PARTE I
Il
Natale Fiumano o di sangue 1920 suggellò con caratteri di fuoco una
repentina e notevole cesura nella vita e nell'opera di Gabriele
D'Annunzio. Nel corso dell'attacco sferrato dall'Esercito regolare del
capitalismo italiano alla Reggenza del Carnaro, egli si era reso conto
che il governo della borghesia d'Italia non avrebbe desistito
dall'azione e che anche la resistenza ad oltranza e la distruzione di
Fiume non potevano smuovere nessuno in Italia, dove la rivoluzione da
lui sognata e attesa, già passata ad altre mani, doveva incubare un
altro paio d'anni prima di manifestarsi in forme perlopiù grottesche,
mostruose e restauratrici dell'Ordine e della Tradizione, sotto ben
diversa spinta, pertanto.
Il 2 Gennaio 1921 egli tenne un discorso
che conteneva, in mirabili frasi, un sincero e sentito ammonimento,
purtroppo rimasto inascoltato, contro ogni lotta fratricida: "Se
colui che pianse presso la fossa di Lazzaro, se il Figliol d'Uomo ora
apparisse, tra l'altare e le bare, tra la tovaglia sacra e il labaro
santo, tra i ceri accesi e le vite estinte; se qui apparisse e facesse
grido e risuscitasse questi morti discordi su dai coperchi non
inchiodati ancora, io credo ch'essi non si leverebbero se non per
singhiozzare e per darsi perdono e per abbracciarsi".
Il
bilancio finale dei morti del ferale scontro fu di ventidue legionari e
cinque civili da parte fiumana e di venticinque militari e due civili da
parte governativa. A Fiume avrebbe potuto darsi e avere luogo, e
parzialmente fu così, il primo esperimento rivoluzionario sindacalista,
da Fiume la rivoluzione sociale avrebbe potuto conquistare e violentare
l'Italia, per merito di Fiume la Repubblica dei Sindacati avrebbe
potuto costituirsi come una realtà fattuale ed effettuale nella Penisola
Italica. E da Fiume D'Annunzio, ritiratosi spiritualmente
nella sua turris eburnea, era un uomo stanco e provato, deluso dalla
Politica, intesa come azione meditata e mediata al fine del
conseguimento di risultati pratici, atta alla determinazione delle
condizioni, attraverso le quali e nella misura in cui si sarebbe potuto
procedere... e avrebbe dato invece ancora una possibilità a quell'agire
fomite di sprigionantesi e dirompenti passioni e vitalità, permanendo
nell'arena, antipolitica per eccellenza, della lotta contro il grigiore
della mediocritas. Egli era altresì desideroso di riprendere, da
Demiurgo, il colloquio con i fantasmi degli eroi delle sue imprese,
recenti e passate; tutt'altro che disposto insomma ad ingaggiare una
nuova battaglia se questa avesse comportato un lungo lavorio di
preparazione.
L'editore Guido Treves, avendo sentito che il Poeta desiderava "un
eremo lacustre o marino, lontano da stazioni ferroviarie e, quasi, dai
centri abitati in modo da evitare il più possibile l'assedio dei devoti
legionari o dei troppi o troppo zelanti amici", cominciò a visitare
varie ville del Garda, confiscate a proprietari tedeschi e devolute al
demanio. Il 2 Febbraio 1921, con geniale intuizione, D'Annunzio optò per
una villa a Gardone, sul Lago di Garda, che sarebbe diventata il
celebre ed eterno"Vittoriale degli Italiani". Il Poeta era
ancora lontano dal dimettere l'impegno politico al quale lo spronavano
la travagliatissima situazione italiana e le sollecitazioni dei suoi
legionari, benchè scrivendo tra la fine di Gennaio e i primi di Febbraio
ad Alceste De Ambris così si esprimeva molto amaramente: "Tutta la
vita politica italiana-d'ogni parte-è fondata sull'equivoco. Tutto è
corrotto e fuorviato. Dov'è la salute? Mediterò sotto l'ulivo di
Atena..."
