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lunedì, giugno 30, 2014

Il Dannunzianesimo dopo Fiume da Anarcotico.net


- a cura de: individualista@anarcotico.net Pagina: 1 2 3 >

PARTE I
Il Natale Fiumano o di sangue 1920 suggellò con caratteri di fuoco una repentina e notevole cesura nella vita e nell'opera di Gabriele D'Annunzio. Nel corso dell'attacco sferrato dall'Esercito regolare del capitalismo italiano alla Reggenza del Carnaro, egli si era reso conto che il governo della borghesia d'Italia non avrebbe desistito dall'azione e che anche la resistenza ad oltranza e la distruzione di Fiume non potevano smuovere nessuno in Italia, dove la rivoluzione da lui sognata e attesa, già passata ad altre mani, doveva incubare un altro paio d'anni prima di manifestarsi in forme perlopiù grottesche, mostruose e restauratrici dell'Ordine e della Tradizione, sotto ben diversa spinta, pertanto.
Il 2 Gennaio 1921 egli tenne un discorso che conteneva, in mirabili frasi, un sincero e sentito ammonimento, purtroppo rimasto inascoltato, contro ogni lotta fratricida: "Se colui che pianse presso la fossa di Lazzaro, se il Figliol d'Uomo ora apparisse, tra l'altare e le bare, tra la tovaglia sacra e il labaro santo, tra i ceri accesi e le vite estinte; se qui apparisse e facesse grido e risuscitasse questi morti discordi su dai coperchi non inchiodati ancora, io credo ch'essi non si leverebbero se non per singhiozzare e per darsi perdono e per abbracciarsi".
Il bilancio finale dei morti del ferale scontro fu di ventidue legionari e cinque civili da parte fiumana e di venticinque militari e due civili da parte governativa. A Fiume avrebbe potuto darsi e avere luogo, e parzialmente fu così, il primo esperimento rivoluzionario sindacalista, da Fiume la rivoluzione sociale avrebbe potuto conquistare e violentare l'Italia, per merito di Fiume la Repubblica dei Sindacati avrebbe potuto costituirsi come una realtà fattuale ed effettuale nella Penisola Italica.
E da Fiume D'Annunzio, ritiratosi spiritualmente nella sua turris eburnea, era un uomo stanco e provato, deluso dalla Politica, intesa come azione meditata e mediata al fine del conseguimento di risultati pratici, atta alla determinazione delle condizioni, attraverso le quali e nella misura in cui si sarebbe potuto procedere... e avrebbe dato invece ancora una possibilità a quell'agire fomite di sprigionantesi e dirompenti passioni e vitalità, permanendo nell'arena, antipolitica per eccellenza, della lotta contro il grigiore della mediocritas. Egli era altresì desideroso di riprendere, da Demiurgo, il colloquio con i fantasmi degli eroi delle sue imprese, recenti e passate; tutt'altro che disposto insomma ad ingaggiare una nuova battaglia se questa avesse comportato un lungo lavorio di preparazione.
L'editore Guido Treves, avendo sentito che il Poeta desiderava "un eremo lacustre o marino, lontano da stazioni ferroviarie e, quasi, dai centri abitati in modo da evitare il più possibile l'assedio dei devoti legionari o dei troppi o troppo zelanti amici", cominciò a visitare varie ville del Garda, confiscate a proprietari tedeschi e devolute al demanio. Il 2 Febbraio 1921, con geniale intuizione, D'Annunzio optò per una villa a Gardone, sul Lago di Garda, che sarebbe diventata il celebre ed eterno"Vittoriale degli Italiani".
Il Poeta era ancora lontano dal dimettere l'impegno politico al quale lo spronavano la travagliatissima situazione italiana e le sollecitazioni dei suoi legionari, benchè scrivendo tra la fine di Gennaio e i primi di Febbraio ad Alceste De Ambris così si esprimeva molto amaramente: "Tutta la vita politica italiana-d'ogni parte-è fondata sull'equivoco. Tutto è corrotto e fuorviato. Dov'è la salute? Mediterò sotto l'ulivo di Atena..."

