di Renzo Novatore
"Sotto
il nome di vagabondi -dice lo Stirner- si potrebbero riunire tutti
coloro che il buon borghese considera per sospetti, ostili e pericolosi. Qualunque vagabondaggio, d'altronde, spiace alla borghesia; ed esistono pure i vagabondi dello spirito
i quali, sentendosi soffocare sotto il tetto che accoglieva i loro
padri, vanno a cercare più lontano maggior spazio e più luce. Invece di
rimanere rincantucciati nell'antro familiare a smuovere le ceneri d'un
opinione moderata, invece di accettare per verità indiscutibili ciò che
ha cercato sollievo e conforto a tante generazioni, essi sorpassano la
barriera che chiude il campo paterno e, per il cammino della critica,
vanno ove li conduce la loro indomabile curiosità del dubbio. Questi
vagabondi stravaganti appartengono essi pure alla classe degli
irrequieti volubili, instabili, formata dal proletariato; e quando
lasciano supporre la loro mancanza di domicilio morale, vengono chiamati
turbolenti, teste calde, esaltati..."
Oh, i
vagabondi dello Spirito! I pallidi sovvertitori impenitenti! Coloro che
galoppano senza posa attraverso le sterminate regioni della loro
capricciosa fantasia creatrice di nuove cose!
Disse un
giorno Zarathustra, parlando a costoro: "Ancora la terra è libera per le
anime grandi. Ci sono molti porti ancora per le anime solitarie e le
gemelle, intorno alle quali aleggia il profumo dei mari tranquilli:
ancora libera è la vita: libera per le anime libere".
Poi proseguì:
"Solo là dove lo Stato cessa di esistere incomincia l'uomo non inutile:
di là incomincia l'inno del necessario, il ritornello non uniforme. Là
dove lo Stato cessa di esistere...ma guardate un po', o miei fratelli:
non vedete laggiù l'arcobaleno e i ponti del superuomo?".
Ma prima
di dire a loro tutto ciò, parlando delle scimmie e dei pazzi che si
prostrano a piè del "nuovo idolo" -lo Stato- disse ancora: "O miei
fratelli, vorreste essere forse soffocati dall'alito delle loro putride
bocche e delle loro malsane bramosie? Piuttosto spezzate i vetri alle
finestre e salvatevi all'aria pura!". Ed essi -i vagabondi dello
Spirito- spezzarono i vetri alle finestre e si lanciarono avidamente
attraverso la libertà profanatrice dei campi, ove la festante natura
intreccia canzoni di vita; là dove le messi d'oro biondeggiano danzanti
nel vento, baciate da sole.
Essi -i sovvertitori- da quel giorno si
proclamarono banditi... Avvinti dal seducente fascino della libertà
conquistata stavano quasi per giacere a terra e prendere riposo, quando
il simbolico mormorio uscente dalle frondi verdeggianti della montagna
li chiamò ancora, più lontano...più in alto...Si guardarono negli occhi a
vicenda. Il fuoco d'amore lampeggiava nelle pupille di ognuno come
vulcanica lava. Compresero allora ciò che gli disse il Maestro e,
riconoscendosi "anime gemelle", partirono tutti verso il culmine della
verde montagna che doveva rivelare loro la nuova vita.
Quando il
loro piede sacrilego e profanatore si posò sulle alte vette, il sole era
già calato al tramonto non lasciando di sé che enormi strisce rosse
somiglianti a grandiose lingue di fuoco. Attraverso l'animo di tutti
passò, in quel momento, una triste visione. A tutti parve di vedere
l'ombra del Maestro naufragare in quelle vampe rosse. Ma in quel
primitivo e desolante silenzio parve pure di udire la sua voce che
diceva loro: "Non temete. Io risorgerò col Sole. Anche per voi ora
s'appresta il tramonto, ma pure voi risorgerete con i primi raggi
dell'Aurora".
Ma, ahimè, ritornando a guardarsi a vicenda sentirono
come un brivido di terrore avvolgente tutti in un manto di desolazione,
giacché nelle loro pupille più non colava il fuoco d'amore come
vulcanica lava. L'ala nera della malinconia batté con violenza alla
porta dei loro cuori colmandoli di tristezza e di sonno.
Quando
l'alba venne a frugare, con le sue pagliuzze d'argento, le pupille dei
liberi dormienti, per annunziarvi la nascita del giorno novello, essi
balzarono in piedi con negli occhi una fiamma ancora più ardente.
Cantarono un inno alla vita e fissarono lo sguardo intensamente
lontano...
