Nessuno può negare che Libero Tancredi alias Massimo Rocca si sia
convertito al fascismo, anzi, che nel 1919 ne sia stato un fondatore.
Questo
è un fatto. Ma questo fatto non deve portare all'equipollenza tra
anarchismo individualistico, ed in particolare la notevole esperienza
animata da Rocca stesso prima della Grande Guerra, di cui intendo
parlare, e fascismo.
L'unico Libero Tancredi alias Massimo Rocca
che mi appartiene e che rivendico è l'individualista novatore,
stirneriano-nietzscheano, in seguito superbo vergatore dell'opera "L'anarchismo contro l'anarchia. Studio critico-documentario", Pistoia, Il Rinascimento, 1914.
Collaboratore del "Grido della folla" nel 1905, ma desideroso di avere una personale palestra di idee, egli diede vita l'anno seguente a "Il Novatore anarchico",
una delle riviste più iconoclaste della storia dell'anarchismo,
improntata all'esaltazione dell'amorfismo etico, della violenza
liberatrice, del neopaganesimo, ed ispirantesi all'esempio del
protagonista della tragedia di D'Annunzio "Più che l'amore", Corrado Brando, eroe immoralista e selvaggio, eversore di ogni norma.
Il
novatore, l'uomo nuovo, era una figura luminescente e sfolgorante,
contrapposta alla moltitudine dei servi responsabili della propria
schiavitù. Infatti, "nella società borghese nessuno è innocente",
aveva scritto Giuseppe Ciancabilla. La violenza era pertanto vissuta da
questi compagni novatoriani come leva potente che sconquassa ogni
catena ed ogni dogma, poesia ribelle che sparge l'entusiasmo e schiude
il cammino all'umanità, fattore vitale e liberatore in contrapposizione
al quietismo, alla viltà e alla morte.
Tutte queste
considerazioni finirono, anziché per sviluppare il sano germoglio della
giusta rivolta individuale contro tutto e tutti, per produrre nel
pensiero di Tancredi una valutazione positiva in senso libertario del
fenomeno della guerra, estremo atto e concretizzazione invece della
prepotenza del Dominio borghese-statale.
È in questa chiave,
seguendo codesta prospettiva che Tancredi sarà a fianco dei sindacalisti
rivoluzionari interventisti durante la guerra di Libia del 1911-12, che
egli considerò una conquista rivoluzionaria, perché avrebbe insegnato
al proletariato armato il modo per eliminare "il feudalesimo monarchico-clerico-sociale-austriacante" in nome di un "neonazionalismo proletario",
e durante la prima guerra mondiale (1914-1918). Ma fu proprio alla
vigilia di questa guerra che Tancredi ci consegnò il suo ultimo "scatto
di reni" squisitamente ancora anarchico, proprio con l'opera già citata
del 1914 "L'anarchismo contro l'anarchia". Punto focale della
riflessione di Rocca era la contrapposizione fra la rigidità formale
dell'anarchia, intesa come dottrina filosofico-politica, e l'energia
liberatoria dell'anarchismo.
Se l'anarchia rappresentava il mito
elevato a dogma, "una concezione trascendente e superiore e padrona
anche di chi vi crede", l'anarchismo era invece più propriamente una
disposizione dello spirito, "l'eterna sete di progresso, di libertà, di novità", incarnantesi nella rivolta, "nel senso più puro ed etico del termine",
al punto che "tutte le rivolte passate e future, tutti gli ideali nel
loro senso dinamico", potevano considerarsi sue manifestazioni.
Al
libro di Rocca era premessa una breve missiva di Arturo Labriola, a
riprova dei legami esistenti tra l'anarchico individualista torinese e
il mondo del sindacalismo rivoluzionario italiano, che professava la
propria ammirazione per l'autore, definendolo "uno degli scrittori politici più colti e completi".