Sulla scena politica del momento campeggiava purtroppo Benito Mussolini. In uno dei suoi primi interventi da Gardone agli ex legionari di Fiume riuniti in una federazione (la Federazione Nazionale dei Legionari Fiumani, ovvero la F.N.L.F.) egli li ammoniva a non disperdersi e a non confluire in nessun partito politico.
Il 9 Febbraio D'Annunzio aveva scritto al capitano Vittorio Calicetti una lettera che, resa subito nota, avrebbe dovuto suonare a monito contro ogni avvicinamento, in particolare e nondimeno ai fascisti: "E' necessario che le nostre forze rimangano ben distinte e separate anche da quelle che oggi in Italia sembrerebbero più attive. Non c'è oggi in Italia nessun movimento politico sincero, condotto da un'Idea chiara e diritta. Perciò è necessario che noi facciamo parte di noi stessi, immuni da ogni mescolanza e contagio. Undique fidus, undique firmus".
Mussolini intanto, mirando ad un'affermazione parlamentare attraverso i Blocchi Nazionali, cercò di avvicinare il Vate, proponendogli una candidatura al collegio di Zara per le prossime elezioni politiche e chiedendogli la stesura di un programma-proclama da usare in appoggio all'azione fascista.
D'Annunzio non scrisse alcun programma e disdegnò offeso nel suo intimo la candidatura che l'avrebbe portato sicuramente in Parlamento, che Lui definiva affascinantemente "un luogo malfamato da diroccare"
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Ma non solo D'Annunzio rifiutò l'infame e invereconda offerta, ma intransigentemente antifascista, impose al De Ambris, che malvolentieri abbozzò, di accettare la candidatura alla carica di deputato a Parma, in rappresentanza dei sindacalisti rivoluzionari fiumani-dannunziani, in occasione proprio delle elezioni politiche del 15 Maggio 1921.
Alceste De Ambris
Alceste De Ambris
Nella particolare situazione nella quale si dibatteva il movimento fiumano, il rifiuto di D'Annunzio e soprattutto la candidatura di De Ambris ebbero un significato chiarissimo: con il primo venivano decisamente respinti i tentativi fascisti di fagocitare il movimento fiumano in quanto tale e veniva ribadita l'opposizione dannunziana al sistema politico parlamentare in cui Mussolini tendeva invece ormai apertamente ad inserirsi stabilmente e a divenirne addirittura il principale puntello; con la seconda veniva sottolineato categoricamente ed irrevocabilmente il carattere antifascista della F.N.L.F. e, proprio sulla base di questa caratterizzazione antifascista, si cercava di stabilire un rapporto diretto tra fiumanesimo e sindacalismo, aprendo verso quei settori operai e contadini che non seguivano i rossi e i bianchi, ma che non potevano d'altra parte neppure accettare - per anticipare una definizione di D'Annunzio di qualche tempo posteriore- lo schiavismo agrario fascista, o il liberalismo borghese.
Contemporaneamente, la stessa stampa sindacalista dannunziana preparava il terreno a tutto ciò con numerosi articoli; essi culminarono con il fondo "Ancora sul fascismo..." della rivista "La gioventù sindacalista" apparso il 23 Febbraio 1921 nel quale si giungeva all'esplicita conclusione che "il fascismo deve essere riguardato come l'organizzazione di offesa violenta della classe padronale che sente prepotente il bisogno di sfogare la sua libidine reazionaria" e che pertanto occorreva indicarlo come un "immancabile nemico" contro il quale i sindacalisti avrebbero dovuto necessariamente ed asperrimamente combattere.
Sempre su "La gioventù sindacalista" comparvero "Abbasso il fascismo!", autore UN GIOVANE CORRIDONIANO, il 22 Dicembre 1920, "Rappresaglia fascista e Fascismo" di Romualdo Rossi il 9 Aprile 1921 e "Il fallimento del fascismo" di Renzo Pezzani l'8 Giugno 1921.
Umberto Foscanelli, nell'articolo "Fascismo e legionari" pubblicato il 5 Marzo 1921 su "La Riscossa dei Legionari Fiumani", enfatizzava le divergenze di valutazione della precipua e specifica situazione italiana instauratesi fin dal principio tra dannunziani e fascisti e rinfacciava a questi ultimi le loro posizioni anti-operaie e i loro "contatti impuri" con le autorità; l'autore concludeva che "i legionari di Fiume non ebbero, non hanno e non avranno mai nulla in comune con i fascisti".

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