Pochi istanti passarono quando un urlo di dionisiaca
gioia scaturì da tutti quei petti pulsanti. L'arcobaleno e il ponte del
superuomo a cui il Maestro aveva loro parlato, ora si ergeva
maestosamente, luminosamente d'in fra le fiamme fosche delle nebbie
cristiane.
Man mano che il sole rischiarava l'orizzonte essi si
accorsero che quei luoghi erano già abitati da altre Creature. Oh, essi
conobbero pure questi abitanti... Essi videro, in tutta la loro tragica
bellezza, le creature di Enrico Ibsen che, con negli occhi il vulcanico
fuoco della passione, distruggevano terribilmente le cancrenose piaghe
tese all'Io da secolari pregiudizi sociali. Ed attraverso a tutti quei
distruttori simboli Ibseniani parve a loro di scorgere la nascita del
superuomo.
Essi guardarono, con il cuore in fiamme e l'anima muta,
Rubek e Irene risorgere dal sepolcro per incamminarsi ove li attendeva
la bianca valanga che, satura di morte, sprizzava luce eterna di vita.
Ma essi guardarono ancora... Guardarono e videro! Videro sbucar fuori il
"Pescatore" che abita la "Casa dei Melograni" eretta da Oscar Wilde in
mezzo ai vapori di luce emananti dall'arcobaleno che si erge ai fianchi
del Superuomo, e lanciandosi -con chiusa nel cuore la sua grande e
indiscutibile passione- verso la casa del prete, verso la piazza del
Mercato, verso la roccia abitata da una giovane e paurosa Mayulda e
sulla montagna satura d'artefizii malefici, ove questa lo sospinge per
poterlo sedurre in una diabolica danza di streghe, presieduta da Colui
che tutto aveva potuto prima dell'apparire del Pescatore.
Ma il
PESCATORE tutto sfida, tutto vince, tanto è imperiosa la volontà folle e
tenace della propria passione. Egli doveva liberarsi dell'anima sua,
unico ostacolo ormai fra lui e il proprio cuore giacché solo dopo questa
liberazione avrebbe potuto tuffarsi liberamente nei gorghi spaventosi
del mare per raggiungere la sua Sirena che ne abitava gli abissi. E che
sola poteva dargli le gioiose ebbrezze dell'amore.
Oh, quante cose
avrebbero ancora veduto rilucere tra "l'arcobaleno" e i ponti del
superuomo questi Vagabondi dello Spirito se l'urlo rozzo e bestiale del
volgo che vegeta già nelle acque stagnanti e che invecchia senza mai
rinnovarsi ai piedi della pietrosa montagna, non gli avesse brutalmente
scossi chiamandoli maniaci e pazzi.
Avevano ancora increspato sulle
labbra un sorriso di scherno e d'amara ironia, quando una rossa
automobile attraversò sinistramente una delle più grandi città moderne
e, terribile come la folgore, propagò una nuova forma di vita.
Ma
ora io mi accorgo di aver divagato. E, quel che è peggio, che,
divagando, mi sono messo in brutta compagnia... Stirner e Nietzsche,
Enrico Ibsen e Oscar Wilde. Vi è pure una automobile grigia?! Pazzi,
degenerati, delinquenti, tutti costoro.
Oh, numi, salvatemi voi dai
fulmini della gente per bene... E salvatemi pure anche da quelli che
invece di occuparsi di distruggere, nella battaglia di tutti i giorni,
un brano di questa società che ci opprime e che ci schiaccia, perdono il
loro tempo a voler insegnare, ad imporre sistemi di lotta e di pensiero
a coloro che hanno voluto imparare a lottare e a pensare da sé. E
quando il loro tempo non è consumato a compiere tutto ciò, viene
impiegato a guardare in quale misura dovranno essere costruiti i
manicomii che dovranno rinchiudere i nuovi ribelli della futura società.
Io, per mio conto, mi trovo bene in compagnia di questi pazzi e
insieme a uno di loro, forse il migliore, grido: "Spezzateli, spezzateli
i buoni e i giusti giacché essi furono sempre il principio della fine".
Oh, come io vivo bene in compagnia di questi Pazzi! Come la trovo
grande la loro "pazzia di distruzione"! Giuro che amo di più,
immensamente di più, la pazzia distruttrice che la conservatrice
saggezza.
Si, si, lasciatemi ai miei pazzi giacché vi prometto che
se la prossima rivoluzione Europea ci negherà la gioia di cadere avvolti
in un delirio di DISTRUZIONE, in tempi migliori io ritornerò a parlare
di Essi, e se qualche cosa ci sarà da rimproverare -forse la loro poca
pazzia?!- lo faremo e senza alcun riserbo.
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