La
summa dell'intera opera va sicuramente ricercata in queste parole: "Dal
momento che io persisto a dichiararmi ed a sentirmi anarchico, senza
curarmi dell'altrui divieto o permesso, credo e persisto a credere che
l'anarchismo, quale energia critica di pensiero e di temperamento
individuale, e quale affermazione ribelle di valori etici nuovi, possa
avere una vasta ed importante funzione da compiere, a lato dei movimenti
pratici: credo anzi che dell'anarchismo ve ne sia molto oggidì - fuori
degli anarchici ufficiali - nelle minoranze che formano la parte più
viva suscitatrice della vita pubblica odierna".
Successivamente le posizioni che assunse Rocca non possono definirsi altro che degne del più radicato e sincero disprezzo.
È
soltanto questo, pertanto, il Libero Tancredi alias Massimo Rocca che
mi aggrada, il prefascista; ma non ho assolutamente l'intenzione di
seguire la china del liberismo e del fascismo, concedendo in questa
guisa carta bianca a Idee Metafisiche, fantasmi che sono parto di
fantasie malate e mostruose, come sottolinea Stirner, e che
schiaccerebbero con i loro dogmi e i loro commi la mia unica,
irripetibile e disperata individualità.
Io non piegherò di fronte
ad esigenze nazionali, sociali, di classe, di Stato, di gruppo, di
ceto, di tipo etico. Professo invero il nichilismo etico così
sapientemente illustrato da Nietzsche nella sua "Genealogia della Morale"
(1887). Quivi viene insegnato agli spiriti liberi l'ultimo meridiano da
superare, l'ultima frontiera da varcare, l'ultimo idolo da abbandonare:
ossia la fede nella verità. Superando la cinta delle mura leonine
verifichiamo l'inanità e la perversione di ogni fede: è il non plus
ultra. Il mio odio è inestinguibile perché si nutre del sacro fuoco che
arde presso il Sacello del Dolore, eterno monumento agli affanni e alle
ingiustizie subite da tutti gli esseri viventi, umani e non umani. La
mia ragione è obnubilata da questa rabbia e tutto ad essa sacrifica.
Basta
con i Grandi Sinedri dell'anarchia! Io sono anarchico, sì, e sono solo.
Una voragine vertiginosa si spalanca all'orizzonte onirico e nebbioso
del mio Calvario, della via che mi sono prefisso, il crinale della
lancinante e rutilante disperazione; tutto trascolora, tutto si
confonde. È il Nulla. E noi, zeloti instancabili del Verbo nichilistico,
ne professiamo la sacertà.
Poi, quel che importa è di vivere, di vivere intensamente - di "diffondersi" direbbe Jean Marie Guyau - di "conquistare"
direbbe Friedrich Nietzsche - di utilizzare il tempo non in futilità
puerili, ma a perseguire un ideale di bellezza, di forza, di amore...
trarre dalla nostra anima come da un meraviglioso eptacordo tutti i
suoni, tutti i canti e le nuove e le vecchie armonie... infine - giunti
all'ultima sera - colla calma degli stoici antichi - calare nel regno
delle ombre...
La guerra, in ogni modo, scrive Oriani, è l'essenza
della vita: i suoi modi possono attenuarsi e la sua passione
ingentilirsi, ma la guerra non finirà.
"Quale differenza corre
tra il fanatico che si lascia castrare per i suoi dei, il patriota che
si fa uccidere per il suo Paese, e il sovversivo che cade evocando la
redenzione collettiva? Nessuna! Nella stessa guisa, hanno perduto la
coscienza del proprio IO, e perseguono un fantasma irraggiungibile. Sono
dei deboli. Essi non sentono la propria individualità che vuole
affermarsi, godere, vivere. E vorrebbero che io li seguissi. Io
scettico, iconoclasta, cinico. Vorrebbero che mi sacrificassi per la
plebe stupida, grossolana e volgare. Io che voglio bere il profumo della
Vita e inebriarmi di Bellezza, che voglio aspirare l'aere della Libertà
sconfinata, per ricevere infine il bacio della Morte. Io tanto
superiore alla mediocrità. Io lotto per me, unicamente per me. Sono al
di là del Bene e del Male".
(Enzo Martucci, brani estrapolati dall'articolo "Il mio individualismo", comparso sulla rivista "L'Iconoclasta" del 15 Maggio 1920)
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