasta influenza psichica dell'Imputato. Nori c’è quindi da meravigliarsi se fu concessa la parola a Manson una sola volta, e in assenza della giuria stessa. Quale valore poteva avere ai fini del processo la sua appassionata autodifesa, se non erano presenti coloro che lo avrebbero giudicato?

Occorre anche ricordare un altro curioso aneddoto: quando il procedimento era ancora all’inizio, il presidente degli U.S.A. di allora, Richard Nixon, dichiarò pubblicamente che Manson era colpevole di otto omicidi. Una gaffe mostruosa: forse il presidente Nixon aveva momentaneamente dimenti¬ cato che la presunzione di innocenza dell’imputato è tra i principi fondamentali del diritto moderno.

L'inevitabile conclusione del processo fu la condanna alla pena di morte per tutti gli imputati, poi commutata nel carcere a vita quando, l’anno dopo, in California furono sospese le esecuzioni capitali.

Sono innumerevoli gli aspetti interessanti e oscuri connessi

con il caso Manson.

Vale la pena di accennare almeno ad alcune teorie che hanno cercato di ridefinire l’intera vicenda in una prospettiva affatto diversa. Si è già detto del processo di demonizzazione di Manson da parte dei mass media; ebbene, diversi “esegeti” della vicenda hanno sostenuto che il vero fine di tutta l'operazione era in realtà quello di stroncare il movimento hippy. Per i sostenitori di tali teorie /'establishment americano avrebbe preso uno sporco hippy, capo di una comune, e attraverso i media lo avrebbe presentato come l'esempio tipico dell'hippy cult leader, trasformandolo poi nel mostro per antonomasia: un traviatore e manipolatore della psiche di una gioventù indifesa che veniva così condotta alla depravazione totale e all’omicidio. Demonizzare Manson avrebbe quindi significato colpire indirettamente il movimento del flower power. Queste teorie ci presentano un quadro della situazione del tutto inedito e sconcertante: Manson il “controllante”, il manipolatore della volontà dei suoi seguaci, sarebbe invece il “controllato” per eccellenza: a lui, figlio del sistema penitenziario americano, tra le cui mura aveva trascorso tutta la giovinezza, sarebbe stata attribuita la parte del Belzebù nazionale al fine di stroncare il movimento hippy e le controculture degli anni sessanta, che erano diventate un pericoloso fattore destabilizzante dell’ordine sociale. Dunque, Manson sarebbe stato proprio il mostro giusto al momento giusto.

È difficile, se non impossibile, dire quanto ci sia di vero in tutto ciò; ma è perlomeno strano che Manson sia tuttora conosciuto come il più famoso assassino di massa degli Stati Uniti, terra dove alcuni serial killers hanno collezionato oltre un centinaio di omicidi: ed è strano che il presidente abbia dichiarato colpevole un uomo che non era ancora stato processato, come sono strane molte altre cose. Le suddette teorie si possono comunque considerare come esempio importante di un'attitudine che ognuno dovrebbe far propria. Le distorsioni dell’informazione sono fenomeni frequentissimi nelle società odierne, dove i mass media sono gestiti dai grossi centri di potere e dove la televisione è il principale strumento per il controllo delle masse e il consolidamento del potere stesso: approfondire le indagini e le problematiche, non accettare impassibili le “verità” chiare e semplici che ci vengono raccontate, sono precisi doveri per ogni membro intelligente della società. E spesso non è difficile scoprire i trucchetti dei grandi manipolatori...

Per oltre ventanni Charles Manson ha dovuto recitare per i mass media la parte del Demonio, con almeno un passaggio televisivo a settimana, fra interviste e servizi sul “peggior criminale d'America”. Poi, dopo un picco di popolarità dovuto all’usurpazione del suo nome da parte della rockstar più maledetta di fine millennio (Marylin Manson), qualcuno si è accorto che il marchingegno non stava più funzionando a dovere. Manson era diventato troppo popolare, troppo “simpatico”. La mossa successiva del sistema è stata quella di eliminarlo dalla televisione, con divieto assoluto di rilasciare interviste: la morte mediatica, insomma, che nella società attuale può essere una condanna ancora più “reale" e punitiva di quella fisica.

Questo libretto non vuole offrire del sensazionalismo a poco prezzo o stuzzicare la morbosità dei lettori: non si tratta né del sermone di un demonio, né del discorso di un eroe: è soltanto la spontanea autodifesa di un essere umano ridotto all’impotenza totale, che non aveva alcuna possibilità di salvarsi. E in questo senso, si può anche considerare come un piccolo atto di giustizia.

A. Papa

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