Sulla scena politica del momento campeggiava
purtroppo Benito Mussolini. In uno dei suoi primi interventi da Gardone
agli ex legionari di Fiume riuniti in una federazione (la Federazione
Nazionale dei Legionari Fiumani, ovvero la F.N.L.F.) egli li ammoniva a
non disperdersi e a non confluire in nessun partito politico. Il
9 Febbraio D'Annunzio aveva scritto al capitano Vittorio Calicetti una
lettera che, resa subito nota, avrebbe dovuto suonare a monito contro
ogni avvicinamento, in particolare e nondimeno ai fascisti: "E'
necessario che le nostre forze rimangano ben distinte e separate anche
da quelle che oggi in Italia sembrerebbero più attive. Non c'è oggi in
Italia nessun movimento politico sincero, condotto da un'Idea chiara e
diritta. Perciò è necessario che noi facciamo parte di noi stessi,
immuni da ogni mescolanza e contagio. Undique fidus, undique firmus".
Mussolini
intanto, mirando ad un'affermazione parlamentare attraverso i Blocchi
Nazionali, cercò di avvicinare il Vate, proponendogli una candidatura al
collegio di Zara per le prossime elezioni politiche e chiedendogli la
stesura di un programma-proclama da usare in appoggio all'azione
fascista. D'Annunzio non scrisse alcun programma e disdegnò
offeso nel suo intimo la candidatura che l'avrebbe portato sicuramente
in Parlamento, che Lui definiva affascinantemente "un luogo malfamato da diroccare". Ma
non solo D'Annunzio rifiutò l'infame e invereconda offerta, ma
intransigentemente antifascista, impose al De Ambris, che malvolentieri
abbozzò, di accettare la candidatura alla carica di deputato a Parma, in
rappresentanza dei sindacalisti rivoluzionari fiumani-dannunziani, in
occasione proprio delle elezioni politiche del 15 Maggio 1921.
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Alceste De Ambris
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Nella
particolare situazione nella quale si dibatteva il movimento fiumano,
il rifiuto di D'Annunzio e soprattutto la candidatura di De Ambris
ebbero un significato chiarissimo: con il primo venivano decisamente respinti i tentativi fascisti di fagocitare il movimento fiumano
in quanto tale e veniva ribadita l'opposizione dannunziana al sistema
politico parlamentare in cui Mussolini tendeva invece ormai apertamente
ad inserirsi stabilmente e a divenirne addirittura il principale
puntello; con la seconda veniva sottolineato categoricamente ed irrevocabilmente il carattere antifascista della F.N.L.F.
e, proprio sulla base di questa caratterizzazione antifascista, si
cercava di stabilire un rapporto diretto tra fiumanesimo e sindacalismo,
aprendo verso quei settori operai e contadini che non seguivano i rossi
e i bianchi, ma che non potevano d'altra parte neppure accettare - per
anticipare una definizione di D'Annunzio di qualche tempo posteriore- lo
schiavismo agrario fascista, o il liberalismo borghese.
Contemporaneamente,
la stessa stampa sindacalista dannunziana preparava il terreno a tutto
ciò con numerosi articoli; essi culminarono con il fondo "Ancora sul fascismo..." della rivista "La gioventù sindacalista" apparso il 23 Febbraio 1921 nel quale si giungeva all'esplicita conclusione che "il
fascismo deve essere riguardato come l'organizzazione di offesa
violenta della classe padronale che sente prepotente il bisogno di
sfogare la sua libidine reazionaria" e che pertanto occorreva indicarlo
come un "immancabile nemico" contro il quale i sindacalisti avrebbero
dovuto necessariamente ed asperrimamente combattere. Sempre su "La gioventù sindacalista" comparvero "Abbasso il fascismo!", autore UN GIOVANE CORRIDONIANO, il 22 Dicembre 1920, "Rappresaglia fascista e Fascismo" di Romualdo Rossi il 9 Aprile 1921 e "Il fallimento del fascismo" di Renzo Pezzani l'8 Giugno 1921. Umberto Foscanelli, nell'articolo "Fascismo e legionari" pubblicato il 5 Marzo 1921 su "La Riscossa dei Legionari Fiumani",
enfatizzava le divergenze di valutazione della precipua e specifica
situazione italiana instauratesi fin dal principio tra dannunziani e
fascisti e rinfacciava a questi ultimi le loro posizioni anti-operaie e i
loro "contatti impuri" con le autorità; l'autore concludeva che "i legionari di Fiume non ebbero, non hanno e non avranno mai nulla in comune con i fascisti".
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